lunedì 5 agosto 2019

Quando una radio è libera

Non so di preciso che anniversario sia, ma su Repubblica trovo una serie di interviste a deejay più o meno ricchi e famosi, che rievocano gli inizi della loro fortuna nelle radio private - quelle che, a metà anni '70, venivano chiamate "radio libere". Sono interviste interessanti, a loro modo un documento d'epoca, e per una certa parte sono anche i miei ricordi personali. Non le ho lette tutte, ma una cosa comunque mi sento di dirla: confermo che sono documenti d'epoca interessanti, ma aggiungo che sono anche documenti molto di parte. Uno storico serio andrebbe a cercare anche altre fonti e altri pareri, ma la storia delle radio e delle tv di quegli anni è sempre stata scritta da persone molto di parte, compreso Aldo Grasso con i suoi volumi "storici"; per queste ragioni provo ad aggiungere la mia personale testimonianza, molto piccola s'intende, certamente di minoranza, ma la lettura di queste interviste mi ha risvegliato ricordi non sempre piacevoli e quindi mi sembra giusto parlarne.

Comincio da Gerry Scotti, che ricorda un'estate in vacanza passata cercando di captare Radio 101 (One-o-one), penso intorno al 1975. All'epoca, le radio private non avevano mezzi potenti, e captare il segnale in FM (modulazione di frequenza, la vecchia radio insomma) non era sempre facile, soprattutto lontani dalle grandi città come Milano. Il secondo ricordo è quello di Alex Peroni, altro deejay oggi meno famoso di Scotti, che era invece su Radio 105: "non trovavamo musica da ascoltare (...) negli anni '70 non c'era nulla, sì, la Rai, ma quella non era musica per noi." Una frase che definirei curiosa: a quel tempo lo pensavo anch'io, soprattutto per Radiouno e Radiodue (che allora non si chiamavano così, erano il primo canale e il secondo canale), ma in genere ci si riferiva alla musica "di Sanremo", alle Rita Pavone e ai Gianni Morandi, magari a Claudio Villa e Orietta Berti. Noi quindicenni o quattordicenni avremmo voluto ascoltare i King Crimson o i Cream, e invece avevamo il Festival di Sanremo; questa era l'utopia della "radio libera", ascoltare musica nuova o magari anche vecchia, ma che non fosse quella roba lì. Andò diversamente, tanto è vero che negli anni successivi Gerry Scotti e gli altri deejay si misero tranquillamente al servizio non solo del Festival di Sanremo, ma anche di tutte le trasmissioni commerciali delle nascenti tv berlusconiane. Gerry Scotti cita la famosa canzone di Eugenio Finardi, "quando una radio è libera, ma libera veramente, piace ancor di più perché libera la mente"; ma lo fa a sproposito, non credo che fosse quel tipo di radio che aveva in mente Finardi nello scrivere la canzone. Per me, la stagione delle "radio libere" (ben presto diventate "radio commerciali" o "radio private") fu una grande delusione. Le frequenze della FM si erano riempite, traboccavano, ma trovare qualcosa di bello o di non banale era diventato difficilissimo. Nemmeno il jazz, tanto per dire. Pubblicità dappertutto, quella sì, e una compilation delle notizie più cretine apparse sui giornali; mai un approfondimento, mai una cosa seria, buttare in scherzo anche le tragedie appena possibile. C'erano delle eccezioni, s'intende: come Radio Popolare, che fece per anni ottime trasmissioni. Ma queste radio erano difficili da sintonizzare, i loro trasmettitori non erano così potenti come 101 o 105 o Milano International, e si finiva sempre, prima o poi, per ritrovarsi (senza averle cercate ) sulle altre radio, quelle ben sostenute da finanziamenti non sempre innocenti. In seguito, molti anni più tardi, sarebbe arrivata anche Radio Maria: con trasmettitori così potenti da annullare ogni altra radio sulle frequenze vicine.
C'era un gran casino, a dirla tutta: il governo non volle mai decidere, di fatto non si è mai messo ordine nel caos delle frequenze radio, e quando toccò alle frequenze tv si capì che cosa c'era sotto, ma questo è un discorso che porterebbe lontano, e per oggi mi fermo qui.
 
Aggiungo solo il mio personalissimo ricordo di uno "smanettamento" simile a quello di Gerry Scotti, ma per poter ascoltare Radiotre (terzo canale Rai) che trasmetteva la musica che aveva cominciato ad interessarmi. Radiotre fu di fatto cancellata per anni dalla FM, quasi impossibile captarla perfettamente. Ascoltavo un quartetto d'archi, e d'improvviso saltava fuori l'uzz uzz di una discodance di quelle che piacciono a Gerry Scotti. Poi ero riuscito a rimediare, in qualche modo: andando a lavorare (in fabbrica, a turni, anche le domeniche) avevo i soldi per comperarmi un impianto come si deve, e - sia pure a fatica, facendo acrobazie con l'antenna - a cancellare almeno per un po' dalla mia vita le radio commerciali e i loro deejay. Insomma, io negli anni '70 avevo cominciato un percorso che mi avrebbe portato ai concerti di Claudio Abbado e di Carlos Kleiber, al jazz, alla musica folk di ogni nazione, a John Renbourn, a Leonard Cohen, a Tim Buckley e a Nick Drake, a Robert Wyatt. Non ero certo l'unico: tengo a sottolineare che non eravamo tutti uguali e non eravamo tutti così pigri e conformisti, c'era un orizzonte così vasto da esplorare e da conoscere che sarebbe stato un peccato stare rinchiusi dentro il festival di Sanremo e i suoi immediati dintorni. Gerry Scotti ha fatto scelte diverse dalle mie, è diventato ricco e famoso, e sono ovviamente contento per lui (se lo merita, diciamolo, e andrei volentieri a mangiarmi un bel risotto con gli ossibuchi con lui), ma il mondo non finisce con Gerry Scotti e con i suoi amici deejay, e ogni tanto è giusto ricordare che esiste altro, al di là di quelle quattro cosette che ascoltate sempre in cuffia.

2 commenti:

Dario ha detto...

Stessa stagione e uguale evoluzione nel profondo sud... eppure c'è stato lo spazio di un attimo, in tutta questa nostra penisola, in cui tutto sembrava esplodere di luce: le prime radio erano "libere veramente" :), in tv Cioni Mario e la Rossellini, in edicola Il Male, nei parchi gli Area, in piazza tanta gente :)

Giuliano ha detto...

per usare una citazione che piace a Gerry Scotti, "ho visto cose che voi umani..." Visto, e ascoltato. Invece, siamo ancora qui dopo quarant'anni con la solita sbobba.