Mio zio, fratello maggiore di mio padre, faceva parte dell'Armir e non è più tornato a casa. "Disperso in Russia": quante volte l'ho sentito dire, era un destino comune a molti dei nati nei primi due decenni del Novecento. Come mio zio, appunto, che essendo nato nel 1909 in quella guerra era quindi uno dei "vecchi". Soldato semplice, sia ben chiaro; con due figli piccoli a carico, e già con la guerra in Libia sulle spalle. La spedizione in Russia era per noi una guerra persa in partenza, e i tedeschi non ci avevano nemmeno chiesto di parteciparvi; ma che fare. "Soffriva tanto il freddo", diceva mia nonna (sua madre) quando se ne parlava in casa.
In casa si era
fantasticato a lungo su cosa poteva essergli successo. Mio padre, il
fratello minore, ogni tanto se lo chiedeva; risposte non ne sono mai
venute, nemmeno dopo il 1989. C'erano racconti che facevano sperare,
un film come "I girasoli" di Vittorio De Sica, poi - quando
mio padre non c'era più - cominciano a vedersi le badanti ucraine... No, mai nessuna
notizia. Si commentava: dall'Unione Sovietica non esce mai niente; ma ormai l'URSS non esiste più, e sono passati altri trent'anni ma il silenzio perdura. Sono stati recuperati i resti di alcuni, ed è probabile che altri ne vengano trovati; ma di molti, tanti, manca ogni notizia; di tanti, non solo di mio zio. Poi, in tv, trovo un servizio molto ben documentato, e
capisco. Dev'essere andata proprio così, anche per mio zio.
Seicentomila volte no,
La deportazione dell'esercito italiano
(da un documentario Rai 1973 di
Sergio Valentini, consulente il tenente degli alpini Vittorio Emanuele
Giuntella - che si vede e si ascolta in prima persona nel documentario)
...fronte Armir.
L'operazione Asse, già pronta subito dopo l'armistizio, prevede
cattura e deportazione dell'esercito italiano, dalla Francia alla
Bielorussia, fino al Baltico e all'Egeo. Sono ottanta divisioni, un
milione e mezzo di uomini, metà dei quali fuori dai confini
italiani. I soldati italiani vengono colti di sorpresa, anche perché
ricevono ordini contraddittori.
Martin Bormann,
28.9.1943, emana un foglio d'ordine segreto (siglato Geheim)dove
ordina e specifica il trattamento per i soldati italiani; al
paragrafo 3 si ordina che per tutti quelli che hanno opposto
"resistenza attiva e passiva" sia previsto questo,
deportazione per sottufficiali e truppa, fucilazione immediata per
gli ufficiali. I soldati italiani vengono quindi arrestati e
deportati a Treblinka, il paragrafo 3 viene applicato con assoluto
rigore.
Il lager di Treblinka
funzionò fino alla fine del settembre 1943, l'ultimo treno che vi
arrivò fu appunto quello dei soldati italiani, "il treno degli
italiani", tutti da liquidare. Gli ufficiali vengono subito
fucilati, i loro corpi bruciati e le ceneri disperse.
Il centro di raccolta
per l'Armir era a Leopoli, dove c'erano duemila soldati italiani al
momento dell'armistizio. Di tutto il fronte russo, trentamila
finiscono a Witzendorf, che sarà il centro principale; gli altri
vengono dispersi in vari lager. I soldati e gli ufficiali subiscono
la stessa sorte di ebrei, zingari, omosessuali: arrivano nei vagoni
piombati, i morti e gli uccisi verranno bruciati nei forni crematori,
di loro non c'è più traccia. Jacek Wilczur ha raccontato la storia
di questi soldati italiani in due libri.
Per i sopravvissuti c'è
la possibilità di tornare a combattere con la RSI, ma solo l'uno per
cento aderirà (uno per cento). Per gli altri c'è il lavoro forzato,
e la "morte a dosi": il vitto viene ridotto di giorno in
giorno, fino a ridursi a niente. A Buchenwald cinquemila soldati
vengono impiegati per costruire le V2; le impiccagioni sono
quotidiane, così come le torture.
I soldati italiani
vengono definiti "internati" e non prigionieri di guerra: è
un ordine di Bormann, che pone i prigionieri fuori dagli aiuti della
CRI. Questo è possibile anche per via della confusione che regnava
in quel momento: il re era a Brindisi, la RSI non era riconosciuta da
nessuno.
Stalag 333 a
Beniaminovo, Lager 308 in Bassa Sassonia (Pollen?), nel documentario
vediamo e ascoltiamo testimoni oculari polacchi che mostrano i luoghi
delle fucilazioni, le fosse comuni dalle quali nel dopoguerra furono
recuperati i corpi degli ufficiali fucilati, resi irriconoscibili.
Aprile 1944, incontro
fra Mussolini e Hitler (reduce da un attentato); il duce dice a Hitler di
tenere in Germania i prigionieri; dopo tre mesi un altro colloquio,
cui segue un documento (agli atti, viene mostrato nel doc.) in cui
Mussolini spiega che è meglio tenere in Germania i soldati italiani,
perché le loro condizioni sono così disperate che se i loro
familiari li vedessero nascerebbero molti problemi (i tedeschi
insistevano nel rimandarli a casa, perché la Germania aveva enormi
problemi per dar loro da mangiare, non avendo cibo a sufficienza
nemmeno per i civili tedeschi). Questa notizia viene
data in maniera estremamente positiva sul giornale "La voce
della libertà", ed è presentato come un accordo per i
lavoratori italiani spediti in Germania, il titolone è "Il
problema degli IMI è risolto!" (internati militari italiani),
con molte foto di soldati sorridenti e in buona salute.
(da un documentario Rai 1973 di Sergio Valentini, consulente il tenente degli alpini Vittorio Emanuele Giuntella - che si vede e si ascolta in prima persona nel documentario)
Queste notizie, così come quelle sui gas e le torture fasciste in Libia e in Etiopia ed Eritrea, non circolano. Il documentario Rai è del 1973, quarantasei anni fa, quindi si tratta di cose ben note agli storici; eppure dei soldati dell'Armir mandati a Treblinka non si parla mai. Una vera e propria censura, e si capisce fin troppo bene a chi serve tacere e non far conoscere.
Si sa da tempo che altri soldati italiani finirono nei campi di concentramento dell'Unione Sovietica, ma sui gulag c'è già tanto materiale: perché su quello che ho riportato sopra invece c'è un silenzio assoluto? Un milione e mezzo di soldati italiani sono finiti nei lager nazisti, e con l'accordo dei dirigenti fascisti: un milione e mezzo mi sembra un numero impressionante, e per questo il silenzio è ancora più impressionante.
Queste notizie, così come quelle sui gas e le torture fasciste in Libia e in Etiopia ed Eritrea, non circolano. Il documentario Rai è del 1973, quarantasei anni fa, quindi si tratta di cose ben note agli storici; eppure dei soldati dell'Armir mandati a Treblinka non si parla mai. Una vera e propria censura, e si capisce fin troppo bene a chi serve tacere e non far conoscere.
Si sa da tempo che altri soldati italiani finirono nei campi di concentramento dell'Unione Sovietica, ma sui gulag c'è già tanto materiale: perché su quello che ho riportato sopra invece c'è un silenzio assoluto? Un milione e mezzo di soldati italiani sono finiti nei lager nazisti, e con l'accordo dei dirigenti fascisti: un milione e mezzo mi sembra un numero impressionante, e per questo il silenzio è ancora più impressionante.
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