domenica 1 maggio 2011

Tempi difficili

"Tempi difficili" fu scritto da Charles Dickens nel 1854: esattamente gli anni nei quali si sono formati Bossi, Marchionne, Tremonti e Berlusconi.

« Signore, io sono Josiah Bounderby di Coketown», esordì il visitatore.
Il signor James Harthouse fu davvero lieto (anche se non lo dava affatto a vedere) di avere un piacere che da lungo tempo attendeva.
«Coketown, signore», disse Bounderby prendendo con decisione sedia e parola, «non è il tipo di luogo al quale siete abituato. Perciò, se me lo consentite - e anche se non me lo consentite, perché io sono uomo di modi schietti - prima di affrontare altri argomenti, vi dirò alcune cosette».
Il signor Harthouse sarebbe stato lieto di ascoltarlo.
«Non siatene troppo sicuro», proseguì Bounderby, «non vi prometto nulla. In primo luogo, guardate il nostro fumo. Per noi è una gioia degli occhi e una festa del cuore. E' la cosa più salubre che ci sia al mondo, soprattutto per i polmoni. Se siete uno di quelli che vogliono abolirlo, vi dirò subito che non sono d'accordo. Non abbiamo nessuna intenzione di consumare il fondo delle nostre caldaie più in fretta di quanto non accada già, a causa di quelle frottole che circolano in Gran Bretagna e in Irlanda».
Per dimostrare che andava matto per quell'argomento, il signor Harthouse dichiarò: «Signor Bounderby, vi assicuro che la penso esattamente come voi. Ne sono convinto in tutto e per tutto»
«Lietissimo di sentirvelo dire», sentenziò Bounderby. «Ora, avrete sentito parlare moltissimo del lavoro nelle nostre fabbriche, ne sono certo. E così , vero ? Molto bene. Vi dirò come stanno esattamente le cose. E il lavoro più piacevole che ci sia, il più leggero che ci sia, il meglio pagato che ci sia. Non ho ancora finito. Nelle nostre fabbriche si possono migliorare le condizioni soltanto stendendo per terra tappeti turchi, cosa che non abbiamo intenzione di fare».
«Giustissimo, signor Bounderby».
«Ultima cosa: gli operai. Non ce n'è uno, signore, in questa città - uomo, donna, bambino - che non si prefigga un solo, unico scopo nella vita: rimpinzarsi di zuppa di tartaruga e di cacciagione, e servirsi con un cucchiaio d'oro. Bene: mai nessuno di loro si abbufferà di zuppa di tartaruga e di cacciagione o si servirà di un cucchiaio d'oro. Ecco Coketown: ora sapete tutto».
Il signor Harthouse dichiarò che quella succinta esposizione dell'intero problema di Coketown gli aveva chiarito le idee e lo aveva perfettamente aggiornato.
(Charles Dickens, "Tempi difficili", parte seconda, capitolo secondo) (pag.132 nell'edizione tascabile Garzanti)


Il signor Bounderby era a tavola. Stephen se lo era aspettato. Il domestico poteva avere la compiacenza di annunciare al padrone che uno degli operai lo pregava di concedergli licenza di parlargli? Messaggio di rimando: come si chiama l'uomo? Stephen Blackpool. No, non c'era niente contro Stephen Blackpool, niente che lo indicasse come un piantagrane; sì, poteva entrare.
Stephen Blackpool nel salotto. Il signor Bounderby (che Stephen conosceva appena di vista) a tavola, davanti a cotoletta e sherry.
La signora Sparsit, accanto al caminetto, seduta che pareva in sella , all'amazzone, con un piede in una staffa, era intenta a lavorare a maglia. Si addiceva al ruolo e alla dignità della signora Sparsit non pranzare. Sentiva il dovere di sovrintendere ufficialmente al pasto, ma con il messaggio sottinteso che, per una persona del suo rango, il pranzo era una debolezza.
« Bene, Stephen», cominciò Bounderby, «cosa c'è?».
Stephen fece un inchino. Non un gesto servile - figuriamoci se questi uomini fanno mai una cosa del genere! Che il cielo vi assista, signore, se mai li coglierete a farlo, anche se stanno qui da vent'anni! - e, in omaggio alla signora Sparsit, si infilò nel panciotto le cocche del fazzoletto che portava intorno al collo.
«Non ci hai mai dato grane», disse Bounderby, versando dello sherry. «Non sei mai stato uno scalmanato. Non sei di quelli - quanti ce ne sono! - che si aspettano di avere carrozza con un tiro a sei, di nutrirsi a base di zuppa di tartaruga e di cacciagione, servendosi di un cucchiaio d'oro». Secondo Bounderby, era questo l'obiettivo, l'unico scopo diretto e immediato che si proponevano tutti gli operai insoddisfatti. «Sono quindi sicuro che non sei venuto qui per lamentarti e protestare. Lo so prima ancora che tu me lo dica».
«No, signore, non ci sono venuto qui per 'sta cosa».
Bounderby si mostrò gradevolmente sorpreso, malgrado precedente radicata convinzione. «Molto bene», replicò. Sei uno che lavora sodo e ha la testa sulle spalle; non ho preso un granchio. Dimmi allora perché sei venuto. Dato che non qui per reclamare, dimmi di che cosa si tratta. Che hai da dirmi? Sputa il rospo, ragazzo mio!».
(Charles Dickens, "Tempi difficili", parte prima, capitolo 11, pag.73-74)

In "Tempi difficili" ci sono tutte le qualità e i difetti di Dickens: c'è il lato patetico, oggi decisamente sorpassato (ma ai tempi piaceva, e molto); c'è il lato umoristico e satirico, soprattutto nella figura di Bounderby, un personaggio che parrebbe tratto di peso dal "Circolo Pickwick"; c'è un'anticipazione di Henry James nella storia d'amore mancata di Louisa, figlia dell'uomo tutto d'un pezzo, dedito ai fatti e non all'immaginazione, che forse è il vero protagonista dell'opera e che si chiama Thomas Gradgrind.
E adesso che sapete tutte queste cose potete dunque leggere "Tempi difficili" con piacere; fate attenzione, però: perché Dickens, con ogni probabilità, è un terribile comunista. Figuratevi che insinua che, prima di Marx, nelle nostre fabbriche (quelle dell'Occidente civile e democratico) si mandassero a lavorare i bambini in fabbrica. Lavoro minorile, insomma: come in Indonesia e in Tunisia. S'è mai sentita una cosa del genere?

Era una caratteristica esasperante di B. non solo mettersi a cantare le proprie doti, ma indurre anche gli altri a farlo. Si annidava in lui una infezione morale contagiosa: quella di sproloquiare. Gente che non lo conosceva e che altrove sarebbe rimasta in disparte, nei banchetti di Coketown balzava in piedi e con gran chiasso si metteva a incensarlo. Nelle parole di costoro, B. diventava il simbolo della Corona, della bandiera, della Mgna Charta, di John Bull, dell'Habeas Corpus, della Dichiarazione dei Diritti, del principio che "per un inglese la sua casa è il suo castello", della Chiesa e di Dio salvi la Regina, tutto insieme.
(Charles Dickens, Tempi difficili, cap.VII, pag.47 ed. Garzanti)


« Quali sono le novità del giorno? Qualche cosa di nuovo? » , chiese la signora Sparsit versandosi il tè.
« Beh, signora, non ho sentito nulla di speciale, in giro. Brutta gente quella che vive qui, ma, signora, nulla di nuovo purtroppo.»
« Cosa combinano quei ribaldi scalmanati? » si informò la signora Sparsit.
« Le solite cose, signora: sindacati, leghe, cooperative, per sostenersi a vicenda.»
« E' assai deplorevole che le associazioni padronali tollerino queste combutte di classe» , disse la signora Sparsit che, nel suo sdegno, accentuò la romanità del naso e la coriolanità delle sopracciglia.
« Sì, signora. » confermò Bitzer.
« Anche loro si sono associati e quindi dovrebbero, tutti insieme, far fronte comune e non assumere nessuno che sia in combutta con gli altri.»
« Ci hanno provato, signora, » replicò Bitzer, « ma è andata male.»
« Non pretendo di capire queste cose, » dichiarò la signora Sparsit con grande dignità, « ho sempre frequentato ambienti molto diversi e anche il signor Sparsit, che era un Powler, non aveva niente a che fare con queste controversie. So soltanto che è gente che va messa a posto, e che ormai è ora di farlo una volta per tutte.»
« Sì, signora », rispose Bitzer dando mostra di grande rispetto per l'autorità oracolare della signora Sparsit. «Non avreste potuto parlare più chiaro di così, davvero, signora.»
(Charles Dickens, Tempi difficili, parte seconda, capitolo primo, pag.119-120 ed. tascabili Garzanti)


« Farebbero bene a prendere esempio da voi, Bitzer.», rispose la signora Sparsit.
« Grazie, signora. Ma, dal momento che avete accennato a me, consideriamo il mio caso, signora. Ho messo qualche cosa da parte, signora; il premio che ricevo a Natale, signora, non lo intacco mai. Non spendo tutto lo stipendio che pure non è alto, signora. Perché non fanno anche loro come me? Se lo può fare uno, signora, lo possono fare tutti.»
Questa era un'altra delle trovate di Coketown. Non c'era capitalista che, partito con sei pence in tasca e ritrovandosi con sessantamila sterline, non si stupisse che i primi sessantamila lavoratori che gli capitavano sott'occhio non facessero anche loro sessantamila sterline partendo da sei pence. Ed eccolo a rimproverarli di non essere riusciti ad ottenere un risultato tanto modesto. Quello che ho fatto io, puoi farlo anche tu, no? Perché non ti ci metti e lo fai?
« Non parliamo poi di svaghi e divertimenti,» proseguì Bitzer. «Tutte chiacchiere e sciocchezze! Io non ho bisogno di svaghi, non ne ho mai avuto e non ne avrò mai. (...)
(idem, pag.122)


« Ma, se mi consentite, signorina Louisa, » osservò Sissy « io sono... io sono così stupida! »
Con una risata più vivace del solito, Louisa le disse che col tempo sarebbe diventata più assennata.
« Non sapete » , disse Sissy sull'orlo delle lacrime, « quanto sia stupida. A scuola non faccio che sbagliare; il signore e la signora M'Choakumchild mi interrogano sempre, ma io do sempre risposte sbagliate. E' più forte di me. Mi vengono spontanee».
«Il signore e la signora M'Choakumchild non sbagliano mai, vero, Sissy?».
«Oh, no!», si affrettò a rispondere. «Sanno tutto, loro».
«Dimmi qualcuno degli sbagli che hai fatto».
«Me ne vergogno un poco», rispose Sissy con una certa riluttanza. «Oggi, per esempio, il signor M'Choakumchild ci spiegava la Prosperità Naturale».
«Penso che si trattasse della Prosperità Nazionale», osservò Louisa.
«Sì, proprio così... non è la stessa cosa?».
«Meglio dire Nazionale, se ha detto così», replicò Louisa con distaccato riserbo.
«Prosperità Nazionale. Ha detto: "Ora quest'aula è una nazione. In questa nazione ci sono cinquanta milioni in danaro sonante. E' una nazione ricca? Ragazza numero venti, non pensi che questa sia una nazione ricca e che tu ti trovi in un condizione di prosperità?"».
«Che cosa hai risposto tu?», chiese Louisa.
«Signorina Louisa, ho detto che non lo sapevo. Ho detto che non sapevo decidere se quella era una nazione ricca oppure no, e se io ero in una condizione prospera o no, se prima non sapevo chi aveva il danaro e se me ne veniva una parte. Ma questo non c'entrava per nulla, le cifre non lo dicevano», disse Sissy asciugandosi gli occhi.
«Hai fatto un grosso sbaglio», osservò Louisa.
«Sì, signorina Louisa, ora lo so. Poi il signor M'Choakumchild ha detto che mi avrebbe fatto ancora un'altra domanda. "Quest'aula", ha spiegato, "è un'immensa città di un milione di abitanti. Di questo milione solo venticinque muoiono di fame per le strade ogni anno. Che cosa hai da dire su questa percentuale?" Io ho osservato - non riuscivo a trovar niente di meglio - che, secondo me, era molto brutto per quelli che morivano di fame, e che per loro non faceva differenza se gli altri erano un milione oppure un milione di milioni. E così ho di nuovo sbagliato».
(Charles Dickens, Tempi difficili, capitolo IX, ed. tascabili Garzanti pag.61)

2 commenti:

giacy.nta ha detto...

L'ho letto qualche anno fa ed anch'io non lo sentii così datato...
Le tecniche con cui i soliti noti si impongono sono sempre le stesse.
Ciao e grazie.

Giuliano ha detto...

Dickens sarà sempre più d'attualità. Fino a poco tempo fa speravo che gli operai e gli impiegati si svegliassero, prendo nota che ormai è tardi.
Una volta ci insegnavano, a proposito dei meccanismi della comicità: attenti, è di voi stessi che state ridendo...