lunedì 28 novembre 2011

E' un momento di passaggio


Questa vignetta di Massimo Bucchi è del 2002. Cosa è cambiato da allora? E’ cambiato questo: che fin qui hanno disboscato e buttato il diserbante; adesso sta per arrivare la schiacciasassi. Lo sentite il rumore, sempre più vicino?
PS: un omaggio al grande Massimo Bucchi (www.repubblica.it) e un’enorme preoccupazione non solo per il futuro ma anche per il presente. (non sto parlando né di tasse né del governo nuovo, sia ben chiaro).

Furbetti

Uno dei luoghi comuni che non reggo proprio più è quello sui “furbetti”. Si era iniziato in maniera accettabile, perfino divertente, quando pochi anni fa furono arrestati alcuni truffatori, tra Milano e Roma (la Popolare di Lodi, se non ricordo male, le immobiliari, la speculazione edilizia, e tante altre cose ancora), che avevano come dato in comune di essere giovani e molto sicuri di sè. Così sicuri e così spavaldi da muoversi senza troppe precauzioni: avevano appoggi importanti, si sentivano intoccabili, era giusto definirli “furbetti”.
Ma adesso leggo che vengono descritti come furbetti e approfittatori le persone che dopo quarant’anni pensavano di aver maturato il diritto alla pensione; e su giornali e tv (e internet, e dintorni) leggo titolazioni bizzarre, come quella dell’altro giorno sul quotidiano di Como “La Provincia”, in prima pagina a nove colonne, secondo la quale ci sarebbero migliaia di furbetti che non hanno pagato il bollo auto e stanno per essere smascherati. Quattromila, se non ricordo male, o forse quarantacinquemila, chi può dirlo: spero di non essere anch’io nel numero, perché io il bollo auto l’ho sempre pagato e conservo regolare ricevuta. Via, siamo seri: come si fa a evadere il bollo auto, o il canone Rai? Quando l’hai pagato la prima volta, sei sistemato per sempre: più che furbetti bisognerebbe essere un po’ coglioni, se si pensa di farla franca e che nessuno se ne accorga. Molto più facile, e difatti lo fanno in tanti, è evadere l’assicurazione auto: i rischi che si corrono sono enormi, ma qui non esiste un database, il contratto si fa tra privati, si può tentare di fare il furbo. Cosa può essere dunque successo? Visto l’altissimo numero di bolli auto non pagati, facile che ci sia stato qualche disguido (o peggio) alle Poste o alle agenzie predisposte alla riscossione. Il che significa noie e grane anche per i contribuenti onesti, e purtroppo non sarebbe la prima volta.
A pensarci bene, è l’idea stessa del “furbetto” che mi disturba. Perché mai dividere il mondo in furbi e fessi, come nelle barzellette? Il mondo è molto più vasto, e basterebbe poco per accorgersene. Per fare solo un piccolo esempio, davvero minuscolo, anni fa un amico mi confessò di essersi dimenticato una scadenza delle tasse: gli era nata una bambina. Tutto il resto, di colpo, non esisteva più. Quando gli venne in mente quella scadenza, era tardi e dovette pagare una multa. Lo vorreste chiamare furbetto? Di eventi simili, felici e tristi, è piena la nostra vita; e a me non va di essere chiamato furbetto quando invece ho magari – ed è solo un altro dei mille possibili esempi – malattie e dispiaceri in casa, o magari una gioia suprema che ti manda all’aria tutte le scempiaggini burocratiche e amministrative. Non esistono solo i furbi e i criminali, insomma.
Prima di fare quei titoli, per cortesia, ci si fermi un attimo a pensare. Per quel che mi riguarda, ho preso nota e so già che se leggo o ascolto la parola “furbetto” sto avendo a che fare con un giornalista pigro o disattento: pessimo giornalismo dunque, da evitare.

sabato 26 novembre 2011

Grana Padano e Gazzettino Padano

L’altro giorno un deputato leghista, o comunque una delle teste pensanti della Lega, ha dichiarato in pubblico che la Padania esiste, perché ci sono il gazzettino padano e il grana padano; aggiungendo che “si sa che da noi si mangia bene”. Tutto questo è stato filmato, il filmato gira in rete e sembra che susciti molta ilarità, con battute del tipo “sì, come l’insalata russa”. Io trovo invece tutto questo molto avvilente, e – visto che fin qui non lo ha ancora fatto nessuno - mi vedo costretto a spiegare che cos’è il Grana Padano, e magari anche il Gazzettino Padano.
Da tempo immemorabile, più di mille anni, lungo il corso del Po si produce un formaggio stagionato chiamato grana. Non si riesce a produrlo altrove: non così buono. Si sa che per i prodotti alimentari la geografia e l’orografia sono importantissimi: le cipolle di Tropea vengono così buone solo a Tropea in Calabria, se le trapiantate e le coltivate a casa vostra il sapore cambia, e di molto. La stessa cosa capita per i vini, per quasi tutti i formaggi (l’Asiago viene buono solo sull’altipiano di Asiago, l’Emmenthal buono è solo quello svizzero, eccetera), per i prosciutti (il prosciutto di Parma viene così buono solo in determinati paesi della provincia di Parma, per via dell’aria, dell’umidità, eccetera). Tutto questo è risaputo, o almeno dovrebbe esserlo.
Il grana prodotto nella Pianura Padana è diviso in due grandi consorzi: il Parmigiano-Reggiano, che si produce in un’area ben delimitata tra le provincie di Parma e di Reggio Emilia, e il Grana Padano, che si produce nelle zone limitrofe, a Cremona ma anche nel sud del Piemonte, per esempio. Non è solo una questione di geografia: i due consorzi hanno regole diverse sull’alimentazione delle mucche che danno il latte per il formaggio. La descrizione completa sarebbe molto lunga, e rimando per questo ai siti ufficiali o magari a wikipedia; qui si può dire per brevità che il consorzio del Parmigiano-Reggiano ha norme molto restrittive, le mucche possono mangiare solo il fieno e l’erba dei pascoli, niente mangimi preparati. Così facendo, si vede anche solo a occhio cosa stanno mangiando le mucche: il sapore del latte dipende moltissimo da quello che mangiano le mucche. Nel consorzio del Grana Padano la qualità è sempre garantita, ma le regole su cosa mangiano le mucche sono meno restrittive: è per questo che c’è una differenza di prezzo fra i due formaggi.
Esistono caseifici che producono il grana anche al di fuori dei due consorzi, e spesso è anche buono, ma non possono usare né il marchio “parmigiano-reggiano” né il marchio “grana padano”: sono le stesse regole del DOC e del DOCG dei vini, a volte discutibili (bastano pochi chilometri al di là del confine geografico per negare il marchio?), il più delle volte essenziali per mantenere alta la qualità del prodotto. Non è una cosa da poco: è grazie a queste norme, per esempio, che l’Italia è rimasta fuori dal problema della “mucca pazza” (in altri Paesi europei alle mucche si davano da mangiare cose ignobili), o da altre gravi degenerazioni.

Il discorso sul Gazzettino Padano invece è molto più breve: si chiama così, da tempo immemorabile, il giornale radio RAI per la Lombardia. Lo ascoltavo sempre con mio papà, negli anni ’60: la sigla risorgimentale della “bella gigogìn” ne avvertiva l’inizio, ma si tratta di un giornale radio regionale e nulla di più. Invece, a me pare che i leghisti intendano per padania qualcosa che va da Sondrio a Ferrara ad Aosta a Belluno, località dove i notiziari milanesi non sempre arrivano e non sempre interessano.
Mi dispiace perdere tempo a specificare cose note e stranote, ma la Lega Nord è fatta così: mi ricordo bene, per esempio, quando a Umberto Bossi chiesero l’origine del suo federalismo, e lui rispose: «Ma sì, Carlo Cattaneo», come se fosse cosa ovvia e scontata. Dato che Carlo Cattaneo fa parte dei programmi scolastici, mi sono sempre meravigliato che nessuno lo fermasse per chiedergli: «Ma lei sta parlando di quel Carlo Cattaneo nato nel 1801 e morto nel 1869? Quello che nel 1848 voleva unire l’Italia, dalle Alpi alla Sicilia?”.

Se ci fate caso, e se vi capita di percorrere la Milano-Bologna, troverete molte nuove uscite dell’autostrada. Sono le zone in cui si produce il Grana Padano, il Parmigiano-Reggiano, il prosciutto di Parma, il culatello, il salame di Felino, il lambrusco, i tortellini, la salama da sugo...Forse non ci avete mai pensato, ma ad ogni nuova uscita dell’autostrada corrisponde una lottizzazione implacabile. Tutti i campi dove si producono quelle cose che fanno dire “da noi si mangia bene” stanno per scomparire. E, per questo, bisogna ringraziare le amministrazioni leghiste e berlusconiane, i loro infiniti condoni edilizi nel governo nazionale, e via elencando (perfino Sassuolo, provincia di Modena, ha oggi un’amministrazione berlusconiana-leghista).
Ma qui mi fermo, non ne posso più di quest’alluvione di scemenze e di inesattezze da correggere, spacciate per verità e per ovvietà, e che nessuno mai corregge (nemmeno La Repubblica, nemmeno L’Unità, nemmeno il TG3). Mi stupisce piuttosto una cosa: che dal consorzio produttore del Grana Padano non sia arrivata una denuncia per violazione del copyright, o per abuso del marchio.Di solito ci stanno molto attenti, ma si sa che la Lega Nord è oggi molto potente e che con i potenti bisogna stare attenti a quel che si dice.
Avremo ancora il Parmigiano-Reggiano, il Lambrusco, il Prosciutto di Parma, nei prossimi anni? La vedo dura, e il primo a sparire sarà proprio il Grana Padano, ormai completamente accerchiato da superstrade, autostrade, centri commerciali, speculazioni edilizie, discariche, inceneritori.

PS: se i leghisti ci stessero più attenti, si sarebbero accorti che la Padania ha perfino avuto il Premio Nobel per la Letteratura. Indovinate chi... (un ghigno, uno sberleffo, uno sghignazzo, in purissimo dialetto padano: già ai tempi di Mistero Buffo, e forse ancora prima, c'era Dario Fo che usava questa benedetta parola)

venerdì 25 novembre 2011

Assegni criminali, contanti assassini

E’ in atto una campagna ferocissima contro l’uso del contante: a destra come a sinistra (anche sinistra sinistra) dicono che l’unica arma possibile e definitiva contro l’evasione fiscale è fare ogni minima transazione di denaro con le carte di credito, passando sempre attraverso una banca “così tutti i movimenti saranno controllabili”. C’è anche chi dice: tutto tutto ma proprio tutto, compresi il quotidiano e il caffè al bar.
Sarà. Ne siamo proprio sicuri? Premesso che vedo il futuro molto fosco (la crisi economica è gravissima, e mica solo quella), premesso che quando ci sono troppe persone che ripetono a pappagallo lo stesso concetto io comincio a pensare che sia invece giusto il contrario, premesse tante altre cose compreso il fatto che ormai vale da anni il principio “se è una cazzata state sicuri che si farà”, metto qui i sotto i punti principali di questo ragionamento che non mi convincono.
1) se tutto deve passare dal conto corrente, i conti correnti devono essere gratuiti. Si chiamano le banche, tutte le banche, e si spiega bene che così si deve fare: altrimenti se pago ogni giorno il caffè con la carta di credito fanno trecentosessantacinque movimenti all’anno, se ne prendo due o se ne offro uno a un amico diventano settecentotrenta, settecentotrentadue nei bisestili: scherziamo o facciamo sul serio?
2) ci sono milioni di italiani che guadagnano pochissimo, e che non possono reggere il peso di un conto corrente. Che si fa? Se uno guadagna trecento euro al mese, cosa gli resta da mettere sul conto corrente? E se nonostante tutto riesce ad aprire il conto e poi va in rosso, che succede?
3) molte persone, soprattutto gli anziani, andrebbero incontro a enormi difficoltà. Che si fa, ce ne freghiamo? Diciamo, come già fecero in tempi recenti dei personaggi importanti, “non si possono rinviare le riforme per qualche misera vecchietta”? (sono contrario alle torture e alle pene corporali, ma in questo caso faccio un’eccezione e mi permetto di dire quello che penso: questi personaggi, quando dicono queste cose, andrebbero fustigati sulla pubblica piazza).
4) i grandi evasori fiscali, di queste misure, se ne fregano. Non solo: se ne infischiano allegramente. Chi andrebbe a colpire, questa misura? I piccoli artigiani, i piccoli bar, le piccole otturazioni dei dentisti, cose così. State sicuri che i grandi bar e ristoranti di Venezia, Firenze, eccetera, sono già pronti a controbilanciare i costi. E anche tutti gli altri, iper e supermercati, gioiellieri, Vanna Marchi, don Verzé, finanziamenti occulti ai partiti, ville ad Antigua, tutti quanti già prontissimi, non vedono l’ora che si cominci.
5) e poi ci sono i falsari, molti dei quali rimarrebbero senza lavoro. Di questo devo dire che un po’ mi dispiace: in fin dei conti falsificare monete e banconote è un lavoro manuale di grande precisione, roba da artisti, roba fine. Ho detto “molti dei quali”, e non “tutti”: infatti i falsari informatici con un provvedimento del genere andrebbero a nozze, stapperebbero champagne, miliardi di dati e di pin da rubare, grande gioia. Già oggi rubano le password e i dati a colpi di centomila alla volta, figuriamoci cosa potrebbero fare in futuro.
Che faccio, mi fermo? Ma sì, mi fermo: tanto è già cosa fatta, e il perché sia cosa già fatta l’ho già spiegato all’inizio, non sto qui a ripeterlo.
PS: gli assegni erano comodissimi. Possibile che adesso si passi per criminali, se si usa un assegno?

giovedì 24 novembre 2011

Far finta di essere sani

L’altro giorno mi è successo questo: una ditta esterna ha tranciato due radici di un grosso albero nella nostra proprietà. Stanno facendo dei lavori (pura e semplice speculazione edilizia) e hanno costruito un muro qui sotto le mie finestre. Nel fare il muro, si sono trovati davanti l’albero e hanno tirato diritti; ma passi. Intanto che si discute su chi dovrà pagare l’abbattimento dell’albero nel caso che muoia o che cada (tagliare un albero così alto costa un sacco di soldi, per chi non lo sapesse), ecco che il geometra responsabile del cantiere, con eleganza e nonchalance, passa a quello che secondo lui è invece l’argomento principale di cui preoccuparsi, e cioè il tubo del gas metano, che passa quasi a fior di terra. Lo indica: perpendicolare al muro. Ve ne eravate mai accorti? Certo che sì, ma fino a ieri qui c’era un giardino, qui sopra passavano soltanto gatti e lucertole, è così da più di quarant’anni, l’azienda del gas lo sa, e se voi non aveste aperto quel cantiere inutile a due passi da un parco regionale il problema non si sarebbe posto. Intanto che ragiono così, mi accorgo che il discorso è passato elegantemente ad altro. Si sa, un’impresa edile o un’immobiliare fanno sempre comodo. Così, quando mi chiedono: «Tu che ne pensi?» rispondo che io sto male, e che torno di sopra.
Così facendo, temo d’esser passato per matto. Categoria alla quale ormai mi onoro di appartenere, dato che i sani di mente oggi sono fatti in questo modo:
- i sani di mente aprono un cantiere dove c’è un tubo del gas a mezzo metro dalla superficie; lo vedono, non avvertono nessuno, non chiudono il cantiere, ci fanno passare sopra una ruspa, scavano, ci costruiscono sopra un muro. A lavori finiti ti dicono sorridendo che hai un problema col tubo del gas.
- i sani di mente costruiscono nei letti dei fiumi e dei torrenti.
- i sani di mente fanno i condoni edilizi un anno sì e un anno pure.
- i sani di mente danno concessioni edilizie assurde, ed emanano leggi che consentono qualsiasi cosa, pur di fare speculazioni edilizie.
Eccetera. Il tutto, lo ammetto, aggravato da un fatto: la settimana scorsa ho preso una testata che è guarita subito, meno di tre giorni, ma purtroppo mi è sceso l’ematoma sotto gli occhi, fino agli zigomi; e non è ancora andato via. Ecco, in questi giorni ho davvero l’aspetto del pazzo.
Achille Campanile, da “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima”
Io certe volte sospetto di essere pazzo. E certe volte ne ho l'assoluta certezza e allora vorrei abbandonare ogni finzione di saviezza. Come è riposante non simulare più! La cosiddetta saggezza non è assenza di pazzia, perché tutti abbiamo la stoffa dei pazzi. É soltanto possibilità di simulare e possesso maggiore di alcuni freni. Il bello è, poi, che quando mi convinco di essere pazzo e decido di gettar la maschera della saggezza, mi sento in un certo senso rinsavito. Finché simulavo la saggezza, mi sentivo pazzo. Abbandonandomi alla follia, mi sento savio. Andate a spiegare una cosa simile.
La maggior percentuale di sofferenze e di dolori - morali, s'intende -- che ci procuriamo deriva dal fatto che, salvo alcune fortunate eccezioni, noi siamo dei pazzi costretti a fingerci savi e a regolarci come tali. Le fortunate eccezioni non si riferiscono a persone che non sono pazze, ma a quelle che, essendolo, non sono costrette alla simulazione. Il male consiste nel fatto che il mondo riconosce ma non accetta la pazzia e perciò obbliga alla simulazione. Intanto, però, ognuno la riconosce soltanto negli altri. Spesso da quello di cui dice: « È pazzo », il mondo pretende atti da savio.
Ora io non voglio dire che la saviezza sia infelicità e sofferenza. Lo è in quanto simulata. E questa apparente saviezza è la peggior forma di pazzia, la più sinistra, la più dolorosa. Invece la saviezza dovrebbe consistere nel capire quello che si è ed esserlo veramente. Un pazzo sarà savio se si considererà pazzo e se si regolerà e ragionerà da pazzo. Sarà due volte pazzo se cercherà di regolarsi e di ragionare da savio. Beninteso, un savio sarà savio se si regolerà e ragionerà da savio.
In generale siamo dei pazzi che recitiamo la parte di persone savie, l'uno con l'altro. Il cosiddetto inconscio che cos'è se non una delle numerose forme di pazzia che sono in noi? È molto strana la commedia che recitiamo: tutti siamo pazzi in varia misura, che simulano la saviezza. Chi molla, o s’abbandona, viene estromesso materialmente o moralmente dalla società; non tutti e non sempre siamo consci della simulazione.
Prendiamo due individui. Premesso che entrambi sono pazzi e simulano la saviezza, si possono dare i seguenti casi, quanto alla pazzia: ognuno dei due 1) ignora di sé e dell'altro; 2) ignora di sé, ma sa dell'altro; 3) sa di sé, ma ignora dell'altro; 4) sa di sé e dell'altro.
Mescolate le otto situazioni in tutte le possibili combinazioni. Per esempio, A potrebbe trovarsi nella situazione 1 e B nella situazione 2, ecc. In ognuna di queste situazioni, il risultato apparente sarà sempre il medesimo, in virtù della generale simulazione più o meno cosciente o incosciente.
Basta: afflitto, come dicevo, dal dubbio di essere pazzo, volli consigliarmi con un medico circa l'opportunità di sottopormi a un esame psichiatrico.
«Ma sei pazzo?» mi disse quegli. « Perché vuoi farlo? Sarebbe una pazzia andare a mettersi in bocca al lupo.»
« Naturalmente, » dissi « se sono pazzo, niente di strano che commetta delle pazzie. »
« Che vuol dire? » esclamò l'altro, ridendo bonariamente.« Anch'io sono pazzo. Ma non lo dico a nessuno. Fossi matto. »
« Perché? »
« Ma andiamo, dovrei esser pazzo per rivelare d'esser pazzo. Simulo. Fa' altrettanto tu e non ti crear problemi. »
Mentre me ne andavo, mi richiamò.
« Per carità, » fece « non lo dire a nessuno. » « Che cosa? »
« Che sono pazzo. »
« Credo che già si sappia. »
Andai da un amico.
« Vorrei simulare la saggezza » gli dissi.
« Ti consiglio di non imitare me, allora » mi disse.
Malgrado il parere del medico, mi presentai al manicomio e chiesi d'esser messo in osservazione.
« Che sintomi avete? » mi domandò il direttore.
« Ecco, io mi considero pazzo. »
« Non basta. Bisogna assodare se lo siete davvero. »
«Perché? Nel caso che io fossi pazzo, lei mi considererebbe pazzo?»
« Evidentemente. »
« E sbaglierebbe. Se io fossi realmente pazzo, non sarei pazzo a considerarmi pazzo. Mentre, se non lo fossi, è chiaro che lo sarei per il fatto di ritenermi tale. »
« Ma in che consisterebbe allora la vostra pazzia? » ;
« Nel credermi pazzo senza esserlo. »
« Ma allora non sareste pazzo, se non lo siete. »
« Lo sarei in quanto, senza esserlo, mi ritengo tale. Se mi ritenessi pazzo essendolo realmente, questo mio credermi pazzo non sarebbe pazzia; mentre lo è se non lo sono. »
Il direttore del manicomio si passò una mano sulla fronte.
« Voi mi fate diventare pazzo » mormorò. Si volse all'assistente: « Cosicché, dovremmo metterlo al manicomio se non è pazzo? ».
« Precisamente » fece l'assistente. « Perché, non essendolo, ritiene di esserlo. Questa è la sua forma di pazzia. »
« Ma con questo ragionamento » obbiettò il direttore « se fosse pazzo non lo metteremmo al manicomio. »
« Beninteso. È pazzo se non è pazzo. »
« Ma siete pazzo voi. »
« Sarei pazzo se non ritenessi pazzo uno che non essendo pazzo si considera pazzo e che non sarebbe pazzo a considerarsi pazzo, se fosse realmente pazzo. »
A tagliar corto il direttore mi sottopose a una minuziosa visita, sperimentò le mie reazioni, mi interrogò e alla fine mi batté affettuosamente la mano sulla spalla e disse congedandomi :
« Andate, andate tranquillo; questo vostro ritenervi pazzo non è sintomo di pazzia, inquantoché siete realmente pazzo ».
Me ne andai tranquillizzato, sereno, ormai, essendomi tolto un gran peso dallo stomaco : dunque non sono pazzo, visto che sono pazzo.
(Achille Campanile, il racconto "Pazzi" da "Gli asparagi e l'immortalità dell'anima")
PS: “Far finta di essere sani” è un verso di Giorgio Gaber, ed è anche il titolo di un suo spettacolo.

domenica 20 novembre 2011

Fino alla fine del mondo

Camminando per Milano (o comunque per una via affollata di una città media o grande), da un po’ di tempo, bisogna fare molta attenzione: c’è sempre più gente che cammina con lo sguardo rivolto in basso, verso il piccolo schermo dello smartphone, o dell'ipad, o di chissà che cosa. La prima volta che mi è successo di notare questa cosa ero in metropolitana: un signore giovane ed elegante mi ha sfiorato proprio vicino alle scale; non se ne è nemmeno accorto ma io mi sono un po’ spaventato. Vuoi vedere che è un avvocato, mi sono detto, e se cade poi dice che è colpa mia che non stavo attento e mi fa causa?
La cosa poi si è diffusa, oggi lo fanno in molti, e così mi è tornato alla mente un film che mi era piaciuto molto quand’era uscito. Ma nel film tutto era molto più bello e poetico: la protagonista si perdeva a guardare, dentro un piccolo schermo che stava in una mano, l’immagine di se stessa bambina recuperata da uno dei suoi sogni.

Il film è “Fino alla fine del mondo” (Bis ans Ende der Welt, 1991), di Wim Wenders, su soggetto di Wenders e di Solveig Dommartin. Ne è protagonista la stessa Solveig Dommartin, con Sam Neill, William Hurt, Max von Sydow, Jeanne Moreau, David Gulpilil, Rüdiger Vogler, e molti altri. Si tratta di questo:
Registrare i nostri sogni, e rivederli. E’ quello che succede a Solveig Dommartin, nell’ultima parte del film. Lo scienziato Max von Sydow ha inventato questo apparecchio, e adesso Solveig è persa dentro quest’immagine profonda di se stessa da bambina, un’immagine che non sapeva di aver mai sognato e che adesso può rivedere su un apparecchio molto simile ai nostri videofonini di oggi. Quest’immagine la colpisce così profondamente che non riesce più a staccarsene, e la stessa cosa accade a William Hurt, che nel film interpreta il figlio di Max von Sydow. E’ un momento davvero sconvolgente, so che tutti quelli che hanno visto il film, quando uscì, ne erano rimasti molto toccati. Sarà il marito di lei, interpretato da Sam Neill, a strapparla da quell’immagine: quando le pile si saranno esaurite, il visore non manderà più quella sequenza e Solveig avrà una vera e propria crisi di astinenza, come accade per le droghe pesanti. Ma poi le cose pian piano si rimetteranno a posto, la vita reale riprenderà il suo corso anche se Sam non riuscirà a riavere sua moglie con lui. L’apparecchio era stato inventato da Max von Sydow, in origine, per poter ridare la vista alla moglie (la interpreta Jeanne Moreau), cieca dall’età di sette anni. Per farlo, bisognava andare a pescare le immagini direttamente nel cervello, e poi riproiettarle: una cosa non facile. (...)

E’ a questo punto che l’esperimento si completa: il prototipo della macchina per vedere i sogni è pronto, la sperimentano Solveig e Hurt. La realtà sparisce, l’esterno sparisce, rimane solo il guardare dentro se stessi: autismo o narcisismo, si può dire. Le immagini dei nostri sogni più intimi diventano l’unica cosa che conta, togliere di mano l’apparecchio genera una crisi di astinenza come per l’eroina. Sam Neill, il narratore, commenta: « Mi era sempre piaciuto l’inizio del Vangelo di Giovanni, “in principio era il Verbo” (in inglese: “in the beginning there was the Word”, la Parola). Ora temevo che l’Apocalisse fosse “e alla fine c’erano solo immagini”». Ma saranno la scrittura, e la pittura nel caso di Hurt, a far tornare alla normalità, una volta esaurite le pile del nuovo gadget elettronico e finita la crisi d’astinenza. Attività antiche come l’uomo, narrare, disegnare, fare musica. (...) Il film ha un finale rassicurante, tutto torna a posto, la crisi nucleare è stata solo passeggera. Oggi Wenders è più ottimista: dice “anche a me dicevano che i fumetti mi avrebbero rovinato, invece mi hanno dato molto; forse capiterà lo stesso con i videogiochi”.
Mah, non sono sicuro che sia andata proprio così; e, quantomeno, perdersi su uno schermo che riproduce i nostri ricordi più intensi è qualcosa di tutto sommato accettabile. Molto meno accettabile, a mio parere, rincoglionirsi nel modo che ho descritto sopra (ricordo ai distratti che la casa del giovane neonazista norvegese Breivik, ottanta morti quest’estate in Norvegia, era strapiena di videogiochi “spara-spara”).
(tutte le immagini qui sopra sono fotogrammi da "Fino alla fine del mondo" di Wim Wenders: l'attrice è Solveig Dommartin, protagonista anche di "Il cielo sopra Berlino")

venerdì 18 novembre 2011

Paese dormitorio

La prima volta che ho sentito definire “paese dormitorio” il posto dove abito da quando sono nato, mi sono arrabbiato e sono rimasto sorpreso. Poi, è bastato poco tempo per capire che era tutto vero: “siamo diventati un paese dormitorio”, mi aveva detto un signore dell’età di mio padre, nativo di qui, che il paese lo aveva visto crescere e cambiare.
“Paese dormitorio” una volta era Quarto Oggiaro, erano le periferie di Milano, i “casermoni”, quei posti lì: qui da noi (meno di venti chilometri di distanza) li guardavamo con una certa sufficienza, e mai si sarebbe pensato che sarebbe arrivata anche la nostra ora. Qui da noi, nel mio paese, la popolazione è quasi raddoppiata nel giro di dieci anni: e non è che si siano fatte guerre di conquista, la superficie in chilometri quadri è sempre quella lì, quella di cent’anni fa, immutata. La stessa cosa è successa nei comuni vicini.
Chi sono i nuovi abitanti del Comune? Gente che viene qui a dormire, per l’appunto. Si sono comperati la casa “in campagna”, “nel verde”, stanno via tutto il giorno, nei weekend vanno a sciare, al lago, hanno la casa al lago, in montagna, al mare, vanno a fare surf, a sciare, a Sharm. Qui ci dormono e basta: il che spiega tante cose, anche troppe.
Un luogo comune confermato, purtroppo.