sabato 28 luglio 2012

Pubblicità 27

Uno chef che ti consiglia l’acqua da bere? Ma via, non scherziamo: l’acqua è per definizione inodore, insapore, incolore. Lo spiegano anche a scuola, dovrebbero saperlo anche i bambini di prima media; e invece no, la pubblicità è implacabile, quando c’è da diffondere una scemenza eccola sempre in prima linea. A volte sono scemenze innocue e divertenti, altre volte no.
Questa storia di far passare l’acqua minerale come prodotto di lusso, con bottiglie di lusso, etichette inventive, roba da iniziati, è iniziata da un po’ di tempo (anche nei ristoranti, mi dicono) e non riesco proprio a mandarla giù. L’acqua minerale, l’acqua gassata, io l’ho sempre vissuta come qualcosa di casalingo, di familiare: roba da bambini, sempre meglio che bere bibite zuccherate. Invece adesso me la vogliono imporre come roba di lusso, e io mi chiedo quando finirà questa valanga di xxxxxxx che è iniziata negli anni ’80 (il periodo dei “paninari”, oggi quarantenni al potere) e che sembra non finire mai.
Una delle ultime invenzioni dei pubblicitari è “La litro”: la bottiglia di design particolarmente figo (chiedo scusa per il termine, mi sto adeguando al livello mentale dei paninari e dei loro discendenti), sempre per l’acqua minerale. Vale a dire: vi vendo la bottiglia, anche perché dentro c’è solo acqua; e l'acqua, gira e rigira, rimane sempre acqua, comunissima acqua.
Bisognerebbe fare un falò di tutte le etichette dell’acqua in bottiglia, e rivedere le poche cose che vi dovrebbero essere scritte. C’è un solo dato che dovrebbe essere evidenziato: quella che i chimici chiamano DUREZZA. Durezza, cioè il contenuto di sali: espressa in gradi francesi (o gradi tedeschi, un calcolo matematico leggermente diverso), è una scala semplicissima. Al grado zero c’è l’acqua distillata; intorno a 8 c’è l’acqua più leggera, come la Fiuggi (ma ce ne sono molte paragonabili); intorno al 20 c’è l’acqua mediamente mineralizzata; intorno a 40 gradi francesi le acque più dure, come Ferrarelle, Uliveto e Rocchetta.
Sono tutte acque buone, potabili. Inodori, insapori, incolori. La differenza è questa: se avete corso e sudato molto, meglio un’acqua a 40 gradi francesi; se invece andate soggetti a calcoli renali e renella (come me, detto per inciso) è più indicata un’acqua a 8 gradi francesi. In mezzo, tutte le altre acque: che sono sempre inodori, insapori, incolori – alla faccia dello chef della pubblicità.
Il discorso cambia con le acque termali, che possono avere un sapore (solforose, ferruginose, eccetera), ma alle terme ci si va su consiglio del medico.
Tutte le altre cose che trovate sulle etichette vanno inserite in queste due categorie: 1) informazioni utili e interessanti ma non essenziali, come l’analisi completa dell’acqua. 2) fesserie e stupidaggini inventate dai pubblicitari.
Nella categoria delle definizioni interessanti ma non essenziali metterei anche la dizione “acqua minerale naturale”: se ci si sofferma un attimo sul significato delle singole parole, si comprende presto che è una definizione che va benissimo anche per l’acqua del rubinetto. Accanto alla durezza, andrebbe indicato soltanto se l’acqua è gasata oppure non gasata.
Quanto al “batteriologicamente pura”, ok, lo scrivano pure: ma, santo Cielo, davvero c’è qualcuno disposto a imbottigliare e mettere in commercio un’acqua contaminata dal colera o dalla salmonella?
Volendo poi buttare tutto in politica (ma qui è Politica con la P maiuscola) è il caso di ricordare che un anno fa c’è stato il referendum sull’acqua potabile, e l’assoluta maggioranza degli italiani ha votato per l’acqua come bene pubblico, non in mano ai privati. Invece le notizie recenti sono cose come queste: le terme di Fiuggi vicine al fallimento, ore e ore di costosissima pubblicità in tv, e la sponsorizzazione milionaria di squadre di calcio da parte di marche d’acqua in bottiglia. Tutti quei soldi, con l’acqua di fonte?
Mi vengono tante altre cose da dire, ma a questo punto è meglio se mi fermo: mi sto muovendo in acque pericolose (minerali, ma pericolose). Insomma, qui in giro c’è gente permalosa, non ho soldi per pagarmi gli avvocati, e in fin dei conti sono solo uno sfigato di mezz’età che scrive su un blog, mezzo antiquato e fuori moda: abbiate pietà di me.
le immagini: Ziche e Minoggio, dal mensile Linus (anno 1988); dalla rivista Esquire (1957, http://mudwerks.tumblr.com/ ) e dalla Settimana Enigmistica (http://www.aenigmatica.it/  )

mercoledì 25 luglio 2012

Plastilina

Ma poi di cos’era fatto il pongo? Da bambino me lo sono chiesto molte volte, nessuno mi ha mai dato una risposta precisa e mi sono dovuto tenere la curiosità per tutti questi anni. Anche perché, confesso, al pongo ho smesso di pensare da tempo immemorabile (purtroppo, come scultore-modellatore non valgo proprio niente).
E poi c’era un’altra parola misteriosa: “plastilina”. Io giocavo col pongo e col das, a scuola ci avevano fatto toccare e usare perfino la creta, quella vera degli scultori, ma “plastilina” non l’avevo mai capito, boh: pensavo a qualcosa di simile al pongo, ma più lucido, che non si appiccica. Poi mi avevano spiegato, “pongo” è un nome commerciale, è il nome che quella ditta lì ha messo alla plastilina. E dunque, esistevano altre specie di pongo, probabilmente in zone del mondo ancora inesplorate (non da me esplorate, intendo).
Comunque, eravamo sempre fermi lì, alla domanda da cui ero partito: di cos’era fatto il pongo? Passi per il das, che ha un po’ il colore della creta e della sabbia e quindi si capisce abbastanza, ma il pongo? Una roba molle e anche dura, che lo lavori, lo rilavori, gli dai sopra una manata quando non ti viene come vorresti, che i colori poi si mischiano e non è più bello, che poi ti sgrida la mamma perché va a finire per terra e poi lo pesti e lo trascini in giro per tutto il pavimento sotto la suola delle scarpe fammi vedere guarda che roba non potevi starci attento, e poi sotto le unghie che s’infila dappertutto e non va più via e sembra che non ti lavi da un mese!
Finalmente, oggi, è arrivato il mondo di internet. Su internet si trova una spiegazione per tutto, o quasi.
da http://www.wikipedia.it/
La plastilina è un materiale plastico per la modellazione, come il pongo o il DAS, la cui composizione è basata su olio, argilla e cera (senza coloranti ha un aspetto bruno). Alcuni sostengono che la plastilina sia stata inventata da Franz Kolb, poiché nel 1880 vendeva in Germania dei Kunst-Modellierton («argilla artificiale da modellare»), ma, anche se la sua invenzione era simile, la plastilina come la conosciamo oggi è stata inventata da William Harbutt, professore d'arte a Bathampton, nei pressi di Bath (Inghilterra), nel 1897. Dal 1908, la plastilina è stata diffusa in tutto il mondo. La plastilina è usata anche nel mondo dell'animazione: Nick Park ha vinto due premi Oscar per il miglior cortometraggio di animazione con Wallace & Gromit - I pantaloni sbagliati (1994) e Wallace & Gromit: A Close Shave (1996), realizzati in plastilina. Questa tecnica è chiamata Claymation, dalla parola inglese clay, «argilla».
E dunque, “clay”, argilla: mescolata con olio e cere in quantità variabili. Se prevale la cera, è il pongo; se prevale l’argilla, è il das (che lasciato lì poi si secca e si può dipingere).
Sull’argilla ci sarebbe molto da dire, basti pensare che “clay” è il nome inglese del fango (dell’argilla?) con cui fu creato Adamo, e che l’argilla, nel mondo delle cose inanimate, è in effetti quella che più assomiglia alla vita.
L’argilla sembra davvero qualcosa di vivo: e quindi per le immagini ho scelto qualcosa di vivo, cioè il magnifico Pingu, Wallace and Gromit (bellissimi i primi film, un po’ meno gli altri, ma pazienza), e qui sotto un paio di disegni di Ro Marcenaro, grande animatore di plastiline. Marcenaro qualche anno fa faceva dei disegni su Repubblica per una rubrica di gastronomia, ed erano disegni molto belli. Adesso sul Venerdì di Repubblica non ci sono più, peccato: la rubrica c’è ancora, i disegni no (confesso: buttavo via la rubrica, tenevo da parte i disegni di Marcenaro – ma non ditelo in giro, tra chi scrive sui giornali c’è gente molto permalosa).

lunedì 23 luglio 2012

Profumi e altre cose

La differenza principale tra un profumo e un odore non piacevole sta nella concentrazione e nella diluizione : può sembrare strano ma è quasi sempre così. Del resto, la prima cosa che ti insegnano coi profumi, fin da bambini, è questa: “mettine poco, una goccia”. Un eccesso di profumo è fastidioso, e questo è già un segnale importante.
Sull’origine di molti profumi anche importanti e famosi, sarebbe probabilmente meglio tacere; e infatti così si fa, di regola. Non solo l’origine, a dire il vero, ma anche i metodi di produzione, gli intermedi per arrivare all’essenza che poi troviamo in commercio, sono molto spesso sgradevoli, a volte insopportabili. E’ solo in seguito, con la diluizione e con la miscelazione, si arriva al profumo così come lo troviamo in vendita.
I profumi possono avere tre origini: animale, vegetale, sintetica. Come si può intuire, sono i profumi di origine animale ad essere i più inquietanti come origine; ma anche molti profumi che derivano da fiori ed erbe richiedono come primo passaggio la macerazione, e basta pensare all’acqua dei vasi da fiori per capire che non è che siano sempre cose belle.
Comunque sia, dato che non sono un esperto di profumi (il perché lo spiegherò alla fine del post), preferisco citare una pagina da “La chimica di tutti i giorni” di G. Vollmer e M. Franz, ed. Zanichelli, un libro di divulgazione molto bello e pieno di informazioni utili.
SOSTANZE ODOROSE E PROFUMI
Le sostanze odorose sono composti puri o miscele in grado di stimolare il senso dell'olfatto, cioè dotate di un odore più o meno forte (aromatico, di frutta, di fiori, di resina, di bruciato, di putrefazione). Esistono molte essenze naturali e sintetiche che i fabbricanti di profumi utilizzano in combinazioni appropriate per preparare determinate profumazioni fondamentali. Queste miscele di essenze, che vengono poi usate per la produzione di profumi o acque aromatiche o vengono aggiunte a prodotti cosmetici, sono denominate con il termine comune di «oli essenziali».
La maggior parte dei profumi naturali è di origine vegetale: del milione circa di specie di piante esistenti sul nostro pianeta circa 1700 contengono sostanze odorose sotto forma di oli essenziali, resine o balsami.
Le sostanze di origine animale usate in profumeria sono pochissime, in pratica solo le seguenti: Ambra, dal capodoglio. Muschio, dal bue muschiato. Zibetto, dallo zibetto. Castoreum, dal castoro. Tutti i profumi di origine animale sono costosissimi per la difficoltà di estrazione o per la rarità dell'animale.
Le essenze vegetali vengono ottenute da corteccia, fiori, foglie, radici o altre parti vegetali per estrazione, spremitura o distillazione in corrente di vapore. Possono anch'esse risultare talvolta molto costose, quando per esempio sono contenute nelle piante solo in piccola quantità o se sono straordinariamente delicate e relativamente poco stabili, per cui il loro isolamento avviene con rese molto basse. Al giorno d'oggi vengono prodotte anche molte sostanze odorose sintetiche. Si può trattare di componenti aromatici naturali prodotti per sintesi diretta, o di sostanze caratterizzate da un profumo molto simile a quello di sostanze naturali, o infine di entità olfattive del tutto nuove che non si riscontrano in nessuna sostanza naturale.
Sostanze odorose naturali, animali e vegetali:
Animali
Ghiandolari e derivanti da secrezioni animali: Ambra, Castoreum, Muschio, Zibetto.
Vegetali:
1) Spezie 2) Balsami, resine resinoidi (estratti purificati solubili e concentrati) 3) Oli essenziali estratti da radici, cortecce, foglie, frutti, semi 4) Essenze floreali. Ottenute per estrazione, enfleurage, macerazione o assorbimento.
Sostanze odorose sintetiche
Isolate e semisintetiche: Anetolo, Anisaldeide, Borneolo, Canfora, Carvone, Citrale, Citronellale, Citronellolo, Eugenolo, Geraniolo, Eliotropina, Ionone, Mentolo, Rodinolo, Timolo, Vanillina.
Chimiche: 1) Idrocarburi. Composti principali: bromostirene, p-cumene, difenilmetano, idrocarburi terpenoidi (terpene, sesquiterpeni, per esempio azulene, cadinene, limonene, pinene). 2) Alcoli. Composti principali: 2-ottanolo, alcol benzilico, alcol feniletilico, alcol cinnamico, alcoli terpenoidi (citronellolo, farnesolo, geraniolo, linalolo, mentolo, nerolo, terpineolo). 3) Aldeidi e acetali. Composti principali: metilnonilacetaldeide, aldeide undecilenica, aldeide amilcinnamica, anisaldeide, benzaldeide, eliotropina, fenilacetaldeide, aldeidi terpeniche (citrale, citronellale, geraniale, idrossicitronellale), acetali (dimetilacetale dell'aldeide fenilacetica). 4) Chetoni. Composti principali: benzalacetone, chetoni terpenici (canfora, irone, gelsomino, ionone, fencione). 5) Fenoli ed eteri fenolici. (anetolo, eugenolo, timolo). 6)Acidi ed esteri. Un numero straordinario di sostanze fragranti: benzilacetato, bornilacetato, eptinoato di metile, isobornilacetato, salicilato di isoamile, salicitato di metile, terpinilacetato, vetiverilacetato. 7)Lattoni. Composti principali: ambrettolid, cumarina, exaltolid. 8) Altri composti: antranilato di metile, essenze di muschio sintetiche, indolo, scatolo.
Sono in commercio anche essenze floreali artificiali, “essenze di fantasia” ottenute per miscelazione.
(da “La chimica di tutti i giorni” di G. Vollmer e M. Franz, ed. Zanichelli).

La prima osservazione che mi viene da fare, dopo la lettura di questa tabella, è questa: che non solo i profumi e gli odori, ma anche i sapori sono stati riprodotti chimicamente, per sintesi. L’industria li produce da tempo: se mangiate una caramella alla frutta e pensate che ci siano veramente dentro banane, fragole, aromi, quasi sempre siete in errore: si tratta di quelle stesse molecole che sono all’origine di sapori e profumi, ma riprodotte in fabbrica. Di solito, sono del tutto innocue: i chimici del Novecento sono riusciti a smontare e rimontare perfettamente quasi tutti gli aromi presenti in natura. Si può far caso ai nomi dei composti: “terpene” è il nome chimico degli oli essenziali contenuti negli agrumi, “metile salicilato” era l’odore caratteristico delle pomate per i massaggi muscolari (molto forte e caratteristico, non credo che oggi si usi ancora), i composti che iniziano con “citro” rimandano ancora agli agrumi, altri nomi come geraniolo o vanillina (composti di sintesi) dovrebbero suonare familiari. “Lattone” è invece un termine strettamente chimico, niente a che vedere con il latte.
Un’altra cosa che forse non si è capita bene (e un po’ mi dispiace doverla sottolineare, ma pazienza) è che per quasi tutti profumi di origine animale, compresi i più famosi come il muschio, si fa ricorso ai mustelidi: insomma, la puzzola e i suoi parenti, come lo zibetto. Diluendo la secrezione delle ghiandole che danno in cattivo odore a questi animali, si ottengono dei profumi.
Un capitolo a parte si merita l’ambra grigia: “L'ambra è una secrezione patologica del capodoglio”, dice il libro che ho citato qui sopra; per altri dettagli rimando a Herman Melville e al capitolo di Moby Dick dove è descritto nel dettaglio come si arriva a questa preziosissima e rarissima essenza (ma è roba per stomaci forti, vi avverto).
La descrizione completa del mondo dei profumi è molto lunga, nel libro di Vollmer e Franz (ed. Zanichelli, “La chimica di tutti i giorni”) occupa molte pagine; io mi fermo qui e aggiungo solo qualche altra considerazione o curiosità.
Molti profumi ed essenze non creano di questi problemi, per esempio menta e rosmarino lasciati a macerare rimangono così come sono in natura, con il loro odore gradevole. Ma la Natura fa degli scherzi curiosi, per esempio sappiamo che il fiore più grande del mondo, che cresce in Amazzonia, non ha profumo ma puzza terribilmente di carne putrefatta: questo perché attira le mosche, e non le farfalle. Sono infatti le mosche ad agire da impollinatrici, per questa pianta. Da chimico, lavorando nell’industria dei saponi, ho imparato a capire di cosa si tratta: odore di stearina fusa, il grasso animale in decomposizione, all’inizio, ha questa origine, acido stearico.
Sono invece apparentemente inodori, ma ben percepibili, i feromoni: cioè le sostanze prodotte dal nostro corpo che sono all’origine dell’attrazione sessuale. Queste molecole vengono emesse da tutti gli animali, insetti compresi: esistono infatti delle “trappole a feromoni” che funzionano benissimo, se si intendono catturare zanzare e farfalle. Può darsi che sia in commercio qualcosa di simile anche per gli esseri umani, chissà (bisognerà informarsi).
Concludendo, per chi fosse rimasto curioso, io sono allergico ai profumi. Non tutti, ma ce ne sono molti che mi provocano starnuti e irritazione; non è mai stato un gran problema ma comunque sia il mio naso non va bene per questo mestiere, non per scegliere i profumi intendo. Quand’ero bambino, è stata mia mamma ad accorgersene: era il profumo di una nota saponetta degli anni ’60, e da allora ho sempre adoperato saponette non profumate. Un episodio che ricordo ancora di questa mia allergia ai profumi, è questo: avevo quindici o sedici anni ed ero andato al cinema, a Como; una signora impellicciata che aveva un tantino esagerato con il profumo venne a sedersi di fianco a me. Ormai era tardi per cambiare posto, il film stava per cominciare, la sala era già buia, mi è toccato rimanere lì. Quando sono uscito dal cinema mi pareva di avere il raffreddore, non tanto per gli starnuti quanto per il naso costipato. Per fortuna, è durato poco.
(le immagini vengono da vecchi giornali e riviste, o da siti internet, che oggi non saprei indicare con precisione; la prima immagine in alto è di Boccasile. La foto del mustelide - parente della puzzola e molto ricercato “per il suo olio” - viene dal Venerdì di Repubblica, di qualche anno fa).

venerdì 20 luglio 2012

Vinile

Vinile è un termine chimico, a cui corrisponde una formula chimica precisa che metto, per chi fosse interessato a leggerla, in un’immagine qui a fianco. Si tratta di un “radicale libero”, espressione che in chimica indica qualcosa che da solo non sta in piedi, e che reagisce immediatamente con gli elementi e le sostanze che gli sono vicine. In natura, la molecola del vinile non esiste: i suoi singoli atomi sono presenti in natura (nella formula qui sopra, tre atomi di Carbonio e cinque di idrogeno, con un doppio legame fra i due atomi di Carbonio), ma si tratta, detto molto in breve, di un intermedio che l’industria utilizza per arrivare a produrre qualcosa d’altro. Per la precisione, materie plastiche: polivinilcloruro (PVC), vinile acetato, propilene, esteri acrilici, e altro ancora. Insomma, tutte le materie plastiche e le fibre tessili sintetiche più comuni e più usate.
La definizione esatta, presa dalla Garzantina della Chimica, è questa: «Vinile: gruppo insaturo detto anche etenile ... che formalmente deriva dall’etilene per eliminazione di un atomo di idrogeno. E’ presente in numerosi composti detti “derivati vinilici” (...)». Ma qui mi fermo, in chimica il radicale vinilico è molto importante e ci sarebbe da trascrivere quasi tutta l’enciclopedia. Si può aggiungere che molti intermedi derivati dal vinile sono tossici o velenosi, la produzione di materie plastiche derivate dal vinile ha prodotto tra gli operai dell’industria chimica molte malattie e molte tragedie, e ancora ne provoca: ad essere pericolosi sono soprattutto gli intermedi chiamati “cloruro di vinile” e “acrilonitrile”.
L’origine della parola vinile è antica, ottocentesca; in chimica la si dovrebbe ritenere superata, ma molte parole antiche sono rimaste in uso normalmente, anche nella terminologia moderna, e secondo me questa è una bella cosa.
Non so da dove sia arrivata la moda di definire “vinile” il disco a 33 giri, che sarebbe più corretto chiamare microsolco; capisco però che “vinile” è una parola molto più bella, fa fino. Dire “disco in vinile” richiama qualcosa di raro e di prezioso, come dire “in ambra fossile del Baltico”, ma così non è. Oltretutto, come tutte le materie plastiche moderne, il “vinile” (qualsiasi cosa si voglia intendere con questa parola) è entrato in uso e in commercio a metà degli anni ’60, quindi molti dei dischi microsolco che vediamo in circolazione non sono “vinili” ma sono stati fabbricati con altri materiali.
Prima dell’arrivo del cloruro di vinile, del moplen, del polipropilene e di tutte le altre materie plastiche oggi di uso comune, nell’industria discografica si usavano molti altri materiali, soprattutto cere e lacche di origine naturale.
Il primo fonografo di Edison, del 1877, usava cilindri di ottone o di stagno, piccoli cilindri e non ancora il disco piatto. Su lastre metalliche erano stati incisi anche i primi esperimenti di registrazione del suono, a metà ‘800, ad opera di Léon Scott e di Charles Cros: queste registrazioni esistono ancora, ma ascoltarle è sempre stato impossibile. Qualcuno ci prova ancora oggi, ogni tanto, ma senza risultato.
L’invenzione di Edison era quindi una novità assoluta. Dai cilindri metallici, poco maneggevoli, Edison passò presto ai cilindri di cera. Il disco piatto, come lo conosciamo oggi, fu ideato da Emil Berliner un anno dopo, nel 1878; per una decina d’anni i due supporti furono prodotti e usati in alternativa l’uno all’altro, fino alla definitiva affermazione del disco piatto. Le puntine del fonografo di Edison, e poi del grammofono, viste da oggi erano dei piccoli chiodi: il solco nella cera tramite il quale veniva “salvata” la vibrazione sonora era ben visibile, e così sarebbe rimasto fino alla fine degli anni ’40, quando venne introdotto il “microsolco”, che richiedeva puntine molto sottili. Suonando un disco microsolco con i vecchi grammofoni, insomma, si potevano produrre autentici disastri: negli anni ’50 e ancora per tutti gli anni ’60 tutti i dischi nuovi portavano avvertimenti ben visibili, del tipo “usare solo con i moderni apparecchi”, o qualcosa di simile.
Le prime parole incise, con la voce di Edison, furono queste:
«Mary had a little lamb
its fleece was white as snow
and everywhere that Mary went
the lamb was sure to go.»
Una filastrocca per bambini, che si traduce più o meno così: «Maria aveva un agnellino, il suo mantello era bianco come neve, e dovunque Maria andasse l’agnellino era sicuro di andare anche lui» (ovviamente, in inglese e con la metrica giusta la filastrocca suona meglio). La registrazione originale andò presto distrutta, ma Edison ne registrò subito un’altra identica che è arrivata fino a noi ed è ancora ascoltabile.

“Cera” per un chimico è termine molto generico: di che cosa era fatto il cilindro per il fonografo di Edison? Il volume “Stereostory”, del Gruppo Editoriale Suono (pubblicato nel 1984, spero che sia stato ristampato perché è magnifico) mi dà una definizione abbastanza precisa: 40% di cera naturale e 60% di cera da paraffina. Lasciando perdere la definizione chimica di cera, che è molto tecnica e di difficile comprensione (inizia così: “miscela di esteri di alcooli mono o di-idrossilati, della serie degli steroli o degli alcooli alifatici superiori, con un numero di atomi di Carbonio pari e compreso fra 16 e 36...”), viene definito “cera” un composto che ha caratteristiche simili alla cera d’api: quindi, dato che siamo nel 1887, la cera d’api vera e propria o una cera d’origine vegetale.
La paraffina (altro termine molto generico) viene prodotta fin dal 1830; il suo scopritore è il signor Reichenbach, che iniziò a produrla partendo dal catrame di legno. Si può ancora dire, per completezza, che le paraffine esistono anche in natura, e che “paraffina” è anche il nome chimico dato agli alcani (idrocarburi come il metano, per intenderci), ma qui si rischia di fare confusione perciò mi fermo.
Quindi, per i primi decenni dell’industria discografica, le materie prime sono tutte di origine naturale: cere e paraffine. In quegli anni, però, comincia anche la produzione e lo sfruttamento industriale delle lacche e delle resine vegetali; nel 1906 arriva anche la prima materia plastica interamente sintetica, la bachelite .
E’ interessante dare una definizione più precisa al termine “lacca”, che comprende ceralacca, gommalacca, tutte le lacche di origine vegetale. La Garzantina della Chimica la descrive così: “Lacca: termine generico con cui si indicano prodotti di varia natura, di origine animale o vegetale oppure artificiale. La lacca per antonomasia è la “lacca naturale” (o “lacca del Giappone”) che si ottiene sotto forma di succo lattiginoso dalla Rhus vernicifera, una pianta della famiglia delle anacardiacee (...)”
La linfa di questa pianta si secca, creando una pellicola che viene macinata e riutilizzata sia per verniciature (laccature) che per produrre oggetti. Per esempio, molte penne stilografiche sono ancora oggi prodotte in lacca. La caratteristica delle lacche, però, è di essere dure ma fragili: caratteristica che hanno in comune con la bachelite. Ho fatto in tempo a maneggiare i dischi per grammofono, e posso testimoniare: bisognava stare attenti perché si rompevano facilmente. Alcuni dischi per grammofono, i più vecchi, una volta rotti rivelavano un’anima interna: in cartone o in un materiale simile alla masonite, che serviva per dare maggiore robustezza.
Con i dischi degli anni ’50 e ’60, e con tutti i dischi microsolco in genere, i materiali usati erano molto più elastici e il rischio di rottura era minimo; l’unico vero pericolo, oltre ai graffi, erano invece le ditate. I dischi “in vinile” vanno maneggiati con estrema cura, con le mani asciutte, toccando solo il bordo esterno e l’etichetta; quando vedo i rappers o i dj che fanno lo “scratch”, confesso, volto ancora oggi lo sguardo altrove. Inorridisco, insomma: sono trent’anni che non compero un lp, ma ne ho maneggiati tanti e i miei sono ancora come nuovi.
Devo dire infine che nessuno di noi ha mai chiamato gli LP col nome di “vinile”. Il termine usato, quando il disco microsolco era ancora vivo, era quello: LP, long playing; o semplicemente “disco”.
Lp, long playing, significa “a lunga durata”: il termine nasce negli anni ’50, e si riferisce ai dischi grammofonici, che duravano tre minuti. La facciata di un LP durava venti o venticinque minuti, quindi molto di più di un disco da grammofono (e molto meno di un CD o di un lettore mp3, ovviamente). I “giri” sono quelli del piatto del giradischi: 45 giri per una canzone di tre minuti (disco piccolo), 33 giri per un LP, 78 giri per il disco da grammofono. Da bambini ci divertivamo ad ascoltare i dischi alla velocità sbagliata: una voce femminile su un 78 giri, ascoltata a 33 giri, diventava lenta, maschile e cavernosa; viceversa era ancora più divertente, ascoltando un 33 giri alla velocità di 78 giri al minuto, anche un basso profondo operistico prendeva la voce di Topolino. L’unica cosa a cui fare attenzione era quella che dicevo prima: ricordarsi di cambiare la puntina, altrimenti si rovinava il disco.
nelle immagini: Jill Clayburgh in “La luna” di Bernardo Bertolucci, Spencer Tracy in un film del 1940 sulla vita di Edison, un fermo immagine da “Fanny e Alexander” di Ingmar Bergman, la formula chimica del radicale vinilico, un disco pieno di graffi e ditate, un albero di Rhus vernicifera, e una mia antica fotografia fatta apposta per evidenziare il rapporto di reciproco affetto ed immediata attrazione che si esercita fra la carica elettrostatica e la polvere atmosferica.

mercoledì 18 luglio 2012

Creazionismo

Prendere la Bibbia alla lettera, parola per parola: se è la voce di Dio, non si può fare diversamente. E’ questo, in estrema sintesi, il motivo principale che porta al Creazionismo; ed è un ragionamento che può portare ad esiti interessanti, non darei per scontato che si tratti di errore o di faciloneria. Devo dire che mi dà fastidio il tono che finiscono per assumere le discussioni a questo riguardo: da una parte la negazione assoluta, dall’altra la sicurezza assoluta, e così non si va da nessuna parte. E’ invece interessante andare a vedere voce per voce, cercare l’originale (ebraico o aramaico o chissà che cosa), capire se il testo ci è arrivato integro, se ci sono state manomissioni o interpolazioni di altri testi: insomma, un lavoro ben fatto e senza pregiudizi è sempre un’ottima cosa, qui e in ogni altro momento della nostra vita. Non dare mai niente per scontato, contestare anche le cose che si danno per certe, farsi domande che sul momento possono apparire stupide, occuparsi anche di cose apparentemente insignificanti: tutto questo è caratteristico della Scienza. Newton, per esempio, si chiese come mai le cose cadevano verso il basso: una domanda in apparenza stupida, la più stupida possibile - ma questo solo in apparenza.
Spesso l’analisi scientifica porta a strade senza sbocco; altre volte ci vogliono secoli per arrivare a una meta significativa; in questo caso, lo studio della Bibbia e dei libri in generale, abbiamo un’infinità di tempo a disposizione e quindi possiamo perderci anche ad analizzare le sue parti più famose e date come scontate.
Non ho intenzione per oggi di occuparmi della Bibbia dal punto di vista della ricostruzione storica, c’è già chi lo ha fatto e spesso con eccellenti risultati, ma su questi argomenti ci sono già libri, ricerche, documentari filmati. Per esempio, si è già parlato molto della localizzazione precisa del Sinai, o del luogo in cui si arenò l’Arca di Noè, o magari dell’identificazione della narrazione biblica con precisi fenomeni naturali: la discesa della manna nel deserto, l’apertura del Mar Rosso, la trasformazione della moglie di Lot in una statua di sale (carbonato sodico, conseguente alla catastrofe che distrusse Sodoma e Gomorra). Insomma, di queste cose si è parlato molto e si continua a parlare, io vorrei oggi parlare di altro, di analisi e idee che mi hanno colpito e interessato ma delle quali si parla pochissimo.
Per esempio, è molto bella l’osservazione di Joseph Campbell, grande storico delle religioni, che diceva di fare attenzione ai numeri citati nella Bibbia: quasi sempre trovano corrispondenti nei libri sacri di altre civiltà, quindi devono significare qualcosa. La soluzione trovata da Campbell, con l’aiuto di amici astronomi, è affascinante: si tratta quasi sempre di calendari, cicli astronomici. Quasi sempre sono numeri divisibili per tre, o per dodici: la durata di un anno. Ancora oggi, per noi viventi, i mesi sono dodici e le stagioni durano tre mesi; e la durata di un’ora, sessanta minuti, è ancora un multiplo di dodici.
Questi sono alcuni degli esempi portati da Joseph Campbell: si tenga presente che li ho trascritti io da una vhs, quindi se ci sono errori sono sicuramente miei, posso aver fatto degli errori di trascrizione. Si tratta di una serie di conferenze che furono trasmesse dalla TSI, Televisione Svizzera Italiana, nel settembre e ottobre 1995. Campbell inizia il discorso così: «Nel Neolitico la vita scorreva secondo ritmi universali.» E poi prosegue: Campbell cita l’Edda e i cicli indiani e babilonesi del Tempo. Si tratta di un ciclo di 432mila anni, con dieci Re. 4+3+2=9 . Gli stessi numeri si ritrovano in Islanda, in India (nei Purana), e a Babilonia. Campbell parte dal sacerdote caldeo Barassas, che nel terzo secolo descrisse in greco la mitologia di Babilonia (creazione, diluvio). Dieci re in 432mila anni: però nella Genesi c’è Matusalemme con dieci patriarchi tra Abramo e Mosè per un ciclo di 16056 anni. Quindi qualcosa non torna. Campbell chiede quindi aiuto ai colleghi, e scopre che 16056 anni sono 864mila settimane, cioè il doppio di 436. La somma di tutti questi numeri è sempre 9, il numero della dea. La precessione degli equinozi, cioè il suo ciclo completo, fa 25920 anni: diviso per 60 (sessagesimi) si ha ancora 432. Campbell prosegue: nel ritmo del battito cardiaco c’è un battito al secondo; in 12 ore ci sono 432mila battiti. Il ritmo del cuore è in armonia con il ritmo dell’Universo. (eccetera). Anche l’Angelus suona nove volte poi si ripete: cioè 18 volte, 1+8=9. (...) A Creta, l’ascia bipenne rappresenta ancora la Luna, nelle sue fasi. Sul trono del re di Creta c’è la Luna: forse a Creta (società matriarcale) il re veniva ucciso ogni 8 anni, come dal ciclo del pianeta Venere; non esistono raffigurazioni di re anziani. La Luna muore per poter risorgere; forse l’uccisione del Toro prese il posto dell’uccisione del Re. (...) L’osservazione del cielo, che va di pari passo con la scoperta della matematica, è legata a cambiamenti culturali profondi. Si scopre che c’è un ordine cosmico, e a questo punto l’eccezione alle regole diventa qualcosa di aberrante, e non è più un semplice oggetto di stupore.
da “LA TRASFORMAZIONE DEL MITO ATTRAVERSO IL TEMPO” ciclo di conferenze di Joseph Campbell, trasmesse dalla TSI (Televisione Svizzera Italiana) nel settembre e ottobre 1995.
Ci sono altre osservazioni che mi piacerebbe veder riprendere. Per esempio: quando si dice che Adamo fu creato a partire dal fango, dall’argilla, forse ci si riferisce al Carbonio, che è l’unico elemento chimico sulla Terra che dà origine alla vita. E ancora: la nascita di Eva attraverso la costola di Adamo può riferirsi al passaggio dalla riproduzione asessuata (quella dei protozoi) a quella che avviene attraverso l’atto sessuale.
La Creazione comincia con la luce, la radiazione iniziale; solo in seguito viene la materia, la massa: siamo dalle parti del Bosone di Higgs di cui si è parlato molto in questi giorni, “la particella di dio”: la risposta alla domanda “da dove viene la massa” potrebbe essere la risposta alla domanda che si pongono da sempre i filosofi, “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”.
E, per finire, un argomento molto controverso, quello dei “rapporti contronatura” che la Bibbia condanna: la Natura va sempre verso la riproduzione della specie, quindi (anche per un semplice osservatore della vita su questo pianeta) un rapporto sessuale che non abbia come fine la procreazione è sicuramente contronatura. Che poi a noi come individui possa venir comodo o far piacere, è un altro discorso: ma senza fecondazione non c’è vita, e questo mi sembra evidente.
Aggiungerei una riga almeno sui Cabalisti, che leggono la Bibbia nel suo testo originale e non in una traduzione, e vi cercano significati nascosti, crittografie o altro ancora. Anche questo mi sembra un approccio molto interessante, mi piacerebbe poterne capire di più. La condizione fondamentale però è questa: quando facciamo questo tipo di ricerca, siamo davvero sicuri di essere davanti al testo originale?
Tutto questo però ha poco a che fare con il movimento dei Creazionisti, che ha molti seguaci, che in USA è molto potente, e che io – lo confesso - non riesco a prendere sul serio.
Come dicevo all’inizio, capisco le ragioni del voler “prendere la Bibbia così come è scritta”; la stupidità del Creazionismo io la vedo piuttosto in altre cose. Stupidità è per esempio contrapporsi a Darwin, perché Darwin non ha fondato una religione (anzi, era molto religioso ed è sepolto in una chiesa inglese molto importante) e soprattutto perché Darwin si è limitato a fare osservazioni pratiche, a guardare e osservare la Creazione. Per esempio la frase “selezione naturale” nasce dall’osservazione della selezione praticata da millenni dall’uomo con le razze bovine, dei cani , dei cavalli, dei piccioni (in Inghilterra l’allevamento dei piccioni e la loro selezione era un’arte). Ed è un’insopportabile faciloneria pensare che “prendere la Bibbia alla lettera” significhi che Dio ha iniziato a lavorare il lunedì, magari dalle otto alle diciassette, un po’ di straordinario.
Ma forse sono andato un po’ troppo in là, non dovrei fare di questi discorsi che sono di molto superiori alle mie forze; li faccio lo stesso perché ormai non riesco a farne a meno, sono troppo vecchio per smettere di pensarci e ancora troppo giovane per smettere definitivamente di pensare.
Forse la realtà è nel Libro dei Mutamenti, nel senso della materia in continua trasformazione; forse è questa la verità nascosta nella Bibbia, “polvere (fango) siete, e polvere (fango, argilla) ritornerete”. Con l’aiuto di un po’ d’acqua, s’intende.
Circa quattromilacinquecento milioni di anni fa, anno più, anno meno, una stella nana sputò un pianeta, che attualmente risponde al nome di Terra.
Circa quattromiladuecento milioni di anni fa, la prima cellula . bevve la broda marina, le piacque e si duplicò per avere qualcuno da invitare a bere qualcosa.
Circa quattro milioni e rotti di anni fa, la donna e l'uomo, quasi ancora scimmie, si eressero sulle zampe, si abbracciarono e per la prima volta provarono la gioia e il timore di vedersi, faccia a faccia, mentre stavano in quel modo.
Circa quattrocentocinquantamila anni fa, la donna e l'uomo fregarono due pietre e accesero il primo fuoco, che li aiutò a lottare contro la paura e il freddo.
Circa trecentomila anni fa, la donna e l'uomo si dissero le prime parole e credettero di potersi comprendere. E noi siamo ancora a quel punto: a desiderare di essere in due, morti di paura, morti di freddo, alla ricerca di parole.
(Eduardo Galeano, pag.119 di Le labbra del tempo, ed. Sperling e Kupfer)
AMLETO: Credi che Alessandro avesse quest'aspetto sottoterra?
ORAZIO: Proprio cosí.
AMLETO: E puzzava cosí? Puah!(Depone il teschio)
ORAZIO: Proprio cosí, mio signore.
AMLETO: A quali vili usi possiamo ritornare, Orazio! Eccome, non può la nostra immaginazione seguire la nobile polvere di Alessandro finché non la trovi a turare l'orifizio di una botte?
ORAZIO: Ben strano riflettere, riflettere a questo modo.
AMLETO: No, in fede mia, nient'affatto, solo seguirlo fino a quel punto con sufficiente moderazione, e facendosi guidare dalla verosimiglianza; cosí per esempio: Alessandro morì, Alessandro fu sepolto, Alessandro tornò polvere, la polvere è terra, dalla terra facciamo la malta, e perché con quella malta in cui fu convertito non potrebbero averci turato un barile di birra?
(cantando) Cesare imperiale, morto e in argilla volto,
un buco può turare e dal vento riparare.
Oh che quella creta che il mondo atterri molto
debba tappare un muro
e allontanare il vento invernale...
Ma piano, piano un momento, ecco che arriva il re.
(William Shakespeare, Hamlet, atto V scena 1, trad. A. Serpieri, ed. Feltrinelli)
(le immagini vengono dal film di Jim Jarmusch "Dead Man", l'inizio; il dipinto di Delacroix rappresenta la scena dell'Amleto qui riportata)

lunedì 16 luglio 2012

Il bosone di Higgs

Per spiegare che cos’è il bosone di Higgs bisognerebbe cominciare dalla struttura dell’atomo; e se lo facessi davvero dovrei fermarmi subito, sapendo di aver perso per strada i quattro quinti (forse anche i cinque sesti) dei miei potenziali lettori. Le scorciatoie non sono possibili, bisogna proprio passare di lì, dalla struttura degli atomi. Dato che la maggior parte delle persone non ha fatto studi scientifici (c’è anche chi se ne vanta, e chi lo considera come cosa normale, nel senso che solo i pazzi studiano la Natura), già la definizione di atomo o di molecola sarebbe un’impresa, figuriamoci se dovessimo arrivare ai bosoni, agli adroni e ai gluoni.
Tempo fa, per esempio, avevo accennato qui alla difficoltà di parlare dell’Azoto: l’argomento erano le confezioni dei salumi affettati, quindi qualcosa di molto comune, ma al solo nominare l’Azoto (noi passiamo la nostra vita immersi nell’Azoto, per chi non lo sapesse) ho sempre visto attorno a me facce perse, non connesse, sgomente. Figuriamoci quindi cosa potrebbe succedere se ci si mettesse a parlare dei bosoni.
E’ per questo motivo, per la comprensibile e prevedibile difficoltà di parlare di questi argomenti, che mi sono stupito e irritato (più irritato che stupito) nel leggere e ascoltare in questi giorni commenti sul bosone di Higgs, anche da parte di giornalisti e scrittori che reputavo seri, con molte stupidaggini e battute di quart’ordine messe perfino in prima pagina. L’atteggiamento è quello stesso reso famoso da Paolo Villaggio con uno dei grandi capolavori del cinema, "La corazzata Potiomkin" di Sergej Eisenstein: “io non ci capisco niente, e quindi dev’essere una cazzata”. Gli psicologi chiamano questo atteggiamento col nome di narcisismo (“io non lo capisco e non mi interessa, in me finisce tutto il mondo”), io aggiungerei un bel po’ di leggerezza e anche una buona dose di stupidità. Questi atteggiamenti, le battute di spirito sul bosone o sul neutrino o sui nanocurie, sono ben comprensibili e più che perdonabili nel nostro vivere quotidiano, diventano errori grossolani e imperdonabili nelle notizie dei giornali e telegiornali.
Perché poi il mondo, per chi non lo avesse ancora capito, sulle scoperte dei fisici e dei chimici va avanti. E’ vero, hanno nomi difficili e alle volte ridicoli, ma se avete in mano un tablet, se fate una risonanza magnetica, se mandate un sms e se usate i pannelli solari fotovoltaici, lo si deve agli studi dei fisici. Per esempio, qualcuno di quelli che hanno fatto gli spiritosi col bosone e col neutrino sa spiegare come funziona l’apertura automatica delle porte al supermercato? Queste scoperte hanno avuto effetti imprevedibili sulla nostra vita quotidiana, e ne avranno ancora; ma si preferisce far passare per coglioni gli scienziati, così va il mondo.
Tornando a noi, per parlare del bosone bisogna prima conoscere la struttura dell’atomo: fino a tutto l’Ottocento si pensa che l’atomo sia indivisibile, poi si scoprirà che non è così, verranno la bomba atomica e le centrali nucleari, e da allora si scopriranno molte particelle più piccole dell’atomo. Il loro numero è altissimo, impossibile elencarle tutte senza fare un trattato di fisica.
La struttura dell’atomo comincia a capirsi da metà Ottocento, per la precisione dalla pubblicazione degli studi di Mendeleev sulla Tavola Periodica degli Elementi. Dopo i primi tentativi più o meno riusciti, sempre sulla base del Sistema Periodico, nei primi anni del Novecento si arriva a un modello atomico accettabile: un nucleo intorno al quale ruotano gli elettroni. Il nucleo è composto da protoni (carica positiva) e neutroni (senza carica); intorno al nucleo ruotano gli elettroni (carica negativa). Il modello dei pianeti che girano intorno al Sole è tutto sommato accettabile per una prima comprensione; però va detto che nessun professore di Chimica o di Fisica vi darà mai la sufficienza se andate a ripetergli quest’idea di modello atomico.
Oltre a queste tre particelle, neutrone protone ed elettrone, ve ne sono molteplici altre: i neutrini, i quark, i fermioni, i bosoni, i fotoni (la luce, stessa radice greca di fotografia), e poi adroni, gravitoni, gluoni, leptoni, mesoni, barioni...Volete fare delle battute di spirito su ognuno di questo nomi? Prego, è facilissimo: quando arriverà il turno dei fotoni con battute e giochi di parole ci divertiremo un sacco.
Chi scrive da professionista, chi conduce una trasmissione in tv o dirige un sito internet, ha delle responsabilità. Le battute sul bosone, per piacere, facciamole tra di noi, al bar, in mensa, in pizzeria. La scoperta del bosone di Higgs è di quelle che cambieranno il mondo, come accadde con la bomba atomica: da allora, da Hiroshima e Nagasaki, il mondo non è più stato lo stesso.
L’effetto fotovoltaico, per esempio, è ancora collegato al Premio Nobel dato ad Albert Einstein: se avete appena messo i pannelli solari, o se li ha messi il vostro vicino di casa, capirete facilmente che la Scienza, la Fisica e la Chimica, sono strettamente connesse con la nostra vita, e che i noiosissimi scienziati che se ne occupano influiscono sul nostro vivere quotidiano molto più di quasi tutti i politici e gli economisti. Nel bene come nel male, s’intende.
Questo è tutto quello che mi sento di dire, cos’è il bosone di Higgs non l’ho ancora capito bene neanch’io. Di sicuro, l’averlo chiamato “la particella di Dio” non aiuterà a farlo capire, è una bella definizione ma si rischia l’attacco degli integralisti ignoranti.
Metto qui sotto qualche definizione che può essere utile: per esempio la definizione di bosone, che prendo dal Dizionario di Fisica a cura di Corrado Sacchi, ed. Cappelli: «Bosoni: particelle di spin intero, che seguono la statistica di Bose-Einstein e non rispettano il principio di Pauli.»
Lo spin è il movimento di rotazione su se stesse delle particelle subatomiche; Wolfgang Pauli era austriaco, uno dei più grandi fisici del Novecento, premio Nobel nel 1945 proprio per quella scoperta, il “principio di Pauli”, che si riassume così: «Principio di esclusione di Pauli: nello stesso atomo non possono trovarsi due elettroni con tutti e quattro i numeri quantici uguali.» (dal Dizionario Cappelli di Fisica, a cura di Corrado Sacchi – ed. Cappelli 1983)
Il nome “bosone” deriva dal cognome del fisico indiano Satyendranath Bose (1894-1974), nella foto che ho messo sopra; qui vicino invece c'è una foto di Peter Higgs.
Einstein ha legato massa ed energia cinetica, cioè il movimento, nella sua formula più famosa; e a questo punto serve un’altra definizione: «Massa: misura della quantità di materia che compone un corpo. La massa non dipende dalle forze eventualmente agenti sul corpo». (dal Dizionario Cappelli di Fisica, a cura di Corrado Sacchi – ed. Cappelli 1983).
E qui si arriva al punto cruciale, quello che ha portato alla definizione del bosone di Higgs come “particella di Dio”: la massa, cioè la materia. Non più soltanto luce, radiazione, ma la materia: cioè la Creazione, la Natura, noi stessi come presenza fisica e materiale. Comincia così anche la Bibbia: in principio era il Verbo, poi venne la Luce, in seguito tutto il resto, materia compresa.
Il bosone di Higgs è dunque legato, se non ho capito male (anch’io ne capisco pochissimo, lo ammetto), alla presenza della massa: cioè di qualcosa che si può toccare, la materia. è all’origine della definizione “particella di Dio”.
Un’altra questione importante della Fisica è infatti legata alla natura delle particelle, per esempio degli elettroni: sono materia, oppure onde, radiazioni? Gli elettroni sono tra i principali costituenti della materia, quindi la domanda è fondamentale. La risposta, per ora, è questa: alle volte si comportano come materia, altre volte come onde.
In definitiva, dunque, il mondo è soltanto apparenza?
Sulla natura ondulatoria o meno della materia si aprono panorami stupefacenti, che vanno dalle filosofie e religioni orientali (Fritjof Capra, Il Tao della Fisica, ed. Adelphi) fino alla Resurrezione e Trasfigurazione, ma qui mi fermo perché mi sento del tutto inadeguato. In fin dei conti, sono rimasto fermo al mio piccolo diploma di perito chimico, ormai vecchio di quarant’anni, qui ci vorrebbe qualcuno più capace di me e io davanti a questi argomenti così alti e difficili ho già le vertigini da un bel po’, lo confesso. Cedo quindi la parola ad altri, per un’ulteriore appendice che può essere utile; dato che l’amico Qfwfq non è al momento raggiungibile, mi rivolgo a wikipedia.
da http://www.wikipedia.it/ :
In meccanica statistica, la statistica di Bose-Einstein, anche detta distribuzione di Bose-Einstein o abbreviata in statistica B-E, determina la distribuzione statistica relativa agli stati energetici all'equilibrio termico di un sistema di bosoni, nell'ipotesi che siano identici e indistinguibili tra loro. La statistica di Bose-Einstein e la statistica di Fermi-Dirac approssimano la statistica di Maxwell-Boltzmann nel caso in cui siano coinvolte alte temperature o basse concentrazioni. La trattazione quantistica delle particelle si applica quando la distanza tra le particelle si avvicina alla loro lunghezza d'onda termica di de Broglie, cioè quando le funzioni d'onda associate alle particelle si incontrano in zone nelle quali hanno valori non trascurabili, ma non si sovrappongono. Poiché la concentrazione quantistica dipende dalla temperatura, le alte temperature fanno in modo che la maggior parte dei sistemi si collochi entro i limiti classici, a meno che essi abbiano una densità molto alta, come ad esempio in una stella nana bianca.
La statistica di Bose-Einstein è particolarmente utile nello studio dei gas, a differenza della statistica di Fermi-Dirac, utilizzata più spesso nello studio degli elettroni nei solidi. Per questi motivi esse costituiscono la base della teoria dei semiconduttori e dell'elettronica.
I bosoni, contrariamente ai fermioni, non seguono il principio di esclusione di Pauli: un numero illimitato di particelle possono occupare lo stesso stato energetico contemporaneamente. Questo spiega perché a basse temperature i bosoni possono diventare molto diversi dai fermioni; infatti essi tendono ad ammassarsi nello stesso livello di bassa energia, formando ciò che è noto come condensato di Bose-Einstein. La statistica di Bose-Einstein è stata introdotta nel 1920 da Satyendra Nath Bose per i fotoni ed è stata estesa agli atomi da Albert Einstein nel 1924.
Per finire, come facciamo noi umani per vedere i bosoni e i neutrini e tutte queste cose? Uno dei metodi lo ha spiegato in tv Marco Paolini poche settimane fa, al termine del suo spettacolo su Galileo: la rilevazione si fa con pellicola fotografica, un rullino, una polaroid. Sulla pellicola fotografica, nelle giuste condizioni e con le giuste apparecchiature, i neutrini lasciano una traccia che poi va decifrata. Qualcosa di simile accade anche per le altre particelle subatomiche, bosoni compresi.
(nelle immagini, prese da wikipedia e da ritagli di giornali: i due fisici Bose e Higgs, Einstein con Charlie Chaplin, e una foto famosa di Italo Calvino sui tetti di Roma) (l’ukulele atomico viene da http://mudwerks.tumblr.com )

venerdì 13 luglio 2012

Analfabetismo finanziario

Molti commentatori importanti, e anche alcuni ministri in carica (Fornero, Passera, Polillo, Monti, eccetera) concordano sul fatto che troppe persone ignorano i meccanismi della Finanza. Si ignorano perfino i termini della Finanza, i significati delle parole. Davide Romano, su Repubblica della settimana scorsa (l’edizione milanese) si spinge ancora più in là e dice che “l’analfabetismo finanziario è uno dei fattori che generano intolleranza”.
Premesso che la cultura è importante, in ogni campo, e che non si finisce mai di imparare (una vita non basta), devo dire che non sono d’accordo. Una delle cose che più mi spaventano, nella nostra vita quotidiana, è proprio l’estrema complessità e difficoltà delle questioni economiche e finanziarie. Era il caso di rendere tutto così difficile? E’ proprio vero che sia una cosa di cui andare orgogliosi l’arte di redigere un bilancio in modo da renderlo illeggibile ai non iniziati? Un bilancio dovrebbe essere leggibile a chiunque abbia un’istruzione medio-bassa, altrimenti c’è sotto qualcosa che non va. Idem per un contratto, per un’assicurazione, per un finanziamento bancario, per un qualsiasi regolamento (quello delle Ferrovie, per esempio). Troppa complicazione nasconde qualcosa; un contratto semplice e leggibile impedisce di fare troppi imbrogli, un contratto o un bilancio complicatissimo e pieno di voci e di rimandi è il brodo di coltura ideale per ogni tipo di truffa.
Magari mi sbaglio, in fin dei conti io sono davvero e soltanto un analfabeta; ma provo ancora a spiegarmi con qualche esempio.

Molte scienze hanno terminologie complicate, cose che capiscono solo gli addetti ai lavori: ma nella terminologia medica, in chimica, in fisica, quelle parole incomprensibili sono necessarie, non sono gerghi specialistici. La chimica “deve poter indicare con precisione, e possibilmente descrivere, più di un milione di oggetti distinti, poiché tanti sono i composti chimici rinvenuti in natura o costruiti per sintesi” (Primo Levi, “La lingua dei chimici”, dal volume “L’altrui mestiere” ed. Einaudi 1985). Lo stesso discorso vale per la medicina, per l’anatomia: parole come ipotalamo, mesencefalo, emoglobina, metatarso, non sono di facile comprensione ma indicano cose precise, la complessità è inevitabile. “Cloruro di sodio” è il nome del sale da cucina, ma questo nome – che può sembrare difficile – indica con estrema precisione non solo quel sale, ma anche i suoi componenti. Ogni chimico, davanti a parole come “acido acetilsalicilico” o “carbonato di calcio”, può indicare con estrema precisione un oggetto, e anche ricostruirne la struttura, prevederne le reazioni. Per un fisico, parole come gluone o bosone sono necessarie: se non piacciono si può sostituirle con altre, ma sono come i nomi per le persone, ogni nome indica una persona e solo quella.
Si può fare lo stesso discorso per l’Economia? Non ne sono molto sicuro, e molto spesso mi chiedo se l’Economia sia davvero una scienza. Negli ultimi anni si è dato il nome di “scienza” un po’ a troppe cose, la Scienza dovrebbe essere sempre quella che indicò Galileo, non solo teoria ma qualcosa di dimostrabile, un esperimento che tutti possono rifare, e magari contestare, confutare.

Negli ultimi anni, troppe persone si sono presentate davanti alle telecamere con aria sicura, e magari anche un bel po’ arrogante, dicendo che la soluzione era questa e non un’altra. Lo può fare un medico, ad operazione riuscita; lo può fare un chimico, davanti a una reazione riuscita; lo può fare un fisico, quando ha dimostrato la sua teoria e altri fisici l’hanno confermata; ma con l’Economia, di grazia, ne abbiamo sentite di tutti i colori – e risparmio i dettagli.
L’unica cosa che non ho sentito dire, finora, è questa: la crisi attuale è la crisi del Capitalismo e del Liberismo, del mito della Crescita e dello Sviluppo. Dopo il Comunismo, è venuto giù anche il Capitalismo: davvero si pensa che la gente continuerà in eterno a comperare sempre più automobili, lavatrici, televisori, telefonini? Davvero si pensa che sia possibile ogni anno vendere sempre più merce, che non ci sia mai la parola “fine della corsa”? Bisognerebbe prepararsi all’evento, prima che sia troppo tardi; e non è un caso che i Paesi che ci hanno sorpassato in questi giorni, nella classifica dei Paesi più industrializzati, siano quelli dove finora non si erano ancora vendute abbastanza automobili, lavatrici, televisori, telefonini. Cina, India, Brasile...
Analfabetismo finanziario? Sì, grazie, preferisco così, preferisco non essere un mago della Finanza, sono contento di come sono, quantomeno non ho mai fatto del male a nessuno.

«La concertazione fa alzare lo spread»

«La concertazione fa alzare lo spread», ha detto ieri, in estrema sintesi, il presidente del Consiglio Mario Monti. Cioè: ogni volta che Sindacati e Confindustria vanno d’accordo, diventa sempre più difficile collocare i buoni del tesoro. Gli hanno già risposto in molti, c’è la Storia recente che parla, date e persone precise, ognuno avrà la sua opinione ma secondo me in quella frase c’è un errore.
L’errore è questo: “spread” è un termine che si riferisce al debito pubblico. Abbiamo vissuto sui debiti, abbiamo fatto una montagna di debiti, o magari con i debiti ci siamo scavati la fossa: un abisso di debiti.
L’errore sta nel fare i debiti senza poterli pagare. Così si va verso il fallimento, quando fai tanti debiti e non li puoi pagare. Eppure, c’è stato e c’è ancora chi teorizza e approva il fare tanti debiti: il sistema della Banche, i tassi d’interesse, lo spread. Non mi stupisce che al Rettore della Bocconi sia sfuggita questa verità elementare, da almeno trent’anni nelle Facoltà di Economia si insegna tutt’altro, i “derivati” per esempio.
I risultati, oggi li abbiamo tutti sotto gli occhi.

PS: Un abbraccio di cuore a tutti quelli che hanno perso i loro risparmi in questi anni. Se l’Economia l’avesse governata mio padre, o magari mia nonna Giromina, oggi staremmo tutti molto meglio (mio padre faceva l’operaio e non ha lasciato debiti, mia nonna gestiva con ottimi risultati le finanze dell’impresa di famiglia, una fattoria, contadini e allevatori, lavoratori in proprio).
PPS: Mario Monti è stato tra i primissimi sostenitori del governo Bossi-Berlusconi, fin dal 1994.

AGGIORNAMENTO al 22 giugno 2013: sul giornale di ieri (La Repubblica 21.06.2013) leggo un comunicato ufficiale della banca JP Morgan: se la prendono con le Costituzioni Antifasciste dei Paesi dell'Europa, che rendono impossibile ai governi di muoversi come gli pare e piace. Questo significa parlare chiaro: siamo arrivati al punto, è l'antifascismo che disturba, questi signori vogliono proprio la dittatura.

mercoledì 11 luglio 2012

Civiltà e barbarie

“Badante” è una parola nuova. Fino al 1999, o al Duemila, non l’avevo mai sentita dire; poi è stato un fiorire di “badante, badante”, tutti che dicevano “la badante” come se le badanti fossero sempre esistite. Le badanti ucraine, si badi bene: che fino all’inizio degli anni ’90, con l’Unione Sovietica, non avrebbero nemmeno avuto il permesso di uscire dai loro confini. E quindi mi sono chiesto, anch’io un po’ frastornato, ma prima come si faceva?

La risposta la trovo in un mio ricordo personale, che risale a quando avevo 13-14 anni. La mia bisnonna, la nonna di mia mamma, era stata in gran forma fino ai suoi novant’anni; poi si era ammalata e non era più in grado di vivere da sola. Da qui, il ricovero in un piccolo ospedale vicino a casa. Quanto vicino fosse quell’ospedale, ve lo dico subito: ci si andava a piedi.
Io, mio nonno (suo figlio), mia mamma (la nipote di primo grado): dieci minuti a piedi ed eravamo all’Ospedale, dove la mia bisnonna era trattata bene. Mio nonno aveva già settant’anni, non aveva la patente auto, aveva pagato i contributi per una vita intera di lavoro, ora poteva vivere con un minimo di serenità questo momento difficile. Un paesaggio idilliaco, una mia fantasia? Ma no, siamo in Emilia, provincia di Parma, funzionava così. Adesso, la badante è a carico delle famiglie: funziona così, vero?

Il passaggio tra la civiltà e la barbarie io lo misuro anche così, con la chiusura dei piccoli ospedali. Mi dispiace dover constatare che tra chi insiste per chiuderli ci sia anche una persona che stimo molto, il chirurgo Ignazio Marino, parlamentare del PD: tra il chiudere i piccoli ospedali e il ripensare le loro funzioni mi pare che ci siano molte vie di mezzo, molte alternative possibili. E’ chiaro che il piccolo ospedale non può avere le stesse funzioni di quelli grandi, gli stessi macchinari; deve essere, appunto, un piccolo ospedale, pulito e funzionante.
Altrimenti capiterà sempre di più come è successo a un amico di mio padre: la figlia ha avuto un incidente in moto, non grave; l’incidente è successo a pochi chilometri da casa, ma lei e il marito (che guidava la moto) sono stati trasportati fino all’ospedale di Gravedona, che è su per il lago, tra strade impervie e difficili anche per un guidatore abituale. Vale a dire: si costringe un anziano, vicino agli ottant’anni, a prendere l’automobile e guidare per una quarantina di chilometri, contribuendo ad intasare il traffico su una strada già intasata, pur avendo degli ospedali vicinissimi a casa. Il motivo? Risparmiare. Così, per far risparmiare gli ospedali, noi e voi spendiamo i nostri soldi, intasiamo le strade già intasate, paghiamo pedaggi e parcheggi, e magari ci scappa anche qualche multa: come soluzione, direi che è una delle peggiori. Scaricare i costi della Sanità sui cittadini per far vedere che i conti sono in ordine: anche questo è un altro passo verso la barbarie.

PS: a proposito, se avete bisogno del Pronto Soccorso voi siete in grado di distinguere tra un codice bianco e un codice rosso? Io no, io non ho studiato medicina, questa mansione spetta ai medici, ci dovrebbe sempre essere un medico o quanto meno un infermiere a fare queste valutazioni. Troppo facile far pagare il ticket, di dirigenti che risolvono tutto con il ticket e con le multe, chiudendo le strutture e licenziando il persone, ne trovo quanti ne voglio e ne sono piene le piazze.

martedì 10 luglio 2012

Columbidæ

- E’ ago-sto! E’ ago-sto! E’ ago-sto! – mi dice la tortora, insistente.
- Ma no che non è agosto, è vero che ho voltato il foglio del calendario ma non è agosto: è luglio.
Ma lei insiste: è agosto, è agosto, è agosto.
Il giorno dopo, ancora:
- Fa caldo, lo so anch’io, ma non è mica ancora agosto! Anche a luglio fa caldo, non serve mica che sia agosto.
Alla fine, si convince; smette di dire che è agosto e comincia a chiamare Rodolfo. O forse, chissà, Rodolfo è proprio il suo nome:
- Rhodòl-fo! Rhodòl-fo! Rhodol-fo!
Altre volte, il nome è Leopoldo; altre volte ancora, dice una frase di più sillabe, del tipo “lo riconosco”:
- Lo riconòs-co! Lo riconòs-co!
E via per tutto il giorno. Ma, intanto, sono riuscito a farle capire che non è agosto, ed è già qualcosa.
PS: le allucinazioni auditive, se avete a che fare con una tortora per più di un quarto d’ora, sono da considerarsi più che normali. Se proprio non ne potete più, andate fuori a dare un’occhiata: le tortore sono piuttosto belle, e anche decisamente buffe quando si muovono.
La foto della tortora viene da http://cinciamogia.wordpress.com
altre tortore qui

lunedì 9 luglio 2012

Musica da camera ( III )

Una cicala, una. Fa un baccano incredibile, mai viste cicale qui vicino, le cicale più vicine sono a due chilometri da qui; da dove sarà mai venuta?
Vado a vedere dov’è, la trovo in alto sul palo della luce; che è di cemento consumato dal tempo e dalle intemperie, quindi in perfetto color cicala. Mimetismo eccellente, difficile da vedere, però il suono viene proprio da quel puntolino lì.
Il giorno dopo non c’è più, peccato.
Una cicala di Biagio Marin
(nel dialetto dell’isola di Grado)
Oh! làsseme cantâ,
son solo una sigàla,
e per duta l'istà
canto solo co' l'ala.
Un monotono crìo
che ingrisa 'l sielo blu,
ma xe 'l recordo mio
che se leva per tu.
No' stâ tôme 'sto sigo
d'amor che te ferisse
comò le stele fisse
che a note fa un rivo.
Fin a l'ultimo fiao
'sto crio d'inamorao
làsselo verze el sielo
co' 'l tagio d'un cortelo.
Xe solo 'l baso mio
su la to boca d'oro;
fin che me moro
'sto baso asseta, Dio !
(Biagio Marin, 1966)
(pag.92 ed. Garzanti delle poesie di Biagio Marin)
(...non stare a togliermi questo grido d’amore che ti ferisce, come le stelle fisse che a notte fanno un fiume – la via lattea Fino all’ultimo fiato, questo grido d’innamorato lascialo aprire al cielo come il taglio di un coltello. E’ solo il mio bacio sulla tua bocca d’oro; fino a che io non muoio accetta questo bacio, Dio!)
(“sigo”, “sighèr” in molti dialetti è insieme grido e pianto, come l’inglese to cry, qui presente anche con la parola “crìo”, grido)
L’immagine di Biagio Marin viene da http://www.gere.altervista.org/ , la cicala-gioiello è opera di Elsa Schiaparelli, il disegno della cicala viene da un libro scientifico, forse dell’800, ma non ho trovato altre indicazioni)

domenica 8 luglio 2012

Musica da camera ( II )

Distinguere i grilli dalle cavallette non è facile: quello nero col testone, violinista principe, lo vedono tutti che è un grillo; ma quelli verdi, minuti, violinisti eccelsi anche loro, che cosa sono di preciso?
La distinzione vera e propria è roba da specialisti, da studiosi; anche perché oltre alle diecimila diverse varietà di grilli e di cavallette ci sono tutti gli stadi intermedi, gli immaturi. Grilli e cavallette fanno parte, infatti, di quella metà degli insetti che non hanno bruchi o larve, ma che nascono già molto simili all’adulto, e che crescono man mano cambiando pelle. E’ la grande divisione del mondo degli insetti, olometaboli ed eterometaboli: due parole difficili, ma significa che mosche e farfalle, vespe e formiche, hanno il bruco, la larva; altri insetti invece crescono più o meno come noi, e quando nascono sono già molto simili agli adulti, già riconoscibili. Alcuni insetti apparentemente indistinguibili, come i coleotteri e gli scarafaggi, o come le termiti e le formiche, nascondono in realtà questa grande differenza.
Grilli e cavallette sono Ortòtteri, così come il grillotalpa; gli Ortòtteri sono una parte della Classe degli Insetti. E fin qui non c’è nulla di particolarmente difficile. La vera difficoltà, la cosa che non avevo mai capito, sono i grilli verdi: i grilli verdi suonano e cantano proprio come i grilli neri, ma assomigliano alle cavallette. Lo schemino qua sotto, che prendo da “Il mondo degli animali” (ed. Rizzoli, 1968) aiuta a capire: le cavallette e le locuste vanno messe in due famiglie a parte (Acrìdidi e Tetrìgidi), poi ci sono i grilli veri e propri (Gryllidae), il Grillotalpa (che è diversissimo da tutti e si merita di stare da solo), e infine i Tettigònidi, cioè quelli che io ho sempre chiamato “grilli verdi”.
Anche le cavallette suonano e si fanno sentire d’estate, ma i grilli (grillidi e tettigonidi) sono molto meglio.
I grilli neri, quelli col testone, andavo spesso a cercarli nei prati: mi avevano insegnato come si fa a prenderli, ed è abbastanza facile, ma io poi li lasciavo andare sani e salvi. Adesso, dove andavo io non ci sono più né grilli né prati: c’è la terza corsia dell’Autostrada dei Laghi, o un grande centro commerciale, un rondò per le automobili, case e capannoni. Poi ci sono i grilli di casa, “grilli del focolare”, che somigliano molto ai grilli neri ma sono più piccoli e di colore marrone; per trovarli bisognerà andare in campagna, in un posto dove non si usano pesticidi.
Ho incontrato spesso i grilli verdi di notte, sul lavoro, quando facevo i turni di notte: in laboratorio ero da solo, ogni tanto uscivo a prendere una boccata d’aria, e lì vicino c’era ancora un po’ di bosco, un po’ di prato, dell’acqua. Alle volte erano i grilli verdi che mi venivano a trovare, forse attratti dalla musica che ascoltavo (i turni di notte sono lunghi da attraversare, e in un laboratorio chimico ben condotto non c’è mai rumore). Questo ricordo è del 1992, o forse del 1993: un piccolo grillo verde, in bilico sulla veneziana, che raddoppia perfettamente la parte della viola nel Quartetto n.11 in fa minore op.122 di Sciostakovic. Un altro ricordo più recente, ma ormai anch’esso lontano, è il grillo verde che si era infilato nel bagno del laboratorio accanto, sotto al lavandino, e suonava e cantava da grande solista. Temo che la mattina dopo abbia fatto una brutta fine, i miei colleghi e le mie colleghe che abitavano di giorno quel laboratorio non avevano la minima sensibilità verso queste cose, aver voglia di imparare a distinguere un grillo da una cavalletta non è cosa da tutti. Questi qua sotto sono tutti "grilli verdi", per la precisione Tettigònidi.
(le immagini vengono dal sito http://www.lucianabartolini.net/ , da http://www.wikipedia.it/  e da “Guida agli insetti d’Europa” di Michael Chinery, ed. Muzzio)