domenica 29 agosto 2010

E la sinistra?

Quando provo a fare questi miei discorsi sulla destra (“se chi vota a destra non vede le cose che non vanno, allora chi vota a destra è un imbecille?”) mi si risponde spesso che anche dove c’è la sinistra al governo non è che le cose vadano meglio. Un’osservazione sensata che accetto volentieri (ci mancherebbe!) alla quale rispondo così:
1) Non è bello né giusto, quando si è chiamati in causa direttamente, rispondere “ma anche quello là lo sta facendo”. Quando lo facevo io da bambino, i miei genitori si arrabbiavano moltissimo; erano le poche occasioni in cui rischiavo qualche ceffone. Per esempio: “Non metterti le dita nel naso” “Ma lo fa anche quel bambino là!” “Tu comincia a comportarti bene, che a quel bambino là ci penseranno i suoi genitori; e se ti metti ancora le dita nel naso ti arriva una sberla”.
2) Noi di sinistra, e anche di centro-sinistra, non siamo mica tanto contenti della nostra attuale classe dirigente. Infatti, non è vero che la destra ha la maggioranza nel Paese; è vero piuttosto che molti (moltissimi) si sono disamorati della politica, di una politica gestita in questo modo, e hanno smesso di votare.
3) A sinistra siamo abituati a criticare i nostri capi, e anche duramente. A sinistra (quantomeno dal 1960 in su) non esiste il culto del Capo, il Capo (come insegna Dario Fo) si merita sempre un bel pernacchio a prescindere. Poi, si vede momento per momento: bisogna essere di sinistra nei comportamenti, non a parole.
4) E qui viene il punto dolente, perché molti (troppi) di quelli che si dicono di sinistra, e che magari a sinistra votano, hanno comportamenti e modi di pensare del tutto identici a quelli di destra. Viene da chiedersi: ma perché allora votano a sinistra e si dicono antiberlusconiani? Sarebbe un discorso lungo, per ora mi limito a dire: misteri della mente umana.
5) Ma non è mica vero che siano misteri: la mente umana è per sua natura disposta a destra, bisogna fare uno sforzo culturale per smettere di essere di destra. Anche nel Vangelo, mica è facile essere cristiani: Gesù ci chiede di superare il nostro naturale egoismo, ed infatti è l’egoismo che ci frega. Crediamo di essere furbi quando siamo egoisti, ma il progresso dell’umanità è invece avvenuto solo quando abbiamo smesso di pensare soltanto a noi stessi; per esempio (non ci avete mai pensato?) molti dei più grandi scienziati e statisti erano deboli o addirittura handicappati. F.D. Roosevelt, il presidente a cui di deve la rinascita degli USA dopo la grande crisi del 1929, era poliomielitico: si muoveva con il bastone o su una sedia a rotelle. Eppure, è a Roosevelt che si deve il fatto che gli USA siano stati la superpotenza del Novecento. E’ un po’ come quando si dà da mangiare ai cani: i più grossi e arroganti spaventeranno gli altri e si avventeranno sul cibo, ma non è detto che i più grossi e aggressivi siano anche i cani migliori. Vogliamo essere così anche noi? (riferimenti d’obbligo: Konrad Lorenz, Carl Gustav Jung, eccetera).
6) Tornando al nostro vivere quotidiano, mi si fa notare che per esempio anche a Rimini (amministrazione di centrosinistra) i parcheggi costano cari, come a Varese. Ok, buona osservazione: ma fino a metà degli anni ’90 scuole e parcheggi e sanità erano gratuiti, si pagava tutto con l’Irpef e non c’era bisogno di questo stillicidio di tasse continue. Da dove viene questo cambiamento? Viene da questa sciaguratissima riforma che i leghisti si ostinano a chiamare “federalismo”, e al quale purtroppo si sono accodati anche molti (quasi tutti) i dirigenti del centrosinistra. Sembra che di questo federalismo fetecchia non si possa fare a meno, e invece altri modelli ci sono.
7) Di solito mi si risponde: “con lo Stato assistenzialista abbiamo generato il deficit mostruoso che ci penalizza”. E anche questo non è vero: lo si sente ripetere a pappagallo anche a sinistra, ma la Storia dice altro. Dice per esempio che, con le pensioni a 50 anni e con l’assistenzialismo, dal 1945 fino al 1970 il bilancio dello Stato era in buone condizioni; anzi, fino al 1960 erano addirittura ottime. Il deficit cominciò a formarsi nel 1973 (prima grande crisi petrolifera) e divenne voragine dagli anni ’80, gestione Craxi e gestione De Mita. Sorvolo sugli anni recenti per non dover parlare male di Berlusconi e di Tremonti (ma con Amato nel 1992 e con Ciampi e Prodi qualche buon risultato si era visto), dico solo: siete davvero sicuri che la gestione politica non abbia avuto più influenza sul deficit di quei poveri cristi di operai che andavano in pensione a cinquant’anni? Anche di questa cosa a sinistra vedo che non si discute più, tutti accodati al pensiero della destra, neanche il dubbio che si possa fare qualcosa di diverso.
8) Ricordo a tutti che la battuta “D’Alema, dì qualcosa di sinistra!” risale al 1989 (è in un film di Nanni Moretti), e soprattutto ricordo che se si vota per un partito fondato da un corruttore di giudici e da un collaboratore esterno della mafia, poi è dura lamentarsi della delinquenza.
Potrei andare avanti, ma mi fermo qui. Aggiungo solo questo: che, quando ho cominciato a votare io, erano disponibili un Partito fondato da Antonio Gramsci, un Partito fondato da Filippo Turati (e da Matteotti), un Partito fondato da don Sturzo e da De Gasperi, un Partito che si richiamava a Benedetto Croce, e altri. Oggi si può scegliere tra un partito fondato da un fanigottone (avete mai letto una biografia di Umberto Bossi o di Borghezio o di Roberto Maroni?) e uno fondato dai tizi che ho descritto qui sopra, più qualche ectoplasma di forma ancora non ben definita.
Insomma, siamo messi male: e la colpa è anche nostra. Ripenso alle elezioni del 1948, quando c’era disponibile il Partito d’Azione, di cui si è persa perfino la memoria: facendo scorrere i nomi dei suoi dirigenti si pensa a cosa avrebbe potuto essere l’Italia, e invece no, non è andata così. Il Partito d’Azione, che aveva nei suoi quadri persone oneste, preparate e colte, prese pochissimi voti; non andò in Parlamento e si sciolse subito. Poi, si sa, è facile lamentarsi: ma anche gli elettori hanno le loro colpe, e non sono colpe da poco.

venerdì 27 agosto 2010

La tessera del tifoso e l'era delle multe

Una contestazione al ministro Maroni, per di più a Bergamo, è una cosa che sorprende: i leader leghisti erano ormai figure mitologiche, santi protettori, oggetti di fede non soggetti a critiche, figuriamoci le contestazioni di piazza con i lacrimogeni. Cosa sarà mai successo?
L’argomento però è serio, e va trattato con attenzione. Detto subito che la violenza è sempre da condannare, soprattutto quando dietro ci sono futili motivi (ma questo lo stanno già dicendo tutti, lo dicono sempre tutti ma poi tutto rimane come prima), da che mondo è mondo (o, per meglio dire, da quando esiste il campionato di calcio) si è sempre fatto così: lo zio o il fratello maggiore o il cugino hanno l’abbonamento al Milan, alla Juve, al Napoli: capita però che una domenica non possano andare allo stadio e allora passano la tessera al nipote, al fratello minore, al cugino o all’amico. Una consuetudine molto simpatica: l’abbonamento è già pagato, per la società è bello avere gli spalti gremiti. Da quando esiste Maroni, questo non si può più fare: per punire i pochi facinorosi (per lo più giovanissimi, quindi educati alla violenza: e questo è un altro discorso importante, che coinvolge decisamente la destra e la Lega Nord), si sono gravemente penalizzate le persone oneste. Adesso il biglietto per la partita ha scritto sopra il tuo nome, non è più cedibile. Una norma facilmente aggirabile, si sa; così come aggirabili (aggirabilissimi) sono anche i tornelli e la tessera del tifoso; sono già arrivati in cronaca casi clamorosi, come capita da tempo nelle discoteche steward e buttafuori fanno entrare chi gli pare senza alcun controllo, e sono meticolosissimi con altri che magari si sono solo portati dietro qualcosa da bere o per ripararsi dalla pioggia.
Ma passi, non è di questo che volevo parlare. Volevo piuttosto parlare di come si vada avanti, tetragoni, su una strada che si è sempre dimostrata fallimentare: più punizioni meno delitti. Ahinoi, non è così. Ci si rivolge all’America della “tolleranza zero” e della pena di morte, e si ignorano volutamente le statistiche che dicono che gli USA sono uno dei Paesi con il più alto tasso di criminalità al mondo. Il perché è facile da capire: chi commette un reato, rapina o omicidio, o è fuori di zucca (e quindi l’aggravamento delle pene non serve) oppure pensa/spera di farla franca (e quindi l’aggravamento delle pene non serve).
Come si risolve la criminalità, dunque? Non si risolve, ma si può fare qualcosa lavorando quotidianamente nel sociale e investendo nell’educazione scolastica e nella formazione delle forze dell’Ordine, tutte cose che non hanno visibilità e che non portano voti alle elezioni. Per prendere voti alle elezioni, molto meglio gli slogan: “tolleranza zero”, “trecentomila mafiosi arrestati”, “reato di clandestinità” (così il lavoro delle forze dell’Ordine è triplicato), “pena di morte”, “castrazione chimica”, eccetera eccetera eccetera.
Una volta, fino a non molti anni fa, avevamo una classe politica magari discutibile ma che stava attenta a non creare più esaltati di quanti già non ne esistano in natura; oggi c’è una classe politica che fa l’esatto contrario. Una volta, negli anni ’70 e ’80, DC e PCI affrontarono pericoli gravissimi (il terrorismo) con serietà e senza creare allarmismi. Ricordo ai distratti che negli anni ’70 e ’80 ci furono stragi di piazza, bombe sui treni, e altre amenità: ma non ho mai visto gli atteggiamenti dei leghisti e di questa classe dirigente odierna. Quei problemi si sono risolti, questi problemi si ingrossano: per esempio furti e rapine non sono affatto diminuite, anzi (basta leggere le cronache quotidiane, magari parlare con conoscenti e vicini di casa...). Le multe e le tessere del tifoso, da quel che vedo, piacciono solo a chi vuole dare una svolta autoritaria al Paese; e non funzionano mai, perché non possono funzionare. Sembra un paradosso, ma è così: e lo dicono tutti i criminologi più seri, la pena di morte non fa diminuire i reati e questo lo sappiamo da secoli. (un altro discorso inutile, con questa classe politica...).

martedì 24 agosto 2010

Democrazia

- Io voto per la democrazia.
Non sono sicuro di aver capito bene, così aspetto un attimo (che stia per finire la frase?) e poi quando vedo che ha davvero concluso il discorso le chiedo:
- Sì, sono d’accordo; ma per che partito?
- Per la democrazia! Te l’ho appena detto...
E ride, un po’ sorpresa della mia dabbenaggine.
Siamo nel 1986, se non ricordo male: la ragazza è sui 23 anni, molto sveglia, fin lì avevamo chiacchierato un po’ di tutto, questa uscita non me l’aspettavo. Oltretutto, io non glielo avevo chiesto: in quel periodo facevo il negoziante, e la politica non era al centro dei miei pensieri. Si stava parlando così, in generale. Era stata lei a volerlo mettere in chiaro: votava per la democrazia, nel senso della DC, la Democrazia Cristiana. "Democrazia" è un'abbreviazione di Democrazia Cristiana, lo sanno tutti: come chiamare uno col nome di battesimo invece che con nome e cognome, si fa prima e si capisce lo stesso. Si dirà che ero giovane e ingenuo, ma confondere un concetto universale con un partito politico...No, questo me lo sarei magari aspettato da una persona anziana e illetterata, non da una donna giovane e sveglia.
Ogni tanto questo piccolo dialogo, di per sè insignificante, mi torna in mente: e mi accade sempre più spesso da una quindicina d’anni in qua. Perché capita questo: che noi diamo troppe cose per scontate, parliamo di Democrazia, di Cristianesimo, di Comunismo, di Islam e di Buddhismo, di DNA, di modificazioni genetiche, di fecondazione assistita, di Costituzione, diamo per scontato che ci si capisca al volo, ma i nostri interlocutori non è detto che ci capiscano. I nostri interlocutori sanno di cosa si sta parlando? Per esempio, quanti sanno per davvero cos’è il conflitto d’interessi? Quanti sanno la differenza fra indagato e condannato, fra un avviso di garanzia e una condanna in Cassazione? In questo senso la cosa che più mi allarma, lo ammetto, è ascoltare i nostri politici, magari quelli del PD e della sinistra in genere, che, per esempio, parlano di “Carta” e intendono la Costituzione. Ma già la gente non sa cos’è la Costituzione, figuriamoci se capisce quando gli si dice “la carta”, “rispettare la carta”. Ma che carta? Cara grazia che nessuno se ne è ancora uscito con una battuta da film dei Vanzina...
Eravamo troppo ottimisti, negli anni ’70 e ’80. La mia amica dell’86 non era un caso isolato, moltissime persone sono orgogliose della loro ignoranza e considerano chi si è informato come un noiosissimo rompicoglioni. La realtà delle cose è che dobbiamo imparare a farci capire, ma non nel senso che dobbiamo inseguire ignoranti e faciloni sul loro terreno. Bisognerà tornare ad alfabetizzare le persone: ma non è facile, perché la disinformazione operata soprattutto attraverso la tv (in venticinque anni!) è stata come un’operazione militare su vasta scala, e un’operazione meticolosa e ben riuscita, il cui successo era facile da prevedere perché molte persone vogliono davvero semplificare, tagliar corto, evitare di pensare. L’ignoranza è rassicurante, chi sa le cose e te le spiega è “uno che vuole mettersi sopra, che ti guarda dall’alto in basso, uno con la puzza sotto al naso che ti considera meno di lui”. L’istruzione è noiosa, dunque: e il voto di un ignorante conta come quello di una persona informata. Il passo successivo è questo: eliminare dalla scuola gli insegnanti “pericolosi”, chiudere le poche trasmissioni giornalistiche serie sopravvissute alle “epurazioni” passate. Poi si passerà al web, e tutto questo – una facile previsione – accadrà nell’indifferenza generale.

lunedì 23 agosto 2010

Stalin

Non ho mai sentito nessuno parlare bene di Stalin. Al massimo, un po’ di imbarazzo nei più anziani, quelli nati negli anni ’20 e che in Stalin avevano creduto: ma Stalin era morto nel 1953 (io non ero ancora nato, ci sarebbe voluto ancora un bel po’ di tempo), e subito dopo il Congresso dell’URSS aveva svelato la terribile verità, mostrando prove e testimonianze. Anche dell’URSS non ho mai sentito parlare un gran che bene, e per forza: se il capo era uno come Brezhnev...
Ci sono favole che girano su Stalin e sul comunismo, come se fosse tutto lì, che uno è comunista (o socialista, o di sinistra) e che quindi eh già naturalmente per forza di conseguenza. Di conseguenza un kyxxq, se mi si passa il turpiloquio: chi si dichiara comunista, socialista, di sinistra, si richiama a molto prima della nascita di Stalin, per esempio al motto “otto ore di lavoro, otto ore di sonno, otto ore per te stesso e la tua famiglia” che fu coniato a metà Ottocento (metà Ottocento: il tempo di Giuseppe Verdi, di Garibaldi, di Cavour) a difesa della salute e del benessere degli operai e delle loro famiglie. Ma di tutto questo si è già parlato molto, chi non ha capito significa proprio che è uno zuccone e che non vuol capire.
Come mai durano così tanto queste favole sui comunisti “affezionati a Stalin”? Penso che il motivo sia innanzitutto da cercarsi in Giovanni Guareschi, nelle storie di Don Camillo e nelle sue fortunatissime vignette. Ma Guareschi (grande scrittore), per l’appunto, descrive il mondo prima del 1953: Don Camillo e Peppone vivono nell’Italia del primissimo dopoguerra, tra il 1946 e il 1953, non dopo. Dopo, dopo le rivelazioni di Kruscev, si prende atto: con rammarico, con rimpianto, con dispiacere, ma si prende atto e non se ne parla più. Se prima, prima della morte di Stalin, tra il 1917 e il 1953, nasce e cresce il culto di Stalin e dell’Unione Sovietica (“fare come in Russia”) è solo perché l’informazione non era certo quella di oggi, c’erano solo la radio e i giornali. La radio era costosa, la ascoltava solo chi poteva permettersela e c’era una sola emittente, governativa: quindi tra il 1922 e il 1945 fascista, censurata e “velinata” e quindi non attendibile. I giornali erano da sempre in mano ai grandi gruppi di potere; dopo il 1922 tutti i direttori di giornale erano nominati dal governo fascista, compresi La Stampa e il Corriere della Sera. Che fare, a chi credere? Se tutta l’informazione è in mano a un partito solo, le persone ragionevoli cominciano a dubitare di tutte le notizie che arrivano e si comincia a credere che sia vero l’opposto di quel che ci raccontano, e che quindi in Unione Sovietica si stia benissimo, eccetera. La realtà era un’altra, e qui vale riportare quel che diceva Primo Levi: « È molto difficile distinguere fra buoni profeti e falsi profeti. A mio parere i profeti sono falsi tutti. Non credo ai profeti, benché io... (ride) appartenga a una stirpe di profeti. » (Primo Levi, da un’intervista radiofonica del 1986 a Milvia Spadi, per la Westdeutscher Rundfunk; reperibile su “Primo Levi: Conversazioni e interviste” a cura di Marco Belpoliti, ed. Einaudi)
Oggi le cose sono cambiate, cambiatissime. Da parecchi decenni, la stampa è libera; adesso abbiamo anche internet, i blog, twitter, i telefoni cellulari. Essere ignoranti oggi è un peccato grave, ed è una scelta precisa: ignorare e cancellare ciò che non ci piace e tenere solo quello che ci piace è un peccato gravissimo. A sinistra, abbiamo liquidato da tempo immemorabile il compagno Stalin: perché mai a destra c’è ancora il culto di Mussolini e perfino quello di Hitler? Per demolire quel culto non serve nemmeno un Congresso del Partito: basta guardare le macerie, pensare ai milioni di morti...Per l’Italia, basta ancora meno: prendete una cartina geografica del 1920 e confrontatela con quella del 1945. Cara grazia che abbiamo ancora Trieste; ma l’Istria e la Dalmazia sono perdute per sempre, e la colpa è di Mussolini. Di conseguenza, anche la tragedia delle foibe è colpa di Mussolini: e non è che ci sia tanto da discutere, i fatti sono lì, chiari ed evidenti. Su tutto il resto, l’informazione è vasta e dettagliata ed è inutile perfino perderci tempo: il fascismo è forse buono per gasarsi, per fare gli slogan, “vincere e vinceremo”, “bell’abissina”, “spezzeremo le reni alla Grecia”, ma poi, quando dalle parole si passa ai fatti, come è finita? ( e, già che ci siamo, chi ha vinto ad El Alamein?).

sabato 21 agosto 2010

Eskimo

Cos’è un eskimo? E’ un giaccone impermeabile con il cappuccio. Tutto qui: guardatevi in giro, di eskimo è ancora pieno il mondo. L’eskimo (che gli stilisti copiarono dai vestiti degli esquimesi: niente si inventa, nel mondo della moda si copia e basta) è comodo e pratico, e avere il cappuccio dietro è utile quando piove. Il fatto che l’eskimo sia automaticamente associato ai moti del ’68 è dovuto al fatto che nel 1968 l’eskimo era appena stato messo in commercio; prima si usava il paltò (francesismo, da “paletot”: il cappotto di Fantozzi). E’ per questo che si parla ancora così tanto degli anni ’60 e si snobbano le altre decadi del Novecento: perché tante cose si sono fatte per la prima volta negli anni ’60, dal rock duro ai catini di plastica, dalle minigonne alle autostrade, dal computer alla tv a colori, è tutta roba che prima non c’era e non si sarebbe nemmeno mai pensato che ci sarebbe stata, inimmaginabile.
Ma l’eskimo lo portavano tutti, in quegli anni lì: mica soltanto quelli di sinistra, tutti. Ricordo che a scuola ogni volta alla fine delle lezioni c’era la ressa vicino all’attaccapanni, e più di una volta i miei compagni di classe erano andati a casa con l’eskimo di un altro (se ne accorgevano solo quando mettevano le mani in tasca). C’era chi, per distinguersi, lo comperava colorato e non nel classico verdino: non serviva, c’era subito un altro che ne prendeva uno uguale, perché nei negozi c’erano solo quei due o tre colori lì.
Ma io non ho mai avuto un eskimo. Essendo alto e robusto, il cappuccio non mi andava mai bene: ci ho provato a indossarne uno, in negozio, poi ho lasciato perdere. In caso di pioggia, avevo un cappellino pieghevole da tenere in tasca; non era alla moda, ma funzionava.
C’era anche la moda del loden: tutti col loden verde, idem come sopra. Qualcuno comperava il loden di un altro colore, ma i colori erano solo due o tre, nei negozi vendevano solo quelli, idem come sopra, eccetera. Il loden tirolese (gran bel cappotto, detto per inciso) era di moda come e più dell’eskimo in quell’inizio degli anni ’70, ma non rientra nei luoghi comuni e quindi non si può dire. E’ vero, ma non si può dire: ogni volta che vedo un loden penso agli anni ’70, ma non lo posso dire a nessuno perché di quel periodo bisogna obbligatoriamente dire (nel senso che dirlo è obbligatorio) che c’erano gli eskimo e i pantaloni a zampa d’elefante, e che tutti ma proprio tutti ascoltavano Baglioni e Battisti.
Non è vero, perché ognuno faceva quello che gli pare, esattamente come oggi, e l’unico limite erano i negozi e le mode (e i soldi a disposizione) che ti obbligavano a comperare solo quelle robe lì; ma i luoghi comuni sono come le fiabe che si raccontano ai bambini, vanno ripetuti uguale uguale, sono molto rassicuranti e guai a chi li contraddice. Triste da dire, ma funziona così anche in politica.

mercoledì 18 agosto 2010

Jeans

Comperare un paio di jeans sembra facile, invece io ho sempre trovato grosse difficoltà. Innanzitutto, le mode: gamba stretta, gamba larga, a tubo, a campana, con le borchie (orrore le borchie! rigano tutte le sedie e le panche di legno, alle volte – nelle tasche - staccano perfino le unghie), con le cerniere sulle tasche di dietro (orrore! rigano le sedie ancora peggio delle borchie), con le tasche di traverso, con le tasche diritte, eccetera eccetera.
A un certo punto, pensando di essere furbo, sono andato nel negozio dove avevo comperato i jeans che andavano bene e ho detto, indicandoli: “Vorrei un paio di jeans uguali a questi”. Ma erano passati tre mesi, la moda era già cambiata.
Una volta ho fatto vedere a un’amica una mia foto di quando andavo a scuola (cioè negli anni in cui lei stava per nascere) e mi ha detto tutta contenta: “Oh, i jeans a campana!”. E questo perché in tv le hanno insegnato che negli anni ’70 tutti portavano i jeans a campana, detti anche “a zampa d’elefante”. Siccome non mi ricordavo di averne mai portati né comperati, sono andato a guardare la foto: si tratta semplicemente del periodo in cui vendevano i jeans “larghi in fondo”. La foto può trarre in inganno, forse un colpo di vento, forse la mia posizione. Quelli a campana, stile Jimi Hendrix, erano tutta un’altra cosa; ma passi, transeat: ero lì con una donna che aveva quindici anni meno di me, cosa vuoi che stia a sottilizzare. Le ho detto di sì ed è stata contenta, mica si sta a sottilizzare in questi casi.
La verità di fondo è questa: che ti tocca comperare quello che va di moda, ti piaccia o no. Se non ti piacciono i jeans fatti in quel modo lì, sei costretto a sperare che i vecchi jeans tengano: gli ultimi che ho comperato erano ottimi, mi stanno durando da dieci anni.

martedì 17 agosto 2010

Sponsor & Scommesse

Fino a pochi anni fa, gli sponsor delle squadre di calcio erano gruppi industriali, marche di elettrodomestici, di automobili, di alimentari. C’era un po’ di tutto: Ariston, Sony, Barilla, Toyota, maglieria sportiva, assicurazioni, marchi ormai scomparsi (Inno Hit, sulle maglie dell’Inter) tante cose diverse. Prima ancora, per quasi cent’anni, fino agli anni ’80, fare pubblicità sulle maglie era vietato dai regolamenti; dopo si decise in questo senso, c’erano dei pro e dei contro ma in fin dei conti l’argomento non era così interessante (io continuo a preferire le maglie senza scritte, solo i colori della società, ma capisco le esigenze di bilancio).
Chi sono oggi i principali sponsor delle squadre di calcio? Incredibile: il calcioscommesse. Portano sul petto il nome di società di scommesse, o l’hanno portato, società importantissime come Real Madrid, Milan, e da quest’anno anche la Juventus. L’Inter ha il marchio di uno dei suoi padroni; altre squadre si arrabattano con quel che trovano.
Fate caso anche alle pubblicità sui giornali, o in televisione: i marchi industriali sono quasi scomparsi, restano solo le compagnie telefoniche e la moda. Anche in tv impazzano le scommesse sulle partite di calcio, i gratta e vinci, le suonerie, gli apparecchi per far calare la pancia. Buon segno o cattivo segno? Non saprei, ma nel dubbio porto qui il mio motto: non un centesimo per questo calcio, non mi va di farmi prendere in giro.

domenica 15 agosto 2010

Il Varese in serie A

Una volta ho letto una cosa curiosa: che il Vicenza calcio, il famoso Lanerossi Vicenza, rimase in serie A per quasi vent’anni consecutivi, senza mai retrocedere, fino a che durò il potere di Mariano Rumor, democristiano vicentino, primo ministro per diverse volte e in diverse legislature tra gli anni ’60 e gli anni ’70, e molte volte ministro degli Interni, degli Esteri, eccetera.
Mi sembrò strano e non ci feci caso più di tanto, ma il fatto che le sfortune del Vicenza calcio (ormai non più Lanerossi) siano iniziate quando Rumor si tirò un po’ da parte mi avevano lasciato la classica pulce nell’orecchio. Da allora il Vicenza non è più tornato a quei livelli, procede fra pochi alti e molti bassi, ha perfino conosciuto la serie C.
Un altro caso “strano”, sempre nel calcio, fu l’Avellino: mai stata in serie A, la squadra di calcio della città irpina ci arrivò e ci rimase per una decina d’anni: gli anni di Ciriaco De Mita, segretario DC e presidente del Consiglio proprio in quegli anni. Caduto De Mita, anche l’Avellino seguì la sorte del Vicenza, tornando nell’anonimato o quasi.
Che i politici usassero il calcio era comunque cosa nota, e anch’io nel mio piccolo avevo notato alcune cose dubbie, fin da quando avevo dodici anni e seguivo tutto ma proprio tutto avevo notato che c’erano squadre che non retrocedevano mai anche se andavano malissimo, altre invece che potevano retrocedere anche se andavano benino. Con notazioni strane: la Roma non poteva retrocedere, la Lazio invece sì (a questo proposito si sussurrava in segreto il nome di Giulio Andreotti, grande tifoso romanista). Retrocedevano sempre le stesse, misterioso fato avverso: Sampdoria, Foggia, Atalanta, Bari, e qualche altra, sembrava che fossero lì apposta, per retrocedere al posto di Inter, Milan, Fiorentina, Roma, Napoli.
Tutte balle, mi si dirà, fantasie: ma non sono mie fantasie, sono osservazioni fatte da giornalisti attenti nel corso dei decenni; e con il tempo ho imparato a crederci, i politici contano molto più degli arbitri. Per esempio, detto con molta simpatia per la squadra che fu di Bettega e di Anastasi e di Nils Liedholm: vogliamo scommettere, con Maroni ministro, che il Varese calcio tornerà presto in serie A? E’ appena risalito in serie B dopo venti o trent’anni tra le serie minori, direi che è pronto per l’impresa, auguri.
(no, il Varese è miseramente fallito. Non è più quel tempo, e non c'è più un Borghi e nemmeno una Ignis. Fine anche degli imprenditori mecenati, questa è la Lombardia del Nuovo Millennio).

sabato 14 agosto 2010

Federalismo

Da che mondo è mondo, il federalismo si fa per unire, non per dividere. Un po’ di storia: nel 1291 le tre comunità di Uri, Schwyz e Unterwalden si federano (cioè si uniscono) e nasce così la Svizzera, stato federale per antonomasia. In seguito, altre regioni o comunità aderiranno al progetto, facendo crescere la Svizzera fino a farla diventare uno Stato importante, ben unita e con una sua identità nonostante le numerose differenze linguistiche e religiose. In America, a fine ‘700, nasce un altro Stato federale: le colonie britanniche della Costa Est si federano (cioè si uniscono) e nasce un nuovo Stato, che pian piano vedrà nuove adesioni fino ad arrivare alle attuali dimensioni. In Europa, a metà Ottocento, la Germania è divisa in molti Stati diversi (la Baviera, la Prussia...) che si federano insieme (cioè si uniscono) e fanno nascere una nuova nazione più grande.
Da noi cosa succede? Succede che i presunti paladini del Federalismo in realtà (nei fatti) vogliono federare per dividere, “tirar su il muro”. Ho ascoltato diverse volte Umberto Bossi e i suoi fedeli, davanti a precisa domanda, rispondere con naturalezza: “Ma certo, Carlo Cattaneo.” E qui basterebbe qualche reminiscenza scolastica per ricordare che Carlo Cattaneo parlò di federalismo al tempo di Garibaldi, di Giuseppe Verdi e di Cavour: nella prima metà dell’Ottocento, intorno al 1848, quando l’Italia era divisa in molti piccoli Stati. Avendo l’Italia divisa e volendo riunirla, Carlo Cattaneo pensò al federalismo: cioè mettere insieme il Granducato di Toscana, il Piemonte, lo Stato Pontificio, il Lombardo-Veneto strappato all’Austria, il Regno delle due Sicilie, e gli altri Stati più piccoli. Mettere insieme, non dividere: ma il disegno della Lega Nord è chiarissimo, e ormai sta per essere attuato, prepariamoci a veder sorgere il Muro: se più su o più giù del Po, staremo a vedere. Con la Sanità locale, la Polizia locale, la finanza locale (tasse locali) e con i sempre maggiori poteri concessi ai sindaci e alle provincie, il gioco è fatto. (Detto en passant, avere un secessionista come ministro degli Interni è davvero un curioso paradosso: uno così Radetzky lo avrebbe subito sbattuto in galera, o forse fucilato).
Un’altra cosa curiosa è vedere l’opposizione che preme per vedere realizzato questo pseudo federalismo, che è in realtà uno spostamento di poteri nelle mani dei politici locali. Una cosa che avrebbe senso nel caso di politici locali illuminati e onesti: ne vedete qualcuno in giro? Io, nato e cresciuto qui nel cuore della Lombardia secessionista, vedo solo delle gran colate di cemento, anche nei parchi regionali e in zone che mai erano state toccate dalla speculazione edilizia, e che mai si sarebbe immaginato che sarebbero state toccate. Ecco, a queste cose i nostri Padri Costituenti ci erano stati attenti, evitando di dare troppo potere alle singole persone, sia a livello centrale che a livello locale: non che fossero più intelligenti di noi, ma erano stati scottati dal fascismo e sapevano per esperienza diretta che tutti i poteri vanno tenuti sotto controllo. E’ vero che ciò comporta alle volte una perdita di tempo, ma se si rischia di far danni la perdita di tempo, la dilazione, diventa una benedizione divina.
Ma qui mi fermo per non uscire troppo dal tema. Caro Bossi, caro Maroni, cari elettori leghisti, questo non è federalismo. Chiamate le cose con il loro nome: questo è un tentativo di feudalesimo. Si vuole tornare all’anno Mille, al castellano e ai suoi sudditi? Direi di sì, e mi pare che il tentativo sia ben riuscito: basti pensare alle gabelle che siamo costretti a pagare ogni giorno, per esempio quelle sui parcheggi. Mi stupisce che nessuno ci abbia fatto caso, eppure sono passati solo 10-12 anni da quando tutti i parcheggi erano gratuiti, anche nelle città medio-grandi; e anche le scuole erano gratuite, oggi si pagano 400-500 euro al mese (al mese!) anche nelle scuole pubbliche. Siete contenti dell’operato della Lega? Beati voi, io ho una gran paura: se siamo ridotti così nel 2010, chissà cosa arriverà tra qualche anno.