giovedì 30 aprile 2020

Francesco Guccini canta "Bella ciao"

Le notizie sono due: la prima è che il 25 aprile scorso, Francesco Guccini ha messo on line un video (molto breve) dove canta una sua versione di "Bella ciao" (qui per ascoltare). Un piccolo sfogo, che molti di noi condividono e che ha causato una risposta piccata da parte di una esponente del centro destra. La seconda notizia riguarda la stessa esponente del centro destra che in questi giorni, insieme ad altri più o meno nostalgici della dittatura, ha preso posizione contro il governo definendo anticostituzionali i suoi provvedimenti contro il corona virus. Se ne può discutere, per intanto prendo atto (ed è una cosa che andrebbe sottolineata) che c'è chi contesta il 25 aprile e si dichiara disturbato da "Bella ciao", ma nel contempo si erge a difensore della Costituzione nata proprio da quel 25 aprile del 1945. Due ipotesi: o si sono finalmente convinti che la Costituzione è bella e giusta, oppure (molto più probabile) stanno mentendo con molta spudoratezza.

A me sarebbe piaciuto che qualcuno, davanti al commento di Giorgia Meloni, avesse ricordato che lei e la sua parte politica sono responsabili della perdita di efficienza della Sanità pubblica a favore di privati, e che sono stati al governo con Formigoni & Co.
Sorvolo, perché il discorso sarebbe lungo e penoso (Roberto Formigoni, presidente per quindici anni della Regione Lombardia, ha subìto una condanna definitiva a cinque anni di carcere proprio per questioni legate alla Sanità: ma non governava da solo) e torno per un attimo a Francesco Guccini. Immagino che Guccini abbia deciso questa sua uscita anche per via dei ripetuti tentativi di appropriazione delle sue canzoni da parte di simpatizzanti di Casa Pound e Forza Nuova (che non hanno dunque capito niente di Guccini), e quindi lo capisco. A Guccini, e a noi tutti, vorrei però ricordare (spiace farlo) che tra due anni sarà il centenario della marcia su Roma. Potete starne sicuri, canteranno dappertutto Giovinezza e Faccetta nera, o ci proveranno, e la scusa sarà la compensazione - ma compensazione per che cosa? O si difende la Costituzione, o si canta Giovinezza e Faccetta nera: questi si nascondono dietro il tricolore dimenticando i morti e le rovine lasciate dai fascisti, l'Italia distrutta del 1945, la fuga degli istriani dopo che i fascisti persero una parte d'Italia, anche la tragedia delle foibe non sarebbe successa senza la RSI. Ma si può ancora seguire la logica, ragionare e discutere, di questi tempi?

PS: intervistato dal "Corriere della Sera" per il suo compleanno (auguri!) Guccini spiega:
- L’hanno criticata per la sua versione di Bella ciao, in cui si augura che i partigiani portino via Salvini, Berlusconi e la Meloni. Che le ha risposto: dove ci vorrebbe portare Guccini?
«Hanno la coda di paglia: subito hanno pensato a piazzale Loreto. Ma io non avevo intenzioni malevole. Mi basta mandare Salvini al mare con il mojito, e restituire Berlusconi alle sue tv e alle sue fidanzate. Nel frattempo la Meloni potrebbe spezzare le reni alla Grecia».
(dal Corriere della Sera 7 giugno 2020, per gli ottant'anni di Francesco Guccini)

sabato 25 aprile 2020

«Nuova normalità»


1) Quell'apparecchio, che veniva chiamato teleschermo, si poteva abbassare di volume, mai annullare del tutto.
2) Lontano, un elicottero volava fra un tetto e l'altro; se ne restava librato per qualche istante come un moscone, e poi saettava con una curva in un'altra direzione. Era la squadra di polizia, che curiosava nelle finestre della gente. Le squadre non erano granché importanti, tuttavia: quello che soprattutto contava era la polizia del pensiero, la cosiddetta Psicopolizia.
3) Si doveva vivere, o meglio si viveva per un'abitudine che era infine diventata istinto, tenendo presente che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto.
(George Orwell, 1984, le prime tre pagine)
Nella cosiddetta "fase due" del periodo del Covid-19 dovremo dunque andare in giro con le mascherine sul volto, e con una "app" sullo smartphone che segnali tutti i nostri movimenti: alla tv, sui tg Rai, questa viene definita "nuova normalità". Siamo dunque ben dentro alla "neolingua" immaginata da George Orwell settant'anni fa: inventarsi una frase come "nuova normalità" è soltanto ipocrisia, perché la normalità consiste nell'andare in giro senza mascherine, nell'abbracciarsi, nello stringersi le mani. Il resto sono balle, invenzioni linguistiche senza senso, l'ennesima trovata degli inventori di slogan pubblicitari che ormai hanno invaso ogni nostra comunicazione. Che mai significa "nuova normalità"? (sarà come questa, magari) E che dire dell'altro slogan, "andrà tutto bene"? Ci sono 500 morti al giorno, da due mesi in qua: andatelo a dire ai parenti delle vittime che andrà tutto bene e vediamo cosa vi risponderanno.

Meno male che c'è il Papa a ricordarlo, ancora una volta papa Francesco dice le cose come stanno: la normalità è nel contatto umano, in un sorriso, in un abbraccio. Il resto sono balle, ipocrisia: stiamo vivendo un periodo di emergenza, prendiamo i provvedimenti più adatti e speriamo che passi presto, che si possa tornare presto alla normalità - quella senza aggettivi, per piacere. Confesso che sono molto più preoccupato del "dopo" che non del virus in sè. Siamo in un periodo molto delicato, è la democrazia stessa ad essere in pericolo. Oggi è il 25 aprile, la democrazia non è stata un regalo ma una conquista; l'auspicio è di non perdere questi ultimi 75 anni di pace e di buona convivenza, ma quello che vedo e ascolto non mi dà molte speranze.
 
La gente semplicemente non capisce, pochi hanno letto Orwell (1984) e Huxley (Brave new world) e anche tra quelli che li hanno letti pochi hanno capito. Le nuove tecnologie sono belle ma molto pericolose; in ballo c'è proprio la normalità, e la democrazia che della normalità fa parte.
Gli imbonitori non mancano: una notizia recente circola a proposito di Google view, con un giovane uomo che dice "ho rivisto mio padre": morto sette anni fa, il padre di quest'uomo era stato immortalato su Google View e non è mai stato cancellato. Le nostre immagini, riprese e mandate in diretta, dunque non vengono mai cancellate: la violazione della privacy è colossale, ma è così ben cammuffata dal modo in cui è data la notizia che quasi non ci si fa caso. I teleschermi nelle stazioni, il riconoscimento facciale, le videocamere ovunque, gli smartphone, la smart tv che memorizza le nostre preferenze, perfino le bambole che registrano cosa dicono le bambine e lo trasmettono al produttore del giocattolo (per quest'ultima cosa è in corso un procedimento giudiziario in Germania, purtroppo non è una notizia inventata). La scusa è sempre pronta: il terrorismo e la criminalità, adesso anche le malattie, fanno mettere da parte la privacy come cosa secondaria. Del resto, la privacy è stata ridotta a barzelletta da leggi e regolamenti recenti: non ci si può opporre all'invadenza, se non dai il consenso al trattamento dei tuoi dati ormai non puoi fare più niente. Sui siti internet, e purtroppo anche su Raiplay (parte del servizio pubblico) puoi dialogare solo con un tasto con su scritto "ok approvo". O approvi, o sei fuori: e così andrà anche con la app "Immuni".

Altri esempi di neolingua, o di sbadataggine pura e semplice (fate voi): nei corridoi di un ospedale comasco è apparso un cartello con una frase di Paul Claudel: «Quando pensiamo che sia giunta la fine, ecco che un pettirosso si mette a cantare». La metto a confronto con un'altra notizia, sempre dallo stesso giornale (La Provincia di Como) e nella stessa data (21 aprile 2020): a Lambrugo si costruirà un nuovo supermercato, su un'area agricola a cui è stata cambiata destinazione. C'è ancora spazio per i pettirossi? In un servizio recente del telegiornale si mostrava come si stia pensando di sostituire le api con piccoli droni, per l'impollinazione; figuriamoci cosa importa dei pettirossi a chi passa le giornate chino sullo smartphone. E, soprattutto, non sono mica tanto sicuro che i parenti dei morti in quell'ospedale (e in altri) leggano volentieri queste frasi. Per i loro cari, il pettirosso non canterà mai più.
In questi giorni, da lombardo, ho anche scoperto che quelle che io chiamavo ASL, azienda sanitaria locale, sono diventate ATS. La novità è di tre anni fa, ma io non ci avevo fatto caso e ci sono arrivato solo dopo una conferenza stampa del presidente della Regione. La A è rimasta ed è sempre quella, significa "azienda": diventare come delle aziende, che magari fanno profitti, era la parola d'ordine dei Formigoni, dei Berlusconi, dei Brunetta, della Lega. Sono passati più di vent'anni, era già neolingua.
Infine, io non ho uno smartphone. Cosa mi succederà?

martedì 21 aprile 2020

Macbeth con Michael Redgrave

Un pomeriggio ci portarono a teatro, il Re Lear di Michael Redgrave, papà di Vanessa che era allora bambina. Capivo l’inglese di Shakespeare un po’ meglio di quello corrente, ma sempre poco. L’impressione principale fu di una rappresentazione della filodrammatica dei pompieri. Gli attori avevano indosso delle palandrane, delle cappe mimetiche di tela cerata, e cappelli da vigili del fuoco. A un certo punto uno dei vigili cavava gli occhi a un collega.
Tutto sembrava molto goffo, mi riusciva incredibile che la gente potesse non dico apprezzare ma anche solo prendere sul serio questa versione del dramma, questa parodia. Avevo un’idea (come sempre, in parte immaginaria ma che a suo tempo si rivelò vicinissima al vero) della sovrumana grandezza dei testi di Shakespeare, e mi pareva assurda la pretesa di rappresentarli in forme corporee. Sturbare quello sgorgo di quasi comprensibili versi immortali, farne una piccola sagra di gente con le barbe finte, con strane parrucche, o (peggio) col ciuffo dei propri capelli devastato dai tipici tagli inglesi da dopoguerra, specie sopra la coppa... Affidarsi a voci, alcune roche, alcune nasali, a corpi non tutti molto belli o almeno molto brutti: e poi vestire il grande Re a quel modo, quando non era in camicia, in divisa da Vigilanza Notturna!
Luigi Meneghello, Il dispatrio pag20 ed. BUR 2007

venerdì 17 aprile 2020

Millennium bug

Gli storici seri dicono che la paura dell’anno mille di cui si favoleggia ancora (”mille e non più mille”, con annesse profezie millenaristiche) non è mai esistita. Per molte ragioni, due delle quali decisive: la prima è che nell’anno 999 il calendario era ancora molto aleatorio, e la seconda è che la gente aveva ben altro a cui pensare, carestie e guerre e invasioni barbariche comprese.
Comunque adesso siamo nel 1999, e le vecchie storie sono tornate d’attualità. A dire il vero non ci crede nessuno, e non ne parla nemmeno nessuno: come al solito, le chiacchiere in fabbrica vertono sul campionato di calcio, sulla tv, su pettegolezzi vari. Però un problema c’è: bisogna sistemare i computer perché non tutti i programmi sono stati studiati per il nuovo millennio. Per dire: è probabile che 01 sulle date venga letto come 1901, e sarebbe un guaio. E poi c’è il millennium bug, il baco del millennio, il terribile virus informatico che potrebbe scatenarsi alla mezzanotte del 31.12.1999.

Contemplo il vecchio 286 al quale è collegato il cromatografo: lo usiamo pochissimo, la Ditta in questo momento non ha soldi, si è stabilito che il pc è vecchio ma funziona, le analisi vengono bene lo stesso, in futuro se arrivano soldi si vedrà. Nel buco del floppy disk abita un ragno, o forse ci abitava: una volta l’ho visto, c’è ancora la ragnatela, ma chi ha mai messo un floppy disk in quella fessura? Quand’era nuovo, forse – ma adesso?
Eppure eccoli lì, la morettina e l’ex chitarrista (il mio nuovo capo e il responsabile dei servizi generali), ad armeggiare anche intorno a questo antico reperto di fine millennio.
« Mi rac-co-man-do: non spegnete questo computer. Il signor Missoni ha appena caricato l’antivirus, il computer deve stare acceso così l’antivirus può controllare e bloccare in tempo ogni tentativo di aggressione. Non spegnete mai questo computer! Anzi, prendimi un’etichetta di quelle grosse, e il pennarello rosso, e facciamo subito un cartello da mettere qui. Mi raccomando, scrivilo bene in grande: NON SPEGNERE!, col punto esclamativo. No, così è troppo piccolo. Lascia, che lo faccio io.»

Ma io adesso so chi ha ucciso il ragnetto nel buco del floppy: è stato Luca, che insiste a giocare col Tetris su questo pc, che è l’unico non collegato in rete. Beh, il ragnetto è stato poco furbo e se l’è cercata, ma io mi ci ero affezionato, mi piaceva vederlo fare capolino mentre titolavo il monocloroacetato libero. Di sicuro sarò stato travolto e spiaccicato dal floppy disk del tetris, povera anima: per lui la fine del mondo è arrivata per davvero.

PS: intanto, sono passati vent'anni; ripubblico questo raccontino di vita vissuta sperando che vi faccia sorridere. Non fidatevi delle superstizioni, dei venerdì 17, dei cambi di millennio: sono solo numeri che ci siamo inventati noi umani.

martedì 14 aprile 2020

La buretta magica


La béuta è una piccola bottiglia, o bicchiere, fatta un po' come un vaso di fiori. Può essere di varie dimensioni, avere la bocca larga o stretta, avere un tappo smerigliato oppure no: l'importante è che sia comoda, e adatta allo scopo.
La buretta invece è un tubo graduato, molto lungo e stretto, con in fondo un rubinettino, dal quale far scendere a goccia a goccia il reagente (di solito, dentro ad una beuta). Ma questo in tempi antichi: ormai le burette di questo tipo non si usano quasi più, e sono state soppiantate, già a partire dagli anni '70, da un altro tipo di apparecchio: una bottiglia collegata tramite tubicini di plastica a una pompetta a pistone. Il pistone sale e scende, più veloce o più lento, azionato da un pulsante simile a quello dell'autopista; e a fine corsa (di solito 20 centimetri cubi) si ferma e torna a riempirsi, pescando dalla bottiglia che contiene il reagente. E' molto più comodo e più preciso, non richiede una gran manutenzione e c'è un solo problema: che il collega che era in turno prima di te non abbia riempito la bottiglia (ahimé, succede).

Detto questo, penso che invece tutti sappiate cos'è una stagista: è una studentessa (in questo caso è una ragazza, ma può essere anche un maschio) che viene mandata in fabbrica per imparare qualcosa sul mondo del lavoro. Una pratica molto utile, e molto apprezzata; e poi, in questo caso, la stagista è una ragazza molto carina, e il mio collega più giovane (un bravissimo ragazzo) le ha messo subito gli occhi addosso. Il mio collega è molto educato e un po' timido, la ragazza anche. E così, quando ci portano un campione d'impianto, il giovane analista le chiede se vuole guardare mentre si fanno le analisi su quel campione. Detto fatto, eccoli davanti alla buretta automatica (di quelle con lo stantuffo) ad iniziare l'analisi. Il nostro capo, la Dottoressa, è curiosa: e poi questa è un'analisi che sa fare, e vuol darsi un contegno. E' un'analisi a controllo visivo, cioè bisogna aggiungere il reagente al campione fino a cogliere il viraggio, cioè il cambiamento di colore, dal rosa al grigio-azzurro, che indica la fine dell'analisi. Un'analisi di routine, per noi: ne facciamo anche venti o trenta per turno.

- Glielo faccio vedere io, - dice la Dottoressa all'analista - intanto tu vai di là al computer a fare quei certificati, che il magazzino li richiede già da mezzora.
Il giovane analista, forse un po' triste, esegue e si allontana. Intanto arriva il Dottor Biribò: perché questo non è un campione qualsiasi. L'impianto, infatti, ha dei problemi e servono subito i dati: soprattutto quello che deve uscire da quest'analisi che la Dottoressa sta mostrando alla stagista. Ma il viraggio non arriva, eppure abbiamo già messo molto più reattivo di quello che servirebbe.
- Provi un po' a fare il conto, - suggerisce, gentile ma teso, il Dottor Biribò - Dovrebbe venire un valore intorno al 29%.
- Viene 45: è possibile? - risponde dopo un po' la Dottoressa.
- No. - risponde il Dottor Biribò, forse cominciando un po' a sudare freddo. - Forse c'è qualcosa che non va. E' giusta la pesata?
- Penso, - risponde la Dottoressa; e continua l'analisi, mentre il povero Biribò va su e giù per il laboratorio come un'anima in pena, e ha già telefonato due o tre volte in reparto. Finalmente, la Dottoressa si risolve di chiamare il suo sottoposto, che arriva e controlla.
- Non è che ne hai pesato troppo, di campione? - gli chiede un po' stizzita.
- No, Dottoressa: è che la bottiglia è vuota. Stava pompando aria, e non reagente. Non se ne è accorta? Eppure il livello del liquido nella beuta non è aumentato... a quest'ora dovrebbe traboccare. La riempio subito, ma poi bisognerà rifare il fattore...
- Non importa, lasci perdere - dice il Dottor Biribò. - Fate pure con calma, tanto stanno già cambiando produzione. Vi faccio portare il campione direttamente dalla macchina.
E se ne va, stranamente controllato, forse sospirando. Il mio giovane collega comincia a riempire la bottiglia del reagente, assistito dalla stagista. Che è proprio carina: ha un aspetto quieto e intelligente, e - forse per via dei suoi lineamenti ancora un po' infantili - assomiglia a una di quelle belle bambole di porcellana che una volta si mettevano sui letti matrimoniali. Che peccato, che io non sia più tanto giovane...

PS: Magari qualcuno si chiede perché pubblico queste cose, domanda più che legittima. Provo a spiegare: il primo motivo è che mi sono divertito a rileggere, sono passati tanti anni e me ne ero dimenticato ma è un numero comico degno di Stan Laurel & Oliver Hardy. Il secondo motivo, e chiedo scusa se qualcuno si offende, è che vent'anni fa pensavo di essere stato sfortunato e invece stavo assistendo in prima persona a un cambiamento epocale. Dal 1998 in qua, infatti, queste persone hanno cominciato ad assumere posti sempre più di rilievo; i risultati sono sotto i nostri occhi in questi giorni. Per fortuna, c'è ancora molta gente capace, non tutto è perduto.
PPS: per chi avesse equivocato, qui c'è scritto cosa penso delle donne sul lavoro. Questa è una storia vera, vorrei tanto poterla modificare ma così è andata.

venerdì 10 aprile 2020

Il fantasma del maestro Fuscetto

Difterite: la prima volta che ne ho sentito parlare è stata con mia mamma, che negli anni '30 scampò alla difterite. Doveva essere tra il 1936 e il 1939, perché andava già a scuola; rimasero uccisi bambini e bambine che andavano a scuola con lei, o vicini di casa. Anche mia zia, sua sorella maggiore, prese quella malattia ma riuscì a superarla. La difterite è una malattia terribile, ti impedisce di respirare, come uno strangolamento; l'unico rimedio era la tracheotomia, ma bisognava muoversi velocemente. Della difterite non si ricorda più nessuno, è una malattia completamente scomparsa; tutti i nati dopo gli anni '40 sono stati vaccinati contro la difterite, già quando io ero bambino, all'inizio degli anni '60, non se ne parlava più e anche il nome era stato dimenticato. Ho ripensato alla difterite, e al racconto di mia mamma, leggendo su Repubblica del 9 aprile scorso questo titolo che mi ha fatto venire l'angoscia: - “Altro che privacy! Le app per controllare la diffusione del virus? Dovrebbero essere gestite da istituzioni pubbliche e diventare obbligatorie come i vaccini”. Lo dice Shoshana Zuboff sociologa di Harvard, autrice di "Il capitalismo della sorveglianza", libro pubblicato l'anno scorso e che mette in guardia dall'invadenza delle moderne tecnologie. In estrema sintesi, si tratta una "app" da mettere sullo smartphone che certifichi la nostra sanità fisica; in Cina è già in uso, segnala dove sei e chi hai avvicinato, in ogni istante. Premesso che io non ho nemmeno lo smartphone, mi sembra un'idea terrificante.
Le epidemie passano, per una volta mi sento di essere ottimista: tra un anno avremo il vaccino anche contro il Covid-19, già oggi sono state trovate cure che funzionano, e le notizie in merito si trovano su tutti i quotidiani e i tg, con sempre maggiore frequenza. Nel 2021 saremo tutti vaccinati, e molto probabilmente nel 2022 anche il Covid-19 sarà un ricordo; dovremo affrontare altre emergenze, perché stare al mondo non è uno scherzo, ma non è detto che siano necessariamente emergenze sanitarie. E, anche se arrivasse un'altra malattia, non è detto che abbia le stesse modalità di trasmissione: il "morbo del legionario", per esempio, si diffuse attraverso tubature infette, l'Aids attraverso il sangue, e la meningite colpisce a tradimento quando meno te lo aspetti e senza che si sappia da dove è arrivata e perché.

Tra le emergenze da affrontare, una volta sconfitto il Covid-19, c'è certamente quella della sanità mentale: mascherine, guanti, distanziamento sociale e tutte le altre cose che vediamo oggi sono situazioni dovute all'emergenza, ma spero che svaniscano presto così come sono arrivate una volta finita l'emergenza. Se uno si rompe una gamba, per esempio, non è che poi porta il gesso per tutta la vita: lo si porta per il tempo necessario. Il tempo necessario, per guanti e mascherine, può anche essere di diversi mesi; ma poi basta, per piacere, altrimenti si cade in un altro tipo di malattia, ben conosciuta e ben descritta anche nelle facoltà di Medicina. Le cronache degli ultimi anni riportavano casi di donne che avevano l'abitudine di lavare i figli con l'alcool (con conseguente ricovero al pronto soccorso del disgraziato bambino), e i guanti se portati troppo spesso portano a dermatite. Insomma, bisogna saper distinguere tra quando c'è una emergenza e quando dobbiamo vivere la nostra vita; spero che quando sarà finita questa storia si inizi una campagna di pubblicità progresso che spinga la gente a baciarsi, abbracciarsi, stare vicini, stringersi le mani. Questa è la vita, una volta terminata la malattia dovrà essere così, altrimenti che senso ha stare al mondo? Non credo che andrà tutto bene, non lo credo affatto. Il virus verrà sconfitto, ma queste deviazioni dalla normalità resteranno.

Chiudo con un piccolo ricordo personale: nei miei primi due anni di scuola, 1964 e 1965, mi è toccato un maestro che aveva di queste fisime "igieniche". Per lui, tutto il mondo era sporco: se cadeva per terra una penna, la faceva rompere calpestandola e chiamava il bidello per portare via quell'orrore (è successo a me), se cadeva un quaderno lo si faceva lavare con acqua e sapone (il quaderno aveva dentro i compiti, non si poteva buttar via), e altre amenità del genere. I genitori protestarono, per fortuna lui era spesso assente e il programma didattico fu portato avanti da supplenti senza tare mentali, ed è il motivo per cui (ne sono ben felice) nelle foto ricordo che si facevano a scuola lui non c'è. Il suo nome non era Fuscetto, come ho scritto nel titolo, ma molto simile; ho conservato la rima ma ho cambiato una vocale (più improbabile vi sembrerà il nome, più ci sarete vicini). Magari qualcuno se lo ricorda ancora, io purtroppo sì, anche perchè tirava schiaffi agli alunni e si vociferava su certe sue attenzioni sulle bambine. Il fantasma del maestro Fuscetto, dopo così tanti anni, è tornato a visitarmi: auguro a tutti voi che sparisca presto dalle nostre vite, insieme ai guanti, alle mascherine, e alle app di controllo sul telefonino.

AGGIORNAMENTO al 18 aprile 2020: entro in un negozio e trovo un cartello, "lavarsi le mani se non si indossano i guanti". Come se indossando i guanti non ci si potesse mettere le dita nel naso, o chissà in quale altro posto. I guanti, nuovi, andrebbero indossati quando si entra nel negozio, o in farmacia (eccetera), altrimenti che senso ha? Eseguo, prendo la bottiglietta dell'igienizzante (quanti l'avranno toccata prima di me?) e non faccio polemiche, ma almeno qui posso scriverlo: hanno creato un mondo di alienati, ci sarà un gran lavoro per gli psichiatri negli anni a venire.
AGGIORNAMENTO al 29 aprile 2020: finalmente, in tv, qualcuno comincia a far presente che anche i guanti si sporcano, esattamente come le mani. Faccio appena in tempo ad esserne contento, quando ecco (ore 17 circa, su Raitre) che un ineffabile dimostratore spiega come bisogna fare: se entrate al supermercato dovete mettere i guanti (e fin qui, ci può stare) ma poi se volete prendere frutta e verdura oppure il pane dovete indossare degli altri guanti sopra i guanti che avete appena indossato. Non è finita: i guanti vanno smaltiti dentro un sacchetto di plastica, che a sua volta va messo in un altro sacchetto di plastica. Mi immagino che poi si aggiunga di mettere il tutto dentro una serie di sarcofagi di piombo e di seppellire il tutto in un apposito sito di stoccaggio situato sul pianeta numero otto della costellazione di Alfa Centauri. Battute a parte, si potrebbe far notare che fino a pochi anni fa nei supermercati c'era del personale che ci serviva come in salumeria, si indicava cosa si voleva e la persona addetta riempiva sacchetti e contenitori, idem per il pane: queste persone sono state licenziate, sarebbe bello se il lavoro lo facessero loro, in questa emergenza, e non il cliente. Una volta detto che il mondo non è così sporco, e che con le mascherine addosso non si sporca, e che basterebbe disinfettare le mani evitando così di riempire il mondo di plastica su plastica e di lattice su lattice, mi è bastata un'occhiata in giro per vedere, in strada, i guanti monouso buttati dove capita, accanto alle cacche di cane. Prima c'erano per strada cicche di sigaretta e cacche di cani, oggi abbiamo cicche di sigaretta, cacche di cane, e guanti monouso. Così va.
AGGIORNAMENTO al 15 maggio 2020: cominciano a vedersi, sempre più frequenti, articoli e interviste che parlano in toni allarmati dello smaltimento di guanti monouso e mascherine. E' quasi tutta plastica (i guanti dei supermercati, per esempio), lattice, fibre sintetiche (quindi ancora plastica). La situazione rischia di divenire allarmante, non solo in terra ma anche nell'acqua, nei fiumi, nei mari, nei laghi, e presto anche nelle falde acquifere dove prendiamo l'acqua potabile. Ci sarebbe una soluzione da applicare subito: servono davvero i guanti monouso? Servono sicuramente nelle corsie d'ospedale, ma per il resto ho molti dubbi. Il più delle volte, per esempio entrando in un negozio o in farmacia, basterebbe una goccia di gel disinfettante.

lunedì 6 aprile 2020

L'obbligo della mascherina (che non c'è)

L'ordinanza della Regione Lombardia sull'obbligo della mascherina anche all'aperto ha qualcosa di surreale: le mascherine non ci sono. Non ci sono da sempre, da subito, fanno fatica ad averle anche i medici e gli infermieri. In farmacia non si trovano, e se si trovano sono del tipo molto simile a quelle che si fabbricano in casa. Nel frattempo, sono morti ottanta medici e molti infermieri. A me è parsa surreale anche l'intervista tv alla dottoressa di Parma, sicuramente molto competente, che ha difeso l'ordinanza del govermatore Fontana: la dottoressa ha detto che il fatto che le mascherine non si trovano non è un'osservazione scientifica, ed è ovviamente vero - ma se le mascherine non ci sono, che si fa? Sui giornali on line trovo anche il video - curioso anche questo, date le circostanze - del chirurgo che spiega come sono le mascherine e le definisce altruiste, egoiste, perfette. Altri servizi giornalistici spiegano la differenza fra i vari tipi di mascherina, con dettagli tecnici come se fosse una gara di Formula Uno. Ma le mascherine non si trovano, cosa sto a perdere tempo con questi video e con questi servizi. Piuttosto, dato che di mascherine da chirurgo, con i filtri, ne vedo parecchie in giro, mi piacerebbe sapere come mai queste persone le hanno, dove le hanno ordinate, quanto le hanno pagate, come mai loro le hanno e i chirurghi e gli infermieri fanno fatica a trovarle. Più interessante la lezione di un'altra dottoressa sull'uso dei guanti: dato che ci sono passato anch'io sul mio posto di lavoro, mi permetto di mettere un link a me stesso - non da esperto, ma come esempio vita vissuta. I guanti si sporcano, proprio come le mani nude, e andrebbero cambiati o lavati ogni volta.

E' una deriva che è iniziata un quarto di secolo fa, o anche prima, con Margaret Thatcher, con Ronald Reagan: i tagli alla Sanità pubblica, a favore dei privati (che vogliono farci soldi, come se fosse una fabbrica) purtroppo poi seguiti anche da persone non dello stesso schieramento (Tony Blair, per esempio, o Ignazio Marino). Gli ospedali nuovi messi in piedi a tempo di record, quello degli alpini a Bergamo e quello alla Fiera di Milano, non sarebbero stati necessari se non fossero stati chiusi decine e decine di "piccoli ospedali" negli ultimi quindici o vent'anni.

Intanto, penso a me stesso in giro per le strade del mio paese alle sette e trentacinque del mattino, nessuna persona in giro nel raggio di trecento metri. Mi metto la mascherina, quella che ho recuperato, quando entro nel negozio o nella farmacia: in un ambiente chiuso, davanti a persone che stanno lavorando. Capisco che a Milano sui navigli o in corso Buenos Aires o a via Padova sia diverso, ma che senso ha mettersi la mascherina quando non c'è nessuno in giro?
Concludo dicendo che non ho mai votato per Formigoni (governatore della Lombardia per 15 anni di fila, oggi in galera), non ho mai votato per Maroni (governatore per 5 anni), non ho mai votato per Attilio Fontana (governatore oggi, e autore di questa ordinanza). Non ho mai votato per loro e ne sono orgoglioso, ma purtroppo non è servito a niente.
PS: chiudo con una notizia che riprendo al volo dalla radio: le mascherine che verranno distribuite nelle farmacie sono sei milioni, gli abitanti della Lombardia sono dieci milioni, le mascherine sono monouso.

AGGIORNAMENTO al 20 maggio 2020: la nuova ordinanza di Fontana è l'obbligo dei guanti sui mezzi pubblici e in altri posti. Ovviamente, sono spariti i guanti monouso dai negozi: che sia una specie di bacchetta magica? Suggerisco a Fontana di rendere obbligatorie le zanzare con un'ordinanza, magari funziona per davvero...

sabato 4 aprile 2020

Smart working


La notizia è questa, ai primi di marzo: diversi governi hanno chiesto a Netflix di abbassare la qualità dell'alta definizione con cui trasmette i suoi film, perché con la situazione successiva al Covid-19 la rete è stata intasata da un'enorme quantità di chiamate e c'è il rischio di una saturazione. Nelle settimane successive, è il governo francese a chiedere alla Disney di fare altrettanto; e la Disney rimanda il lancio del suo nuovo canale on line.

Sono due notizie che sono subito scomparse dalle prime pagine, nascoste non solo dal Covid-19 ma anche dall'entusiasmo per lo smart working e per le lezioni on line degli scolari e degli studenti obbligati a rimanere in casa. E' un entusiasmo che ritrovo anche in molti articoli e commenti sugli acquisti on line invece che in negozio, con commenti del tipo "siamo in un momento difficile ma abbiamo finalmente sbloccato il progresso che prima era bloccato da troppe remore". Mi permetto di dire che sono commenti molto superficiali, e anche pericolosi. Pericolosi innanzitutto perché si dà per scontato che potremo contare in ogni momento sull'energia elettrica, quando invece ci sono già stati importanti e paurosi blackout in città e luoghi importanti (New York, il Canada, l'Australia, l'Italia stessa); perché in molte zone la rete è ancora irraggiungibile, perché la "fibra" da noi è appena agli inizi, perché c'è chi non può permettersi di spendere soldi per uno smartphone o per un tablet, per tanti motivi - non ultimo dei quali la posizione dei lavoratori in questo contesto. Per esempio, la consegna di merci on line è legata ai "corrieri", quasi sempre malpagati e spesso pericolosi nelle loro corse in strada (fare in fretta è la loro consegna, "a qualsiasi costo"), e il lavoro di chi è a casa e fa smart working rischia di non avere orari e di protrarsi sulle intere ventiquattro ore (provate a chiedere agli insegnanti). Ma, soprattutto, chi parla così dimostra di ignorare completamente cos'è una merce: dietro la pizza che avete ordinato ci sono campi coltivati, stagioni, grandinate, sfruttamento dei lavoratori, pesticidi, sementi modificate, e lo stesso discorso vale per qualsiasi cosa si comperi (la guerra per il coltan che ha causato milioni di morti, lo sfruttamento schiavistico nelle miniere) sulle quali non si può sorvolare con tanta facilità. Sono ormai parecchi mesi che non piove, in che condizioni è il Po? Ho provato a fare una ricerca on line: le ultime notizie sulla siccità e sul livello dell'acqua nel Po risalgono a febbraio, poi nessuno se ne è più occupato. Riusciranno a fare il raccolto, gli agricoltori padani? Se non ci riusciranno, continueranno i canadesi e gli ucraini a venderci il frumento? E se ricomincia a piovere, ci saranno ancora disastri ed alluvioni come negli ultimi anni? In che condizioni è il nostro territorio?

Sono tutte domande che fanno paura, lo so e vorrei evitare di parlarne ma l'atteggiamento di chi mi sta intorno è tutt'altro che rassicurante e mi spaventa osservare che nessuno si pone questi problemi. Della diffusione dei virus, rapida a causa della globalizzazione, si parlava già trent'anni fa, al tempo dell'Aids. Il sistema che stiamo preparando per il dopovirus è molto fragile, senza contare che ci rende tutti soggetti ad essere spiati e controllati; ma questo è un altro discorso importante e che richiederebbe molto spazio, perciò mi fermo qui e aggiungo solo una cosa: preparatevi al ritorno delle vecchie tipografie degli anni '50, torneranno utili. Spero che chi ne possiede ancora una la tenga in ordine, funzionante, con buona provvista di inchiostro e con carta abbondante: è probabile che il futuro passi ancora da lì, più che dallo smart working. (Ovviamente, mi auguro di sbagliare)

PS: ci siamo già dentro: due governi europei stanno prendendo pieghe autoritarie, in Slovenia e in Ungheria, e le "app" sullo smartphone sono uno dei punti di forza di questa svolta. Spionaggio, così potente da far impallidire il ricordo di cosa succedeva in Germania Est. Il virus passerà, ma queste cose rimarranno ed è anzi probabile che vengano potenziate.