domenica 31 luglio 2011

La marcia su Roma

LA MARCIA SU ROMA (1963) Regia di Dino Risi. Scritto da Sandro Continenza, Ghigo De Chiara, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola. Fotografia di Musica originale di Marcello Giombini. Interpreti: Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Roger Hanin, Giampiero Albertini, Angela Luce, Mario Brega, Gérard Landry. Durata: 90 minuti

Gli slogan fascisti non sono poi così male. “Dio Patria e Famiglia”, per esempio, è più che condivisibile: Gesù nel Vangelo, la lingua e la cultura italiana, mio padre e mia madre. E anche l’altro slogan famoso: “Credere obbedire combattere”. Credere in quel che si fa, obbedire a un capo giusto e capace, combattere per i propri ideali: cosa c’è di male in tutto questo? E’ l’equivoco in cui cadono le persone oneste che – ancora oggi! – pensano bene di Mussolini. Se bastassero le belle parole, saremmo pieni di Grandi Statisti; invece la storia d’Italia non manca di cialtroni che mandano gli alpini a morire in Russia con gli stivali dalla suola di cartone...
La marcia su Roma, nel film di Risi, è quella vera, proprio quella lì: la fanno, insieme agli altri, anche Vittorio Gassmann e Ugo Tognazzi. Siamo a Milano nel 1919, è appena finita la Grande Guerra e Gassmann è un giovanotto romano un po’ pieno di sè, della razza di quelli che una volta in Lombardia (quando ancora si parlava il dialetto) venivano definiti “fanigottoni”, e che esistono ancora però oggi fanno fortuna in tv e nelle immobiliari; il povero Tognazzi è invece un contadino cremonese vessato dal cognato.
E’ il cittadino che porta il verbo al campagnolo: lo fa sotto forma di un volantino che porta il programma ambizioso del fascismo, cioè rivoltare l’Italia come un calzino. Tognazzi lo legge, commenta “Ostrega!” , lo piega e se lo mette in tasca. Da ora in poi, se questo qui è il fascismo, ne sarà il seguace convinto; abbandona il cognato e le sue vacche (o forse è il contrario?) e parte anche lui per Roma.
Il volantino è autentico, ed è datato 23 marzo 1919, Milano sala di San Sepolcro: l’atto di nascita del fascismo. Ecco che cosa dice: - Proclamazione della Repubblica Italiana; Sovranità del Popolo con suffragio universale; Disarmo generale; Abolizione della coscrizione obbligatoria; Abolizione di tutti i titoli nobiliari e cavallereschi; Giornata lavorativa di otto ore; Terra ai contadini, in coltivazione associata, e non più agli agrari; Confisca delle rendite improduttive...
Il programma del Fascismo continua, ma io mi fermo a quello che viene sottolineato nel film, e che basta e avanza a convincere Gavazza Umberto a seguire quell’altro matto di Rocchetti Domenico nella sua avventura.  Tognazzi lo tirerà fuori di tasca spesso, quel volantino: è il vero e proprio tormentone del film. Ogni volta che lo tira fuori, di fronte ai fatti e non alle parole, prende la matita e ne cancella una riga. Lo butterà via dopo l’ultima avventura, quando i due, ormai in camicia nera, attardati, sequestreranno l’automobile ad un ricco signore per giungere in tempo al quartier generale, prendendolo anche a calci in culo perché “i titoli nobiliari sono stati a-bo-lit-ti!!”. Li aspetta una sorpresa: il quartier generale è proprio nella casa del ricco e nobile e signore, che quando li vede arrivare sulla sua auto si mette a strillare: “Sono quelli lì!!! Sono stati loro!!”. (I due sciagurati avevano preso a calci in culo uno dei principali finanziatori dell’Impresa...).
E, poco prima di arrivare a Roma, i nostri due eroi vedranno finalmente con i loro occhi la violenza, gli omicidi e la sopraffazione, e si tireranno indietro. Per quanto balordi, i due protagonisti del film avevano visto la verità con i loro occhi, quello che c’era dietro agli slogan e ai discorsi, quello che si nascondeva dietro a quel volantino così allettante... Purtroppo, capita anche oggi che – finché non si tocca con mano – anche delle brave persone si facciano irretire dai discorsi degli arruffoni e dei cialtroni.
Ma questa è storia recente, ancora tutta da scrivere (“ che tu possa vivere in tempi interessanti” è una maledizione che si mandano dietro i cinesi, o forse gli ebrei: perché quando si vive in pace siamo anche tanto noiosi). E quindi chiudo il discorso su questo film (che è molto divertente, ma forse non c’è bisogno di dirlo: quasi come “Il dottor Stranamore” di Kubrick) con l’ultimo slogan: “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi”. “Fatto!”, ha commentato qualche spiritoso: a volte (non sempre) la Storia ha delle strane ironie...
PS: In rete non esistono immagini di questo film, che è quasi scomparso dalla circolazione: è un film molto divertente e pieno di battute favolose, da collezione; ma se ne parla pochissimo. E’ ben strano, considerando il fatto che di Tognazzi e Gassman in rete c’è molto, moltissimo, quasi tutto. Abbiamo trovato qualcosa solo digitando “La marche sur Rome”, il titolo francese del film; ma la qualità delle immagini non è buona, e – a questo punto – abbiamo deciso di cambiare strada. Le immagini che vedete non hanno quindi nulla a che fare con il film di Dino Risi, c’entrano molto invece con la marcia su Roma, quella vera. Le immagini rappresentano: Giacomo Matteotti; la Ritirata di Russia; la sconfitta di El Alamein; la sconfitta in Grecia e in Albania; l’esodo dei Fiumani; la perdita dell’Istria e della Dalmazia; le leggi razziali. Forse ho dimenticato qualcosa, dei molti “successi” di Mussolini, ma la lista sarebbe lunghissima e in fin dei conti questo è solo un piccolo blog con pochi lettori. (L'ultima immagine qui sotto, la vittoria della Repubblica al referendum del 1946, serve a ricordare che il lieto fine c'è stato, e se tutti fossero stati attenti come Gavazza Umberto e Rocchetti Domenico forse sarebbe arrivato prima...)
PS: in un intervento in tv del leghista Boni (mica uno da poco: capo della Lega Nord alla regione Lombardia) è stato citato questo film in maniera impropria. Quando si parla di marcia su Roma e di "programmi da cancellare riga dopo riga" un dirigente leghista dovrebbe pensare in primo luogo a se stesso. Nel suo partito ci sono infatti molti fascisti e nazisti, come Borghezio; e quanto al cancellare le cose dette il giorno prima, beh, oggi i leghisti stanno cancellando interi Comuni, ed erano nati come movimento localista, e le tasse comunali, grazie alla Lega, sono aumentate del 138% in quindici anni (da quando c'è la Lega al governo, appunto), per tacere delle pensioni, delle leggi sul lavoro, eccetera eccetera eccetera. Lasci in pace Gassman e Tognazzi, signor Boni, e pensi alla mummia di Bossi, se proprio deve tirare in ballo il museo egizio. (22 agosto 2011)
Le illustrazioni vengono da wikipedia e da altri siti che oggi non saprei rintracciare (questo post è del 2007) e da quotidiani e giornali dagli anni ’80 in su.

sabato 30 luglio 2011

Fannulloni

Con i fannulloni abbiamo fatto il boom economico. Non ci credete? E’ con l’impostazione del lavoro che c’era negli anni ’60 e ’70, con lo “strapotere dei sindacati”, con le pause caffè, con i dipendenti che potevano fermarsi a riprendere fiato, che abbiamo mantenuto quel ritmo elevatissimo per quasi quarant’anni. Adesso, adesso che l’Italia (Padania compresa, e anzi in prima linea), è scivolata molto in basso nella classifica dei Paesi industrializzati, adesso che c’è una crisi economica molto preoccupante e che il futuro di molte famiglie è messo a rischio, adesso c’è chi si si alza la mattina e come prima cosa se la prende con i fannulloni.
Ce l’abbiamo tutti con i fannulloni, tutti quelli che lavorano non sopportano i fannulloni: su questo non c’è alcun dubbio, ed è stato così da sempre. Fannulloni e menefreghisti ci sono sempre stati; la tendenza è innata in molti di noi, e viene contrastata di solito in questo modo: con capi e colleghi all’altezza della situazione. Un capo efficiente, anche un caporeparto o un collega anziano, vede presto se il nuovo assunto ha voglia di impegnarsi oppure no. In un posto di lavoro efficiente, anche chi non ha voglia di lavorare viene cooptato e finisce col fare il suo dovere.

Il problema dei fannulloni nasce quando il posto di lavoro non è ben organizzato, e soprattutto quando i capi non sono all’altezza. Perché, parliamoci chiaro, i fannulloni possono esistere solo se sono ben protetti, raccomandati da qualcuno che ha potere: nel qual caso non si possono toccare e anzi il fannullone prospera e si ritaglia un suo spazio consistente. Il lavoro va però avanti ugualmente, perché le persone attente e scrupolose si prendono la responsabilità di fare anche la parte che spetterebbe ai fannulloni: capita così ovunque, da sempre, e penso che molti abbiano già capito di cosa sto parlando.
Il problema dei fannulloni prende importanza quando i capi non sono all’altezza, cioè, per esempio, quando i capi non conoscono bene il lavoro che stanno facendo perché hanno ottenuto quel posto essendo stati a loro volta raccomandati; e anche di questo esistono da sempre molti esempi, sia nel pubblico che – udite udite – nel privato. La spiegazione di questo fatto è sempre la stessa che ho fatto prima: il lavoro va avanti lo stesso perché le persone attente e scrupolose si prendono la responsabilità di fare anche la parte che spetterebbe ai fannulloni e ai capi incompetenti, che a loro si appoggiano sempre volentieri.

Conclusione: quando si parla di fannulloni da licenziare stanno parlando di voi, di voi che mi state leggendo. Voi protesterete: «Ma io non sono un fannullone!», e avete ragione sicuramente; ma il fannullone vero, se è un raccomandato, non può essere toccato: e quindi tocca a voi essere licenziati o messi in mobilità. Se su un posto di lavoro c’è un fannullone, statene certi, non è lì per caso.
PS: tutto questo discorso, ovviamente, non porterebbe nemmeno un voto al politico che volesse farlo; se invece un qualsiasi politico fanfarone (uno dei tanti) volesse per pura ipotesi continuare a ripetere il luogo comune sui fannulloni da licenziare, qualche ingenuo che lo segue lo trova sempre. Ahinoi, è una storia che non finirà mai.

venerdì 29 luglio 2011

La casta e la burocrazia

La scena è questa, molto comune e molto quotidiana: arrivo nel supermercato verso le dieci del mattino, in un momento in cui c’è pochissima gente. Devo comperare il pane, e siccome non c’è nessuno, nemmeno le addette alla vendita, mi metto bene in vista e mi faccio notare. E infatti l’addetta arriva, però non vengo servito: viene servito il signore che è arrivato dopo di me, perché lui, avendo visto me in coda, aveva preso il biglietto col numero all’apposito distributore.
Una regola di buona educazione? Se fosse capitato a me, a parti invertite, avrei detto: prego, io ho preso il biglietto ma ho visto che c’era prima lei. L’ho fatto molte volte, e lo avrei fatto anche stavolta. Invece no, vado anch’io a prendere il numerino, non si sa mai che arrivi qualcun altro: e non sto neanche a discutere perché ormai so come va il mondo, e soprattutto mi sembra che questo piccolo episodio sia da tenere bene a mente, perché è molto significativo.
Io sono cresciuto in un mondo dove non c’erano i distributori di bigliettini numerati. I distributori di numerini per le code sono una cosa molto recente, così come le obliteratrici. Anche in Posta, anche in Comune o negli ambulatori medici, il bigliettino col numero era una rarità. E dunque, come poteva funzionare il mondo? Funzionava, funzionava benissimo: negli anni ’60 e ’70 e ’80 e ’90 c’è stato il boom economico e siamo diventati una delle nazioni più ricche nel mondo. Adesso invece c’è la recessione e la crisi economica, crisi e recessione gravissime: però abbiamo le obliteratrici e i distributori di numerini, le smart card, le fidelity card, e tante tante tesserine col microchip.
Non che io non mi renda conto dell’utilità del numerino: c’è in giro molta maleducazione, il numerino evita inutili discussioni. Vorrei solo che si dicesse: “purtroppo, il numerino serve”; e invece no, invece la gente è contenta del numerino. Un altro mondo è possibile, e non solo è possibile ma c’è sempre stato: invece alla gente la burocrazia piace, è questa la triste verità.
Non resta che prenderne atto: tutti questi discorsi sulla casta e la burocrazia che si fanno quotidianamente vanno letti in un altro modo, che provo a riassumere qui sotto.

La casta e la burocrazia piacciono o non piacciono a seconda della posizione in cui ci si trova: se siete al di là dello sportello, la burocrazia piace perché è un sistema per comandare; se fate parte della “casta” che ci governa è un’ottima cosa perché potete arricchirvi e sistemare figli e parenti e amici. Se invece siete fra quelli che “stanno sotto”, allora si brontola e ci si lamenta.
Tutto qua? Sì, direi di sì: l’atteggiamento di base è proprio questo, ma ovviamente non lo ammetterà mai nessuno. La casta sono gli altri, la burocrazia sono gli altri, e per il resto del discorso – cioè che casta e burocrazia possono piacere anche quando non ci recano utili – bisognerà passare alla voce “servilismo”. Molti di noi sono nati servi: e, se cominciate a farci caso, si vede.

giovedì 28 luglio 2011

Legno e zucchero

Ci sono animali che mangiano il legno, il legno marcio ma anche i vostri mobili di casa, magari in noce massiccio: i tarli, le termiti, e - nei boschi - larve e insetti adulti di varia natura. Come è possibile mangiare il legno? La risposta, per un chimico anche alle prime armi, è semplice: la cellulosa è uno zucchero complesso. O, per meglio dire, gli zuccheri sono una parte della cellulosa: così possono essere concepiti, almeno dal punto di vista teorico.
La cellulosa delle piante, detto nella maniera più veloce possibile, è composta dalla replica all’infinito di un piccolo tassello dalla forma di esagono irregolare: qualcosa come il mattoncino del lego o dei puzzle. La molecola che si forma può dunque assumere proporzioni molto grandi, teoricamente infinite, grandi anche come il tronco di un noce o di una sequoia.
Lo stesso tassello, o mattoncino, è alla base degli zuccheri: che sono però molecole molto più piccole rispetto alla cellulosa. Riuscendo a spezzare la molecola della cellulosa, che è molto grande, nei tanti pezzettini che la compongono, si ottiene qualcosa che si può digerire e che probabilmente ha anche un buon sapore: per noi umani non è possibile, il nostro intestino non ci consente la digestione del legno; per gli insetti e per alcuni mammiferi erbivori la possibilità di digerire il legno invece esiste.
La molecola base della cellulosa è questa, qui ripetuta quattro volte per aiutare a comprendere (l’illustrazione viene da una pagina dal mio libro di chimica organica, di quando avevo 15-16 anni - facendo clic sull'immagine si può leggere bene il testo):
Qui sotto metto invece, una alla volta, le formule base di alcuni degli zuccheri più comuni, il saccarosio (lo zucchero che si usa normalmente in cucina), il maltosio, il lattosio: come si può vedere, il tassello iniziale è sempre ben riconoscibile.
L’esagono irregolare è composto da sei atomi di Carbonio: il Carbonio, elemento numero 6 della Tavola Periodica, è l’elemento base della vita sulla Terra. E’ l’unico elemento presente sul nostro pianeta che può dare luogo a queste strutture, legandosi in catene anche ramificate e molto complesse, come nel caso della cellulosa.
Si può ancora aggiungere che gli zuccheri con sei atomi di carbonio (la struttura base della cellulosa e del saccarosio) vengono detti “esosi”, che è un nome curioso per un alimento così generoso: esa- è il prefisso per dire sei, e –oso (oppure –osio) è la desinenza che spetta a tutti gli zuccheri, in chimica.
Il lattosio si trova nel latte, e il maltosio nel malto: a questo proposito si può ricordare che le farine hanno una composizione simile a quella della cellulosa, essendo anch’esse di origine vegetale, e che la crosta del pane e dei grissini, e del pane tostato, è di sapore piacevole proprio perché il calore della cottura rompe le molecole grosse della farina, e le trasforma in molecole più piccole già molto simili agli zuccheri. Andando troppo oltre con la cottura, la farina si brucia: il sapore sgradevole del bruciato nasce dalla formazione di composti simili alla fuliggine, cioè dalla degradazione completa della molecola originaria.
La pagina che ho messo qui come illustrazione degli esosi parla di un passaggio successivo, la trasformazione degli zuccheri in alcooli, tramite la fermentazione: è un processo che avviene normalmente anche durante la nostra digestione, si tratta di una ulteriore degradazione della molecola che la rende più facile da assimilare. Ma la fermentazione degli zuccheri è un altro argomento, e qui mi fermo; non prima però di aver pensato che in Asia e Africa si mangiano comunemente alcune larve degli insetti che si nutrono di legno, e se contengono zucchero non stupisce che siano di sapore piacevole – ma io non le ho mai assaggiate e non so cosa dirne. Poi, che l’ipotesi possa sembrare poco attraente dipende dalla nostra cultura e dalle nostre abitudini: in fin dei conti, mangiamo comunemente i molluschi di mare, vongole, cozze, ostriche, che sono ritenute cose da buongustai ma che vivono e si nutrono di cose che è meglio non nominare. Sarebbe un discorso interessante, ma, anche qui, sto andando fuori dal tema che mi ero proposto; conviene fermarsi e rimandare ad altra occasione.
PS: Il libro del quale ho portato qui qualche pagina è questo: Stocchi e Mesiani, Chimica organica razionale, ed. La Prora 1969 (comperato nel 1974, quando costava ben seimila lire)

mercoledì 27 luglio 2011

Diamanti e carbone

Quest’inverno ho fatto una chiacchierata con un gioielliere, un tipo simpatico e molto professionale, che però non sapeva una cosa importante: dal punto di vista chimico, il diamante e il carbone, e il nerofumo, e la fuliggine, sono tutte varianti del Carbonio. Cioè, alla fin dei conti, sono la stessa cosa: la differenza sta nella disposizione degli atomi di Carbonio, che nel carbone e nel nerofumo sono come buttati lì alla rinfusa, mentre nei diamanti hanno una struttura cristallina molto ben organizzata. Detto in termini un po’ più scientifici (la definizione l’ho copiata da http://www.wikipedia.it/ ): «Il diamante è una delle tante forme allotropiche in cui può presentarsi il Carbonio; in particolare, il diamante è costituito da un reticolo cristallino di atomi di carbonio disposti secondo una struttura tetraedrica.» La struttura del diamante è questa qui sotto, e l’illustrazione viene sempre da wikipedia.
Il Carbonio, numero 6 nel Sistema Periodico degli Elementi, si presenta in natura in infinite forme, sia organiche che inorganiche: è l’unico elemento che ha questa capacità. Gli si avvicinano un po’ il Silicio, che dà i siliconi e molti composti inorganici, e lo Zolfo, che entra in un’infinità di formule chimiche ma che non ha la capacità di creare catene con i suoi atomi. Ma il Carbonio è l’elemento base della vita, proprio in virtù della sua capacità di creare catene di atomi: il DNA, sia il nostro che quello degli altri animali e delle piante e di tutte le creature viventi, è costituito da atomi di Carbonio in sequenze molto ordinate. Il Carbonio è anche alla base delle materie plastiche: le bottigliette di plastica, la pellicola per avvolgere i cibi in frigorifero, la tastiera che sto usando adesso, tutta la plastica inventata dall’uomo è basata su lunghe catene di atomi di Carbonio.
Il Carbonio esiste anche in forma inorganica: combinato con l’Ossigeno diventa un gas, l’anidride carbonica; combinato con il Calcio dà il marmo (calcio carbonato) e molti altri minerali, e con il Sodio dà il bicarbonato (quello che si usa anche in cucina) e la soda solvay (sodio carbonato).
Il carbone e i suoi simili, la fuliggine e il nerofumo, vedono il Carbonio mischiato ad altri composti, in primo luogo l’acqua, poi lo Zolfo ed altro ancora, ed ha una struttura molto disordinata, dato che si tratta di un prodotto di decomposizione e di combustione. Nel diamante, invece, il Carbonio è da solo ed ha una struttura altamente organizzata: da qui derivano la sua bellezza e la sua durezza.
Il mio amico gioielliere mi ha chiesto se anche il diamante brucia come il carbone, e la risposta è sì: ovviamente alle adeguate condizioni di temperatura e di pressione, che sono molto più elevate rispetto al carbone e alla legna. Ogni cosa brucia, sulla Terra e nell’Universo; ogni cosa ha forma solida, o liquida, o gassosa, nell’Universo; da qualche parte nel firmamento esistono anche i diamanti liquidi e il metano solido, ma sul momento non saprei dire di preciso dove sono stati individuati, e su quale pianeta. Forse è meglio lasciare la parola agli esperti (categoria della quale io non faccio parte, sia ben chiaro).
Sempre da http://www.wikipedia.it/ : « Il diamante ha origine nel mantello terrestre; successivamente i cristalli vengono portati alla superficie da condotti vulcanici mediante eruzione attraverso una roccia contenente molta olivina, detta kimberlite. In seguito, mediante erosione, la kimberlite viene sgretolata liberando i diamanti nella zona circostante in depositi secondari. La sintesi in laboratorio di diamanti a partire da materiali costituita da carbonio iniziò nella prima metà degli anni cinquanta quando ricercatori della General Electric di Schenectady, New York, riuscirono a ricreare le condizioni necessarie alla cristallizzazione del carbonio che porta alla formazione del diamante. Essi riscaldarono grafite a una temperatura di 15157,5 K assieme a un metallo quale il ferro o il nichel, a una pressione compresa fra le 50000 e le 65000 atm. Il carbonio in questo modo si scioglie nel metallo e, grazie alla pressione, crea i legami necessari. Le prime applicazioni pratiche del diamante sintetico sono state il rivestimento di utensili per tagli di precisione e la produzione di abrasivi. (...) Tuttavia il suddetto processo si rivela troppo costoso, inoltre il diamante risultante non è completamente puro né cristallino e pertanto non può essere usato come semiconduttore. Un metodo alternativo sviluppato recentemente è il CVD, Chemical Vapor Deposition (deposizione chimica da fase vapore).
(...) Si pensa che i diamanti siano stati inizialmente riconosciuti ed estratti in India, dove furono trovati significativi depositi alluvionali della pietra lungo i fiumi Penner, Krishna e Godavari. Qui i diamanti erano utilizzati nelle icone religiose, ed è probabile che fossero noti e considerati preziosi già 6000 anni fa. (...) Golconda fu uno dei principali mercati diamantiferi e per secoli il suo nome fu sinonimo di ricchezza. I diamanti giunsero nella Roma antica dall'India e vi sono chiari riferimenti circa il loro utilizzo come strumenti d'incisione. (...) I cinesi, che non hanno trovato i diamanti nel loro paese, inizialmente non li hanno considerati come gioielli mentre da secoli viene apprezzata la giada. Fino al XVIII secolo i diamanti provenivano esclusivamente dall'India o dal Borneo e solo nel 1725 in Brasile, nello stato di Minas Gerais, furono trovati i primi campioni di diamante provenienti dal Sudamerica e successivamente, nel 1843, fu rinvenuto il carbonado, un aggregato microcristallino di diamante, di colore bruno-nero, impiegato nell'industria. Il primo ritrovamento in Sudafrica avvenne nel 1867, nei pressi delle sorgenti dell'Orange, e fino al 1871 vennero sfruttati unicamente i giacimenti di tipo alluvionale. In seguito si scoprì l'esistenza dei camini diamantiferi dei quali il più noto è costituito dalla miniera di Kimberley, dalla quale prende il nome la roccia madre del diamante: la kimberlite. Nel Settecento sono stati scoperti giacimenti nel Borneo, ciò che diede inizio al commercio del diamante nel sud-est asiatico. Con l'esaurimento delle risorse indiane, avvengono significative scoperte in Brasile (1725) e Sud Africa (Kimberley, 1867).Il Sud Africa divenne quindi il principale centro mondiale per la ricerca e quindi la produzione di questa preziosissima gemma. La popolarità dei diamanti è aumentata a partire dal XIX secolo grazie alla maggiore offerta, al miglioramento delle tecniche di taglio e lucidatura, alla crescita dell'economia mondiale e anche grazie ad innovative campagne pubblicitarie di successo. Nel 1813, Humphry Davy usò una lente per concentrare i raggi del sole su un diamante in un ambiente di ossigeno e dimostrò che l'unico prodotto della combustione era il biossido di carbonio, provando così che il diamante è un composto di carbonio. In seguito egli dimostrò che in un ambiente privo di ossigeno il diamante si converte in grafite. I cristalli del diamante possono avere la forma di un ottaedro o di un esacisottaedro, talvolta con le facce curve. Talora, sulle facce dell'ottaedro, si possono notare delle trigoni, ossia delle incisioni triangolari. Alcune gemmazioni possono portare a cristalli piatti a forma di triangolo smussato. Altre forme in cui si presenta sono i rombododecaedri ed i cubi; tuttavia meno rari, comunque, sono i cristalli esacisottaedrici, cubici e dodecaedrici. Non mancano inoltre cristalli geminati o a simmetria tetraedrica.»
Un’altra forma conosciuta del Carbonio è il fullerene, alla base delle moderne nanotecnologie: lo scienziato inglese Harold Kroto per questa scoperta ebbe il Nobel per la Chimica nel 1996.
Per descrivere cos’è il fullerene prendo qualche riga da un’intervista a Kroto di Giulio Giorello, dal Corriere della Sera 6 luglio 2005: « ... affascinato sia dalla grafica sia dalla chimica almeno fin dal tempo degli studi all'Università di Sheffield, Kroto era poi diventato alla metà degli anni Ottanta professore all'Università del Sussex; intanto, i radioastronomi avevano riscontrato la sorprendente presenza di complesse molecole di carbonio nello spazio interstellare. Analisi spettroscopica e sintesi di laboratorio consentivano l'indagine di queste catene di carbonio “disperse nello spazio”; Kroto congetturò che esse si formassero nelle parti più fredde delle stelle e, nel “riprodurre” tali condizioni, riuscì a immaginare la struttura del cosiddetto “Carbonio sessanta”, ritrovando le forme di un solido semiregolare (1985). Anche la natura gioca al meccano: quella congettura un po' “geometrica” e un po' “suggerita dall'esperienza” doveva trovare realizzazione in laboratorio (1991) a opera di Robert Curl e Richard Smalley. La struttura è stata battezzata «buckminsterfullerene», in onore di Buckminster Fuller, visionario e geniale architetto che amava costruire le sue cupole sfruttando i solidi regolari che già per Platone costituivano gli elementi del cosmo. (...) »
Il fullerene ha una forma molto familiare: per mostrarla qui rubo una foto a questo articolo del Corriere della Sera (06.07.2005, l’intervista intera è reperibile nell’archivio on line del quotidiano, http://www.corriere.it/  ) dove una sua riproduzione è nelle mani dello stesso Harold Kroto. Le altre illustrazioni vengono da wikipedia e da quotidiani e giornali dagli anni ’80 in su.

martedì 26 luglio 2011

«Sono tutti uguali»

«Sono tutti uguali» me lo dice questa volta Piera, sorridendo, con una piccola smorfia. E' una frase che ho sentito tante volte e non sono d’accordo, ma non ho voglia di discutere con una persona a cui voglio bene, e lascio che il nostro discorso cambi direzione; dentro di me però concludo che è pur sempre meglio così che non la fede cieca nel capo, Bossi o Berlusconi o Mussolini che sia.

Perché poi la verità è questa, che dei capi bisogna sempre un po’ diffidare. Io ti dò il mio voto, ma poi ti controllo e se quello che fai non mi convince non ti voto più e comincio a guardarmi in giro. Dovrebbe essere una cosa normale, e invece non è così. Invece, succede che quando un politico viene eletto e delude i suoi elettori si comincia a dire che i politici sono tutti uguali: se sono tutti uguali, a che serve cambiare? Ed è così che i politici corrotti continuano a rimanere al loro posto.
In queste cose io sono molto vicino agli anarchici. Il potere è qualcosa che corrompe, avere vicino dei soldi su cui poter mettere le mani è devastante. A questo serve il nostro voto: possiamo darlo e toglierlo, o continuare a darlo; invece abbiamo attese miracolistiche, compiamo atti di fede non verso Nostro Signore ma verso questo e quello, e io non metterei la mano sul fuoco per nessuno, nemmeno per me stesso, se ci fosse lì nel cassetto su una somma consistente.

Bisognerà anche ricordare, visti i commenti che si ascoltano e si leggono quotidianamente, che è diverso se il corrotto o indagato è un esponente dell’opposizione oppure del governo: se uno è all’opposizione la sua corruzione è una questione che riguarda lui e i suoi elettori; se invece la corruzione riguarda un partito al governo, ci tocca tutti. Chi è al governo decide sulle nostre vite e maneggia i nostri soldi; che è all’opposizione no.
E’ per questo che sono gravi cose come quelle che sono successe per esempio a Catania: dove il sindaco negli anni scorsi ha prodotto un deficit di bilancio così grande che non si potevano più pagare nemmeno i netturbini, ma gli elettori hanno votato ancora per le stesse persone e – anzi – adesso quell’ex sindaco disastroso siede in Parlamento, è al governo non più di una città ma di un’intera Nazione.
E’ per questo che è importante sottolineare, stavolta in positivo, quello che è successo a Napoli: dove gli elettori hanno bocciato sia la giunta uscente, ritenuta non all’altezza, sia il candidato proposto dal governo, che aveva più volte annunciato di aver risolto tutti i problemi della città. Invece i problemi erano ancora lì, pesanti: e gli elettori napoletani, potendo scegliere, hanno scelto un terzo nome. Che sia stata una scelta giusta, è ancora tutto da dimostrare: ma sono questi i segnali da mandare ai politici, che vi stiamo guardando e stiamo attenti a quello che fate. Altrimenti, domani saremo ancora qui a perdere tempo parlando di caste intoccabili: e invece sono persone che abbiamo eletto noi, ogni tanto è bene ricordarlo. Non è come ai tempi del fascismo, quando non si poteva votare e le scelte calavano dall’alto: oggi si vota, votando si dà una fiducia che si può anche togliere. Se poi “sono tutti uguali”, significa che sono uguali anche a noi, a noi che li abbiamo scelti: ed è questo che non si vuole ammettere.

lunedì 25 luglio 2011

Pubblicità 22

C’è un bambino che tocca una merendina e dice che è morbida, quindi è buona: sarà, da come si affonda quel dito a me sembra più che altro una spugna. Siamo sicuri che è davvero una merendina? La risposta la so già, perché quelle merendine (e altre simili) le ho viste, toccate e assaggiate: le tocchi e sembra di toccare una spugna, le mordi e sembra di mangiare una spugna. La spugna del bagno, per intenderci: quella che si usa per lavarsi o magare per lavare le piastrelle. Il sapore, per fortuna, è un po’ meglio: ma, insomma, un dolce vero è tutt’altra cosa.
Si può mangiare una spugna? Mah, ai bambini lo sconsiglio, ma se un adulto proprio vuole morsicare una spugna, prego, faccia pure. Sia ben chiaro però che una torta soffice è tutt’altra cosa, e anche un panettone ben lievitato non è mica così come lo mostra la pubblicità: per fortuna se ne fanno ancora, anche fra le merendine e i panettoni industriali c’è ancora qualcosa di decente.
Il problema vero in questo caso non è tanto la pubblicità (che la pubblicità dica un sacco di scemenze è cosa ben nota), ma il fatto che la gente non si renda conto della differenza tra una torta vera e una spugna, o tra una brioche vera e quelle cose surgelate e scaldate che vendono ormai in tutti i bar. Confesso: rimango sempre allibito quando, passando davanti a un bar con le brioche surgelate e riscaldate, sento qualcuno che dice “che buon profumo”. Mai visto un fornaio vero, una pasticceria come si deve, mai fatto una torta in casa? Si direbbe che sia proprio così, perciò d'ora in avanti non mi stupirò più di niente.
Questo della pubblicità delle merendine è un settore dove bisognerebbe intervenire con l’accetta: nel senso che almeno i quattro quinti di queste pubblicità sarebbero da vietare, perché danno informazioni sbagliate, sbagliatissime. I dolci sono buoni ma volendo se ne può fare a meno; l’ideale sarebbe mangiarne pochi ma buoni, e se proprio volete diventare grassi, e magari anche obesi, almeno fatelo con le cose buone, e non con le spugne dolcificate chiuse nei sacchettini di plastica. Queste cose qui, lasciatele sugli scaffali dei supermercati.
(Nelle immagini, due pubblicità d’epoca: 1969 e 1971; penso che questi due prodotti non siano più in commercio.)

domenica 24 luglio 2011

Maggiolini

Il maggiolino sembra davvero un giocattolo: un giocattolino di legno, per la precisione. Qualcosa come una macchinina, un piccolo camion. Al maggiolino puoi fare di tutto, è assolutamente innocuo, l’unico limite è la cattiveria dei bambini verso gli animali; del resto, non è che agli insetti, quando si avvicinano alle case, capitino sorti migliori di queste.
Anche i maggiolini non si vedono quasi più dalle mie parti, peccato: erano un bel gioco, per un bambino.
Luigi Meneghello, da “Libera nos a Malo”:
I brombóli muoiono tranquillamente nel sonno; e siccome dormicchiano un po' sempre, sono esposti a un rischio continuo. Il brombólo è soprattutto un arrampicatore: appoggiandolo alle superfici del monumento ai Caduti in Castello, lui s'aggrappa al marmo e ràmpica pazientemente. Salivano sfruttando le minute rugosità del marmo, e i solchi delle lettere; cadevano senza preavviso, e si sentiva la piccola bòtta della nuca ai piedi dei paretoni bianchi. Il brombólo non muore quando batte la nuca; lo si mette in infermeria, a una dieta di minestra che si versa direttamente col cucchiaio sopra il malato, questi mangia e s'addormenta, ma spesso, secondo la sua natura, muore nel sonno con la pancia piena.
Ricordiamo ancora con affetto i nostri brombóli migliori, e specialmente quello bravissimo che si chiamava Soga. Gli altri partivano sullo spigolo a destra, raggiungevano subito ZANELLA e VANZO, più raramente STERCHELE e SAGGIN, qualche volta anche i primi PAMATO; uno si spinse una volta fino in mezzo alle P che sono dieci, poi cadde, batté la nuca e morì in seguito all'infermeria.
Ma Soga si spostava subito vivacemente a sinistra, passava LAIN, passava LAPPO, e poi su: su per GALIZIAN, fratello di mia zia Lena, via per FESTA, dove già stentavamo ad arrivare per fargli sicurezza con la mano. Quando passava i due DESTRO, entrambi 16 maggio 1916, non ci arrivavamo più neanche in punta di piedi; scendevamo dalla base e stavamo semplicemente a guardare.
Era solo ora. Solo con DE MARCHI Antonio, classe '95, con l'altro DE MARCHI un anno più vecchio; solo col lampo del sole sulle roccette dove c'è CIMBERLE. Avevamo paura per lui, lo vedevamo salire lassù di riga in riga, pareva che non finissero mai. Ma quanti ne sono morti in questo maledetto paese?
Si trepidava per Soga mandato così allo sbaraglio senza una vera ragione, piccolo lassù come un ometto che s'arrampichi sul Dente del Pasubio; come 1'ultímo nome che si vede appena la in cima, AGOSTI Alessandro, zio di Sandro che rinnova il nome.
Di questi nostri brombóli ci fu un'epidemia nel 1598, onde fu murata nella chiesa parrocchiale una lapide: «Guastando li Brombóli le viti, la Comunità di Malo, fatto voto a S. Ubaldo Vescovo di Gubio di celebrare ogni anno li XVI Maggio solennemente la sua Festa, fu liberata...»
Questo registra il Maccà; aggiungo che attaccati a un filo e roteati nell'aria, anzitutto li Brombóli si sottraggono alla vista e si dissolvono in un cerchio vaporoso, come marroni salbèghi analogamente trattati; in secondo luogo emettono un lamento vibrante, essi normalmente muti, forse in memoria del macello di S. Ubaldo.
Noi non li prendevamo sulle viti, come forse i nostri compaesani di tre o quattro secoli fa, ma sui morari, dove parevano more. Erano cari compagni di scuola; ottima moneta; innocui, lenti, sonnacchiosi. Pareva incredibile che fosse una virtù sterminarli, com'era invece sottinteso.
(Luigi Meneghello, da “Libera nos a Malo”, pag.61 e 62 edizione BUR Rizzoli)
da http://www.wikipedia.it/  :
Il Melolontha melolontha LINNAEUS, 1758, comunemente chiamato Maggiolino è un insetto diffuso in tutta Europa, appartenente all'ordine dei Coleotteri, famiglia degli scarabeidi.
Gli adulti dei maggiolini, lunghi 20-30 mm, sono allungati e presentano elitre colore rosso-brunastro e protorace scuro (bruno-nerastro o verdastro). Talvolta le elitre di alcuni esemplari sono fittamente ricoperti di scaglie bianche (varietà farinosus). La parte terminale dell'addome (pigidio) è tipicamente di forma triangolare, con l'apice appuntito verso la parte distale e ricurvo verso il basso.
Le antenne sono formate da un funicolo ed un ventaglio con un numero diverso di articoli a secondo del sesso. Nei maschi il funicolo ha 3 articoli ed il ventaglio, molto allungato, ricurvo ed appiattito, 7 articoli. Nella femmina il funicolo ha 4 articoli ed il ventaglio, molto corto e quasi globoso, ha 8 articoli. Le larve, lunghe fino a 40 mm, sono a forma di "C" (larve melolontoidi), biancastre, con il capo e le zampe arancioni e la parte terminale dell'addome molto ingrossata. Vivono nella rizosfera nutrendosi di radici.
Il maggiolino è un insetto con ciclo poliennale in cui gli adulti sfarfallano in primavera, a maggio (da cui il nome). Gli adulti si nutrono degli apparati aerei delle piante, specialmente le latifoglie forestali, che infestano iniziando l'attività trofica all'imbrunire. Dopo circa 15 giorni dallo sfarfallamento si ha l'accoppiamento e l'ovideposizione che avviene nel terreno a circa 20 cm di profondità. Le larve neonate iniziano la loro attività trofica sulle radici, specialmente quelle più tenere, anche di piante erbacee spontanee. Alla fine del primo anno, all'avvicinarsi dell'inverno, le larve si approfondiscono nel terreno e svernano; nella primavera successiva riprendono l'attività, trascorrendo tutto il secondo anno allo stadio larvale. Nella primavera del terzo anno le larve possono: riprendere l'attività, come nel secondo anno, e quindi sfarfallare alla primavera del quarto anno; impuparsi e sfarfallare nel maggio del 3º anno. Il maggiolino, pertanto, completa il suo ciclo biologico in 3 o 4 anni solari (quindi 2-3 anni effettivi).
Il maggiolino è un coleottero diffuso quasi ovunque in Italia. Estremamente polifago, in una sacca della terra di Otranto nel Salento, si è adattato a nutrirsi degli aghi più teneri dei pini. I danni vengono provocati: dagli adulti che si nutrono di foglie e possono provocare forti defogliazioni alle piante colpite nel caso di gravi infestazioni; dalle larve che si nutrono delle radici.
Il Maggiolino dei pini (Polyphylla fullo LINNAEUS, 1758) è un coleottero della famiglia degli scarabeidi. Il maggiolino dei pini è il più grande melolontino europeo, potendo raggiungere una lunghezza di 38 mm, e senz'altro uno delle più belle specie di coleotteri del mondo. Il corpo, robusto e convesso e di color bruno più o meno rossastro o nerastro, è ricoperto da una finissima pubescenza bianca che forma eleganti macchie marmorizzate, diverse da individuo a individuo.
La sua caratteristica saliente, e per la quale è più apprezzato dagli appassionati naturalisti, è pero il ventaglio antennale, che nel maschio raggiunge una notevole dimensione e conferisce a quest'insetto un aspetto inconfondibile. La femmina ha invece un ventaglio del tutto simili agli altri scarabeidi. L'adulto del Polyphylla fullo vive sulla chioma dei pini, dei cui aghi si ciba. Di notte viene talvolta attirato dalle luci dei lampioni. La larva vive a dipesa di graminacee e ciperacee di ambienti sabbiosi.
(le illustrazioni vengono da wikipedia e dalla mia copia personale di "Il mondo degli animali", edizioni Rizzoli, anno 1968; il monumento di cui si parla è a Malo, provincia di Vicenza, dove è nato e cresciuto Luigi Meneghello, 1922-2007, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, professore all’Università di Reading, Great Britain). (salbéghi significa “selvatici”, come spiega lo stesso Meneghello nelle note; e "brombòlo" è ovviamente il nome del maggiolino, a Malo in provincia di Vicenza, negli anni 20).

sabato 23 luglio 2011

Corno bobò

Mio padre lo chiamava sempre così, corno bobò: sapeva benissimo che il nome ufficiale era “cervo volante”, ma era un nome che non gli piaceva più di quel tanto. Quand’ero bambino, sapendo della mia passione per le scienze naturali, se gli capitava di vedermi con in mano un libro dove c’era un cervo volante mi diceva sorridendo: “quello lì è un corno bobò”. L’ho sentito dire solo da lui, e quindi non so ancora oggi se sia un nome in uso in una cerchia ristretta, se sia dialettale, se sia di qui o di Trebaseleghe, o se fosse solo un nome che si era inventato lui da bambino: sta di fatto che una volta, fino agli anni ’70, il cervo volante/corno bobò era un incontro abbastanza comune, ma oggi incontrarne uno è diventato difficile, anche nei boschi: che qui da noi sono ormai dominio incontrastato dei bikers e dei fuoristrada.
Il cervo volante vola, ma è lento: più che volare, incede. Se la cava benissimo, nel volo, con quella mole e con quel peso: ma quando vola è vulnerabilissimo, e ormai lo sanno tutti che quelle enormi corna sono del tutto innocue, e servono solo a far spavento. Ma chi si spaventa più, ormai, per le corna di un cervo volante? Caso mai impressionerà la mole, che è davvero notevole. Oltretutto, il maschio ha queste corna vistose (in realtà, un prolungamento delle mandibole), ma la femmina è un normalissimo scarabeo nero, solo un po’ più grosso del normale. Se i joggers ne incontrano una, facilissimo che finisca schiacciata sotto una scarpa.
D’altra parte, che ragione avrebbero i cervi volanti di vivere ancora qui? Le loro larve non mangiano il cemento, e nemmeno l’asfalto; si nutrono del legno delle piante, e qui in Lombardia appena vedono una pianta corrono a prendere una motosega; e se ne vedono tre, di piante, vuol dire che c’è spazio per un’autostrada. E il loro volo è lento e solenne, ma sicuro: ma qui non si apprezzano affatto la solidità e la lentezza, questo volo del cervo volante è proprio del tipo che fa rendere inevitabile l’incontro con il parabrezza di un fuoristrada. E dunque addio, corno bobò: per rivederti dovrò andare per selve e foreste, sperando che ce ne siano ancora; ma devo dire che a me faceva piacere incontrarti anche qui sotto casa, ogni tanto, d’estate.
da http://www.wikipedia.it/ :
Il Cervo volante (Lucanus cervus LINNAEUS, 1758) è un coleottero della famiglia dei Lucanidi.
Con una lunghezza che varia dai 25 agli 80 millimetri, il cervo volante è sicuramente uno dei più grossi coleotteri esistenti in Europa. Diffuso anche in Asia Minore e Medio Oriente, in Italia lo si trova soprattutto nelle regioni settentrionali. Vive in cavità di tronchi d'albero e ceppi.
Il cervo volante possiede due paia di ali: le prime sono molto robuste e prive di nervatura; le seconde sono più leggere e vengono ripiegate sotto le prime. Deve il suo nome alla presenza di due strutture che ricordano le corna di un cervo, ma che altro non sono che mandibole molto sviluppate, più nel maschio che nella femmina. Queste "corna" vengono utilizzate per i combattimenti durante il periodo riproduttivo e fanno apparire il maschio più temibile di quanto effettivamente sia, infatti i muscoli non sono in grado di muovere con forza tali gigantesche mandibole che pertanto risultano alquanto inoffensive. Nella femmina, invece, essendo più piccole sono anche molto più efficaci e consentono alla portatrice di pizzicare con più forza e con maggiore danno. Le mandibole permettono di distinguere il maschio dalla femmina.
Lo sviluppo di un cervo volante può durare tra i 3 ed i 5 anni. Le uova vengono deposte alla base dei ceppi di alberi vecchi o morenti (preferibilmente: quercia, castagno, faggio, salice e pioppo) che vengono incisi dalle mandibole della femmina prima della deposizione. Alla schiusa nascono delle larve chiare munite di potenti mandibole che utilizzano per incidere il legno e scavare lunghe gallerie. Al termine del loro sviluppo, quando misurano circa 10 centimetri di lunghezza ed 1 cm di diametro, queste larve scavano una celletta in cui avverrà la metamorfosi. Le larve si sviluppano seguendo diverse fasi che in 4-6 anni le porteranno a diventare pupe. Gli adulti, presenti già fin dall'autunno, non escono all'aperto fino al giugno successivo. Il loro stadio immaginale è relativamente breve (pochi mesi): i maschi, in genere, muoiono tra luglio ed agosto, mentre le femmine possono sopravvivere più a lungo, restando attive fino a settembre avanzato. Gli adulti si nutrono di nettare e linfa degli alberi.
Un tempo molto comune, il cervo volante - come altri coleotteri che vivono nel legno - è oggi in declino. La specie si deve considerare potenzialmente minacciata per la riduzione o la distruzione del suo habitat, in particolare per le pratiche forestali che tendono a eliminare i vecchi tronchi. È inserita in norme di protezione dell'Unione Europea, e precisamente nell'Allegato II della Direttiva Habitat del 1992 (CEE/92/43) (specie la cui salvaguardia richiede la designazione di zone speciali di conservazione). La specie è inoltre inclusa nella Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa, anche nota come convenzione di Berna. Alcune delle più note sottospecie sono: 1. Lucanus cervus cervus (maschio: 35-92 mm. femmina: 35-45 mm. origine: Europa). 2. Lucanus cervus akbesianus (maschio: 50-100 mm. femmina: 40-45 mm. origine: Siria, Turchia.) 3. Lucanus cervus judaicus (maschio: 50-100 mm. femmina: 40-50 mm. origine: Siria, Turchia.) 4. Lucanus cervus turcicus (maschio: 35-75 mm. femmina: 35-40 mm. origine: Grecia, Turchia.)
PS: attenzione! le misure dei cervi volanti qui riportate sono in millimetri, non in centimetri. Un cervo volante non è lungo mezzo metro, ma è più o meno delle dimensioni del nostro pollice. Beh, del mio pollice: il vostro non so come sia, il mio ha più o meno quelle dimensioni lì, tra falange e falangina (sempre in millimetri, s’intende).  (le immagini vengono tutte da wikipedia)

venerdì 22 luglio 2011

I vecchi e i giovani

Ho votato per la prima volta alla fine degli anni ’70: c’era appena stato un rinnovamento, il leader del PSI non era più un vecchio – era ora! – ma un quarantenne rampante e mai visto prima. "Rottamati" i Nenni e i De Martino, ecco il nuovo leader: che avrebbe portato l’Italia a un deficit di bilancio spaventoso (quello che stiamo pagando ancora oggi) e il suo partito, il glorioso PSI erede dei Turati e dei Matteotti, alla scomparsa e all’ignominia. Era Bettino Craxi: io l’ho votato una volta, ma era appena arrivato. Quando ho capito chi era, ho subito cambiato partito; ma non è servito a niente, in fin dei conti era solo il voto di un ragazzo di diciannove anni.

Ripenso a queste cose ogni volta che sento parlare di rinnovamento, di giovani che devono prendere il posto dei vecchi, eccetera. Questo dei giovani che rinnovano e migliorano il mondo è il più trito dei luoghi comuni, per il quale vale la pena di ripetere quello che avevo già scritto qui riguardo alle donne in politica: la solita cosa, cioè che è bene dubitare dei luoghi comuni e che – soprattutto – non si valutano le persone per categorie, ma singolarmente e dentro il contesto in cui operano. Non esistono i giovani, i vecchi, i meridionali, i settentrionali, gli uomini, le donne, eccetera: esisto io, esisti tu, ognuno di noi ha una sua personalità. E anch’io, a guardar bene, non sono mica sempre lo stesso: alle volte sono un bel po’ aggressivo anch’io, e poi magari mi dispiace, ma ormai è fatta. Il me stesso delle 9:30 non è il me stesso delle 15:30, e anche questo dovremmo ormai saperlo tutti; invece no, siamo ancora qui a discutere se le donne sono meglio degli uomini e se i giovani sono meglio dei vecchi. E la risposta è: dipende. Dipende: chi è l’uomo, chi è la donna, chi è il giovane, chi è il vecchio, di chi stiamo parlando di preciso? Gran brutta cosa, il generalizzare. Alle volte generalizzare può essere utile, comodo, sbrigativo: ma insomma, meglio valutare passo dopo passo, e stare bene attenti a cosa succede e a dove si mettono i piedi: come facevano i miei nonni contadini, dei quali sono molto orgoglioso (e so per certo che mio nonno sapeva farsi rispettare, ma era una persona che non avrebbe mai e poi mai dichiarato guerra a nessuno).

A questo punto potrei concludere aprendo un libro di storia, andando a vedere chi ha portato dei cambiamenti in politica, e – mamma mia! – meglio non pensarci e provare a cambiare discorso. Chi ha davvero migliorato e portato avanti l’Italia? Gente anonima, grigia, di mezza età, di poche parole: De Gasperi, Ciampi, queste persone qui. Degli altri, soprattutto di chi non si conosce ancora, meglio diffidare. Già il fatto che si usi la parola “rottamare” riferito a persone è un gran brutto segno, ma pazienza: a cose come queste si può provare a rimediare con un corso di buona educazione. Va sicuramente peggio quando ci si accorge di COME i giovani e le donne si sono avvicinati alla politica: se “largo ai giovani” significa dare posti di potere a raccomandati e fidanzate e figli di papà, mi tengo stretti i vecchi, quelli nati negli anni ’20: ne sono rimasti pochi, ma hanno visto cos’è la guerra e se ne ricordano ancora. Finché c’è in giro la loro generazione, di guerre non ne vedremo di sicuro: ma quanti ne sono rimasti, al governo? E sono sempre meno, brutto segno.

giovedì 21 luglio 2011

Erbacce ( X )

Chiudo per ora questo mio piccolo giro fra le “erbacce”: ma il discorso sarebbe lungo, lunghissimo, forse infinito. A voler guardare, ad aver voglia di andare anche soltanto un po’ più in là con lo sguardo, pochi centimetri oltre i marchi dei vestiti, oltre l’ipod e lo smartphone e lo smalto per le unghie, c’è un mondo intero che si apre, appena si incomincia ad aprire gli occhi e a guardarsi intorno le curiosità sono infinite.
Qualche curiosità che mi è venuta per esempio con le spighe: mi sono chiesto se oltre all’orzo selvatico e all’avena selvatica, oltre alle poligonacee parenti strette del mais e della farina dei pizzoccheri, ci siano altre varietà selvatiche di piante coltivate. La ricerca sarebbe lunga, per oggi mi segno qualche piccolo punto di partenza: 1) il farro è una varietà del frumento e una varietà del farro è la spelta. 2) il miglio si chiama “panicum migliaceum” e appartiene alle panicoidee: che sono graminaceee e comprendono piante per noi molto importanti come miglio, mais, sorgo, canna da zucchero. Fin qui conoscevo solo la spiga di panìco che si dà ai canarini...
Per finire, ricordo che sulle “erbacce” nascono e crescono molte varietà di farfalle. In particolare, sul cardo e sull’ortica si trovano i bruchi delle vanesse, tra le più belle farfalle italiane. Ne metto qui qualche esempio, in chiusura: non solo la vanessa dell’ortica e la vanessa del cardo, ma anche la vanessa io, la vanessa atalanta, e altre ancora. Quando si butta il diserbante, quando si estirpano le erbacce anche là dove non danno fastidio, stiamo preparando l’estinzione di queste specie di farfalle, e di molte altre ancora. Non so, forse a qualcuno piace un mondo così, senza vita e senza colori: io invece vorrei che si continuasse a vedere volare licenidi e vanesse e macaoni, vale a dire che vorrei continuare a trovare il mondo così come l’ho trovato, cinquant’anni fa. L’impresa è quasi impossibile, qui a nord di Milano è anzi definitivamente perduta: gli ultimi 15 anni sono stati devastanti, e ne ha gravissime responsabilità la politica, in primo luogo il federalismo da strapazzo della Lega Nord, che ha consentito e favorito ogni tipo di condono edilizio e di speculazione. Per il resto d’Italia, per la Valsusa, per la Maremma e l’Umbria minacciate da un’ennesima autostrada, per il Mare Adriatico dove si stanno iniziando le perforazioni petrolifere (a pochi chilometri dalle coste dell’Abruzzo, per esempio), e per tutte le regioni d’Italia, posso solo fare i miei migliori auguri.
Quest’anno di “erbacce” ne ho viste fiorire tante, il tempo è stato favorevole e ha colto di sorpresa anche gli addetti alla “nettezza urbana”. Spero che l’evento si ripeta, e che anche i bambini del 2050 possano continuare a giocare con spighe e farfalle, così come ho fatto io e come hanno fatto milioni di bambini nei millenni precedenti all’invenzione del cemento armato.
Le fotografie delle vanesse vengono da “Enciclopedia illustrata delle farfalle” di V.J.Stanĕk. ed. Accademia 1979 e dal sito di Luciana Bartolini, http://www.lucianabartolini.net/ che è uno dei più belli di tutta internet.

mercoledì 20 luglio 2011

Erbacce ( IX )

Altre piante molto comuni, tra quelle che riempiono prati e rive, sono le ombrellifere: come queste nell'illustrazione. Ombrellifere, cioè portatrici d’ombrello (o d’ombra) è davvero un nome ben dato; la piantina è bella anche se non dice niente di particolare, però andando un po’ più in là con la ricerca si scoprono particolari e parentele inaspettate. Le ombrellifere fanno infatti parte della famiglia delle Apiacee: e se scorrete l’elenco delle Apiacee si trovano tante vecchie e care conoscenze, non “erbacce infestanti” ma specie coltivate e accudite con cura.
Wikipedia dice infatti che “ La famiglia comprende circa 3000 specie suddivise in 420 generi. Alcuni generi: Anethum, Anthriscus, Angelica, Apium, Arracacia, Bunium, Bupleurum, Carum, Centella, Conium, Coriandrum, Cuminum, Daucus, Eryngium, Ferula, Foeniculum, Levisticum, Myrrhis, Pastinaca, Petroselinum, Pimpinella, Smyrnium...”.
I più bravi avranno già riconosciuto il nome di qualche fratello o cugino delle ombrellifere che si trovano nei prati, per altri (come me) serve invece un aiuto. Per esempio: il finocchio (foeniculum), il prezzemolo (petroselinum), il sedano (apium graveolens), la carota (daucus carota), alcune radici commestibili, eccetera eccetera.
da http://www.wikipedia.it/ :
Le Apiaceae (o Umbrelliferae, nomen conservandum) sono una famiglia di piante dicotiledoni che comprende circa 3000 specie suddivise in 420 generi presenti in tutte le zone temperate del mondo.
È una famiglia relativamente omogenea, caratterizzata da una infiorescenza tipica, l'ombrella.
Le Apiaceae sono delle piante erbacee generalmente annuali, talvolta biennali o perenni. La famiglia conta anche degli alberi ed arbusti. Il gambo è spesso cavo, e porta all'esterno dei solchi nel senso della lunghezza. Le foglie sono alterne, senza stipole, e spesso composte da foglioline finemente traforate, ma alcune specie (es. Bupleurum rotundifolium L.) hanno, come eccezione, foglie intere. Spesso i piccioli sono allargati alla loro base, inguainando il gambo.
L'infiorescenza tipica delle Apiaceae, giustamente chiamate ombrellifere, è l'ombrella che può essere semplice o composta di ombrelluli. Le ombrelle sono spesso munite alla base di un involucro formato di brattee. I fiori, piccoli, pentameri, a simmetria raggiata, sono spesso bianchi o giallastri, talvolta rossastri come il fiore centrale dell'ombrella di carota. Sono costituiti quindi da 5 petali e 5 sepali ridotti, l'androceo è formato da 5 stami, l' ovario è infero formato da due carpelli. L'ovario porta due stili che si allargano alla base in un disco nettarifero. Talvolta, i fiori periferici dell'ombrella sono irregolari, coi petali esterni nettamente più grandi, e contribuiscono a fare dell'ombrella un "simil-fiore". I frutti, secchi, sono dei diacheni che si scindono in due a maturità, ogni parte contenente un seme. Sono molto diversificati nelle loro forme esterne: si può avere presenza di uncini o di spine, di protuberanze o di peli, talvolta di ali e sono importanti da osservare per la determinazione delle specie.
La famiglia comprende circa 3000 specie suddivise in 420 generi. Alcuni generi: Anethum, Anthriscus, Angelica, Apium, Arracacia, Bunium, Bupleurum, Carum, Centella, Conium, Coriandrum, Cuminum, Daucus, Eryngium, Ferula, Foeniculum, Levisticum, Myrrhis, Pastinaca, Petroselinum, Pimpinella, Smyrnium

Le illustrazioni vengono da “Che fiore è questo” di D.Aichele e M.Golte-Bechle, editore Franco Muzzio.

martedì 19 luglio 2011

Marmo e gesso

La corrosione delle statue di marmo, una vera e propria lebbra, è stato uno dei fenomeni che più hanno impressionato nel corso del Novecento. Statue centenarie o millenarie, che avevano resistito anche a guerre e bombardamenti, si sfaldavano sotto i nostri occhi. Cos’era successo, cosa stava succedendo? Dal punto di vista chimico, è una delle reazioni più semplici da spiegare, una nozione che si impara nei primissimi anni negli Istituti Tecnici, ma che magari chi ha fatto il liceo classico o ragioneria avrà dei problemi a capire. Provo a spiegare meglio che posso.
Il marmo, dal punto di vista chimico, è carbonato di calcio. Il calcio è uno degli elementi più comuni sul nostro pianeta; entra anche nella composizione delle nostre ossa, è il calcare che si forma dall’acqua nel ferro da stiro, è alla base di tutte le rocce calcaree; nel Sistema Periodico degli Elementi occupa il numero 20.
Il marmo è dunque un composto a base di calcio: l’altra metà della molecola, definita dalla parola “carbonato”, non si riferisce al carbone ma al Carbonio (l’elemento numero 6 nel Sistema Periodico) e più in particolare ad un suo composto, l’anidride carbonica. L’anidride carbonica è un gas, combinazione di carbonio e ossigeno: anche noi quando respiriamo emettiamo anidride carbonica, e si tratta quindi di un altro composto molto comune sulla Terra. Quando l’anidride carbonica si discioglie in acqua forma acido carbonico: le bollicine dell’acqua minerale e di tutte le bibite gassate.
E dunque il marmo, pietra durissima e resistente, nasconde in sè questa debolezza: una sua parte è aerea, e può essere ridestata alla sua forma originaria. Qui entra in gioco un altro elemento molto comune sul nostro pianeta, un nome che evoca scenari inquietanti e magari anche infernali: lo Zolfo, in latino sulphur, numero atomico 16.
Lo zolfo, di per sè inerte, può bruciare e trasformarsi in gas: proprio come fa il carbonio con l’anidride carbonica. I composti che lo zolfo può formare sono infiniti, quelli che ci interessano sono l’anidride solforica e l’anidride solforosa. Quando accendiamo un fiammifero, per esempio, si formano questi due composti; ma lo zolfo può essere presente nell’aria per molte altre vie, per esempio nelle eruzioni vulcaniche c’è sempre un’enorme quantità di zolfo che si sprigiona. A partire dall’Ottocento, con la rivoluzione industriale, noi umani abbiamo cominciato a bruciare molto zolfo, magari anche senza volerlo o senza saperlo: c’è zolfo nel carbone, c’è zolfo nel petrolio.
A questo punto entra in gioco l’acqua: ogni chimico, anche alle prime armi, vi potrà spiegare che aggiungendo acqua ad una anidride si forma un acido. Con l’anidride carbonica si formava l’acido carbonico, le bollicine delle bibite, qualcosa di tutto sommato innocuo e gentile; con le anidridi derivate dalla combustione dello zolfo si forma acido solforico. L’acido solforico è un acido molto forte: siamo all’origine quindi delle piogge acide. Se c’è molto zolfo nell’atmosfera, anche la nebbia può essere molto acida e arrivare a pH anche molto bassi, intorno al valore 3.
A questo punto, quando piove sul marmo, succede una cosa impensabile: il gas contenuto nella dura pietra, l’anidride carbonica del carbonato di calcio, si libera. E’ il fenomeno che un po’ tutti abbiamo provato a fare da ragazzi, con i sassi messi nella coca cola che cominciavano a fare bollicine. Dal punto di vista chimico, con le piogge acide succede proprio questo: lentamente, in modo quasi impercettibile, si formano delle bollicine e l’anidride carbonica si libera dal marmo. Al suo posto, nella pietra, è lo zolfo a combinarsi con il calcio: la superficie della statua, foss’anche il David di Michelangelo, non è più carbonato di calcio, ma solfato di calcio. Il solfato di calcio è il gesso: e il gesso si sbriciola, lo sappiamo tutti perché a scuola si usa ancora il gesso, per scrivere sulla lavagna. Ecco dunque che le statue si trasformano da durissimo marmo in gesso friabile, e si sbriciolano.
Questo fenomeno è stato contrastato con un certo successo negli ultimi quarant’anni, purificando gasolio, nafta e benzina mediante un processo di desolforazione; ma i danni alle nostre opere d’arte ormai sono permanenti, l’Italia è una mostra di scultura all’aria aperta e queste cose nel 1500, o quando iniziava a sorgere Venezia, non si potevano certo prevedere.
PS: per chi fosse curioso, l’acido presente nella Coca Cola è acido fosforico: c’è scritto sull’etichetta. L’acido carbonico delle bollicine, di per sè, sarebbe troppo debole: e poi andrebbe a scontrarsi con il suo simile presente nel marmo, e quindi lascerebbe immutata la natura di quella pietra.
Le immagini: un po' di marmi illustri, Canova (Amore e Psiche) e Michelangelo (il Mosè, un dettaglio dalla Pietà). Le formule chimiche le ho scritte su un foglietto meglio che potevo: non è il massimo dal punto di vista della grafica, ma le formule chimiche vanno scritte proprio così, con i numeri piccoli in basso, altrimenti non ci si capisce più niente; invece i correttori automatici, quando si tratta di chimica, quasi sempre ti costringono a rifare da capo quello che avevi già messo in ordine, per questo motivo ho preferito evitare di scrivere formule chimiche nel testo.

lunedì 18 luglio 2011

Le riforme

Questo delle riforme da fare, o che non sono state fatte, è uno dei luoghi comuni più stucchevoli (eufemismo) che io abbia mai incontrato nella mia vita. “Bisogna fare le riforme”; “ Il Governo ha fatto/non ha fatto le riforme”, eccetera: quante volte abbiamo ascoltato queste frasi?
Oltretutto, negli ultimi 10-15 anni c’è stata una grandissima accelerata, non passa giorno senza che non si ricominci a parlare di riforme fatte o da fare, “abbiamo fatto le riforme”, “non avete fatto le riforme”, “sì, ma se aveste fatto le riforme...”.

Mi sento di dirlo una volta per tutte: le riforme non servono a niente. Serve il lavoro quotidiano, l’impegno, il saper valutare giorno per giorno cosa c’è da fare, eccetera: queste cose qui.
Lavorare, impegnarsi, tener pulita la nostra casa e il nostro posto di lavoro, e poi – ma non sempre, ogni tanto – fermarsi e valutare se c’è qualche cosa da cambiare.
Lo so che così è noioso, che si fa fatica, e che poi non si prendono voti: ma le riforme il più delle volte sono inutili, e poi – soprattutto!!! - le riforme bisogna saperle fare. Se non siete capaci di fare le riforme necessarie, o peggio ancora se pensate di essere capaci ma tutti sanno che non è così, astenetevi. Non fatele le riforme, andiamo avanti come si è sempre andati avanti, non c’è bisogno di buttar giù la casa, si dà un’occhiata e magari si scopre che basta un’imbiancatura.
Il resto sono chiacchiere, fesserie, frasi fatte buttate lì per nascondere i veri problemi e per accontentare gli allocchi: che, del resto, come si è più visto in più occasioni, non è che manchino. Anzi, abbondano.

domenica 17 luglio 2011

Tre ministeri a Monza

Ecco una notizia che quasi certamente vi è sfuggita:
Ad personam
IL REATO CHE VISSE DUE VOLTE (PER I LEGHISTI)
Errare è umano, ma impiegare più di un anno per porre rimedio allo sbaglio, e soprattutto sfruttarlo per evitare un processo, non è un grande esempio di virtù. Quando l'anno scorso il ministro Roberto Calderoli (nella foto sotto) cancellò il reato di associazione militare per scopi politici in un impeto di «semplificazione normativa», il suo collega Ignazio La Russa disse che si trattava di una distrazione e che sarebbe stato reinserito presto. Casualmente era proprio quello il reato di cui erano accusati Calderoli e altri 35 leghisti, tra cui Bossi, Maroni e Speroni, per aver formato la «Guardia nazionale padana». Calderoli però non tornò indietro e il novembre scorso il giudice ha scagionato tutti perché il fatto non costituiva più reato. Pochi giorni fa un comunicato della Presidenza del consiglio ha fatto sapere che é stato varato un decreto per «l'inserimento della nuova norma che disciplina il divieto di associazione militare». È uguale a quella cancellata, perciò il termine «nuova» non le si addice proprio. Ma ormai non fa più paura.
(r. bian.), Il Venerdì di Repubblica, 8 luglio 2011 (trafiletto seminascosto a pagina 33)

Voi pensavate che le ronde leghiste fossero state un flop? Errore, quasi sicuramente sono servite per legalizzare qualcosa che non vorrei vedere in giro tra qualche anno.
Questi sono tempi fatti così: si fa un gran parlare di “toghe rosse” e di anarchici, ma il reato di ricostituzione del partito fascista non viene mai perseguito da nessuno, e sull’istigazione al reato di banda armata e associazione militare i risultati sono questi. Vi sentite più sicuri? Io mica tanto...

PS: il titolo che ho messo a questo post non è sbagliato ma è volutamente “fuori tema”: quando si parla dei ministeri da portare in Lombardia, si tratta della classica manovra per parlare d’altro. E’ un po’ la versione politica della tattica usata dai borseggiatori: vi danno uno spintone e vi chiedono scusa, aiutandovi a rialzarvi; e voi magari siete capaci di ringraziarli e di dire che non è successo niente.

sabato 16 luglio 2011

Notizie dagli USA

Due notizie recenti che vengono dagli USA: la prima riguarda la crisi economica dell’orchestra di Philadelphia, che l’ha costretta al fallimento; la seconda notizia è che nello Stato dell’Indiana da oggi in avanti i bambini a scuola non avranno più carta e penna, ma solo il computer.
L’orchestra di Philadelphia è una delle più famose nel mondo: e la conosciamo davvero tutti perché è quella che si esibisce in “Fantasia” di Walt Disney. Ha una storia più che centenaria (111 anni, per la precisione) ed ha avuto alla sua guida alcuni tra i più grandi direttori d’orchestra del mondo: non sto qui a farne la lista completa ma basta cercare su internet per avere altre notizie. Il caso della Philadelphia Orchestra mi ha sorpreso e non poco, ma poi è bastato ragionarci sopra un attimo per capire che non c’era alcuna ragione di stupirsi, ero io che mi ero distratto e non ero stato al passo con i tempi. In USA, e non poteva essere diversamente, sta succedendo la stessa cosa che capita qui da noi: le nuove generazioni hanno perso interesse alla grande musica, e alla cultura in generale. Da sempre ci hanno raccontato le meraviglie dei privati americani, i grandi mecenati che finanziavano teatri, scuole, orchestre, musei; come Peggy Guggenheim, tanto per fare un nome solo. Ed era veramente così, ma evidentemente le cose stanno cambiando. Forse anche i ricconi americani stanno diventando come i nostri e come gli arabi del petrolio, vale a dire che se hanno una decina di milioni da parte li usano per pagare l’ingaggio a un calciatore? E’ presto per dirlo, ma temo che sia proprio così.
L’altra notizia prevede uno scenario ancora più drastico, e cioè il taglio netto non con una storia lunga un secolo ma con una storia vecchia di migliaia di anni, vecchia come l’umanità. Usare il computer al posto della penna significa eliminare l’ultimo residuo di manualità a noi rimasto, o quasi: alle nuove generazioni diventerà difficile non solo fare un disegno anche dei più semplici, o mettere la propria firma, ma anche girare una maniglia. L’unica attività fisica diventerebbe così lo sport, la palestra, il jogging, la mountain bike con il casco il testa, tutto rigorosamente con abiti e attrezzature costosissimi e firmati. Possibile? Io direi che ci siamo già, già la mia generazione quanto a manualità è stata un disastro, adesso andiamo sempre peggio, e il futuro a base di apps e di tastiere virtuali lascia intendere che proprio in quella direzione stiamo andando. Mi permetto di aggiungere: in quella direzione lì c’è un disastro mica da poco.

Non c’è mai stato prima, nella storia dell’umanità, un taglio così netto e drastico con il nostro passato e con le nostre tradizioni; e il taglio con la tradizione e con la nostra storia avviene proprio mentre sono al governo partiti e movimenti che della Tradizione fanno il loro cavallo di battaglia. Paradossalmente, negli anni ’60, gli anni passati alla storia come quelli in cui si contestava la tradizione, Bob Dylan cantava le canzoni tradizionali americane, e tutti gli artisti, anche quelli a prima vista più trasgressivi, avevano radici ben solide nella cultura dei loro antenati. Ma, se si smette di scrivere a mano, se si usa un mezzo elettronico e virtuale invece di penne, carta ed inchiostri, non sarà più così. Che sia un bene o che sia un male lo lascio decidere ad altri (per me è un male), però siamo ormai di fronte al fatto compiuto, la storia va in questa direzione e solo un drammatico colpo alle nostre attuali fonti energetiche potrà cambiare il senso di questa marcia. Già oggi in Giappone e in Cina molti giovani non sono in grado di leggere gli ideogrammi; e anche da noi il corsivo rischia di essere dimenticato in fretta, molti giovani già scrivono soltanto in stampatello.
Il rischio, come è già successo con la tv e con i videogiochi, è perdere la capacità di attenzione e di concentrazione. Per esempio, oggi va di moda “scaricare”: mentre Stanley Kubrick impiegava degli anni a progettare e realizzare un film, io lo “scarico” in venti secondi, salto le parti che considero noiose, guardo un pezzettino qui e uno là, leggo velocemente qualche parere in proposito (quello che mi fa più comodo, naturalmente) e così facendo penso di aver capito tutto, confortato in questo dai pareri di più o meno illustri commentatori che pensano che sia questo il futuro. E’ancora civiltà tutto questo?

Il futuro invece, se si vuol continuare a parlare di civiltà, è nel tornare a insegnare come comprendere un testo, un film o una sinfonia; insegnare ad avere costanza e pazienza, insegnare che un libro di mille pagine vale la pena di essere letto, insegnare che la Quinta Sinfonia di Beethoven non è solo quelle tre note iniziali, insegnare (come si fa coi bambini piccoli) che un acino d’uva non va fatto girare in bocca e poi sputato, se si fa così è solo un oggetto liscio e insapore, l’acino d’uva va morsicato.
Però, alla fin dei conti, questo è solo un post su un piccolo blog, io sono ormai una persona di età avanzata (dai trent’anni in su nessuno più ti offre un lavoro, e io i trent’anni li ho compiuti nel millennio scorso), che fare: in definitiva, sto solo perdendo tempo – mi prendo solo un’altra riga per ricordare che Leonardo da Vinci si fabbricava da solo sia l’inchiostro che le penne, e così si è fatto per secoli. Forse un po’ di fatica è necessaria, forse è necessario continuare a sporcarsi le dita per ottenere qualche risultato.