Sul treno da Como a Milano, l’inverno scorso, una donna chiede a due studenti universitari se la prossima è la fermata giusta; spiega che non ne è sicura perché non prende questa linea da molti anni, e adesso le stazioni sono diverse. I due confermano, gentilissimi, è la fermata giusta; ma poi, quando la donna è scesa, si consultano perplessi: le stazioni cambiate? Ma che significa? Mica si cambiano, le stazioni e le fermate dei treni...
Io ho ascoltato tutto senza volerlo, perché ero lì vicino: glielo spiegherei volentieri ma poi lascio perdere, non è questo il tempo delle spiegazioni e degli intermezzi culturali, sono sicuro che la mia spiegazione sarebbe accolta con fastidio.
La realtà è che sono passati meno di dieci anni da quando c’era la Bullona: Milano Nord Bullona, si chiamava così. Sulla tratta da Saronno a Milano, dove fa capo anche il treno per l’aeroporto della Malpensa, le ultime tre fermate erano Bovisa-Bullona-Milano, dove per Milano si intende Milano Cadorna, il terminale (o il punto di partenza, dipende da cosa state facendo voi in quel momento). E’ stato così per quasi cent’anni, la fermata odierna di Domodossola-Fiera (piazza Domodossola) ha preso il posto della Bullona solo dal 2003: meno di nove anni, ma per quei due ragazzi significa che loro facevano ancora le medie, forse le elementari. Si vede che nessuno glielo ha spiegato, e del resto l’assoluta indifferenza per il passato, anche quello recente e recentissimo, è ormai il vero tratto distintivo di questo inizio di millennio.
La stazione della Bullona, zona nord di Milano, era in via Piero della Francesca; via Bullona è lì vicino, probabilmente era il nome di una cascina poi scomparsa a causa della speculazione edilizia (anche la Malpensa prende il nome da una cascina). Fu inaugurata nel 1929, è stata chiusa il 15 maggio 2003. Aveva un aspetto un po’ strano, più simile alle odierne stazioni della metropolitana che a una stazione ferroviaria vera e propria: la stazione era infatti sopra ai binari, e si accedeva ai treni scendendo da due scalinate situate sui lati; guardando bene le fotografie qui sotto (prese da
www.wikipedia.it e da ritagli di giornale ormai antichi) penso che si riesca a capire bene, o comunque meglio che dalla mia spiegazione.
La stazione fu eliminata per via dei lavori di allargamento della sede ferroviaria: qui c’era una strettoia, con solo due binari. Dato che si tratta proprio della via d’accesso e d’uscita dei treni dal terminale di Milano Cadorna, era un vero e proprio collo di bottiglia. I nuovi binari sono stati ricavati dalle banchine, qui corrono delle strade e altro spazio non c’era; di conseguenza la nuova stazione è stata costruita a piazza Domodossola, a poche centinaia di metri di distanza.
Non era una stazione particolarmente bella, e io non ho ricordi particolari legati alla Bullona: da qui sono passato poche volte, quasi sempre per caso. Però il pensiero della Bullona mi è arrivato per altre vie, legate non al ricordo ma a tutta una serie di considerazioni che provo a sintetizzare qui sotto.
Si tratta della Milano scomparsa, scomparsa come la Bullona. Non è nostalgia, non si può avere nostalgia di una stazione scomoda come la Bullona; magari un po’ d’affetto, qualche ricordo, ma la Bullona come stazione era ormai improponibile, e il quadruplicamento dei binari è stata una cosa utile e importante. La sensazione di cui parlo è invece molto vicina all’angoscia, sempre più angoscia ogni volta che vengo a Milano. La Milano che ho conosciuto io era una delle capitali d’Europa, magari discutibile per molti punti di vista, ma comunque una città importante, aperta, vivibile.
Di bello nel 2012 ci sono i locali notturni, la “movida”, ma queste cose ci sono sempre state, c’erano anche cent’anni fa; i nostri vecchi andavano al tabarin, la generazione che oggi ha dai sessanta ai settant’anni andava al cabaret, eccetera. Quello che non c’è più è la Milano accogliente raccontata da Dario Fo (provate a chiedere quanto costa oggi una stanza in affitto, e non solo a Brera), non c’è più Strehler, Claudio Abbado vive stabilmente tra Berlino e Ferrara, i negozi medio-piccoli sono tutti scomparsi, hanno chiuso cinema e teatri, e l’elenco potrebbe continuare. Luca Ronconi, che ha preso il posto di Strehler, ha ottant’anni. Dietro c’è il vuoto; magari brave persone e ottimi artisti, ma nulla di paragonabile. Una delle ragioni del cambiamento, forse la più importante, è questa: i nuovi mezzi di comunicazione si usano da soli, una persona alla volta. Il cinema e il teatro invece si fanno in tanti, erano mezzi per comunicare.
Una battuta che mi viene sempre più spontanea è questa: che le donne non vanno più in giro col rosario, come le nostre nonne, ma con l’ipad e con le cuffie nelle orecchie. Forse, una nuova forma di religione: o almeno così potrebbe sembrare a un osservatore esterno.
Tornando ai treni, e alle stazioni, il nuovo che avanza, la modernità, ha le sembianze di un’obliteratrice. Che sia elettronica o col timbro vecchio stile, la timbratura del cartellino è ormai un obbligo, e a me questo non piace, è un gran brutto segnale. Ogni volta che vengo a Milano (ci vengo sempre meno, e sempre meno volentieri) devo inchinarmi, fare le Forche Caudine, inchinarmi al vostro mondo di burocrati implacabili, fatto di plastica magnetizzata, di smart card e di tessere e di tesserine. Parlandone in giro ho scoperto che le tesserine piacciono, tutti pensano di essere entrati a far parte di un club esclusivo; e invece li schedano e li spiano a ripetizione, ma nemmeno se ne accorgono. Non è nostalgia, quindi: la stazione di piazza Domodossola è molto più bella di quella della Bullona, ma qui siamo di fronte a qualcosa di epocale, il 2000 è stato l’inizio di un mondo grigio burocratico, orwelliano. Tra muri, tornelli, telecamere, obliteratrici, viene da dire: questa non è la nuova Milano, siamo a Berlino ai tempi della DDR.
PS: molti di questi muri e tornelli hanno meno di due anni, sono opera della giunta Pisapia.