Partendo da Piazza del Duomo, si percorre tutta la via Torino (è sul lato opposto rispetto alla Galleria) e si arriva a San Lorenzo, ben riconoscibile per via delle colonne romane. Bisogna camminare per una decina di minuti, perché via Torino è piuttosto lunga (magari anche più di dieci minuti: in via Torino c’è sempre un sacco di gente), andare sempre diritti, e aver fede nella mia indicazione. San Lorenzo è la prima delle due basiliche che danno il nome al Parco, l’altra è Sant’Eustorgio, non molto distante: se siete arrivate a piedi, bisogna attraversare via Molino delle Armi (sotto c’è il Naviglio) e prendere per Porta Ticinese.
Le basiliche si trovano facilmente, più difficile è individuare il Parco, soprattutto se ci si aspetta qualcosa come il Valentino, o come quelli delle città tedesche: più che un Parco vero e proprio, di quelli pieni di alberi, è un’ampia zona verde. A Milano di zone verdi ce ne sono poche, quindi anche questo poco è una benedizione per i milanesi.
Le due chiese sono molto antiche, e molto belle; la basilica di Sant’Eustorgio è collegata al culto dei Re Magi, lì vicino c’è il Museo Diocesano, c’è la Cappella Portinari, tante cose da vedere che si meritano di essere trattate a parte. Per oggi mi concentro sul Parco: che nasce negli anni ’20, al tempo della copertura dei Navigli, e che viene ampliato dopo il 1945, quando molte delle abitazioni che erano in quel posto vennero distrutte dai bombardamenti. Le case furono ricostruite altrove, qui si fece un po’ di verde: mi viene da pensare che oggi non sarebbe così. Probabilmente, ci farebbero un centro commerciale o un grattacielo, o magari una new town: più in là di queste tre cose, gli amministratori del secolo XXI non sono capaci di andare, né sanno pensare che ci sia un’alternativa al centro commerciale, al grattacielo, alla new town.
A questo proposito, il mio pensiero corre al maestro Claudio Abbado: che un paio d’anni fa propose di tornare a dirigere a Milano, la sua città, devolvendo il suo compenso all’ampliamento dei parchi milanesi. Centomila alberi in più, si diceva: il sindaco Letizia Moratti si dichiarò entusiasta, ma era solo una promessa elettorale. Alcuni spiritosi proposero di mettere gli alberi nei vasi, invece di piantarli per terra (così si accontentava il Maestro, e poi si tornava subito come prima), ma vedo che la proposta è stata completamente dimenticata, la giunta Pisapia non ne ha mai parlato, Claudio Abbado penso che lo sapesse in partenza e ha continuato a dirigere un po’ ovunque (anche gratis, lo fa spesso) ma non a Milano. Insomma, accontentiamoci di quel che c’è: che sia rimasto qualche angolo vivibile a Milano è già un successo.
Per quanto mi riguarda, questa zona è stata una delle prime che ho vissuto, a Milano. Non perché fossi un habitué della zona, ma perché qui c’era la Fiera di Sinigaglia, negli anni ’70 venivo qui a comperare i dischi di seconda mano. Avevo sedici o diciassette anni, erano i primi anni che mi interessavo di musica, non mi sembrava vero di trovare per pochi soldi quello che in negozio costava una fortuna. Eravamo in tanti, niente di organizzato, ognuno con i suoi 33 giri da scambiare o da vendere; è così che ho potuto imparare a conoscere tante cose (non solo la musica commerciale), ed è così che ho portato a casa i miei primi dischi di musica classica (Stravinskij diretto da Abbado, Schubert con Sviatoslav Richter al pianoforte). Ne ho riparlato di recente con un amico di quei tempi, ritrovato per caso: ci siamo messi a ridere, abbiamo concluso che oggi ci metterebbero tutti in galera.
E’ l’ossessione odierna della “pirateria”: ma io poi, da adulto, sono stato uno di quelli che tenevano in piedi il commercio legale, e come me tanti altri. Ho comperato tanti dischi e tanti cd, nei negozi: quando ho avuto i soldi, ho iniziato a comperare; quando ho potuto conoscere, sono andato a cercare e a comperare, tutto con bollino Siae. Ma a sedici o diciassette anni, cosa volevate che conoscessi, che sapessi? Quanti soldi ha in tasca un ragazzo di sedici anni, uno che non sia “figlio di papà”? Per me è stata un’esperienza fondamentale, oltretutto è da qui che ho imparato a conoscere Milano, da provinciale. Di Milano non sapevo niente e mi ci sono perso un bel po’ di volte, qui nel Parco della Basiliche: oggi mi viene da sorridere, a ripensarci; ma a dire il vero da questo punto di vista non sono cambiato molto, continuo a perdermi anche da adulto. Non ho mai avuto un gran senso dell’orientamento: il più delle volte è un difetto, ma qualche volta perdersi aiuta a trovare cose nuove, a vedere con il punto di vista degli altri, insomma non è che sia sempre un male, perdere la strada: a patto poi di ritrovare la via giusta.
Di quegli anni ricordo un cartello stradale, via Calatafimi: era lì sotto, su quel marciapiedi, che ci si appoggiava. C’era già gente organizzata, centinaia di dischi messi in fila nelle scatole di cartone: non so cosa abbiano poi fatto questi ragazzi, dai trent’anni in su, di certo anche questo era un inizio di imprenditoria, praticamente un negozio ma all’aperto. Volevo tornare per farci una foto, ma oggi in quelle vie non c’è niente, e capisco bene che i residenti se ne siano lamentati a lungo, perché questa non era zona da fiere e da mercati. In seguito, la Fiera di Sinigaglia si sarebbe spostata in un luogo più consono, la Darsena (zona Porta Genova); oggi esiste ancora ma è confinata in un luogo molto triste, il parcheggio della Stazione di Porta Genova. Tutto è meno eroico e meno divertente, si trova ancora qualche buona occasione (libri e fumetti, cd e dvd), ma la Milano d’inizio millennio è di un colore solo: il grigio.
PS: molti scrivono “Fiera di Senigallia”: la questione è dibattuta da sempre, esistono le due versioni, da sempre; ma io preferisco la mia versione, anche perché Senigallia è nella Marche e invece Sinigaglia è un cognome lombardo. Può ben darsi che la dizione originale sia Senigallia, così come i librai venivano da Pontremoli può ben darsi che i rivenditori di cose usate fossero marchigiani; ma dire Fiera di Senigallia mi sembra tutto troppo levigato, troppo elegante. Sinigaglia è più brusco, più dialettale, in una parola sola: più vero (il che può anche significare che, con i tempi piallati che corrono, oggi è più esatto dire Senigallia...)
PPS: di quegli anni, mi porto due dietro due rimpianti. Ovviamente, due ragazze: nel dettaglio, quella che mi ha venduto i dischi di Tim Buckley (25.9.1976) e quella che mi ha venduto “Songs of love and hate” di Leonard Cohen (7.10.1978). La prima aveva tutti i dischi di Tim Buckley, io ero ancora un po’ sprovveduto e ne ho comperati solo due (era con il fratello, mi pare), gli altri li avrei cercati e per fortuna trovati negli anni successivi, ma non da lei. La seconda era in tutto identica alle ragazze che si vedono sulle copertine dei primi dischi di Cohen: è per questo che me la ricordo ancora.
(alcune di queste foto sono mie, ma non dico quali)