Delle foibe, del massacro delle foibe, si è sempre parlato poco. Se ne parlava poco, e non era neanche facile trovare chi ne parlasse in maniera attendibile: cosa non facilissima nemmeno oggi, ad essere del tutto sinceri.
Se ne parlava poco perché, fino a tutti gli anni ’70, non conveniva a nessuno: il governo jugoslavo, quello di Tito, era importante in ambito NATO, e non conveniva irritare la Jugoslavia. (La Jugoslavia non faceva parte di nessuno dei due schieramenti del dopo Yalta, ed essendo di ispirazione comunista la sua neutralità non era così scontata). Il governo italiano, dal 1945 fino agli anni ’90, è sempre stato a guida democristiana: quindi, di per sè, non aveva nessun motivo pregiudiziale per tacere sulle foibe; ma probabilmente l’ordine degli USA fu di mettere a tacere tutto, e non toccare l’argomento. D’altra parte, il rischio di perdere anche Trieste era molto alto: basterà dire che i confini fra Italia e Jugoslavia furono definiti chiaramente solo nel 1975, con i trattati di Osimo.
Se ne parlava poco, delle foibe; e quel poco che si ascoltava era, molto spesso, depistante e incomprensibile. Circolavano (e circolano tuttora) frasi del tipo: “i comunisti che hanno fatto le foibe”. Dentro di me, la domanda sorgeva spontanea: il PCI in Italia prendeva il 35% dei voti: tutti assassini? E poi, per me il PCI (i comunisti) erano gente come mio zio, come alcuni vicini di casa, immaginare mio zio (la persona più pacifica del mondo, eppure comunista) mentre ammazza qualcuno era già inimmaginabile, che poi buttasse anche dei corpi dentro un crepaccio, no, era impossibile. Così impossibile che, veniva da pensare, ci doveva essere sotto qualcosa d’altro, e chi riferiva quei fatti in quel modo era del tutto inattendibile.
Una prima risposta mi venne dalla lettura di Ivo Andric: “Il ponte sulla Drina”, ma anche “La cronaca di Travnik”. Andric, che vinse il Nobel nel 1961, era jugoslavo: nel senso che aveva i genitori di ogni parte, non faceva caso se fossero croati o macedoni o serbi, quella era la sua terra. Sono romanzi storici, bellissimi: scritti in stile cronachistico, parlano della Jugoslavia nel corso dei secoli, dal dominio turco fino a Napoleone, e fino al Novecento, gli anni in cui viveva l’autore. Sono libri che raccolgono storia e leggende, e vi sono pagine di grande crudezza: ma un cronachista non può nascondere la verità, e la verità è che la storia della Jugoslavia contiene crudeltà sulle quali verrebbe da voltare pagina. Andric non lo fa, attinge ai documenti storici e descrive quello che è successo: anche qui sta la sua grandezza. Quella violenza, quella violenza indescrivibile, sarebbe riesplosa negli anni ’90, con la dissoluzione della Jugoslavia: la stessa violenza che era esplosa nei massacri delle foibe, e che credevamo appartenesse al passato. Gli anni ’90 significa il 1995, cioè ieri: è solo da pochissimi anni che nei paesi dell’ex Jugoslavia si è tornati a vivere almeno una parvenza di vita normale.
Altri scrittori hanno descritto più direttamente cosa è successo nelle foibe: penso ai diari di Biagio Marin, allo scrittore sloveno Boris Pahor. Sono libri e testimonianze pubblicati di recente, prima non erano disponibili, e consiglio di leggerli, perché servono a capire cosa c’è veramente dietro il dramma delle foibe: il nazionalismo, l’intolleranza, la pura e semplice stupidità umana.
Della stupidità umana fa parte consistente anche il modo (più o meno nascosto) in cui si parla oggi delle foibe, quasi a dire “i lager e le foibe”, come se un massacro giustificasse, bilanciasse, l’altro. Eh no, i massacri non si bilanciano, non si annullano l’uno con l’altro. Non è che “un morto di qui, un morto di là”, dà come risultato nessun morto: no, i morti si sommano, un morto di qua e un morto di là fanno due morti. Questa “giustificazione”, questo usare un dramma per giustificare un altro dramma, è veramente la cosa più schifosa che mi sia mai capitato di ascoltare. Mi fermo qui, per rispetto verso i morti innocenti delle foibe, delle Fosse Ardeatine, di Auschwitz, dei desaparecidos argentini (ragazzi di vent’anni, e anche meno), del Ruanda, dei gulag staliniani, delle vittime di Pol Pot e di Pinochet... Un elenco interminabile.
Life History of the Forget-me-not
5 ore fa
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