martedì 20 novembre 2012

Nicchiaflop

“Di nicchia” e “Flop” sono due espressioni dei pubblicitari: al di fuori del linguaggio della pubblicità e del marketing, non hanno molto senso. Di sicuro, non servono per dare un giudizio di valore.
“Nicchia” e “Flop” sono due parole ormai di uso comune, le usiamo con una naturalezza che fa supporre che siano sempre esistite. Lo stesso discorso si può fare con “Target”, o con “Top Ten”; ma io sono una persona semplice, l’inglese lo conosco poco, ho il diploma di perito chimico e una formazione da analista (analista chimico, non analista finanziario: non esiste solo la finanza, la finanza è molto importante ma questo mondo è molto più vasto della Facoltà di Economia e Commercio). In laboratorio, da chimico, mi hanno insegnato che nelle cose bisogna guardarci dentro, titolare con la massima precisione possibile, mettere tutti gli elementi a disposizione su un tavolo, cercarne di nuovi, spaccare il capello in quattro se è possibile. E infine non dare nulla per scontato, chiedersi anche perché le mele che cadono dall’albero finiscono per terra e non rimangono sospese a mezz’aria. Lo so, per il “sentire comune” si rischia di passare per idioti e oltretutto è noioso: di una noia così noiosa che non finisce più – ma io sono fatto così e ormai è tardi per cambiare.
Vediamo un po’. “Flop” è facile, una di quelle belle parole inglesi come quelle dei fumetti, bang slurp smack, che si capisce subito cosa significano. “Flop” lo fa il sufflé quando non viene bene: dovrebbe gonfiarsi in forno e rimanere di un bell’aspetto gonfio, invece lo tiri fuori e si affloscia, miserando spettacolo. Non resta che mangiarselo da soli, il soufflé che ha fatto flop. Un flop è qualcosa che al botteghino non ha reso, per esempio un film che è costato molto e che aveva grandi ambizioni ma che ha reso meno di quanto è costato, e che pochi sono andati a vedere pagando il biglietto. “Di nicchia” è qualcosa che è magari bello ma che non fa soldi. La nicchia è lì, in un angolino; magari c’è dentro una Madonna o un altare, ma chi se ne frega. Mica ci si fanno soldi, con le Madonne dentro una nicchia: le Madonne, d’ora in poi, dovranno apparire solo nelle cattedrali (che sono lì apposta) o magari nelle piazze, che c’è tanto di quello spazio e le riprese tv vengono meglio.
“Top ten” sono le prime dieci: le dieci canzoni più vendute, i dieci film che hanno incassato di più. Beh, è un dato importante se sei un produttore; molto meno se sei uno spettatore. Un film lo possono aver visto due miliardi di persone in una settimana, ma se è una ciofeca resta una ciofeca; e un capolavoro possiamo averlo visto in dieci persone, ma se è un capolavoro per davvero, cosa cambia? La finale della Champions League è stata una pena, eppure l’hanno vista in tutto il mondo; la partita della mia squadra al torneo dei bar è stata favolosa, ci siamo divertiti un sacco ma non è venuto nessuno a vederci: e dunque? Il primo bacio con la donna che amavo lo abbiamo visto addirittura soltanto in due, io e lei: ma vi posso assicurare che è stato meraviglioso.
“Target” significa bersaglio. Il bersaglio delle freccette, per intenderci: il pubblicitario, o l’esperto di marketing, fissa il suo target e in quella direzione dirige i suoi sforzi. Una cosa più che giusta, ma che target poteva avere uno come Tarkovskij?
- Lei pensa mai agli spettatori?
- No, come avrei potuto? Cosa rappresentano per me? Devo insegnare loro qualcosa? Ho qualche mezzo per sapere cosa pensa John Smith a Londra o Vasil Ivanov a Mosca? Davvero dovrei essere un ipocrita a dichiarare di conoscere i pensieri, il mondo interiore di un'altra persona. Se voglio creare qualcosa posso farlo solo col mio linguaggio, trattando il pubblico come un partner a pari livello. Se ho qualche problema penso che anche il pubblico lo abbia e cerco di usare il mio film per fare chiarezza per me e per gli spettatori. Non sono né piú intelligente, né piú stupido, la mia dignità è ugualmente vulnerabile. Niente di piú facile che fare un film con lo sguardo rivolto alle tasche degli spettatori, ma non è la mia vocazione...
( Andrej Tarkovskij, intervista con Irena Brezhnà, 1982)
Il grande regista russo poteva permettersi questo atteggiamento, negli anni ’70 e ’80 era ancora possibile: lavoravano tutti, grandi e piccoli, alti e bassi, ognuno con il proprio stile. I produttori famosi badavano al sodo e facevano film commerciali, ma li affidavano a grandi artisti e solidi professionisti (Vittorio De Sica, Comencini, Risi, Monicelli, Mastrocinque, Mattoli...) e lasciavano sempre spazio ai grandi matti, a quelli “strani”: Fellini, Antonioni, Petri, Rosi, Rossellini; ed erano ripagati anche in termini di cassetta, perché per i film di quei “matti” c’era sempre molta attesa. In tv e sui giornali c’era altra gente che spiegava, che aiutava a capire, che segnalava film e romanzi difficili ma meritevoli di attenzione.
Il critico cinematografico è una figura estinta, scomparso, come quello di teatro: reso inutile dalla cultura dello spot. Stanno facendo la stessa fine anche i critici letterari: in un mondo di flop, di topten, di nicchie e di target, una persona che ti racconta un film e prova a spiegarti i punti che non hai capito diventa del tutto inutile. Facile immaginarselo: magro, calvo, brutto, storto, non fa sesso da trent’anni, sempre chiuso fra cinema e biblioteca, una piaga mortale. Così viene dipinto chi perde il suo tempo dietro a libroni e filmacci noiosi: alle volte capita, ma non è detto. Come se fossero poi tanto più belli, a proposito, i magnati della finanza e della politica: li avete mai guardati bene, i Ricucci, le Marcegaglia, i Briatore, i Moratti, i Berlusconi?
Tutto questo, ovviamente ha avuto un inizio, e io so anche chi è stato a cominciare, dando il via libera. Lo spiegava molto bene Giovanni Raboni:
Ho chiesto all'amico e collega Gastone Geron di poter pubblicare una lettera che mi ha appena inviato. Eccola: « Caro Giovanni, nei giorni scorsi mi è pervenuta la disdetta del contratto di collaborazione come critico teatrale del "Giornale", della cui iniziale società di redattori sono stato uno dei soci fondatori. Accenno appena ai cinquant'anni di militanza critica, iniziata nella mia Venezia, e ai ventidue anni di critico drammatico del "Giorno", per richiamare la tua attenzione sui motivi che hanno determinato il provvedimento "punitivo". Nel corso di un colloquio da me sollecitato, il direttore Vittorio Feltri mi ha spiegato di essere giunto a tale decisione ritenendo che i lettori non siano più interessati alle recensioni di teatro, cinema, musica classica, danza. E' per questo che ti segnalo non tanto un caso personale quanto un esempio inquietante del sempre minor spazio - o addirittura del silenzio - imposto alla cosiddetta critica militante su tanta "carta stampata" ormai allineatasi sui criteri puramente d'immagine del mezzo televisivo Il mio caso diventa addirittura emblematico ove si consideri che il "Giornale" appartiene al fratello del proprietario delle tre maggiori reti televisive private. La vicenda può suggerirti qualche riflessione?».
Mi sembra che ci sia ben poco da aggiungere a ciò che Geron racconta e ai collegamenti che stabilisce. Forse soltanto questo: che la tendenza a ghettizzare e, in fase di soluzione finale, cancellare tutto quanto non sia etichettabile a priori come "di massa" pone, a ben guardare, un autentico problema politico. Non c'è futuro vivibile in una società dove si disprezzano le minoranze: nella fattispecie, non una minoranza etnica o religiosa, ma quella costituita dalle molte centinaia di migliaia di persone che a dispetto degli ordini superiori si ostinano ad amare il teatro più dei telequiz e la musica da camera più della musica rock o leggera.
(da un articolo di Giovanni Raboni - Corriere della Sera - domenica 29 dicembre 1996)
Una volta, aspettando che cuocesse il risotto (si sa che è un’arte che richiede tempo e attenzione) ho ascoltato un dialogo da una sitcom tv. La ragazza che un tizio voleva rimorchiare portandola al cinema rispondeva allegramente così (non era una scusa, il suo personaggio lo prevede):  «Oh, sì, bene, però devono essere film iraniani o coreani, in lingua originale con i sottotitoli. Io vado a vedere solo i film iraniani e coreani in lingua originale e con i sottotitoli. Se non sono i film iraniani o coreani in lingua originale e con i sottotitoli non mi interessa.» Errore, caro sceneggiatore da spot: lo ammetto, io sono davvero piccolo, brutto, storto, magro, mingherlino, ho la pelle verdastra-grigiognola e non faccio sesso da trent’anni: però non vado mai a vedere "i film iraniani e coreani". Adesso ti spiego, prendi nota e prova a capire: io vado a vedere i film di Kim Ki-duk, di Abbas Kiarostami, di Mohsen Makhmalbaf, di Samira Makhmalbaf, di Amir Naderi. Sembra la stessa cosa, ma è diverso.
(10 luglio 2008)
(nelle immagini, fotogrammi da tre film di Andrej Tarkovskij: Stalker, Solaris, Lo specchio)

14 commenti:

Grazia ha detto...

Povera me che non ho un target, sono di nicchia, faccio spesso flop a mi diverto ai concerti jazz! per fortuna non ho più vent' anni. Da giovane desideravo solo essere come gli altri, ora ho la libertà dell'età e nella mia nicchia ci sto benissimo!

Giuliano ha detto...

sta arrivando la fine dell'anno, il gergo dei pubblicitari lo butto via volentieri insieme alle cose vecchie: è questa mentalità che ci ha fatto rimanere indietro.
se poi i pubblicitari e gli addetti al marketing vogliono continuare a dire queste cose, liberi di farlo: spero però che tornino a fare il loro mestiere, e solo quello...
(io per me ho una nicchia enorme, un nicchione! in una nicchia piccola non ci sto)
:-)

Alligatore ha detto...

Mi torna in mente una scena di un film di Moretti, non ricordo più quale: c'era Moretti che brutalizzava un critico, interpretato da Mazzacurati, per i termini usati in alcune sue critiche (mi pare fossimo fine anni '80 primi '90). Cult... anzi stracult!

Giuliano ha detto...

hai guardato i programmi del digitale terrestre? centinaia di canali, ventiquattro ore su ventiquattro, e non sanno cosa xxxxx metterci dentro...
ma che se ne stiano a casa, sul web ci sono tanti ragazzi e ragazze che saprebbero far di meglio
(di Palombella rossa mi ricordo anche la sfuriata con Mariella Valentini! ) (mi sa che sono ancora innamorato, di Mariella Valentini...)
:-)

Paolo ha detto...

In effetti il "marketing" è anche l'arte di appiattire tutto e tutti verso il basso. E' iniziato come studio del modo di vendere di più, ma è degenerato nello studio del modo migliore per "orientare" i possibili compratori.
Io sono un amante delle nicchie, magari non nel cinema e nemmeno nel tifo calcistico, ma di sicuro nella musica e nel mio rifiuto totale all'uniformarsi, all'omologazione e al sentimento popolare

Giuliano ha detto...

è vero, la parola esatta è quella che hai usato, "degenerazione". Le persone che lavorano o lavoravano nel marketing infatti si offendono quando si fa questi discorsi, ma questo significa non capire e non ascoltare nemmeno (ricordi Berlusconi quando si rivolse ai "venditori" per elogiarli?). Io penso che (quasi sempre) ognuno debba fare il suo mestiere, e fermarsi lì: soprattutto in casi come questi, e a questi livelli. Non nei lavori di casa, ovviamente...
:-)
Il pericolo più grave di questa logica "da venditori" è quando viene applicata a trasporti, scuole, ospedali: un ospedale "non rende", una biglietteria "non rende", una linea ferroviaria "non rende" e quindi li si taglia??? Ma siamo matti?
(mi sa di sì)
In campo artistico, il ragionamento del marketing è una vera sciagura: si tagliano fuori tutti gli innovatori, tutti quelli che hanno delle idee.

bibliomatilda ha detto...

...ehehehe...la ministra Fornero sta imparando, sia la lingua inglese che il linguaggio del marketing...e guarda un pò cosa gli è venuto in mente di dire rivolta ai giovani laureati italiani! Ecco cosa vuol dire non aver studiato inglese a scuola!!!!!
Ecco cosa vuol dire studiare le leggi del marketing in età avanzata...finisce che dici cavolate :-)

Giuliano ha detto...

Matilda, sarai mica un po' ciusi anche tu?
:-)
un altro termine che non sopporto più: la tv "generalista". Che significa, "generalista"? Più ci penso, e più la trovo un'altra invenzione dei pubblicitari...

bibliomatilda ha detto...

Che io sia choosy, ci puoi giurare!
Tarkovskij piace tanto anche a me.

Generalista? Non significa nulla... proprio ieri a mia nipote di cinque anni, che mi ha chiesto cosa significasse "in generale"...ho risposto: "valido per più categorie di persone"...a quel punto però, ho dovuto spiegarle cosa fossero le categorie..."la categoria è un modo per parlare in una sola volta di più persone, così esiste la categoria delle mamme, la categoria delle zie (io e le altre zie), delle nonne, delle maestre, dei verdurai e delle commesse, dei bambini e degli adulti"...lei ha aggiunto "delle bambine"! Ha capito tutto!!! Il "generale" si è un poco perduto dietro a questa magnificenza delle categorie. :-)

franz ha detto...

ho appena visto un film di Robert Siodmark e il prossimo sarà di Koji Wakamatsu, spero di non essere un target:)

mi viene in mente un film (http://markx7.blogspot.it/2012/09/free-rainer-hans-weingartner.html) per la nicchia che passa per il tuo blog, e che la tv "generalista" mai passerà in prima serata

Giuliano ha detto...

Matilda, solidarizzo con la nipotina!
:-)
generalizzare è utile per alcune cose molto pratiche, del tipo "in questa scuola le femmine sono il 65% quindi servono tot servizi igienici di questo tipo".
Al di là di queste cose molto pratiche, il bello del mondo è proprio nella diversità

Giuliano ha detto...

Franz, no so se sei un target, ma quando arrivano con le ruspe e gli schiacciasassi il target diventa una cosa secondaria, per non dir di peggio...

Amfortas ha detto...

Mi ha impressionato la lettera di Geron, o meglio la risposta si Feltri, che detesto come pochi altri.
Però il fatto è che ci ha preso in pieno - parlo di ciò che so per certo - almeno per quanto riguarda la musica lirica. Alla prima dell'Otello e del Tristan noi critici accreditati eravamo presenti in quantità imbarazzante, ma su alcune testate di rilievo nazionale, dopo una settimana quasi, non c'è ancora alcuna recensione. Altri quotidiani, invece, hanno pubblicato quattro righe che fanno preferire addirittura il silenzio tombale di altri, perché sono umilianti per chi le legge, per chi le ha scritte e per i protagonisti degli spettacoli di cui sopra.
Purtroopo, come credo dia verti già detto, siamo a livello che nomi famosi della critica musicale - qualcuno oltre che famoso è pure bravo - mandano il pezzo in redazione e non hanno idea di quando sarà pubblicato. Di solito quando si libera uno spazio per motivi contingenti.
Quindi, più che di nicchia nel caso della musica lirica, credo si possa parlare più propriamente di lazzaretto.
Augh :-)

Giuliano ha detto...

è un Paese intero che cancella la sua memoria, e che per farlo si affida a gente come Feltri. Ma non è solo Feltri, a me impressiona vedere tutti - ma proprio tutti - i giornali e i tg seguire pedissequamente questa linea.
Anche per me e per te era difficile appassionarsi all'opera, però c'era Musica nei film, nella pubblicità, anche in tv a ore normali (e non da lazzaretto, come dici bene tu), e poi c'erano i gruppi rock, anche quelli più estremi, che ti facevano conoscere Mussorgskij (Emerson Lake & Palmer), Janacek (sempre ELP: primissimi posti nelle vendite con la Sinfonietta di Leos Janacek, "Brain salad surgery"), i Deep Purple che suonavano con l'orchestra, eccetera.
La linea culturale è stata dettata dai Feltri e dai Fede, e da Pippo Baudo. In queste condizioni, nel giro di pochi anni sparirà tutto, non solo Pompei ma proprio tutto.
:-(