Le chiacchiere fluide dell'ospite di città
scorrono in un ruscello interminabile,
mentre i tranquilli pensieri del campagnolo
seguono timidamente il loro corso.
" Vi prego, signore, cessate di raccontarmi
le cose che vi accadono a Ch'ang-an;
voi entraste proprio che l'arpa era accordata
ed attendeva sulle mie ginocchia. "
(Po Chu-i , 772-840 d.C. )
(da "Liriche cinesi", ed. Einaudi)
sabato 1 agosto 2009
Il progresso in musica
Il progresso in musica, e in tutta l'arte, non esiste. Esiste nella scienza, ed è innegabile, ed ancora di più nella tecnica. In musica, e nel mondo dell'arte, esistono dei momenti, delle situazioni, delle persone; dei picchi altissimi dai quali poi si ridiscende e li si contempla da lontano, tornando ogni tanto a visitarli. Ecco, quest'immagine alpina mi piace e me la tengo stretta: Mein Weg hat Gipfel und Wellenthäler, come diceva Arvo Part: la mia Via ha cime e valli.
Una volta, sul lavoro, parlavo con un ragazzo un po' più giovane di me (ero giovane anch'io) e ho espresso, con assoluta tranquillità e serenità, il pensiero che il vertice della Musica sia stato toccato tra il 500 e il 700: e il culmine è stato Johann Sebastian Bach. Un concetto tranquillo, perfino banale: ma il mio amico reagì violentemente a questa mia asserzione. Una cosa stupefacente, perché era un ragazzo di solito calmo e riflessivo; ma a lui quest'idea proprio non andava giù: Bach più progredito dell'heavy metal?? Dovevo essermi bevuto il cervello...
Con un criterio del genere (molto diffuso), in campo architettonico dovremmo buttar giù tutto, dal Duomo di Milano al Campanile di Giotto, passando per Venezia, San Pietro e il Colosseo. Per fortuna non è così, ma in futuro non è detto che non lo si faccia: già nell'Ottocento il Castello Sforzesco di Milano è stato a un passo dalla demolizione, in nome del progresso, dell'elettricità, dell'Esposizione Universale e del Ballo Excelsior.
Non lo si dice mai abbastanza spesso, ma Bach è il Galileo della musica. O il Magellano, se preferite: un Cristoforo Colombo, un Edison, un Einstein. In musica c'è un prima di Bach e un dopo. Basta guardare un pianoforte: i tasti neri del pianoforte, soprattutto quello che c'è tra il do e il re, rappresentano in modo perfetto la sintesi che fu operata dai grandi teorici della musica dal '500 in avanti, e che raggiunse il suo culmine in Bach (1685-1750). Tutta la musica scritta oggi, compresi il jazz e il rock, si appoggia su un'opera di J.S. Bach, "Il clavicembalo ben temperato".
Sarebbe un discorso troppo lungo per farlo qui, e poi io non sono un musicista e non ne sarei all'altezza. Ma quel giorno, discutendo con quel mio collega, ho capito quanto siano numerosi i pregiudizi (e l'ignoranza, triste dirlo) riguardo alla musica e alla storia dell'arte. Io so quattro o cinque cose, sono un autodidatta e in quanto a suonare o a leggere musica è meglio lasciar perdere, però mi sono informato e mi sono appassionato, e sono due cose molto più facili di quello che si pensi. Il vecchio Bach è ancora una persona viva, e anzi, per riprendere la battuta di Bulgakov su Dostoevskij, non può essere morto, perchè è immortale.
Una volta, sul lavoro, parlavo con un ragazzo un po' più giovane di me (ero giovane anch'io) e ho espresso, con assoluta tranquillità e serenità, il pensiero che il vertice della Musica sia stato toccato tra il 500 e il 700: e il culmine è stato Johann Sebastian Bach. Un concetto tranquillo, perfino banale: ma il mio amico reagì violentemente a questa mia asserzione. Una cosa stupefacente, perché era un ragazzo di solito calmo e riflessivo; ma a lui quest'idea proprio non andava giù: Bach più progredito dell'heavy metal?? Dovevo essermi bevuto il cervello...
Con un criterio del genere (molto diffuso), in campo architettonico dovremmo buttar giù tutto, dal Duomo di Milano al Campanile di Giotto, passando per Venezia, San Pietro e il Colosseo. Per fortuna non è così, ma in futuro non è detto che non lo si faccia: già nell'Ottocento il Castello Sforzesco di Milano è stato a un passo dalla demolizione, in nome del progresso, dell'elettricità, dell'Esposizione Universale e del Ballo Excelsior.
Non lo si dice mai abbastanza spesso, ma Bach è il Galileo della musica. O il Magellano, se preferite: un Cristoforo Colombo, un Edison, un Einstein. In musica c'è un prima di Bach e un dopo. Basta guardare un pianoforte: i tasti neri del pianoforte, soprattutto quello che c'è tra il do e il re, rappresentano in modo perfetto la sintesi che fu operata dai grandi teorici della musica dal '500 in avanti, e che raggiunse il suo culmine in Bach (1685-1750). Tutta la musica scritta oggi, compresi il jazz e il rock, si appoggia su un'opera di J.S. Bach, "Il clavicembalo ben temperato".
Sarebbe un discorso troppo lungo per farlo qui, e poi io non sono un musicista e non ne sarei all'altezza. Ma quel giorno, discutendo con quel mio collega, ho capito quanto siano numerosi i pregiudizi (e l'ignoranza, triste dirlo) riguardo alla musica e alla storia dell'arte. Io so quattro o cinque cose, sono un autodidatta e in quanto a suonare o a leggere musica è meglio lasciar perdere, però mi sono informato e mi sono appassionato, e sono due cose molto più facili di quello che si pensi. Il vecchio Bach è ancora una persona viva, e anzi, per riprendere la battuta di Bulgakov su Dostoevskij, non può essere morto, perchè è immortale.
Tutto il tempo necessario
Quanto dura il duetto d'amore nel Tristano e Isotta di Wagner? Considerando tutto, quasi tre quarti d'ora; e quando è finito arriva Re Marco e, sorpreso e addolorato dal tradimento del suo fido cavaliere, gli fa un sermone di quasi venti minuti, sempre rigorosamente in tedesco, prima del rapido finale in stile verdiano, che conclude drammaticamente il secondo atto dell'opera.
Wagner sta chiedendo troppo ai suoi ascoltatori? Con i tempi di oggi, sicuramente sì; ma già la vignetta di Novello, pubblicata nel 1934, parla chiaro anche sui tempi andati. Eppure bisogna avere pazienza, perché Wagner è grande e come tutti grandi poi sa come ripagarci.
Sono troppi tre quarti d'ora? In realtà questo non è un duetto, ma una intera notte d'amore, fra un uomo e una donna che hanno scoperto da poco di essere innamorati. Tristano e Isotta si prendono tutto il tempo necessario, e la stessa cosa farà poi Re Marco col suo monologo. Tutto il tempo necessario: quanto è lunga una notte d'amore? E come si fa a renderla in musica, o in un'opera d'arte? Wagner sceglie la strada giusta ( anche se forse esagera un po' ), e mi fa rimpiangere i tempi passati. Sarò sincero, e devo ammettere di vacillare quando devo iniziare un libro di seicento pagine ( o magari di mille, come Guerra e Pace...), e ho sempre avuto seri problemi ad ascoltare il secondo atto del Tristano. Però mi disturba leggere, e vedere sempre più applicati, i "consigli" degli esperti di marketing, che ormai sono i veri padroni dell'arte e privilegiano i messaggi rapidi e facili. Interrompere il Tristano con una serie di spot pubblicitari, o magari con una televendita? Impossibile, e oggi uno scrittore o un regista che volesse fare come il buon vecchio Richard Wagner, e prendersi tutto il tempo necessario, avrebbe problemi ben più seri di quelli che il compositore tedesco trovò durante la sua vita (1813-1883).
PS: nella vignetta, il Tristano di Wagner visto da Giuseppe Novello.
(Giuliano, 2 ottobre 2003)
Wagner sta chiedendo troppo ai suoi ascoltatori? Con i tempi di oggi, sicuramente sì; ma già la vignetta di Novello, pubblicata nel 1934, parla chiaro anche sui tempi andati. Eppure bisogna avere pazienza, perché Wagner è grande e come tutti grandi poi sa come ripagarci.
Sono troppi tre quarti d'ora? In realtà questo non è un duetto, ma una intera notte d'amore, fra un uomo e una donna che hanno scoperto da poco di essere innamorati. Tristano e Isotta si prendono tutto il tempo necessario, e la stessa cosa farà poi Re Marco col suo monologo. Tutto il tempo necessario: quanto è lunga una notte d'amore? E come si fa a renderla in musica, o in un'opera d'arte? Wagner sceglie la strada giusta ( anche se forse esagera un po' ), e mi fa rimpiangere i tempi passati. Sarò sincero, e devo ammettere di vacillare quando devo iniziare un libro di seicento pagine ( o magari di mille, come Guerra e Pace...), e ho sempre avuto seri problemi ad ascoltare il secondo atto del Tristano. Però mi disturba leggere, e vedere sempre più applicati, i "consigli" degli esperti di marketing, che ormai sono i veri padroni dell'arte e privilegiano i messaggi rapidi e facili. Interrompere il Tristano con una serie di spot pubblicitari, o magari con una televendita? Impossibile, e oggi uno scrittore o un regista che volesse fare come il buon vecchio Richard Wagner, e prendersi tutto il tempo necessario, avrebbe problemi ben più seri di quelli che il compositore tedesco trovò durante la sua vita (1813-1883).
PS: nella vignetta, il Tristano di Wagner visto da Giuseppe Novello.
(Giuliano, 2 ottobre 2003)

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Valzer e pirati
Forse i valzer più belli di tutti i tempi li ha scritti Dvorak. Non sono un appassionato di questo genere, ma i valzer di Antonin Dvorak sono indimenticabili, dolci e struggenti. Ascoltare per credere, vorrei dirvi: ma non posso, gli "Otto valzer op.54" di Antonin Dvorak (1841-1904) sono assolutamente fuori catalogo, e io li posso ascoltare solo perché, tanti anni fa, li ho registrati dalla radio.
E quindi in questo momento forse sono davvero un pirata, uno di quelli che affossano l'industria discografica; ma poi mi consolo, perché la mia registrazione non è un gran cosa, dal punto di vista tecnico. Ho provato a comperare il disco, da cui è tratta, ma nessuno dei negozi di Milano è riuscito a procurarmela: e posso assicurarvi che se un disco non lo trovano alla Bottega Discantica vuol dire proprio che non c'è più e non ci si può fare niente.
Quante volte avreste voluto spendere dei soldi, magari per fare un regalo, e non siete riusciti a trovare quello che state cercando? La chiamano "censura di mercato", ed è un termine che trovo molto esatto. Non importa che cosa state cercando, che cosa vi piace vedere o ascoltare, se sia rock o rap o Nilla Pizzi: c'è qualcuno che pensa anche per voi, e decide che cosa si può trovare e che cosa no. Può anche essere un film appena uscito, e che magari ha ricevuto ampi riconoscimenti e premi, e magari anche un film di Hollywood con attori famosi: ma se l'omino addetto alla programmazione della tv o del cinema decide che non va bene, noi non possiamo vederlo. Magari, a essere fortunati, lo trasmettono in tv alle due di notte; o magari vi aprono un canale tv apposito, che magari si chiama cult (in italiano suona male...) a rimarcare che siete proprio difficili e anche un bel po' noiosi; però per vederlo (forse) dovete comperare decoder e antenna parabolica, e magari pagare un abbonamento. E vi dimostreranno anche, se avete qualche dubbio, che si tratta di un affare e che è davvero conveniente, e che sbagliate tutto se perdete tempo a lamentarvi.
L'unica speranza è internet, per il futuro; che ci sia qualcosa di simile al primo Napster, un punto di interscambio affidabile tra appassionati. Pagando e rispettando il diritto d'autore, per carità: ma almeno che si possa scegliere, con la nostra testa e non con quella dell'omino di turno. Ma ormai anche questa è solo una vana speranza, presto anche internet (o come si chiamerà in futuro) sarà in mano al solito monopolista, come è già successo con le televisioni, via etere o via cavo o con decoder: aspettiamo solo di vedere chi sarà, dopo i Berlusconi e i Murdoch.
Non aspettiamoci di decidere come se fossimo padroni in casa nostra, insomma; ma se nel frattempo qualcuno ha in casa il disco con le "Sedici danze tedesche op.33" di Franz Schubert, suonate da Alfred Brendel, mi farebbe piacere saperlo. La mia copia pirata, infatti, è molto disturbata: quel giorno, quindici anni fa, la ricezione radio non era perfetta; o forse il mio registratore stava perdendo i colpi.
(Giuliano, 27 marzo 2004)
E quindi in questo momento forse sono davvero un pirata, uno di quelli che affossano l'industria discografica; ma poi mi consolo, perché la mia registrazione non è un gran cosa, dal punto di vista tecnico. Ho provato a comperare il disco, da cui è tratta, ma nessuno dei negozi di Milano è riuscito a procurarmela: e posso assicurarvi che se un disco non lo trovano alla Bottega Discantica vuol dire proprio che non c'è più e non ci si può fare niente.
Quante volte avreste voluto spendere dei soldi, magari per fare un regalo, e non siete riusciti a trovare quello che state cercando? La chiamano "censura di mercato", ed è un termine che trovo molto esatto. Non importa che cosa state cercando, che cosa vi piace vedere o ascoltare, se sia rock o rap o Nilla Pizzi: c'è qualcuno che pensa anche per voi, e decide che cosa si può trovare e che cosa no. Può anche essere un film appena uscito, e che magari ha ricevuto ampi riconoscimenti e premi, e magari anche un film di Hollywood con attori famosi: ma se l'omino addetto alla programmazione della tv o del cinema decide che non va bene, noi non possiamo vederlo. Magari, a essere fortunati, lo trasmettono in tv alle due di notte; o magari vi aprono un canale tv apposito, che magari si chiama cult (in italiano suona male...) a rimarcare che siete proprio difficili e anche un bel po' noiosi; però per vederlo (forse) dovete comperare decoder e antenna parabolica, e magari pagare un abbonamento. E vi dimostreranno anche, se avete qualche dubbio, che si tratta di un affare e che è davvero conveniente, e che sbagliate tutto se perdete tempo a lamentarvi.
L'unica speranza è internet, per il futuro; che ci sia qualcosa di simile al primo Napster, un punto di interscambio affidabile tra appassionati. Pagando e rispettando il diritto d'autore, per carità: ma almeno che si possa scegliere, con la nostra testa e non con quella dell'omino di turno. Ma ormai anche questa è solo una vana speranza, presto anche internet (o come si chiamerà in futuro) sarà in mano al solito monopolista, come è già successo con le televisioni, via etere o via cavo o con decoder: aspettiamo solo di vedere chi sarà, dopo i Berlusconi e i Murdoch.
Non aspettiamoci di decidere come se fossimo padroni in casa nostra, insomma; ma se nel frattempo qualcuno ha in casa il disco con le "Sedici danze tedesche op.33" di Franz Schubert, suonate da Alfred Brendel, mi farebbe piacere saperlo. La mia copia pirata, infatti, è molto disturbata: quel giorno, quindici anni fa, la ricezione radio non era perfetta; o forse il mio registratore stava perdendo i colpi.
(Giuliano, 27 marzo 2004)

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Una folla di piccoli uomini
Mosè è balbuziente, o quanto meno ha difficoltà di parola; in Esodo 4,10 si rivolge così al Signore: «Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua.» Il Signore gli risponde con molta durezza, accusandolo in sostanza di poca fede; ma Mosè insiste, e allora per poter diffondere la Parola il Signore delega suo fratello Aronne, che "sa parlare bene".
Arnold Schönberg partì da questo fatto per una sua libera interpretazione, che portò all'opera "Moses und Aron ", scritta negli anni '30 ed eseguita solo nel 1957. In quest'opera, durante la lunga assenza di Mosè nella quale gli Ebrei, credendo di essere stati abbandonati dal loro capo, ritornano agli idoli primitivi, Aronne sfrutta questa sua capacità di parola e ne approfitta, come del resto è descritto anche nella Bibbia nei capitoli successivi (Esodo 5).
Schönberg forza il personaggio di Aronne e lo rende importante e un po' bieco. Infatti, in Schönberg è proprio per la facilità di parola e l'abilità di comunicatore che il popolo abbandona volentieri Mosè, così lontano da loro, e da così tanto tempo, e sceglie di seguire Aronne nell'episodio del vitello d'oro...
Ascoltare quest'opera è un po' come camminare davvero nel deserto, e la lingua tedesca abbinata allo stile di canto scelto da Schönberg non aiuta molto. Schönberg era un ebreo un po' come Primo Levi, cioè molto annacquato; di religione era infatti protestante, ed anche a lui - come al dottor Levi - fu necessario che qualcuno usasse una certa insistenza per fargli ricordare le sue radici. Per sua fortuna fece in tempo ad andare in USA, dove visse abbastanza bene.
La musica di Arnold Schönberg non è mai facile, e la mia cultura musicale non mi consente di capire a fondo il suo percorso artistico; però ho letto molto dei suoi scritti, e ho per lui una grande ammirazione. Quest'opera è un esempio della sua profondità di pensiero, e letta oggi dà più di un brivido.
Chiudo con un brano di Schönberg (Stile e idea), tratto da una conferenza tenuta nel 1912:
"L'opera d'arte esiste anche se nessuno ne subisce il fascino, e il tentativo di razionalizzare il proprio sentimento è inutile... Forse mai come oggi è stato difficile dare a un artista ciò che gli è dovuto... Forse mai più di oggi sopravvalutazioni e sottovalutazioni sono dipese dal farsi commerciale dell'arte... Enorme è il numero di coloro che producono e non tutti possono essere dei geni. Alcuni aprono la via e gli altri non fanno che seguirli. Ma i molti imitatori che vogliono restare "competitivi" devono aggiornarsi di continuo sull'ultimissima novità del mercato... La nostra epoca si esprime in una folla di piccoli uomini..."
La cosa che mi impressiona di più è la data: 1912! (la si potrebbe usare a commento del '900 intero, e anche di questo inizio del nuovo millennio...)
(Giuliano, 3 giugno 2003)
Arnold Schönberg partì da questo fatto per una sua libera interpretazione, che portò all'opera "Moses und Aron ", scritta negli anni '30 ed eseguita solo nel 1957. In quest'opera, durante la lunga assenza di Mosè nella quale gli Ebrei, credendo di essere stati abbandonati dal loro capo, ritornano agli idoli primitivi, Aronne sfrutta questa sua capacità di parola e ne approfitta, come del resto è descritto anche nella Bibbia nei capitoli successivi (Esodo 5).
Schönberg forza il personaggio di Aronne e lo rende importante e un po' bieco. Infatti, in Schönberg è proprio per la facilità di parola e l'abilità di comunicatore che il popolo abbandona volentieri Mosè, così lontano da loro, e da così tanto tempo, e sceglie di seguire Aronne nell'episodio del vitello d'oro...
Ascoltare quest'opera è un po' come camminare davvero nel deserto, e la lingua tedesca abbinata allo stile di canto scelto da Schönberg non aiuta molto. Schönberg era un ebreo un po' come Primo Levi, cioè molto annacquato; di religione era infatti protestante, ed anche a lui - come al dottor Levi - fu necessario che qualcuno usasse una certa insistenza per fargli ricordare le sue radici. Per sua fortuna fece in tempo ad andare in USA, dove visse abbastanza bene.
La musica di Arnold Schönberg non è mai facile, e la mia cultura musicale non mi consente di capire a fondo il suo percorso artistico; però ho letto molto dei suoi scritti, e ho per lui una grande ammirazione. Quest'opera è un esempio della sua profondità di pensiero, e letta oggi dà più di un brivido.
Chiudo con un brano di Schönberg (Stile e idea), tratto da una conferenza tenuta nel 1912:
"L'opera d'arte esiste anche se nessuno ne subisce il fascino, e il tentativo di razionalizzare il proprio sentimento è inutile... Forse mai come oggi è stato difficile dare a un artista ciò che gli è dovuto... Forse mai più di oggi sopravvalutazioni e sottovalutazioni sono dipese dal farsi commerciale dell'arte... Enorme è il numero di coloro che producono e non tutti possono essere dei geni. Alcuni aprono la via e gli altri non fanno che seguirli. Ma i molti imitatori che vogliono restare "competitivi" devono aggiornarsi di continuo sull'ultimissima novità del mercato... La nostra epoca si esprime in una folla di piccoli uomini..."
La cosa che mi impressiona di più è la data: 1912! (la si potrebbe usare a commento del '900 intero, e anche di questo inizio del nuovo millennio...)
(Giuliano, 3 giugno 2003)

Il primo ricordo musicale
Quale è stato il vostro primo ricordo musicale? Igor Stravinskij il suo se lo ricorda bene, e lo mette proprio all'inizio della sua autobiografia. Io sono stato meno fortunato di Stravinskij, sono nato nell'epoca dell'elettricità e dell'elettronica, il mio primo ricordo sarà stato una canzoncina di Sanremo, magari Nilla Pizzi o Celentano....
«Quanto più si risale nella nostra memoria il corso degli anni, tanto più aumenta la difficoltà, a motivo della distanza, di veder con chiarezza e discernere tra eventi di portata significativa e altri di un'importanza talvolta maggiore, ma che non lasciano alcuna traccia e non determinano per nulla l'evoluzione di una vita. Così, una delle prime impressioni sonore che ricordo può parer molto strana. Ciò accadde in campagna, dove i miei genitori trascorrevano l'estate coi loro ragazzi, secondo l'usanza della maggior parte delle persone della loro posizione sociale.
Un enorme contadino seduto sull'estremità di un tronco d'albero. Un odore penetrante di resina e di legno tagliato delizia le narici, il contadino non veste che una corta camicia rossa. Le sue gambe ricoperte di peli rossi sono nude, ai piedi porta dei sandali di scorza. Sul capo una capigliatura robusta, fitta e rossa come la barba, senza un capello bianco; ed era un vecchio.
Era muto, ma faceva schioccare molto rumorosamente la lingua e i ragazzi avevano paura di lui. Anch'io. Tuttavia la curiosità aveva il sopravvento. Ci si avvicinava; e allora, per divertire i ragazzi, egli si metteva a cantare. Il canto era costituito di due sillabe, le sole che riusciva a pronunciare, prive di qualsiasi senso, ma che alternava con un'incredibile destrezza in un movimento assai vivo. Accompagnava questo schioccare nel seguente modo: applicava la palma della mano destra sotto l'ascella sinistra, poi, con un gesto rapido, faceva muovere il braccio sinistro appoggiandolo sulla mano destra. Faceva così uscire da sotto la camicia una serie di suoni abbastanza sospetti, ma ben ritmati e che per eufemismo si potevano definire "baci di nutrice."
La cosa mi divertiva pazzamente e, a casa, mi sforzavo con molto zelo di imitare questa musica. Tanto e così bene che mi proibirono di servirmi di un accompagnamento così indecente. Non mi restavano dunque che le due tristi sillabe, che per me perdevano così ogni attrattiva.
Un altro ricordo che mi ritorna spesso è il canto delle donne del villaggio vicino. Assai numerose, cantavano all'unisono, ogni sera regolarmente, ritornando dal lavoro. Oggi ancora conservo il ricordo netto di questo motivo e del modo con cui lo cantavano. E quando lo riprendevo a casa, imitando il loro modo di cantare, ero complimentato per la precisione del mio orecchio. Tali elogi, ricordo, mi rendevano felicissimo. Cosa curiosa, questo semplice fatto, dopo tutto assai insignificante, ha per me un senso particolare, perché, a partire da quel momento, presi coscienza di me stesso in quanto musicista. (...) »
(Igor Stravinskij, "Cronache della mia vita", l'inizio)
«Quanto più si risale nella nostra memoria il corso degli anni, tanto più aumenta la difficoltà, a motivo della distanza, di veder con chiarezza e discernere tra eventi di portata significativa e altri di un'importanza talvolta maggiore, ma che non lasciano alcuna traccia e non determinano per nulla l'evoluzione di una vita. Così, una delle prime impressioni sonore che ricordo può parer molto strana. Ciò accadde in campagna, dove i miei genitori trascorrevano l'estate coi loro ragazzi, secondo l'usanza della maggior parte delle persone della loro posizione sociale.
Un enorme contadino seduto sull'estremità di un tronco d'albero. Un odore penetrante di resina e di legno tagliato delizia le narici, il contadino non veste che una corta camicia rossa. Le sue gambe ricoperte di peli rossi sono nude, ai piedi porta dei sandali di scorza. Sul capo una capigliatura robusta, fitta e rossa come la barba, senza un capello bianco; ed era un vecchio.
Era muto, ma faceva schioccare molto rumorosamente la lingua e i ragazzi avevano paura di lui. Anch'io. Tuttavia la curiosità aveva il sopravvento. Ci si avvicinava; e allora, per divertire i ragazzi, egli si metteva a cantare. Il canto era costituito di due sillabe, le sole che riusciva a pronunciare, prive di qualsiasi senso, ma che alternava con un'incredibile destrezza in un movimento assai vivo. Accompagnava questo schioccare nel seguente modo: applicava la palma della mano destra sotto l'ascella sinistra, poi, con un gesto rapido, faceva muovere il braccio sinistro appoggiandolo sulla mano destra. Faceva così uscire da sotto la camicia una serie di suoni abbastanza sospetti, ma ben ritmati e che per eufemismo si potevano definire "baci di nutrice."
La cosa mi divertiva pazzamente e, a casa, mi sforzavo con molto zelo di imitare questa musica. Tanto e così bene che mi proibirono di servirmi di un accompagnamento così indecente. Non mi restavano dunque che le due tristi sillabe, che per me perdevano così ogni attrattiva.
Un altro ricordo che mi ritorna spesso è il canto delle donne del villaggio vicino. Assai numerose, cantavano all'unisono, ogni sera regolarmente, ritornando dal lavoro. Oggi ancora conservo il ricordo netto di questo motivo e del modo con cui lo cantavano. E quando lo riprendevo a casa, imitando il loro modo di cantare, ero complimentato per la precisione del mio orecchio. Tali elogi, ricordo, mi rendevano felicissimo. Cosa curiosa, questo semplice fatto, dopo tutto assai insignificante, ha per me un senso particolare, perché, a partire da quel momento, presi coscienza di me stesso in quanto musicista. (...) »
(Igor Stravinskij, "Cronache della mia vita", l'inizio)

Chamber Music

Strings in the earth and air
make music sweet;
strings by the river where
the willows meet.
There's music along the river
for Love wanders there,
pale flowers on his mantle,
dark leaves on his hair.
All softly plating,
with head to the music bent,
and fingers straying
upon an instrument.
(James Joyce, Chamber Music, 1907)
(16 giugno 2008, Bloomsday.)
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