mercoledì 22 maggio 2013

Oltre il muro

Il primo post di questo blog, del 9 ottobre 2009,
era dedicato a Delio Tessa.
Lo riporto qui come chiusura, De là del mur...

Voeurom on coo de gatt
per podé liberass
di penser...andà in oca,
voeurom desmentegass
del Roveda, di Edison
che tracolla... la gent
balenga, i scagg de guerra
tutto òo lassaa de là.
(vogliamo aver la testa come un gatto, per poterci liberare dai pensieri...andare in oca. Vogliamo dimenticarci del Roveda, dell’Edison che tracolla... la gente balenga, le paure della guerra, tutto lasciar di là) (scagg si pronuncia con le g dolci, è il plurale di "scaggia", paura, una parola che oggi usano ormai in pochi)
Una mattina di un giorno di festa, nel 1913, l’avvocato milanese Delio Tessa prende la sua bicicletta nuova e va a fare un giro, un giro piuttosto lungo che lo porta all’estremo nord della provincia di Milano, che più o meno corrisponde all’estremo sud dei miei giri personali in bicicletta (non sono mai stato un gran ciclista).
A un certo punto, Tessa si trova davanti a un gran muro, che riconosce: è il muro dell’allora manicomio di Milano, il proverbiale Mombello, vicino a Limbiate. E, di là del muro, cantano. E’ una sorpresa inaspettata: «al de là del mur, cantàven...»

Da quel giro in bicicletta nasce “De là del mur”, poesia scritta nel 1913 e rielaborata (o, meglio, completata) molti anni dopo, nel 1931. Le riflessioni di Tessa sono molto belle e molto profonde, ma non posso riportarle qui per esteso, la poesia completa è troppo lunga, ed è in dialetto milanese: per chi volesse leggerla per intero, rimando ai due volumi pubblicati una decina d’anni fa da Einaudi a cura di Dante Isella.
Foeura de Porta Volta
de paes en paes
a la longa di sces
pedalavi in la molta
de la Comasina vuna
de sti mattinn passaa:
me seri dessedaa
con tant de grinta, in luna
sbiessa e in setton sul lett
pensavi: «cossa femm
incoeu?...l’è festa... andemm...
(fuori di Porta Volta, di paese in paese, lungo le siepi, pedalavo nel fango della Comasina, una di queste mattine passate. Mi ero svegliato col broncio, con la luna a rovescio, e seduto sul letto pensavo: cosa facciamo oggi? andiamo, via, fuori da queste federe!)
“Di là del muro cantavano”: canzoni semplici, rime e filastrocche popolari, ma cantavano. E c’era una grande serenità.

Allora i matti facevano paura, il manicomio era ancora quello ottocentesco, non solo Basaglia ma anche Freud e Jung erano figure ancora lontane, che cominciavano appena a farsi conoscere. Il manicomio incuteva terrore solo a nominarlo, ma ecco che davanti a quel muro spaventoso il poeta Delio Tessa sente nascere quasi un’invidia per quella condizione, vorrebbe anche lui “avere un coo de gatt”, la testa (cioè i pensieri) di un gatto, ignorare gli scandali finanziari dell’epoca (il Roveda, l’Edison), dimenticarsi della possibilità di una guerra devastante, e anche della “gente balenga” che sembra approvare guerre e violenze. Ma tutto questo non è possibile, rimonta sulla bicicletta e inizia il percorso verso casa, verso Milano. L’arrivo nella grande città è annunciato dalle locandine dei cinema: danno un film western, “Trader Horn”.
Il milanese era la lingua materna dell’avucàtt, che era persona di grande e raffinata cultura: ma allora il dialetto lo parlavano tutti, ed era ancora una lingua viva. Delio Tessa è uno dei più grandi poeti italiani del Novecento, la sua scrittura deve molto alla grande musica, ed è un peccato che siano ormai in pochi a conoscerlo.
E’ un peccato, soprattutto, che chi oggi si erge a paladino del ritorno dei dialetti ne ignori completamente il nome. Ma ignorare i nomi dei grandi è una caratteristica di questi nostri strani tempi: e pensare che Milano, il dialetto milanese e quello di area padana, sono stati di recente insigniti del maggiore premio letterario a livello mondiale: il Premio Nobel.

martedì 21 maggio 2013

Neolingua

C’è una dittatura, in “1984” di George Orwell; e uno dei suoi aspetti principali è la creazione di una lingua nuova, che nelle versioni italiane del romanzo di solito viene chiamata “neolingua”. Ci pensavo ieri sera, e a dire il vero ci penso ogni giorno di più perché di parole inventate o riadattate ne abbiamo sempre di più.
Provo a fare un elenco veloce delle principali:
- l’uso di “ministra” invece di ministro, e simili (sindaca, sindachessa, magistratessa...). Ieri sera, per radio, c’era appunto una signora che diceva con toni accorati che dire ministra a una donna che fa il ministro è importante e fondamentale, altrimenti si ricade nella cultura maschilista. Mah. Non dico che non se ne debba discutere, la lingua parlata è una lingua viva e cambia continuamente, come tutte le cose vive; ma se avete studiato un po’ di tedesco, o di latino, avrete imparato che esiste il genere neutro. La notizia dell’esistenza del genere neutro di regola scatena ilarità e doppi sensi negli studenti e studentesse italiani e italiane (di tutte le età, anche nei corsi per adulti), e allora l’insegnante spiega con pazienza che il genere neutro esiste anche in italiano, solo che non lo si insegna a scuola perché sarebbe una complicazione inutile. Alcuni esempi: le parole volpe, oca, gatto, cigno, e simili, indicano sia il maschio che la femmina; e sono quindi vocaboli neutri. La stessa cosa succede con parole come pubblico, studenti, passeggeri: genere neutro. Star lì a specificare ogni volta quanti sono i maschi e quante le femmine tra i passeggeri e tra gli spettatori è davvero una complicazione inutile, ma vedo che le complicazioni inutili piacciono, io non mi ci abituerò mai ma vedo sempre di più che alla gente piace moltissimo complicarsi la vita.
- femminicidio: da quando si parla di femminicidio, le donne assassinate sono state sempre di più. E’ impressionante. E non solo le donne: la madre che butta i due figli dalla finestra è di pochi giorni fa, c’è una crescita spaventosa della violenza che si vorrebbe arginare con una parola. Figuriamoci cosa importa a un pazzo omicida se l’azione che sta commettendo si chiama femminicidio o omicidio o assassinio o infanticidio, o magari geriatricidio, giulianicidio, fate voi.
- negritudine: è una parola che denota l’orgoglio di avere la pelle nera, e fu inventata da una grande persona, Léopold Sédar Senghor, primo presidente del Senegal indipendente. Adesso mi vengono a dire che dire negro è razzismo, ma negro è una parola italianissima, documentata da secoli, e anzi ci sono molte persone che fanno di cognome Negro, Negri, Negretti, Negrini, Negroni. Nell’equivoco è caduto perfino una persona di cultura come Gianni Mura: si vede che di Senghor e della negritudine mi ricordo soltanto io. Della confusione intorno alla parola “negro” ho già parlato qui, per intanto prendo atto che nessuno ha fatto notare, in questi giorni, che la presenza nelle istituzioni di razzisti dichiarati come il deputato leghista Borghezio è un gentile omaggio fatto a noi tutti dal signore che è proprietario del Milan fin dal 1994. Ne vogliamo parlare?
- Stalker: per me rimarrà sempre il film di Andrej Tarkovskij, la solitudine dello Stalker, il volto sofferto dell’attore Kajdanovskij. Volete parlare di molestie e di minacce? Ci sono le parole che usiamo da sempre, molestie e minacce. Vi pare poco? A me no, non mi piace essere molestato né minacciato, né tanto meno essere picchiato o ferito. Stalking è una parola inglese, che si usa comunemente nei paesi di lingua inglese: seguire una traccia, andare a caccia. Stalker è anche una guida attraverso luoghi sconosciuti (è questo il senso del titolo del film di Tarkovskij). Come mai si usa la parola stalking e stalker nel senso negativo, e sempre e solo in quello? Facile, c’era un ministro (pardon, ministra) in cerca di visibilità; e siccome siamo nel paese dei pubblicitari cos’altro si può fare, se non cambiare etichetta a un prodotto per dargli visibilità sugli scaffali? Siamo ormai in un immenso ipermercato, ma la verità triste è invece un’altra: il governo di cui faceva parte quella ministra ha tagliato i fondi alla polizia, e adesso le vittime delle molestie (stalking, detto in neolingua) sono più in pericolo di prima. La cronaca quotidiana ne è purtroppo la conferma.
- Austerità: in questi giorni ho sentito dire che a Cipro si licenzia perché c’è l’austerità. No, austerità è tenersi il cappotto dell’anno prima, o magari per dieci anni di fila se ci riuscite. Austerità è consumare con attenzione, non correre dietro alle mode, tenersi il telefonino se funziona ancora anche se non ha gli ultimi gadgets, queste cose qui. Se si vuole licenziare, lo dica chiaramente: LICENZIARE, tutte maiuscole e senza giri di parole, che sia ben chiaro cosa stai facendo.
- hashtag: adesso si pretende che tutti sappiano al volo che cos’è hashtag. Per conto mio, lo saprei anche ma faccio finta di non saperlo. Fino a pochi anni fa, nel mondo dei computer ci si divideva tra Apple e Windows; adesso c’è una Torre di Babele, ognuno con la sua neolingua e ognuno convinto che il suo sistema operativo sia migliore degli altri. Nel frattempo, nessuno fa più caso a quello che si dice e si scrive; l’importante è il supporto. Se vi vedono armeggiare con un dvd o un cd, non è che vi vengano a chiedere “cosa ascolti, cosa leggi”, vi dicono che hai ancora il cd e il dvd, quindi sei un minorato. Se dici che hai un blog, idem: oggi si va su facebook e su twitter, salvo poi lamentarsi della quantità di insulti che si ricevono. E se si facesse più attenzione ai contenuti, piuttosto che al supporto?
In conclusione, c’è una definizione di pigrizia che viene dal buddismo: una delle manifestazioni della pigrizia è occuparsi di questioni inutili o di poco conto. Inventandosi parole nuove si crede di affrontare il problema, invece succede il contrario: si pensa di aver affrontato il problema e invece abbiamo soltanto assecondato la nostra pigrizia.
(le immagini vengono tutte dal film "Stalker" di Andrej Tarkovskij)
PS: questo blog chiuderà domani, giorno di Santa Rita: ho ancora i cd e i dvd in casa, ho perfino dei libri vecchi di trent’anni che sfoglio regolarmente, sono davvero obsoleto. Divertitevi.

mercoledì 15 maggio 2013

Acqua distillata

Spiegare che cos’è l’acqua distillata sembrerebbe facile, ma basta provare e si scopre che non è così. In realtà la spiegazione è davvero molto semplice, ma ogni volta che viene proposta ci sono sempre facce molto perplesse. L’acqua può essere distillata, come la grappa: una pentola che bolle, un tubo che raffredda i vapori, un recipiente per raccoglierli: tutto qui, lo schema è semplicissimo. Sul fondo della bottiglia che abbiamo messo a bollire rimarranno, alla fine, i sali che erano presenti nell’acqua di rubinetto da cui siamo partiti.

L’ostacolo maggiore alla comprensione, me ne sono reso conto da tempo, è nella parola “sale”: la maggior parte della gente, anche tra quelli che hanno studiato e che magari hanno fatto il classico, non capisce di cosa si parla. Forse si può provare a dire “calcare”, ma non tutti i sali provocano il calcare. Da questo punto di vista, secoli e secoli sono passati invano e perdura l’ignoranza anche sugli aspetti più semplici del mondo in cui viviamo (come l’azoto, nel quale viviamo immersi). I microbi, i batteri, il dna, la trasformazione continua della materia, continuano a rimanere un mistero per quasi tutti.
Il sale, per tutti, è solo quello di cucina; se nessuno ce lo mette, come fa ad esserci il sale nell’acqua? La situazione migliora un po’ se si usa la parola “calcàre”, quello sì, lo hanno visto tutti, prima o poi, il calcare. Ma da dove viene il calcare, chi ce lo ha messo? Come si forma?
In queste cose, siamo ancora in gran parte fermi al pre-illuminismo, quando i medici parlavano di “mal della pietra” per dire che uno aveva i calcoli. Come si sarà formata quella pietra, chi ce l’ha messa, qual mai sortilegio ha fatto sì che delle pietre siano penetrate in un corpo umano?
L’acqua è chiara, pulita, trasparente, inodore e insapore: non sorprende più di quel tanto che la si pensi ancora, come 500 anni fa, qualcosa di a sè stante, puro e virginale. Invece no, c’è sempre qualcosa sciolto dentro: l’acqua salata non è solo quella del mare, tutte le acque sono sempre almeno un po’ salate. Se noi chiamiamo salata l’acqua di mare, è solo perché i sali che vi sono disciolti sono in concentrazione tale che riusciamo a percepirli.
Ho detto “i sali”, al plurale, perché i sali che possono esservi disciolti sono molti. C’è un interscambio continuo fra la terra e l’acqua, alcuni terreni trattengono i sali e lasciano l’acqua più leggera, altre terre si fanno sciogliere e rendono l’acqua più dura; infine, dal mare e dai laghi l’acqua evapora, distilla naturalmente e va a formare le nuvole. Tutto questo fa parte del ciclo di trasformazione della materia, che non ha mai fine e che è alla base dell’intero Universo, e non solo di questa nostra Terra. Qui il discorso comincia a farsi davvero complesso, e devo rimandare chi mi sta leggendo non solo a un corso di chimica serio (questo mi sembra scontato, io come chimico valgo pochissimo) ma anche ad altri miei post su questo sito, per esempio quello sulla durezza delle acque e quelli su Mendeleev e il Sistema Periodico degli Elementi.

L’acqua distillata, anche questa è un’esperienza comune, per molte persone è difficile da capire perfino come nome: c’è chi la percepisce come località, l’acqua di Stillata: se c’è l’acqua di Colonia ci sarà pure quella di Stillata (ci sarà pure un posto che si chiama Stillata, magari in Calabria o in Toscana...). Sul sito del farmacista Salvatore Lo Leggio (purtroppo ne ho perso l’indirizzo web) ci sono dei bigliettini con le richieste scritte dai suoi compaesani, e in uno di questi, che trovo bellissimo, era nominata l’acqua stellata. Mentre leggevo, ho pensato che se fosse veramente possibile dare dell’acqua stellata a chi la richiede, fare il farmacista sarebbe il mestiere più bello del mondo.
Infine alcune domande che ho ascoltato spesso:
- l’acqua piovana è come l’acqua distillata? In teoria sì, in pratica no: questo perché l’aria è spesso molto sporca, soprattutto in città e dove ci sono le automobili e le moto, ma un po’ ovunque perché basta un fuoco acceso (fumo, gas di combustione) o un aereo che passa per inquinare l’acqua piovana. Lo stesso discorso vale per la neve sciolta: ai tempi dei nostri bisnonni era probabilmente vero, oggi anche la neve e la nebbia sciolgono gas e polveri presenti nell’aria. La produzione industriale e le grandi fabbriche cominciano a metà Ottocento, è da allora che acqua piovana e neve disciolta non possono più essere paragonabili all’acqua distillata. Allo stesso modo, anche l’acqua di condensa che troviamo sul coperchio dell’acqua per la pastasciutta, o dentro il forno a microonde quando riscaldiamo qualcosa, può essere considerata acqua distillata: a patto che il coperchio sia ben pulito, s’intende, e fatto di materiale non solubile in acqua.
- l’ acqua demineralizzata è identica all’acqua distillata, cambia il modo in cui viene preparata: non attraverso la bollitura ma tramite il passaggio dell’acqua attraverso terre e resine appositamente scelte. Per i desalinizzatori oggi si usano anche altre tecniche, come l’osmosi, o la filtrazione con filtri molto speciali; però qui il discorso si farebbe troppo complesso per le mie competenze. Il risultato finale è comunque sempre quello, un’acqua senza sali disciolti.
- E' vero che bere acqua distillata fa male? Se sì, perchè? Non sono un medico, però posso subito dire che non è di certo un veleno; la questione è più complessa. L'acqua distillata, e anche quella demineralizzata, sono acque che non contengono sali disciolti; invece noi abbiamo bisogno dei sali minerali, perché sono i sali disciolti nell'acqua che conducono l'elettricità, e il nostro corpo è basato su impulsi elettrici e magnetici, proprio come una pila elettrica. L’elettricità non si trasmette attraverso l’acqua distillata, bastano invece pochissimi sali disciolti per trasformarla in conduttore. Bevendo acqua distillata si diluiscono i sali presenti nei liquidi del nostro corpo, e questo non va bene. La soluzione fisiologica, quella che si usa per le iniezioni e per le flebo, è fatta di sali disciolti in acqua.
- L’acqua distillata sui fiori fa male? Questo è vero, e la spiegazione è molto simile a quella del punto precedente: il nostro corpo è come una pila, e anche le piante sono fatte allo stesso modo, c’è bisogno dei sali minerali. Inoltre, l’acqua distillata diventa leggermente acida: molto meno dell’aceto o del succo di limone, ma comunque in modo da modificare il pH del terreno. Anche questo va a influire sulla salute delle nostre piante nei vasi.
- a cosa serve l'acqua distillata? L'impiego principale è nelle analisi chimiche. In chimica è fondamentale avere reagenti puri, e anche i solventi devono essere puri, perché la presenza di altri composti potrebbe interferire sulle analisi. Per la maggior parte degli altri impieghi, l'acqua demineralizzata basta e avanza; e per cuocere la pasta e il minestrone è sicuramente meglio l'acqua del rubinetto (infatti, all'acqua della pasta e delle minestre aggiungiamo sempre del sale...)
Le immagini, compresa quella del sale d'amare lacrime, vengono quasi tutte dall'ottimo sito http://mudwerks.tumblr.com  , con l'eccezione dell'impianto di distillazione da laboratorio (wikipedia) e della vignetta con l'omino giustamente perplesso davanti all'acqua biologica (La Settimana Enigmistica, ça va sans dire).  La donnina qui sopra sta mostrando la ricostruzione di alcuni cristalli, e la foto è del 1930; i due chimici misteriosi in alto vengono dal leggendario "Godzilla" di Ishiro Honda, anno 1954; qui sotto c'è invece Vincent Price, altro chimico misterioso, intento a osservare qualcosa che somiglia a un impianto di raffreddamento per una distillazione (L'abominevole dr.Phibes, 1971).