sabato 28 settembre 2019

Tolkien e i drughi


A metà settembre, a Torino e in Lombardia, vengono arrestati i capi tifosi di organizzazioni chiamate "Drughi", "Vikings", "Tradizione", e altri ancora. L'accusa, pesante e documentata da intercettazioni telefoniche e ambientali durate un anno, è di quelle pesanti: vera e propria delinquenza, a quel che dicono in Questura. La cosa non mi stupisce, e sono contento che sia stata la stessa dirigenza della Juventus a denunciarli; si poteva fare prima, certe cose erano note ed evidenti da una ventina d'anni, ma non sto qui a sottilizzare e spero che si vada subito avanti anche negli altri stadi. Il 26 settembre arriva la risposta degli ultras, con una citazione che rileggo tre volte ma non riesco a capire. Cosa c'entra? La citazione è questa: "Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle e, nonostante l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte" da "Il Signore degli anelli" di Tolkien. Segue un comunicato, che ricopio dal sito di Repubblica: "Questa notte, per le vie di Torino, sono stati affissi centinaia di manifesti in favore dei ragazzi arrestati e diffidati nel corso del polverone architettato per colpire tutto l’ambiente ultras bianconero. Libertà per i nostri fratelli, colpevoli di amare e di lottare contro un sistema sporco che da anni vorrebbe la fine del tifo organizzato".

Rileggo più volte e mi chiedo cosa mai ci sia nella testa di queste persone. Lo so da tempo, perché uno di loro lavorava nella mia stessa ditta e l'ho ascoltato: una volta avrebbero detto che in quelle teste c'è segatura, oggi la segatura è diventata difficile da trovare e probabilmente dentro le loro teste c'è del polistirolo (non so se macinato o in pannelli), di certo nelle loro pubblicazioni c'è tanto duce e tanto "sieg heil". Una volta detto che la fine del tifo organizzato la auspichiamo in tanti, ma quella del tifo organizzato come la intendono loro, sia ben chiaro, mi trovo ancora una volta a interrogarmi su Tolkien. In apparenza, Tolkien è solo uno scrittore di fantasy. Però, poi, lo si trova sempre apparentato all'estrema destra e alla violenza. Tolkien viene citato da chi ha messo le bombe in Piazza Fontana o sul treno Italicus, i "campi Hobbit" reclutavano i terroristi e i picchiatori di estrema destra, e adesso arriva questo volantino. Magari qualcuno me lo può spiegare: perché Tolkien è sempre citato da queste persone? Aggiungo qualcosa alla mia domanda, partendo da Wagner: io ho ascoltato tutto Wagner, per anni, e continuo ad ascoltarlo oggi; e ho letto le due Edda, quella di Snorri e quella in versi. Uno dei primi interpreti di Wagner fu l'ebreo Hermann Levi (diresse la prima del Parsifal), quasi tutti ascoltano Wagner senza diventare nazifascisti, e si sa che Tolkien ha attinto a piene mani da Wagner e da L'anello del Nibelungo. Che cos'ha dunque Tolkien di così negativo? E, soprattutto, che cavolo c'entra quella citazione con il tifo organizzato negli stadi? "Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle e, nonostante l'amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte" Mah.

Ai drughi, ai vikings, e a tutti gli altri deficienti come loro (deficienti perché non sanno nemmeno leggere un libro e capire quel che citano) ho una sola cosa da dire: Giù le mani dalla Juve. Ne parlano come se le nostre squadre di calcio fossero cosa loro, invece non è così, la stragrande maggioranza degli appassionati di calcio non vede l'ora che gli ultras si levino di torno, così da poter tornare a vedere le partite senza preoccupazioni e da poter tornare a pensare al tifo organizzato come a quelli che organizzano i pullman per le trasferte. Sono loro, gli ultras, lo sporco del "sistema sporco" che citano e il "posto oscuro" di cui parla Tolkien. Ben venga l'azione della magistratura, dunque, tanto più che si tratta di reati gravi (c'è anche l'associazione a delinquere, mica una cosa da poco). L'unico dubbio che mi rimane è legato al dopo: una volta buttati fuori dagli stadi, che cosa faranno questi disgraziati?

AGGIORNAMENTO al 20 gennaio 2020: il presidente della Lazio, Lotito, ha chiesto ufficialmente il risarcimento danni agli ultras della sua squadra, responsabili dei saluti nazisti e fascisti. Danno d'immagine, oltre a tutto il resto. Bravo Lotito, era ora; e chi pensa che la richiesta di cinquantamila euro a testa sia esagerata sbaglia. Spero che in molti imitino Lotito e Agnelli.

venerdì 27 settembre 2019

Parodontopoli


Su tutte le tv circolano da tempo degli spot molto invadenti sul dentifricio "per le gengive che sanguinano". L'approccio è di quelli duri, diretti: "Avete le gengive che sanguinano?" e si vede anche lo sputo nel lavandino, sangue incluso (magari mentre noi stiamo mangiando, senza possibilità di reagire o di cambiar canale perché arriva all'improvviso e velocemente). Secondo questi geni della comunicazione, quelli che magari poi tengono i master nelle università e vengono ascoltati e riveriti come opinionisti nei talk show, il dentifricio farebbe guarire le gengive malate. Ma è sbagliato, il dentifricio serve solo per lavare i denti. E' importante lavarsi i denti, ma se avete le gengive che sanguinano è meglio andare dal medico e farsi dare un'occhiata. Se è un dentista, o uno stomatologo, meglio ancora; ma dire che tutto passi comperando quel dentifricio lì è una falsa informazione ed è più che legittimo chiedersi perché sia permesso mandarla in onda. L'ho chiesto al mio dentista, e il dentista (odontostomatologo con esperienza pluridecennale) ha allargato le braccia. Che fare, la pubblicità e la tv non dipendono mica da lui.
Cosa fare dunque, quando le gengive sanguinano? Dato che ci sono passato anch'io, e con l'aiuto dei consigli del dentista, posso mettere insieme qualche informazione utile. La prima cosa da fare è di guardare lo spazzolino: magari è troppo duro per le vostre gengive, io compero quelli più morbidi e mi ci trovo benissimo, puliscono bene e non graffiano. Il secondo consiglio è di tener presente che esistono in farmacia medicinali che curano le afte e le ferite alle gengive; sono pomate leggere, che si applicano sui punti più sanguinanti. Funzionano. Il terzo consiglio, ma qui siamo già alla prevenzione, è di non limitarsi al dentifricio ma di usare il filo interdentale e il colluttorio; il dentifricio serve, ma è paragonabile a un sapone o un detersivo e rimane nella bocca pochissimo tempo. Se avete un taglio sulla pelle di un dito, ci mettereste il sapone per farlo guarire?
Infine, se il sanguinamento persiste e se la cosa si fa seria, potrebbero servire degli antibiotici; ma gli antibiotici ve li può prescrivere soltanto un medico, e qui torniamo alla cosa più sensata da farsi: andate dal dentista. Magari basta una pulizia dei denti, di quelle serie però, fatta sulla sedia del dentista e da un dentista.
Sul perché circolino certi spot, magari anche quelli sul grasso che si scioglie con una pastiglia o sull'influenza che guarisce in tre minuti, ci stiamo interrogando tutti. Purtroppo, su certe tv private passano cose ancora peggiori, ed è triste vedere che nessuno interviene. Quantomeno, questo spot invita a lavarsi i denti; ed è già qualcosa.


 
(nelle immagini: dettagli da pubblicità degli anni '30 e '40)
 

mercoledì 25 settembre 2019

Oltre


 
"Non smettere mai di andare oltre" è lo slogan di questa campagna pubblicitaria. Dato che si tratta di un'automobile, la questione diventa un tantino spinosa. Se guidi un'automobile e stai andando oltre, che significa? Oltre la strada, in un fosso o in un burrone? Oltre i limiti di velocità, col rischio di farsi ritirare la patente? Oltre i limiti del buonsenso, magari da ubriaco? Mamma mia. No, non andate mai oltre, piuttosto mettete sul cruscotto quegli adesivi che si usavano una volta, la foto della mamma o dei figli con la scritta "Vai piano, pensa a me". Credetemi, è un buon consiglio.


(Bort, La settimana enigmistica)


(Brock Davis)
 

(immagine trovata on line senza indicazioni)
 

lunedì 23 settembre 2019

Il refuso germoglia ( III )


Ecco un piccolo campionario di miei personalissimi errori, tutti autentici (io non so battere a macchina, anche sul pc uso solo due dita - come la maggioranza della gente, del resto):
Un piccolo incubo nucleare: sotto il portone o sotto il protone?
Priamidi, avevo scritto: edifici troiani? Di discendenti o di antenati di Priamo?
Il citrosil disinfetta; ma cosa sarà mai il ritrosil, forse un farmaco contro la timidezza o contro la frigidità?
Una bira direi che la bevono a Roma; una birrra forse su Marte...
L'atomaia non è più una parte della scarpa: è forse la serra dove si coltivano gli atomi?
E il lito, che forse è un antico strumento a pietra.

i.
Non so se dire nàrvalo o narvàlo
non so neppure dove vive lo snualo
non so se vive o non vive il nagualo
e se s'arrampica o se vive al suolo
ma quel che so è che non ve n'è d'ugualo
che il cuor m'opprime e che provoca il duolo.
ii.
Ho poi fatto una ricerca sul mio nàrvalo
ho il risultato ma non so se dirvelo;
snark is the shark as he lives in Carroll,
it was a phantom with a name of animal;
e quanto a Castaneda e al mito del nagual,
no non ve n'è no non ve n'è d'ugual.


I musicisti dicono che quando, suonando, si sbaglia bisogna andare avanti lo stesso, recuperare l'errore e magari approfittarne per cavarne qualcosa di bello o di divertente. Le cronache raccontano che nel 1996 il grande violinista Gidon Kremer, a Milano, mentre suonava Mendelssohn fu disturbato da un telefonino che squillava. Invece di interrompersi, inventò lì per lì una cadenza partendo da quel suono inopportuno, e naturalmente alla fine piovvero applausi (o appalusi? mah!). Io non c'ero, e mi dispiace; però mi sono letto il libro principe di questi inconvenienti, e di altri ancora: si tratta di La vita e le opinioni di Tristram Shandy, di Lawrence Sterne. Siamo a metà del Settecento, non ci sono ancora macchine per scrivere né tastiere del computer; ma quel libro è pieno di pagine bianche, asterischi, capitoli spostati, e tanti altri accidenti (anche il nome del protagonista è un errore: avrebbe dovuto chiamarsi Trismegistus, e invece saltò fuori Tristram) e chissà quante fatiche sarà costato al tipografo che lo stampò la prima volta...
Questo con cui concludo è un piccolo omaggio al Maestro, ripreso dal capitolo 37 del terzo volume del Tristram Shandy (1760). Mi sembra un buon modo per chiudere.

L'Ispirazione
Per cancellare l'errore
uso con cura la gomma
buco 'sto foglio
e attonito resto
di fronte alla pagina rotta.
Cos'è 'sto buco - penso -
che tutto il sottostante mi rivela? Vedo un cartòn
un cartòn grigio e spento:
ecco chi c'era dietro
alla mia opra!
( a L. Sterne )



 

(Emilio Gauna, pubblicato su Golem - L'indispensabile, anno 2001-2003)
 
(3- continua)

sabato 21 settembre 2019

Il refuso germoglia ( II )


Nel menu della mensa aziendale ho trovato wurstel cruati, prosciutto curdo, spaghetti alla bolgonese: tutto un menu che sposta la geografia e che la sposa - si può anche riderne, ma se non si sta attenti può anche passare la voglia di mangiare (la voglia o la volgia?)
Cosa saranno mai i proprositi? Forse propositi un po' indecisi, di gente che si mangia le unghie, e rosica ma non risica, forse proprio il proposito di chi vuole smettere di mangiarsi le unghie ma ode in lontananza un rosicchiare lontano: proprositi...

Far flettere al direttore
le articolazioni ribelli -
lo yoga ti rende più elastico,
a lui ed anche ai suoi redattori.
Ti muovi e sei un po' meno statico:
è un metodo assai democratico,
è cosa che fa anche riflettere.


Una lunga sequenza del film Lo specchio di Andrej Tarkovskij è dedicata alla madre del regista, in ansia perché faceva la redattrice di un giornale e credeva di essersi lasciata sfuggire un refuso fortemente antistalinista: errore che, all'epoca, poteva avere conseguenze gravi. Del resto, anche da noi c'è una lunga aneddotica di episodi simili, avvenuti durante il triste ventennio. Ma qui stiamo parlando di cose molto meno drammatiche.

Per questo stupido capoverso,
che io ho saltato,
mi ha preso in giro;
Per questo stupido capoverso
ecco che invano
piango e sospiro.
Starò più attenta,
che cosa chiedo:
la comprensione, che degli errori
non si può proprio mai farne a meno.



 
Emilio Gauna, pubblicato su Golem-L'indispensabile, anno 2001-2003
( 2- segue)

mercoledì 18 settembre 2019

Il refuso germoglia ( I )


Una guardia è una Guardia e non ci piove: incute rispetto, fors'anche un po' di timore. Ma che cosa sarà mai una Gaurdia? Qualcosa che spaventa e mi allarma: un mostro possente, forse; una specie di enorme gorilla che sbadiglia, da sopra le nostre spalle? Può darsi...
Ieri stavo prendendo appunti sulla Katarina Ismailova di Dimitri Sciostakovic, una storia cupa di cronaca nera che somiglia a Ossessione di Visconti. Mi è uscita fuori una Katatina che invece fa tenerezza, forse una fata gentile e un po' imbranata, paffutella...
Strane scoperte spuntano dal computer. Le lettere ci sono quasi sempre tutte; se fai l'appello, di solito, le trovi, ma l'ordine in cui escono sullo schermo lascia stupefatti e a volte pare di intuire una qualche volontà nascosta, forse una Musa del computer intenta alla sua misteriosa opera.
Di certo c'è che gli errori non sono gli stessi che faremmo scrivendo con la biro (ecco che stavo scrivendo: brio!) o con la matita, e non ci sono neanche più le vecchie tristi e care macchie di quando si usava l'inchiostro. Nascono così anche molte delle mie rime; da errori fortuiti (e non solo di battitura) possono crescere equivoci e filastrocche che sono dei veri e propri cortocircuiti.

Un corto circuito albanese
confonde Tirano e Tirana
la neve del valtellinese
e i resti dell'età ottomana.

Però la tastiera del pc sembra avere una sua volontà, smonta e rimonta le parole a suo piacimento, toglie qualcosa qui e aggiunge qualcosa da un'altra parte. A volte sono lapsus, e sono miei, i vecchi e cari lapsus del dottor Freud, ma a volte escono mostri paurosi che non hanno nulla a che vedere con la parola originale, o magari gentili creature sorridenti e un po' instabili, che muovono simpatia e che dispiace cancellare, altre volte voci flebili e indifese che magari vorrebbero dire qualcosa, ma noi le eliminiamo subito e le condanniamo all'inesistenza, radicali liberi che durano un attimo, vapori sottili del calamo. (Ma che calamo d'Egitto - scusate! Il calamo ce lo avevano le penne d'oca...)

Nel chiostro sterminato
l'inchiostro è terminato
ci arride la battaglia
finita è la bottiglia
finito è ahimè l'inchiostro
scompare l'orrido mostro
solo una macchia resta -
sul foglio bianco m'incanto.

 
 
Il refuso germoglia (Emilio Gauna, pubblicato su Golem-L'indispensabile anni 2001-2003)

 
(1. segue)

lunedì 16 settembre 2019

Trielina


La trielina che avete in casa, quella che si usa per smacchiare i tessuti, quasi sicuramente non è trielina. Non è una truffa: la trielina, quella vera (tricloroetilene) è infatti tossica e cancerogena ed è vietata da molto tempo; si usa solo nell'industria, con le precauzioni necessarie. Quindi, se avete in casa una bottiglietta di trielina dimenticata in un angolo potrebbe essere davvero trielina, ma se l'avete comperata di recente potreste dare un'occhiata all'etichetta (leggere bene le etichette è sempre un'ottima cosa). Sulla bottiglietta che ho in casa c'è scritto per esempio, oltre al nome commerciale del prodotto, "Smacchiatore, ottimo sostituto della Trielina" con il nome "trielina" ben evidenziato altrimenti la gente magari andrebbe a cercare qualcos'altro. Continuando a leggere l'etichetta infatti scopriamo il nome della sostanza contenuta: è esano, parente stretto delle benzine e del gas delle bombole per la cucina e degli accendini. L'esano smacchia come la trielina ed è un tantino meno tossico, anche se è sempre meglio starci attenti: è altamente infiammabile, per esempio. Però nella bottiglietta potrebbe anche esserci del percloroetilene, che alla trielina somiglia molto, o qualche altro solvente che io non sono riuscito a trovare in negozio; se sull'etichetta trovate scritte cose del tipo "C6 alcano", si tratta sempre di esano. Questi solventi sono usati nell'industria, o nelle analisi di laboratorio, perché sciolgono i grassi (che poi si possono separare) ed evaporano facilmente; per esempio l'esano è utilizzato per estrarre olio dai semi di molti vegetali. L'esano evapora rapidamente e completamente, viene raccolto e riciclato, e non ne rimane traccia nell'olio di semi. Ecco spiegato perché si usano come smacchiatori, l'unto (il grasso, l'olio) viene sciolto e tolto dal tessuto. Il risultato può essere raggiunto anche con acqua e sapone, o con un detersivo; la scelta dipende dalla delicatezza del tessuto. Ovviamente, però, la trielina non toglie le macchie di colore o di vernice; e, soprattutto, questi solventi (esano compreso) vanno usati con tutte le precauzioni possibili: con le finestre aperte, innanzitutto.
La trielina fa parte dei cosiddetti "solventi clorurati", così come il cloroformio e il percloroetilene, per citare due nomi famosi o abbastanza famosi anche per chi non ha studiato chimica. Ci sarebbe anche il cloruro di metilene, per esempio, ma non mi sembra che lo si usi al di fuori dei laboratori o dell'industria chimica. Solventi significa che sono in grado di sciogliere qualcosa, nel nostro caso i grassi (l'unto di cucina è un grasso) e clorurati significa che contengono cloro nella loro molecola. Di per sè, il fatto che una molecola contenga cloro non è sinonimo di tossicità o di pericolo: il sale da cucina, per esempio, è Cloruro di Sodio e non crea problemi a meno che non se ne usi a cucchiaiate (va usato "cum grano salis", se mi si permette la battuta). Diverso è il discorso per i solventi clorurati, ma spiegare perché porterebbe via molto tempo; qui basterà dire che dipende dalla composizione complessiva della molecola e dalla sua relazione con il nostro organismo, oltre che dalla dose e dal periodo di esposizione. I più esposti al rischio sono quelli che lavorano a stretto contatto quotidiano con una sostanza: per esempio chi lavora nei negozi dove si lavano e smacchiano i tessuti. Il percloroetilene è sempre tossico, ma un po' meno della trielina.

L'esano è uno degli idrocarburi più semplici; a scuola è una delle prime molecole di chimica organica tra quelle che vengono studiate.  Idrocarburi significa che contengono idrogeno (idro-) e carbonio ("carburo" significa che non c'è ossigeno nella molecola). La molecola più semplice in assoluto, nella chimica organica, è il metano; segue l'etano, poi il propano e il butano. Propano e butano sono il contenuto delle bombole per il gas domestico o per gli accendini. Dopo il butano c'è il pentano, dove "penta" indica il numero degli atomi di carbonio della molecola (siamo arrivati a cinque, il metano ne ha uno solo) e poi si arriva all'esano, che a temperatura ambiente (o meglio, a 20°C) è un liquido. Poi viene l'eptano, il famoso ottano (famoso tra i meccanici d'auto per il "numero di ottano" delle benzine), e così via. L'esano, insomma, si può definire come una benzina molto leggera: non è una definizione precisa ma può aiutare a capire.

Dal mio punto di vista personale, tornando ai solventi clorurati, ho avuto molto a che fare con il cloroformio. Il cloroformio si usa nelle analisi per i comuni detergenti, lo shampoo o il detersivo per lavatrice. Si usa, o meglio si usava perché ovviamente è anch'esso tossico; ma dove ho lavorato io per quindici anni era comunemente sul bancone dove lavoravo, e dato che non c'erano cappe e non c'era nemmeno un impianto di condizionamento d'aria (d'estate quindi i 30°C erano la norma) ne ho respirato parecchio. Non a litri, ma in piccole quantità e con costanza, ogni giorno. Fino a oggi mi è andata bene, insomma, sono passati un po' di anni e non ho subìto conseguenze, ma comunque mi capita di pensarci. Questa, però, è un'altra storia e ne scriverò altrove, magari nelle Cronache di fabbrica.

(l'illustrazione è di Gloria Stoll, datata 1945)

sabato 14 settembre 2019

De SUV eloquentia


La pubblicità Jeep è lapidaria: « Suv, l'invenzione più geniale del 1974. La seconda è stata il cubo di Rubik.» Esistevano già i SUV nel 1974? Non mi pare di ricordarlo, per le strade si vedeva qualche volta la Mehari della Citroen che comunque era una macchina medio-piccola, invece i SUV sono molto grandi e ingombranti. Sono molto comodi e solidi, su questo non c'è dubbio, ma basta guardare nei parcheggi per accorgersi che qualche problema c'è: un SUV nelle strisce dei parcheggi non ci sta, o ci sta a malapena. Lo stesso problema c'è nelle strade, ed è così evidente che i proprietari di SUV cominciano a chiedere strade più larghe anche nei centri abitati.
Anche La Settimana Enigmistica celebra i SUV, definendoli nelle parole crociate come "un comodo automezzo". Insomma, un successo incontrastato; ma va ricordato che non sempre ciò che piace e che funziona è anche senza problemi. L'uso delle materie plastiche, per esempio: la plastica ha avuto un enorme successo dall'inizio degli anni '60 in poi, risolvendo parecchi problemi pratici quotidiani, ma solo oggi cominciamo a capire che non è poi stata un'invenzione così geniale. Rimanendo in campo automobilistico, per decenni si è decantato il "numero di ottano" che garantiva prestazioni superiori alle benzine, per poi capire che era meglio togliere il piombo (Piombo Tetraetile, additivo che aumenta il numero di ottano) dalla benzina, e già che c'eravamo anche lo zolfo, che causava le piogge acide, da gasolio e nafta. Costi maggiori, prestazioni minori: in apparenza sembrerebbe un paradosso, ma i vantaggi per tutti noi sono stati notevolissimi e chi si ricorda i gas di scarico degli anni '90 capirà bene la differenza.
Il SUV, all'origine, era un fuoristrada: da usare in condizioni estreme, come le jeep militari dell'esercito USA negli anni '40. Si usano invece in città, dove non ce ne sarebbe bisogno; e se vengono usati davvero fuoristrada distruggono sentieri e stradine di montagna, e sarebbe meglio lasciarli a casa anche perché in montagna c'è sempre più rischio di frane. Quanto alle alluvioni, se sono di modesta entità il SUV serve, ma se arriva un'alluvione potente (e ne abbiamo viste tante, purtroppo) anche i SUV finiscono coll'accatastarsi con le altre auto, travolti dal fango.
Chi compera un SUV dice spesso che lo fa per i bambini, perché dentro c'è molto spazio; ma io ho conosciuto gente che utilizzava un furgoncino Volkswagen, o magari una Renault 4 o un'Ape Piaggio riadattata. Ai bambini piaceva, e dentro erano anche al sicuro se il lavoro di riadattamento era ben fatto. Infine, un SUV costa: costa un sacco di soldi. Chi può davvero permetterselo?
Probabilmente (è una mia impressione, non pretendo che sia la verità) chi compera un SUV è ancora influenzato da quando si era bambini e si voleva un'auto grossa, e io vorrei tanto che ognuno si comperasse quello che più gli piace ma bisogna anche porsi il problema del rapporto con gli altri e con l'ambiente in cui viviamo. Capisco bene che la pubblicità non si ponga di questi problemi, soprattutto se è autocelebrativa (chiedo scusa per il gioco di parole, è uscito da solo), ma ormai siamo nel 2020 e un'occhiata a come è stato ridotto il mondo in cui viviamo bisogna pur darla.

giovedì 12 settembre 2019

Gianni Brera compie cent'anni

Gianni Brera nacque l'8 settembre 1919 e si celebra il suo centenario. Si merita questo ricordo affettuoso (ci ha lasciati nel 1992, per un incidente automobilistico), è stato un grande giornalista e anch'io nel mio piccolo gli ho dedicato due post qualche anno fa (qui per il link). C'è stata qualche esagerazione ("gigante del Novecento": no, nel '900 abbiamo avuto Pirandello, Primo Levi, Calvino, Buzzati...) e qualche imprecisione ("fu fascista e partigiano" scrive Angelo Carotenuto sul Venerdì di Repubblica del 20 agosto 2019: no, come tutti i nati e cresciuti sotto la dittatura, Brera potè prendere coscienza della vera natura del fascismo solo da adulto). A me però sembra interessante partire da Brera per arrivare a parlare del giornalismo sportivo di oggi, che versa - lo dico subito - in condizioni pietose.

Per quel che mi riguarda, sono sempre stato alla larga dalle trasmissioni sul tipo di quelle che conduceva Aldo Biscardi. Ho ricominciato a guardare le trasmissioni sul calcio nel 2006, al tempo di "calciopoli", per cercare di capire cosa stava succedendo. Avevo trovato diverse voci interessanti, ex calciatori come Anastasi, Mazzola, Mondonico, Francesco Morini, Ferrario, e soprattutto il giudice Piero Calabrò al quale devo dei ringraziamenti per le spiegazioni precise e chiarissime sul diritto sportivo (e non solo). Da allora, però, le cose sono cambiate e si è arrivati all'odierna - mi si perdoni la chiarezza - fiera del cretino. Un po' alla volta, le voci più serie e più preparate si sono tirate indietro, le tv private hanno preferito scegliere chi urla di più e i discorsi da bar (tra ubriachi, mi verrebbe da dire). Passi per le emittenti più dichiaratamente commerciali (c'è sempre il telecomando a disposizione) ma ascoltare certi discorsi su TeleNova, l'emittente della CEI e quindi dei Vescovi è veramente deprimente. La star è un ex calciatore che sembra sempre ubriaco (non lo è, e questo preoccupa) e sempre pronto a gridare; nella parte "seria" della trasmissione si depreca il fair play finanziario ("ai tifosi non interessa se hai i bilanci in ordine": una vera bestemmia, su una TV che dovrebbe educare), e così via. Non va meglio sulla Rai, dove trasmissioni un tempo gloriose come La Domenica Sportiva si riducono a una sbrodolatura di parole inutili con ospiti inutili, dove per vedere la partita che ti interessa ti tocca stare alzato fino all'una di notte: non perché trasmettano servizi e immagini, ma proprio per farti ascoltare le sbrodolature.

Gianni Brera sarebbe infastidito da tutte queste chiacchiere inutili, lui andava al sodo oppure faceva divagazioni alte, da persona di cultura. Questo dovrebbe essere il compito principale (morale) di chi scrive di calcio: il calcio è seguito anche da persone di scarsa o nulla istruzione, è un'occasione per migliorare le persone e la società, e farsi sfuggire queste occasioni è davvero un peccato grave.
« (...)All'epoca (quando Brera iniziò a scrivere professionalmente, dopo il 1945), molti di quelli che avevano scritto sui giornali fascisti si erano riciclati nello sport, ma tirandosi dietro una scrittura estremamente retorica, fatta di "fantaccini d'assalto", "estremo sacrificio", "cuore oltre l'ostacolo"... Per reazione, e anche come forma di lotta all'analfabetismo, i giornali mandarono a scrivere di sport, il genere più popolare, le loro firme migliori. Da Montanelli ad Alfonso Gatto, dalla Ortese a Pratolini e Orio Vergani. L'operazione di Brera è figlia di quel fermento.»
(Gianni Mura, intervistato sul Venerdì di Repubblica 30.08.2019, per i cent'anni di Gianni Brera)
Siamo tornati a quello stesso punto, là dove ha iniziato Brera, e direi che stiamo anche peggio perché non si prende nessuna iniziativa contro il tifo violento, organizzato in vere e proprie bande molto vicine alla criminalità. Ascolto qualche parola, qualche deprecazione, ma poi andare contro il tifo violento significa perdere ascoltatori, quindi le tv commerciali (che hanno bisogno dell'audience e sono quasi sempre dei semplici contenitori per la pubblicità) finiscono con l'assecondare il tifo, dicendo cose come "senza le curve lo stadio è un mortorio", e così via. Ormai il commento sportivo è quasi sempre becero o inutile, e le eccezioni sono pochissime. Qualche esempio di altre occasioni perdute: tempo fa Moggi (il perfido Moggi...) lanciò un suggerimento per un'inchiesta sulle squadre di calcio fallite finanziariamente dopo aver raggiunto obiettivi importanti, scudetti o promozioni in serie A. L'elenco è lungo, lunghissimo: Napoli, Torino, Sampdoria, e se poi si scende nelle categorie inferiori ci si accorge che ormai da decenni la serie C non è fatta sulla base delle classifiche ma sul criterio del "chi è rimasto in piedi" , cioè partecipano le squadre che non sono finite davanti al tribunale dei fallimenti (un'ecatombe ogni anno). Ci sono poi veri e propri scandali finanziari, squadre di fatto fallite ma salvate da amicizie importanti (Lazio e Roma, l'Inter di Moratti...).

Brera si interrogherebbe sul perché ci siano così tanti calciatori provenienti da federazioni estere, dato che l'Italia è stata da sempre una scuola di campioni o di ottimi giocatori. La risposta, a dirla tutta, starebbe alla Guardia di Finanza: far crescere e far giocare un ragazzo delle nostre parti (se è figlio di immigrati non importa) non porta soldi nelle tasche di agenti e procuratori. Far arrivare un calciatore dal Sud America, invece, può essere utile per portare un bel pacco di soldi in qualche paradiso fiscale caraibico: per cose come questa, è bene ricordarlo ogni tanto, fu condannato per frode fiscale nientemeno che Silvio Berlusconi. Non per il calcio, ma per i diritti di film e serie Tv; l'operazione è comunque molto simile (cinque anni di carcere in via definitiva, se non ricordo male). Sul perché la Finanza non indaghi ci si può interrogare, ma certo toccare il calcio non è facile, al punto in cui siamo arrivati. Ci sarebbero poi le tante interviste a Maradona, ma mai che si ricordi che l'acquisto di Maradona è collegato al fallimento del Banco di Napoli...

Sempre da Gianni Mura, nell'articolo citato sopra, leggo che Brera si offese e diede del pirla a Umberto Eco, che lo aveva paragonato a Gadda, "un Gadda spiegato al popolo", cioè un Gadda minore; ma è così per davvero, Carlo Emilio Gadda è stato davvero uno dei giganti del Novecento ed essere paragonati a lui, sia pure in minore, è una cosa di cui andare fieri. Gadda era più vecchio di Brera, ma i suoi libri più importanti sono stati pubblicati negli anni '50 e '60, quando il giovane Brera cominciava a diventare una firma importante. Facile immaginare che Brera si sia letto tutto Gadda, prendendolo a modello magari senza pensarci troppo. La verità è che Eco stimava Brera, lo leggeva e lo conosceva. Mi viene da dire: magari lo dicessero a me, che somiglio a Gadda ma in piccolo...

In conclusione, il discorso non riguarda solo l'ambito sportivo ma un po' tutto il giornalismo e il mondo della cultura in generale. Lascio da parte la politica e il modo in cui viene descritta, però non posso non segnalare che ho appena visto in tv a "Quante storie", il programma di Raitre che è stato di Corrado Augias, l'esaltazione dei Vanzina davanti a degli studenti universitari di una scuola di cinema. Se il dopo Augias è l'esaltazione dei Vanzina, se nelle scuole di cinema si insegnano Fantozzi e Lino Banfi, siamo davvero messi male. I grandi giornalisti, i grandi scrittori, i grandi conduttori televisivi, non hanno avuto eredi.

Tornando allo sport, chissà cosa direbbe Brera del ciclismo, dove chi vince il Giro o il Tour viene subito dopo squalificato e arrestato, magari anche dopo dieci anni. Vale la pena occuparsi ancora di queste cose? A chi credere, di chi fidarsi? Possibile che nessuno si ponga queste domande?
Non credo che Gianni Brera oggi scriverebbe di calcio, forse farebbe tutt'altro, magari l'ingegnere o l'astronauta, vista la sua passione per il paracadutismo. Da questo giornalismo, e da questo calcio, meglio star lontani.

lunedì 9 settembre 2019

Belle con gli occhiali


Passo davanti alla tv proprio mentre l'insigne stilista e costumista sta per svelare in quale meravigliosa bellezza ha saputo trasformare una giovane donna insignificante. Mi fermo perché immagino già quale sarà stata la sua prima mossa, e infatti le ha levato gli occhiali. Perché mai?
Ho portato gli occhiali da vista per più da trent'anni, dalla seconda elementare fino ai quarant'anni passati. Non è da molto che la tecnologia permette interventi sicuri sugli occhi, fino agli anni '90 mi sconsigliavano l'intervento, poi sono arrivate nuove tecniche e mi sono fatto operare, come tanti, a entrambi gli occhi. Sono passati tanti anni e vedo ancora benissimo, dieci decimi e senza problemi a vedere da vicino, ma se si guarda bene ho ancora il segno degli occhiali sul naso. Dico subito che per me non è stato un problema, gli occhiali da miope (dieci diottrie per ogni occhio) non mi hanno impedito di piacere alle donne o di fare sport. Però mi sento ancora parte della comunità dei miopi, e vedere scene come quella dello stilista, per di più su un canale di servizio pubblico (Raidue) mi ha dato fastidio. Se quella donna portava gli occhiali era perché senza occhiali non riusciva a vedere bene. Non è che ci si possa togliere e mettere gli occhiali a piacere, e anche l'uso delle lenti a contatto non è che sia del tutto senza problemi.
Questa storia degli occhiali che "rendono brutte le donne" è particolarmente fastidiosa, e lo dico pensando a tutte le bambine e a tutti i bambini come me, che ancora oggi devono portare ogni giorno gli occhiali sul naso almeno fino ai diciott'anni (cioè fino a sviluppo fisico completo). Detto in termini precisi, quello stilista di Raidue del pomeriggio è un cretino.
Il tutto ha radici lontane: nei film di Hollywood più famosi c'è tutto lo stereotipo della donna "brutta con gli occhiali", magari bibliotecaria o professoressa, comunque legata al mondo dei libri e della cultura. L'esempio più stupido, legato a un film ancora molto famoso tra gli appassionati, è in "The big sleep" (1946, regia di Howard Hawks) quando Humphrey Bogart chiede alla bella libraia Dorothy Malone se può levarsi gli occhiali. Lui fa un cenno ammiccante, lei sorride e se li toglie seduta stante. Questo non è possibile, se non per pochi istanti e da fermi. Poi, se vuoi muoverti, gli occhiali li devi rimettere. Confesso che da allora, da quando mi capitò di vedere questo film in tv, non sono più riuscito a prendere sul serio Humphrey Bogart.

Allo stesso modo, apro un giornale e trovo un altro stilista che parla di occhiali: gli occhiali sono solo un abbigliamento di moda, da scegliere e cambiare come si vuole, voilà. No, non è così: se non ci vedi bene non puoi scegliere che montatura vuoi, devi sceglierne una robusta e non c'è molto da andare dietro alle mode. E poi le mode cambiano e fanno sentire ridicoli, e ti ritrovi con occhiali costosissimi già da buttare mentre sono ancora nuovi, e con foto che vorresti cancellare dalla tua vita ma che magari sono sulla patente o sulla carta d'identità. Diffidate degli stilisti, delle stiliste e delle vie di mezzo: molti cretine e cretini si nascondono nel campo della moda.
Che dire, donne belle con gli occhiali (anche occhiali "non di moda") ne ho incontrate tante. Piacevano, anche con gli occhiali. E non solo a me, a tutti. Alle bambine che devono mettersi gli occhiali non posso che dire: dimenticatevi dei cretini che vi tolgono gli occhiali per farvi sembrare più belle: siete già belle. La stessa cosa dico ai bambini, come ero io: le donne non sono così cretine, tenetevi gli occhiali e pensate piuttosto a mangiare meno merendine e meno creme dolci (anzi, a farne a meno del tutto: questo si può fare). Quanto alla presenza di cretini in televisione, la tv è così piena di cretini e di cretine (idem internet, youtube e social inclusi) da essere diventata inguardabile. Tenete gli occhi ben aperti, gli occhiali da vista servono anche per questo.

(nelle immagini: Anouk Aimée e Anita Ekberg nei film di Federico Fellini; la scena degli occhiali in The big sleep; la modella Lauren Hutton con un paio di occhiali di gran moda in una foto di Richard Avedon)

sabato 7 settembre 2019

La perfida Albione


"La perfida Albione". quante volte l'avete sentito dire? A me è successo anche l'altro ieri, in tv, e per di più dalla voce di Corrado Augias - uno che a queste cose dovrebbe starci attento, almeno in teoria. Allo stesso modo circolano ancora antiche frasi di propaganda fascista del periodo bellico, del tipo "spezzeremo le reni alla Grecia", "le inique sanzioni", e così via. Smontare questi luoghi comuni è abbastanza semplice, e basterebbe un po' di attenzione per smettere di ripeterli. La propaganda fascista è infatti ancora attiva, e in questi ultimi anni abbiamo visto che nonostante tutto continua a funzionare. Come per la pubblicità, come per tutte le forme di pubblicità, è però bene non fidarsi di ciò che ci viene detto e cominciare a ragionare su quel che ci viene detto e ripetuto. E' vero che un detersivo lava più bianco dell'altro, o che una merendina fa bene alla salute? Mai fidarsi, meglio controllare e informarsi.
Comincio dalla frase più spesso ripetuta in questi ultimi anni, "il fascismo ha fatto anche delle cose buone". Beh, sono rimasti al governo vent'anni senza opposizione, se in vent'anni non fai anche una cosa buona è davvero grave; ma io di solito rispondo indicando lo smartphone. Come funziona lo smartphone? Funziona con i satelliti artificiali; e dato che il primo satellite artificiale, nel 1957, fu messo in orbita dai sovietici, ecco che "anche l'Unione Sovietica ha fatto delle cose buone". E' una buona ragione per tornare all'Unione Sovietica? Io direi proprio di no.
Vediamo cosa sono queste "cose buone" fatte dal fascismo: al primo posto si cita sempre la bonifica della Palude Pontina, poi ci si aggiunge Cinecittà, la Radio (l'Eiar), il sistema pensionistico. C'è sempre del merito nell'iniziare qualcosa, ma va detto che si tratta delle tecnologie che nascevano in quell'epoca: la bonifica delle paludi fu possibile grazie ai camion e alle ruspe, che prima della guerra 1915-1918 non c'erano o erano molto rudimentali. Nella "Grande Guerra" si usano per la prima volta i mezzi cingolati, e vengono prodotti mezzi pesanti che possono muoversi anche nel fango. Prima degli anni '20 del Novecento, insomma, la bonifica delle paludi andava fatta a mano e con i carri trainati da animali; dato che c'era il rischio concreto di malaria, l'inevitabile lentezza nei lavori avrebbe significato la perdita di molte vite umane. Lo stesso discorso si può fare per la radio: è negli anni '20 del Novecento che nasce la radio "broadcast", l'invenzione di Marconi aveva meno di vent'anni e per ascoltare la radio nei suoi primi anni bisognava mettersi delle cuffiette e aspettare che qualcuno cominciasse a comunicare qualcosa, in maniera non molto diversa da come funzionava il telefono. Cinecittà è contemporanea alla nascita di Hollywood, e certo è un merito averla costruita ma il grande boom di Cinecittà arriva dopo il fascismo, negli anni '50. Lo spiega bene Mario Monicelli, che cominciò a lavorare nel cinema nel 1935: «... finita la guerra, tutti noi che avevamo fatto un po' di cinema negli anni del fascismo eravamo sicuri che arrivando gli americani, i film americani eccetera, avrebbero spazzato via, distrutto, il cinema italiano. Invece con questa cosa miracolosa di "Roma città aperta" e del neorealismo ci fu un'esplosione di cinema per cui, a un certo momento, tutti trovavano lavoro. » (Mario Monicelli, minuto 30 del documentario "Monicelli - La versione di Mario").
Il sistema pensionistico è di origine socialista, merito dell'ex socialista averlo fatto divenire legge; ma non è certo un'idea fascista (fu poi la destra ad affossarlo, in anni recenti: i Brunetta e i Tremonti, per esempio, ebbero un ruolo decisivo a inizio Duemila).

Dire che il fascismo ha il merito per la radio e per il cinema è come dire che De Gasperi ha il merito per la tv, o Romano Prodi per internet: sono invenzioni maturate negli anni in cui erano al governo, così come per le medicine: antibiotici e sulfamidici sono invenzioni degli anni '30, e da noi si diffusero dopo il fascismo. Allo stesso modo, c'è chi fa ironie sul mancato sfruttamento fascista del gas e del petrolio durante l'occupazione della Libia; ma negli anni '30 sarebbe stato ben difficile organizzarsi in tal senso, e il consumo di gas e di petrolio si sarebbe sviluppato solo nel dopoguerra.

Si dice anche: "ai tempi del fascismo l'Italia era tenuta in considerazione nel mondo". E' vero il contrario: fu l'Italia di De Gasperi che negli anni '50 entrò nelle maggiori organizzazioni internazionali e cominciò ad avere un peso nelle decisioni. Un peso che prima non aveva: è vero che Churchill aveva buoni rapporti con Mussolini, ma era un po' come capitò a noi con Gheddafi negli anni '70. La verità è che ci consideravano inaffidabili, proprio come noi facevamo con i libici, e un dittatore sembrava l'unica cosa che ci potesse tenere sotto controllo. Non un bel punto di vista, ma poi grazie a De Gasperi l'Italia cominciò ad essere rispettata come nazione civile, considerazione che poi continuò nei decenni successivi con persone come Moro, Fanfani, Berlinguer, Ciampi.

Ci sono poi i "treni sempre in orario": qualcuno è mai andato a controllare le statistiche? esistono dei dati in proposito? Io ricordo che la domanda fu posta anni fa a un dirigente delle Ferrovie, che rispose: "ai tempi del fascismo c'erano molti meno treni rispetto ad oggi", che è poi il modo di porre in modo corretto la questione. Un conto è gestire dieci corse al giorno, un altro conto è gestirne cento o duecento, o magari mille.

Sul piano storico uno dei luoghi comuni è rifarsi al "fascismo degli inizi": gli inizi sono nel 1920-1922, e già abbiamo l'aggressione a Gobetti, a don Minzoni. L'omicidio Matteotti è del 1924, ed è dimostrato che Matteotti stava portando in Parlamento documenti sui grandi scandali bancari di quel tempo, in cui erano coinvolti i vertici del partito fascista. I fascisti degli inizi rubavano e ammazzavano, caso mai è nella prima metà degli anni '30 - a cose sistemate - che comincia ad apparire un po' di normalità. Poi, però, arrivarono presto le leggi razziali e l'inizio della catastrofe, un periodo liquidato dai nostalgici con un "peccato per la guerra" che sarebbe da commedia se non fosse per quello che c'è dietro. La frase tipo è questa: "Mussolini ha fatto delle cose buone, peccato poi per la guerra". Come se l'entrata in guerra fosse una bazzecola... Ho ascoltato spesso dire (anzi, gridare) "ci vorrebbe Benito Mussolini" con riferimento alla criminalità: come se al tempo del duce non ci fossero ladri e assassini. Va ricordato che la censura sui giornali e sulla radio era ferrea, che tutti i direttori dei giornali erano stati sostituiti con fedelissimi al regime. Passavano solo le notizie che non disturbavano o che servivano al regime, l'impressione che non ci fosse criminalità e che eventuali ladri o assassini non se ne andassero impuniti era, per l'appunto, solo un'impressione. Si può ricordare che il fascismo mise in galera Alcide De Gasperi, tanto per fare un nome, mentre gli assassini di Matteotti e di don Minzoni la passarono liscia.

Tornando alla propaganda pura e semplice, agli slogan e alla comunicazione più in generale, si può far notare che fotografie e filmati mostrano Mussolini come un uomo imponente, ma in realtà era di statura mediobassa e tendente alla pinguedine. Lo si vede bene nei filmati non italiani, nelle visite di Stato, dove Mussolini è accanto a persone più alte di lui come capita nella vita normale; è quasi impossibile accorgersene nei filmati di propaganda fascista. Non che sia grave essere alti un metro e sessantacinque, ma a queste cose i dittatori stanno molto attenti, in tutte le latitudini.

La "perfida Albione", che sarebbe poi la Gran Bretagna, fu ritenuta colpevole di averci inflitto "le inique sanzioni". La realtà storica è che la Gran Bretagna non era affatto perfida, e che anzi subì l'aggressione nazista con le V1 e V2, e che le sanzioni erano più che giustificate perché causate dall'aggressione fascista all'Etiopia, fatto condannato da tutto il mondo civile (ma in Italia quello che successe in Etiopia, compreso l'uso dei gas, fu sempre censurato anche ben dopo il fascismo).
Un'altra frase famosa è "spezzeremo le reni alla Grecia", ma poi fu la Grecia a spezzare le reni agli aggressori. La verità storica è che dopo vent'anni di fascismo l'Italia militare fu spazzata via in pochi mesi e su tutti i fronti: in Africa, in Russia, dovunque si vada a vedere, la storia militare del fascismo è una serie di sconfitte catastrofiche. Poi ci si nasconde dietro ai "mancò la fortuna, non l'onore" (lapide ad El Alamein) e in effetti i soldati italiani furono ottimi combattenti lodati dai loro avversari; ma erano appunto i soldati e gli ufficiali, mandati allo sbaraglio dai loro capi fascisti. L'opinione degli storici su El Alamein è che la fortuna non ebbe nulla a che fare con la vittoria sul campo, gli inglesi e gli americani avevano molti più mezzi e la loro vittoria era inevitabile. Ma, in Italia, ancora oggi queste cose subiscono censure inaspettate.
 
La propaganda fascista era basata spesso su Gabriele D'Annunzio, che però (gli appassionati d'opera lo sanno da sempre) copiava volentieri dall'incolpevole Arrigo Boito (1842-1918) a partire proprio dalla parola duce: l'Otello di Verdi (su testi di Boito) comincia proprio con "è la nave del duce" e il duce è ovviamente Otello e nessun altro, dato che siamo nel 1887. Anche nell'Aida (1871, libretto di Ghislanzoni) si ascolta spesso la parola "duce": che equivale a condottiero, ma ha il pregio (per un librettista d'opera lirica) di essere un bisillabo. Si potrebbe continuare ma mi fermo qui, e dato che domani è l'8 settembre voglio mettere una parola in positivo su Badoglio. Badoglio fu considerato da nazisti e fascisti come un traditore; io non voglio entrare in questioni storiche complesse, ma per me il nome di Badoglio ha sempre significato la fine di una dittatura, e quindi per me ha un suono positivo. Poi, si sa, dopo l'8 settembre 1943 venne un anno terribile, con le stragi nazifasciste durante la ritirata e la Repubblica di Salò che le difendeva. La colpa però non è di Badoglio e dei badogliani, delle stragi furono colpevoli quelli che dicevano (e dicono ancora) "continuare la guerra dalla parte dove è stata cominciata". No, quella guerra non andava cominciata. Non andava cominciata per mille motivi di carattere morale, ma anche (o soprattutto, dal punto di vista militare) perché dopo un ventennio di retorica e di propaganda l'esercito fascista non era pronto, di fatto, e subì rovinose sconfitte su tutti i fronti. Forse, si può dire che l'unica impresa vittoriosa fascista è stata il bombardamento di Guernica... Non è proprio così, ma di certo a bombardare il piccolo villaggio indifeso di Guernica furono gli aviatori italiani - pardon, fascisti.

 
Nelle immagini: Benito Juárez, presidente indio del Messico, da "La Settimana Enigmistica" (il nome Benito venne scelto in suo omaggio dal padre di Mussolini), Giacomo Matteotti; un Mussolini "africano" (da Tuttolibri, se non ricordo male, anni '70); un naso da ripulire; un cartone animato del 1939; e infine Guernica di Picasso, esposto a Milano nel 1958)
 

mercoledì 4 settembre 2019

Quello che abbiamo dentro


L'acqua bolle, vuoto una mezza scatola di pasta nella padella, metto il sale, dò una mescolata e poi sto per buttar via il cartone quando mi cadono sotto gli occhi delle parole che fin lì non avevo ancora notato: "E' quello che abbiamo dentro a renderci unici". Quello che hanno dentro? Perché, che cosa c'è dentro? Che cos'hanno, oggi, le mie mezze penne? Santo Cielo, che cosa sarà mai? La pasta si fa con acqua e grano, cosa mai avranno dentro per essere uniche, queste mezze penne?
Inquieto, vado avanti a leggere: "Il segreto? Una combinazione di grani duri eccellenti, sottili rigature in superficie, e una forma che esalta il carattere avvolgente di questa pasta". Le parole "grani duri eccellenti", "sottili rigature in superficie", "forma" e "avvolgente" sono in neretto, cioè evidenziate affinché il consumatore (cioè io) ne rimanga colpito e ammaliato. Veramente, a questo punto non serve che io sia colpito e ammaliato: le mezze penne sono già in pentola, ho comperato la scatola senza guardare cosa c'era scritto sopra, è una vita che in casa mia si compera questa pasta e fino ad oggi non avevo mai avuto dubbi. Da oggi, invece, qualche dubbio comincia a crescere.
E' vero, c'è scritto che dentro c'è il grano duro; ma, e poi? E' tutto qui il segreto, o c'è dell'altro? Le "sottili rigature", inoltre, non sono "dentro" ma sono fuori, in superficie. Che mi si stia nascondendo qualcosa, distraendomi e portando la mia attenzione sulle rigature? E poi, se magari volessi comperare delle mezze penne non rigate (in commercio ci sono), che fine farebbe il sugo che "va trattenuto con passione"? Scivolerà mica via subdolamente e senza passione dalla pasta, finendo sulla mia camicia? Troppi dubbi. Butto via la scatola di cartone (raccolta differenziata, qui la facciamo da vent'anni), finisco di preparare la tavola, e concludo che continuerò a comperare questa marca. Però, ormai il tarlo del dubbio ha cominciato a lavorare, e comincerò a guardarmi in giro, la prossima volta. Sugli scaffali ci sono tante marche di pasta, magari ne proverò una che non ha segreti dentro.
Infine, la pasta è in tavola. E' anche buona, alla faccia di tutte le scemenze che scrivono i pubblicitari.
 
PS: sì, la scatola nella foto è di fusilli e non di mezze penne: cambio spesso formato, ormai la scatola delle mezze penne non l'avevo più in casa. Anche i fusilli sono buoni, comunque.

lunedì 2 settembre 2019

Questione di stile


- Aspetta un attimo, prima di andar via voglio guardare Giuliano che fa la titolazione.
Qualcosa di inaspettato, una frase gentile e proprio da Giovannone il Calabrese. Dice sul serio, gli piace come lavoro in laboratorio. Anche lui fa qualche analisi, ogni tanto, in qualità di Capoturno; quindi non è il primo arrivato e il complimento giunge, oltre che inatteso, anche di conforto in un periodo per me molto difficile. Un attestato di stima, e di stile.
Niente di straordinario, sia ben chiaro: il classico beuta-buretta, con l'indicatore. Una titolazione a vista, il blu di bromofenolo che passa dal blu al giallo, un numero di ammina. Non è per il reparto di Giovannone, che ha già avuto il suo responso ("puoi raffreddare"), ma Giovannone si ferma lo stesso. Così, per il piacere di vedere uno che lavora bene. E dato che quel qualcuno sono io, io che con lui mi sono scontrato tante volte, fa piacere.
Giovannone è alto come me, un metro e novanta, e ha dieci anni più di me. Ha fatto di tutto nella vita, compreso il marinaio e l'emigrato in Australia, e il calciatore nelle giovanili della Reggina (come portiere); arrivato qui da noi, anche senza un vero titolo di studio è diventato subito capo turno al reparto esteri (non per via dell'Australia: "estere" è un termine di chimica organica e al plurale fa "esteri"), ed è molto rispettato e ascoltato dal Direttore. Lo chiamano anche "crapa dura", e direi con molta ragione. Non che tutti i calabresi siano così, come nelle barzellette del servizio militare, ma Giovannone lo è per davvero. Micidiali le sue sfuriate quando è di cattivo umore, di ghiaccio le sue battute riservate a chi gli sta antipatico, nelle giornate negative meglio stargli alla larga - se si può.
Però poi, quando Giovannone ti ha pesato, puoi star tranquillo. Se ha deciso che di te ci si può fidare, che non sei un ominicchio insomma, allora si va sul velluto. Personalmente, ho impiegato dieci o dodici anni ad arrivare a questo punto, ma ormai ci siamo.
Qualche anno dopo, quando io me ne ero già andato e lui era in pensione (ha fatto in tempo, prima delle nuove leggi, e ne sono contento) lo ritrovo per caso in un supermercato, con la moglie e le sue belle figlie (che belle figlie che ha Crapa Dura! due, una più bella dell'altra, alte e forti) . Mi abbraccia, mi bacia come se fossi un parente, magari suo fratello. E' un attimo, mi chiede come sto, sa che cosa è successo quando me ne sono andato. Poi non l'ho più rivisto, e - chi lo avrebbe mai detto, quando l'ho conosciuto - mi dispiace. Mi manca, Giovannone; e non solo lui.