sabato 26 febbraio 2011

Pubblicità 10

L’influenza della pubblicità sulla politica è diventata enorme, e pesante, dagli anni ’90 in qua. Non solo perché i candidati vengono sempre più spesso scelti in base alla fotogenia e alla capacità di parola e non per le loro qualità (in USA ci fu il caso clamoroso di Ronald Reagan): si tratta ormai di un cambiamento veramente profondo, e che è andato a colpire direttamente la nostra vita. Da noi, solo un paio d’anni fa, un importante politico ha fatto un lungo discorso (ne esiste la registrazione video) parlando di politica non come valori o come idee ma in termini di quote di mercato, di spazi pubblicitari, di investimenti che devono avere un ritorno. Inutile dirne il nome: viene anche lui dalla pubblicità.

Con questa classe politica, soprattutto in Lombardia e con i politici lombardi, le parole più frequenti sono ormai fidelizzazione, smart card, target, sconto, eccetera. L’altro giorno ho richiesto il PIN per la smart card sanitaria (pardon, “carta dei servizi”), che è obbligatoria se si vuole avere assistenza medica, e sul foglio stampato, come prime parole, ho trovato scritto “La ringraziamo per averci scelto”, il che è davvero – come dire? – curioso, paradossale; ma se chi ti governa viene dalla pubblicità e dal marketing, bisogna aspettarsi questo e anche altro.
Un’altra operazione tipica dei pubblicitari è quella di cambiare il nome a qualcosa che già c’era, spacciandolo per novità: cambiare nome ai ministeri, ai vigili urbani, ai partiti stessi. Il servizio di riscossione tributi è diventato “Equitalia” (che bel nome: peccato che le funzioni siano esattamente le stesse, se non pagate vi pignorano la casa), la tessera di abbonamento al tram è diventata “Itinero” (parola sdrucciola: si pronuncia “itìnero”, e non “itiñero do Brazil”).
Un altro esempio: in giurisprudenza è stato introdotto il reato di “stalking”, che prima era alla voce “molestie”, e anche “molestie aggravate”. D’improvviso, “molestie” è sembrata una parola innocua, molle, inefficace: bisognava fare qualcosa di nuovo, far vedere che si stava lavorando duramente, e si sono introdotti i termini inglesi “stalking” e “stalker”. Parole difficili da pronunciare, parole di cui non si conosce il significato (io lo so dal 1979: è un termine dei cacciatori, significa seguire un sentiero, seguire la selvaggina attraverso quel sentiero, lo stalker è una guida, uno scout). Insomma, tutto rimane come prima ma introducendo un termine nuovo sembra che si sia fatto chissà che cosa. Per inasprire le pene, bastava aggiungere una riga al reato di molestie: ma i giornali non ne avrebbero nemmeno parlato (e già sento le vocine indignate: ma no, no, non è la stessa cosa – e invece sì, sempre di molestie si tratta, molestie aggravate, e se succede qualcosa in più si passa ad altro tipo di reato, più grave. Queste norme ci sono sempre state, nei Codici).
Si tratta dunque di operazioni puramente esteriori, poi tocca sempre agli stessi lavorare, fare fatica fisica, correre rischi. Si cambiano le parole, e si fanno partire gli spot; ma intanto si tagliano i fondi, si riduce il personale, e queste sì che sono cose che vanno diritte a colpire nel segno. Se un carabiniere che va in pensione non viene sostituito, poi chi va ad arrestare i molestatori, pardon “stalkers”?

Un’altra regola del marketing, opposta a quella di sopra e molto scorretta, è ridicolizzare e rendere sgradevole “la concorrenza”. Per esempio, l’efficace lavoro fatto sulla parola Cooperativa: che da “lavorare insieme” è passato, con la Legge Biagi e con annessi e connessi, ad essere sinonimo di sfruttamento. Ormai, soprattutto tra i giovani e tra chi è in cerca di lavoro, l’unico significato conosciuto per “cooperativa” è quello, una società che ti dà un posto di lavoro per due settimane. Cooperare, cooperativa, nel suo vero significato, significa invece lavorare insieme, operare insieme: i contadini coltivano gli ortaggi, mungono il latte, si riuniscono per venderlo insieme e poi si dividono i profitti, ma senza un padrone. Ma ormai, chi se lo ricorda più?
Queste tecniche funzionano. Ci si potrebbe scrivere un saggio, fare un film, una serie tv, perfino fare un videogame: ma editoria, tv, videogames, musica, tutto è ormai nelle mani dei pubblicitari e degli addetti al marketing. Questa è una dittatura, e sarebbe bello se si tornasse alla libertà.

- Lei pensa mai agli spettatori?
- No, come avrei potuto? Cosa rappresentano per me? Devo insegnare loro qualcosa? Ho qualche mezzo per sapere cosa pensa John Smith a Londra o Vasil Ivanov a Mosca? Davvero dovrei essere un ipocrita a dichiarare di conoscere i pensieri, il mondo interiore di un'altra persona. Se voglio creare qualcosa posso farlo solo col mio linguaggio, trattando il pubblico come un partner a pari livello. Se ho qualche problema penso che anche il pubblico lo abbia e cerco di usare il mio film per fare chiarezza per me e per gli spettatori. Non sono né piú intelligente, né piú stupido, la mia dignità è ugualmente vulnerabile. Niente di piú facile che fare un film con lo sguardo rivolto alle tasche degli spettatori, ma non è la mia vocazione...
(ANDREJ TARKOVSKIJ, intervista raccolta a Londra da Irena Brežnà (pubblicata a suo tempo dal mensile “Frigidaire”, circa 1982)
(i fotogrammi qui sopra vengono dal film “Stalker” di Andrej Tarkovskij, anno 1979)

venerdì 25 febbraio 2011

Pubblicità 9

Da quando ha cominciato a fare pubblicità in tv, il concentrato di pomodoro Xxxxx è diventato meno buono: la pubblicità in tv costa moltissimo, non si possono alzare i prezzi più di quel tanto, da qualche parte bisogna pur risparmiare – e allora si risparmia sulla qualità, tanto chi vuoi che se ne accorga. In pubblicità si ragiona così: conta il marchio, il consumatore va fidelizzato, si compera il nome del prodotto, non il prodotto. Magari funziona con l’abbigliamento, con gli alimentari proprio no.
Io li comperavo sempre, la salsa Xxxxx e il concentrato di pomodoro Xxxxx, quando erano un piccolo marchio sconosciuto ai più; mia mamma è molto esigente ma si trovava bene. Poi, non so cosa sia successo, se il marchio Xxxxx sia stato comperato da qualche multinazionale, o se semplicemente c’è stato un cambio in famiglia, da padre a figlio, chissà. Sta di fatto che la salsa Xxxxx non è più buona come prima, e noi abbiamo cambiato marca. Anche un mio parente, qualche settimana fa, senza volerlo me ne ha parlato: «Ho comperato la salsa Xxxxx, ma non era mica buona». E così, da quella considerazione, è nata una piccola chiacchierata sui marchi e sui prodotti di marca.

Una volta c’erano slogan famosi: «Galbani vuol dire fiducia», «Su De Rica non si può (sottinteso: non si può scherzare)», eccetera: ma la Galbani era del signor Galbani, la Molteni era del signor Molteni, la Buitoni del signor Buitoni, la Ariston del signor Ariston, la Fiat del signor Fiat, la Ignis del signor Ignis, la Ford e la Chrysler erano americane, la Rolls Royce e la Mini Minor erano inglesi, la Grundig e la Deutsche Grammophon erano tedesche, e via elencando.
Ma, oggi, di chi è la Galbani? Di chi è la Chrysler? Dove le fanno le Fiat, le Ariston, le scarpe, i mobili? Quand’ero piccolo, qui c’era la tradizione dei biscotti Lazzaroni: li facevano a Saronno (provincia di Varese) da cent’anni, dall’Ottocento, forse da sempre, ed erano buonissimi. Oggi li compero ancora, sono ancora abbastanza buoni, in qualche negozio li trovate, ma li fanno in Abruzzo e sono diventati uno dei tanti marchi di non so più quale grande biscottificio. Anche la pasta, gli spaghetti, anche il latte: provate un po’ a fare caso a dove li producono, sui pacchetti è indicato lo stabilimento di provenienza e quasi mai corrispondono alla sede “storica” di quel marchio.

Altri marchi storici su cui ragionare: Rizzoli, Einaudi, Mondadori, Bompiani, Longanesi, la rivista Linus...Non sono “marchi” né “logo”, sono cognomi di persone realmente esistite, e che non sono più tra di noi da molto tempo. Il fondatore di Linus, Giovanni Gandini, non c’è più; non c’è più nemmeno Oreste del Buono, che ne ha continuato l’opera; e non c’è più Schulz, non c’è più Crepax... Insomma, il “Linus” che vedete oggi nelle edicole è solo un giornale che ha rilevato la testata (il marchio, il logo) di un altro che c’era prima, ma che con quel giornale non ha niente in comune. E al cinema e nella musica: la Medusa, la MGM, Paramount, Columbia e CBS, Decca e Deutsche Grammophon, tutti marchi storici e in passato prestigiosi, ma passati di mano più e più volte. I fondatori non ci sono più, hanno chiuso o hanno venduto da tempo; e anche quando la famiglia ha mantenuto la proprietà non sempre gli eredi diretti sono stati all’altezza. Di chi fidarsi? Io faccio così: i marchi storici li metto alla pari con quelli nuovi, nel senso che prima bisogna sempre assaggiare, sfogliare, toccare, collaudare.
Non mi fido più di nessuno, a scatola chiusa non compero niente, e soprattutto mi rifiuto di essere “fidelizzato”: vado e vengo come mi pare e come meglio credo, se volete che io continui a comperare i vostri prodotti fate in modo che la qualità rimanga alta, così come facevano i nostri vecchi, e magari – se dovete risparmiare e ottimizzate – tagliate le spese della pubblicità, invece di delocalizzare e di precarizzare i dipendenti (i dipendenti sono quelli che fanno il prodotto, se li precarizzate non avrete mai manodopera competente in materia).

Di recente ho visto campagne pubblicitarie imponenti a favore dei marchi storici, dello “scegliete i ricambi di fiducia”, ma non mi fido più: sarebbe bello se fosse vero, ma ho preso troppe fregature. Fino a qualche anno fa mi sarei fidato, oggi i marchi storici – per me – sono solo dei bei ricordi del passato.

giovedì 24 febbraio 2011

Pubblicità 8

Ieri pomeriggio l’ho fatto: ho detto “attenda un attimo in linea”, poi ho avvicinato il telefono all’altoparlante dal quale stavo ascoltando Vivaldi. Un bel Vivaldi, e una bella interpretazione: il Concerto in la minore per due violini e archi op.3 n.8 dalla raccolta “L’estro armonico”, numero di catalogo RV 522, eseguito dall’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone (per chi ha visto il film, era il brano d’apertura in “Fata Morgana” di Werner Herzog). Ha messo giù, peccato: dopo tante storpiature vivaldiane sulle segreterie telefoniche di mezzo mondo, per una volta che uno fa le cose per bene...
Lo so che non ha molto senso fare queste cose, che in questi casi di là dall’apparecchio c’è quasi sempre qualche disperato/disperata che tenta di mettere insieme qualche centesimo lavorando in un call center, ma l’invasione della vita privata da parte della pubblicità sta diventando insopportabile. Non è solo la telefonata a casa: avete mai provato ad andare in metropolitana, o in una stazione? Schermi giganti ovunque, che trasmettono pubblicità alla quale non ci si può sottrarre. Se il vostro treno è in ritardo, oltre al danno anche la beffa di essere inondati venti, trenta, quaranta volte da quel jingle mefitico e maledetto. A casa, con la tv, possiamo provare a difenderci, c’è pur sempre il telecomando; ma se sei in bagno e ti chiamano per venderti una fetecchia, che fare? Se sei in stazione e aspetti, e ti tocca sorbirti gli spot, che fare?
La cosa che più mi disturba, però, è che sia passata l’idea che se ho lo stesso numero di telefono da vent’anni la cosa non riguardi solo me e i miei amici e parenti, ma che debba diventare una merce: ho lo stesso numero di telefono da venti o da trent’anni, ed è da sempre pubblicato sull’elenco telefonico, ma a voi cosa ve ne frega? Quanto meno, se proprio volete telefonarmi a casa per vendermi qualcosa, ecco le mie tariffe: tra le ore 8 e le ore 18, cinque euro a telefonata; tra le ore 18 e le ore 20, venti euro a telefonata (è l’ora in cui cucino e mangio, non vorrei essere disturbato), eccetera. Il listino completo, con la partita IVA e il necessario per fare i versamenti, è disponibile facendo clic sul mio profilo utente di Blogger, qui sotto a destra.
Comunque sia, il governo Bossi-Berlusconi, sollecito alle mie e alle vostre lamentele, ha preso in merito solerti provvedimenti. Quali? Eccoli qua:
TELEMARKETING, COSÌ LA LEGGE (NON) CI PROTEGGE
di Paolo Casicci , Venerdì di Repubblica 26.11.2010
dirittierovesci@repubblica.it
Stavolta la pezza è peggio del buco. Da una settimana è in vigore la legge che vorrebbe tutelarci
dalle intrusioni del telemarketing. Come? Col «registro delle opposizioni»: un elenco cui deve iscriversi chi non vuol essere più disturbato dai call center. Una prima obiezione la suggerisce il buon senso: non era più logico che a iscriversi fosse chi vuol rendersi rintracciabile? Non solo: «l'iscrizione al registro non riguarda i cellulari» spiega Nadia Martini dello studio legale Nunziante Magrone. Inoltre, si potrà continuare a usare i numeri raccolti da fonti diverse dagli elenchi abbonati (per esempio, le tessere del supermercato) e si potrà contattare via fax, email, sms o mms anche chi è iscritto al registro. Chi gestirà l'elenco (un privato) sarà autorizzato pure a conservare sul sito web l'elenco degli utenti, senza che la legge esiga alti standard di sicurezza. «Il rischio, insomma, è che il registro disturbi più delle comunicazioni che vuole impedire».
(la strip viene dalla Settimana Enigmistica, http://www.aenigmatica.it/  )

mercoledì 23 febbraio 2011

Pubblicità 7

Negli anni ’60 fu vietato uno spot di un detersivo che si basava su questo slogan: « ... lava così bianco che più bianco non si può, nemmeno col candeggio!». La motivazione della bocciatura fu questa: che “candeggiare” significa proprio lavare bianco, si tratta di un sinonimo: quindi non è possibile “lavare bianco più del lavare bianco”.  Una bocciatura che a molti parve esagerata, lo slogan piaceva ed era diventato proverbiale, penso che ci sia qualcuno che lo ripete ancora oggi. Ma era una bocciatura inevitabile, e anche molto dura perché andava a colpire uno dei punti fermi dei pubblicitari: sparare frasi senza senso che però sembrano sensate, e che colpiscono l’immaginazione. Erano gli anni ’60, per l’appunto, e la pubblicità non era ancora diventata padrona dell’informazione e della cultura; lo sarebbe diventata a partire dagli anni ’80, con l’avvento delle televisioni commerciali.
Gli slogan degli anni ’60, quasi sempre cose simpatiche anche se insensate, avevano spesso come autore Marcello Marchesi, grande autore e grande umorista, uno che era abituato a scrivere testi per Totò, per Walter Chiari, per se stesso, per molti altri attori. Una persona di grande cultura: per chi fosse interessato, e so che sarà dura recuperarlo, di Marcello Marchesi esiste un bel libro uscito nel 1970, “Il malloppo” (editore Bompiani), dove immagina se stesso in terapia, in clinica, intento a “spurgare” le troppe parole dette e propagate in tanti anni di carriera. Non tutto quello che c’è scritto nel “Malloppo” (sottotitolo: “Le parole si vendicano”) è di prima qualità, e molte battute sono ormai incomprensibili perché erano di stretta attualità, e si sa che l’attualità invecchia in fretta; comunque ci sono cose come queste:
- Solo quattro pomodori su dieci diventano pelati Girio; gli altri sono buoni.
- Scarafex, lucida gli scarafaggi: casa pulita, scarafaggi risplendenti.
- Vorrei che qualcuno mangiasse una banana e me la raccontasse
- Non esistono innocenti, tutti abbiamo passato un raffreddore a qualcuno.
- Super-Supergnomo fa il bucato bianco ma così bianco che la neve si vergogna e il giglio va a cagare.
- Avanti Fòppolo, alla riscossa, Bormio è più grossa, Bormio è più grossa...
- ...quanto a me, era un modo di vivere che non mi faceva soffrire. Forse ero un cretino. Non ho mai avuto un mal di testa. Al primo ruttino mi passava. Non volevo soffrire. Non che fossi sordo al dolore o ai dispiaceri ma, come per gli schiaffi di mio padre, tendevo a dimenticarli. Alla alluvione, all'eccidio, alla catastrofe, alla morte opponevo la distrazione. Ero un precursore. Oggi tutti fanno cosí. È un eccesso di difesa. Quando l'umorismo fu svalutato, mi misi a combinare le parole in maniera che facessero vendere. Mi slogavo le meningi alla ricerca di slogans che elevassero i prodotti piú in alto dei magazzini dove giacevano e provocassero associazioni d'idee piú gradevoli del volgare uso dei prodotti stessi. Insomma ho sempre lavorato sulle parole come un ciabattino, tirandole di qua e di là, rovesciandole, adattandole a tutti gli usi. A volte penso che siano loro a pesarmi qui sul petto. Tutte quelle parole aggrovigliate. Hanno fatto malloppo. Cercherò di liberarmene. Con ogni mezzo. Anche cantando. «Mentre io festévole / amaròstico ghiottòttimo appetitante gustàtico vispazzo digestútile e frizzoso / corro ai tuoi piè / O Santa Vergine / compra per me." La signora desidera? Un detergente programmato sui cicli della mia lavatrice automatica. È una richiesta ultimativa? No, è una esigenza prioritaria. Beh!, mi accompagni fino alla intersezione semaforizzata nonché nutricante dolcévole e aperitonica... Cos'è questa schiuma che mi esce dal naso? Forse è detersivo. (...)
(Marcello Marchesi, da “Il malloppo – Le parole si vendicano” ed. Bompiani, 1971)
Marcello Marchesi, così come il signor Testa dell’agenzia Testa, così come i grandi cartoonists che lavoravano con lui, Gavioli, Bozzetto, eccetera, erano persone che si divertivano, che giocavano con le parole e con le figure, ben coscienti che si trattava di un gioco, seppure ben pagato; ed erano, soprattutto, persone corrette. Le cretinate venivano in mente anche a loro, ma le scartavano. Il massimo della scorrettezza che si permettevano erano slogan fasulli come quello che ho citato all’inizio, « ... lava così bianco che più bianco non si può, nemmeno col candeggio!».
E a questo punto dovrei fare un paragone con quello che sto per ascoltare accendendo la tv, con gli slogan dei “copy” e dei “creativi”: ma al solo pensiero mi cascano le braccia. Sì, certo, qualcosa di buono c’è, ma è dura. Per esempio, e per non andare sul peggio, quella signora che dice “la vita è una corsa a ostacoli” e poi si mette davvero a saltare gli ostacoli: un’idea così banale e ritrita che non so nemmeno se si possa davvero chiamare idea. Faccio i miei complimenti a chi ha girato lo spot e alla signora che lo interpreta, sono molto bravi e si vede; quanto a tutto il resto, soggetto e sceneggiatura, un bambino di cinque anni avrebbe saputo fare di meglio. La cosa peggiore, dal punto di vista puramente professionale, è che dopo aver visto lo spot una decina di volte non mi ricordo che cosa pubblicizza, non dico il nome ma nemmeno la tipologia del prodotto, se è un dado per brodo o un’assicurazione. Soldi sprecati, insomma, e se ci fate caso la maggior parte degli spot sono così. Questi soldi spesi in spot incomprensibili o malfatti costano parecchio, vanno ripagati, e avranno una ricaduta sicura: o sui prezzi o sulla qualità di quello che comperiamo. Bisognerebbe sempre tenerne conto.

PS: Le immagini che ho messo qui  vengono da un telefilm famoso, che circola e piace ancora oggi: il soggetto deriva da “Ho sposato una strega” di René Clair, un bel film che ebbe grande successo nei primi anni ’40. Nei telefilm, la protagonista è interpretata da un’attrice molto brava, Elizabeth Montgomery, e suo marito fa di mestiere il pubblicitario; molti degli episodi sono basati su questo mestiere, e quando li guardavo da bambino pensavo che fossero stupidaggini ed esagerazioni, che nessuno potesse essere così cretino, che slogan come quelli inventati dal marito di Samantha e dal suo capo fossero esagerazioni degli autori del telefilm, eccetera. Sbagliavo: anni dopo avrei scoperto che quel telefilm si svolgeva in USA, e negli USA le televisioni commerciali c’erano già – da noi il via libera al cretinismo sarebbe arrivato dopo. Dopo quando non lo dico, per non dover ripetere per l’ennesima volta gli stessi nomi e le stesse parole.

martedì 22 febbraio 2011

Pubblicità 6

Sul cartone del latte c’è scritto, bello in grande: «Alta Qualità». Lo giro, lo rigiro, lo confronto con le altre confezioni della stessa marca: se lì c’è scritto «Snello», questo qua dev’essere il latte intero, non scremato...Lo prendo e lo metto nel cestello, a casa guarderò meglio.
«Alta Qualità» è un po’ come l’acqua allegra, e come le molte definizioni senza senso inventate dai pubblicitari, che sembrano messe lì apposta per fare confusione (e forse lo scopo è proprio quello). “Latte intero” è invece una definizione merceologica, chiara, comprensibile: latte intero significa che il latte non è stato scremato. Latte con tutti i suoi grassi naturali, dunque: se poi uno preferisce quello scremato, basterebbe indicarlo sull’etichetta, bene in chiaro. Ma che ci sia scritto “Latte Scremato”, per piacere, perché “Snello” non vuol dire niente: snella è una persona, non il latte o il groviera. Provate a pensarci un po’: c’è qualcuno che dichiara apertamente di vendere merce di Bassa Qualità? Se è poi il latte ad essere di Bassa Qualità, apriti cielo...
L’acqua frizzante, gasata, etichettata come “Allegra” è un altro esempio di stupidità applicata alla merceologia. Le acque minerali, oltre al latte, sono diventate il ricettacolo delle invenzioni stupide dei pubblicitari: con il risultato che sono diventate incomprensibili, io ho studiato chimica e qualcosa sulle acque lo so, ma ieri stavo sbagliando a comperare l’acqua. Quale sarà mai quella gasata, addizionata di anidride carbonica? Ho camminato avanti e indietro tre volte, spostando i cartoni e leggendo le etichette, prima di capire; e poi non ero ancora sicuro, quando sono arrivato a casa e svitando il tappo ho sentito “pssst” mi sono detto: “ah, meno male!”.
Sulle etichette dell’acqua minerale ci dovrebbero essere solo due indicazioni, le uniche che servono: la durezza (cioè il contenuto di sali) e l’indicazione “liscia” o “gasata”. Anche l’indicazione “naturale” è fuorviante: tutte le acque sono naturali, l’acqua frizzante (o gasata) è acqua naturale con aggiunta di anidride carbonica. Se poi si vogliono aggiungere le analisi complete, ben vengano: ma per capirle bene bisogna aver studiato almeno un po’ di chimica.
Esistono delle ottime leggi, riguardo le etichette e la possibilità per i consumatori di avere indicazioni utili sul contenuto di quello che comperano: ma vengono continuamente disattese, eluse, sporcate. Autori di questi depistamenti sono i pubblicitari e gli addetti al marketing, alle vendite: che, evidentemente non convinti della bontà del prodotto, pensano di far convogliare su di esso l’attenzione del consumatore sparando xxxxxxx.
Non crediate che i pubblicitari siano degli idioti: funziona, questi mezzucci funzionano benissimo. Alta Qualità, Bassa Qualità, Acqua Allegra e Acqua Cupa diventano presto i punti di riferimento, e invece di dare informazioni al consumatore si fa l’esatto opposto. Poi saltano fuori le mozzarelle blu e rosa, e tutti si stupiscono, s’indignano: in altre parole, come dicevano i nostri vecchi, cascano giù dal pero (o dal fico, secondo la versione che più vi piace).
E qui il discorso si farebbe ampio, per oggi preferisco chiudere: non prima di aver fatto notare che sulle confezioni del latte UHT (lunga conservazione) c’è scritto che si può conservare anche fuori dal frigorifero, a temperatura ambiente: e già, ma cosa significa “a temperatura ambiente”? Io direi, visto che si tratta di latte, qualcosa tra i 10 e i 18 gradi centigradi. E adesso vediamo, che temperatura c’è sullo scaffale del latte UHT?

lunedì 21 febbraio 2011

Tremonti nostro leader

La settimana scorsa, intorno all’11 febbraio, i giornali riportavano una strepitosa dichiarazione di Giulio Tremonti: il ministro per l’Economia osservava che al Nord i treni hanno i moscerini spiaccicati sui vetri, al Sud invece no. Ne consegue che al Sud i treni vanno così lenti, ma così lenti, che i moscerini riescono a sorpassarli.
In attesa che qualcuno ricordi a Tremonti che è lui il responsabile dei ritardi e dei disservizi (lui e il suo partito, e anche la Lega Nord), dato che è al governo da una decina d’anni, e in una posizione importante, riporto qui sotto (copio e incollo dal sito http://dariodangelo.blogspot.com/ ) la quantità di nuove tasse che sono state approvate in settimana, proprio da Tremonti.
Dopodiché, leggo che Tremonti, nei sondaggi, è molto stimato e quotato, al posto di Berlusconi ci sono tanti che vorrebbero proprio Tremonti. Che dire? Saranno quelli che pagano 450 euro al mese per mandare a scuola i loro figli, mentre prima la scuola era gratuita? Saranno quelli che si sono visti spostare la pensione a settant’anni mentre speravano di andarci a 50-55? Mah, saperlo...

Decreto mille proroghe, decreto mille tasse (dal blog di Francesco Biacca)Mentre berlusconi è impegnato a non dirsi preoccupato per l’indagine che lo coinvolge, mentre fini cerca di capire come fare un partito, casini come fare per riuscire a dividersi ulteriormente per poter stare con tutti, mentre il pd fa l’ennesima figuraccia (leggasi l’essersi calato le braghe con bossi per poi sentirsi rispondere con un secco ‘no’), mentre questo paese parla solo ed esclusivamente di sanremo e delle puttane di berlusconi, il governo ha approvato il decreto milleproroghe.
Dicevano che era il governo dei tagli alle tasse, della crescita economica.
Bene, vediamo un pò cosa comporti effettivamente questo decreto milleproroghe:
1) Introdotta tassa di 30 euro più marca da bollo di 8 per ogni ricorso al giudice di pace.
2) Eliminata la detrazione del 19% per gli acquisti di abbonamenti ai trasporti pubblici locali;
3) Eliminata la detrazione del 19% per le spese di aggiornamento degli insegnanti.
4) Cancellato il credito d’ imposta, introdotto da Prodi, del 10% alle imprese che fanno ricerca ed innovazione.
5) Niente restituzione fiscal drag a lavoratori e imprese.
6) Introduzione della cosiddetta tassa sulla tecnologia (lettori multimediali, telef. cellulari, computer)
7) Aumento tariffe dell’ acqua (grazie alla privatizzazione fatta da Tremonti, art. 23 bis decreto legge 133/2008)
8 ) Aumento delle tariffe postali
9) Aumento pedaggi austostrade Anas
10) Aumento di 3 euro sui biglietti aerei per chi parte da Roma e Milano, per qualsiasi destinazione e su qualunque compagnia, low cost incluse.
11) Aumento biglietti dei treni, sia regionali che a lunga percorrenza.
12) Raddoppio dell’ IVA sugli abbonamenti alle pay tv
13) Tabacchi: aumentano sigarette low cost e tabacchi
14) Aumento canone Rai
15) Confermata l’applicazione dell’Iva sulla tassa rifiuti, nonostante sentenza contraria Corte Cosituzionale.
16) Stretta fiscale sulle compagnie assicurative
17) Imposta di scopo (i comuni possono istituire nuovi tributi, ad es. tassa di soggiorno per i turisti) per favorire investimenti nel territorio comunale.
18) Concessa alle regioni la possibilità di aumentare fino al 3% l’ addizionale Irpef.
19) Istituzione pedaggio sui raccordi autostradali (ad es. Firenze-Siena, Roma-Fiumicino, Salerno-Avellino, tangenziale Bologna)
20) Aumento aliquota contributiva, dal 25 al 26%, per iscritti a gestione separata INPS (professionisti senza previdenza di categoria, venditori a domicilio e lavoratori autonomi occasionali)
21) Aumenta al 10% (dal 7-8) l’ “aggio” per la riscossione dei tributi concesso alla Riscossione spa. La nuova norma implica un aggravio per il contribuente pari al 2.5% circa in caso di pagamento dopo il sessantesimo giorno.
22) Aumento di 1 euro per i biglietti del cinema (ad eccezione delle sale parrocchiali)
Certamente è presente la sospensione del pagamento delle tasse per i terremotati d’abruzzo fino al 30 giugno 2011, e sono anche presenti i 100 milioni (sottratti al fondo fas) per i liguri ed i veneti …
si, in definitiva è meglio tornare a parlare di puttane

domenica 20 febbraio 2011

Salesiani

Da bambino mi ero molto interessato a San Giovanni Bosco, avevo letto una sua biografia, me ne ricordo ancora molti passaggi; e mi è sempre sembrato un’ottima persona, al di là del fatto che l’abbiano fatto santo. Quello che mi ha sempre lasciato perplesso, dopo, da adulto e anche da adolescente, è stato ascoltare i racconti – il più delle volte non richiesti, autentici sfoghi – da parte di altri ragazzi della mia età, e poi da uomini adulti, a proposito dei salesiani e dei collegi religiosi in generale.
Una volta si diceva: “ti mando in collegio!”; ed era una minaccia, di quelle che facevano paura. La minaccia che i genitori facevano ai bambini discoli, o che non avevano voglia di studiare. Anche la letteratura, del resto, è piena di testimonianze sui collegi: da Giamburrasca in avanti, fino a testimonianze più drammatiche. Ma non è di questo che volevo parlare oggi, l’argomento è vasto e di certo San Giovanni Bosco non ha nessuna responsabilità su quello che hanno fatto o non fatto i continuatori della sua opera.
Quello di cui volevo parlare è un ricordo preciso, che mi è riemerso in maniera molta precisa, dopo decenni, quando l’inverno scorso Silvio Berlusconi bestemmiò in pubblico al solo scopo di raccontare una barzelletta. Non era la prima volta, e Silvio Berlusconi non è certo l’unico a farlo. Queste barzellette sono ben note, e anch’io ci sono cascato, a raccontarle: da bambino, e da adolescente, e poi magari in compagnia, poi basta. Dai venticinque-trent’anni in su, di solito, si smette di raccontarle; ma queste barzellette non si dimenticano mai, ogni tanto riaffiorano, si ride e si scuote la testa, roba da bambini, guarda com’ero scemo. Sono le barzellette “da oratorio”: non fanno quasi mai ridere, ma sono costruite con molta cura per arrivare a dire, appunto, una bestemmia o una frase oscena, o magari “cacca”. Sono i bambini che dicono “cacca” , e lo fanno proprio perché i loro genitori gli dicono che non sta bene dirlo; e sono gli adolescenti che si inventano le barzellette con bestemmia finale, e lo fanno per far dispetto al prete, di nascosto, tra di loro, così si vede che sono grandi e che sono indipendenti. Roba normale, s’intende, quasi un rito di passaggio, qualcosa che poi passa: i primi a non prendere troppo sul serio queste cose, il più delle volte, sono proprio i preti. Che lì per lì si arrabbiano, danno punizioni severe, ma poi sospirano e pensano “speriamo che gli passi presto, la stupidera”.
Silvio Berlusconi ha studiato dai salesiani, cioè negli istituti dedicati a San Francesco di Sales, quelli fondati nell’Ottocento da don Giovanni Bosco. Il buon Silvio non perde occasione di dirlo, che ha studiato dai salesiani: per questo dice anche che è un buon cattolico. Mi chiedo se sia davvero buona pubblicità, per i salesiani: in termini numerici, contabili, forse sì (“vado alla scuola dove ha studiato Silvio”), ma in quanto a opere di fede, in quanto alla maturità effettiva dei suoi studenti, alla buona educazione, e alla mentalità con cui si esce dai salesiani, forse sarebbe meglio dire a Silvio di stare zitto e di sorvolare.
PS: mentre pensavo queste cose, ho trovato questo magnifico ritaglio: abbiamo in politica nientemeno che un diretto discendente di don Bosco, un pronipote. Non lo sapevo, sono stupefatto – buona lettura (facendo clic sull’immagine si legge meglio). (da http://www.repubblica.it/ )

sabato 19 febbraio 2011

I molti meriti della Lega Nord

Stamattina sono uscito presto, e ho trovato i vigili urbani – pardon, la Polizia Locale – intenta a dare multe dentro il parcheggio della Ferrovia. Il parcheggio era quasi vuoto, c’erano solo tre o quattro automobili, come mai queste multe? Molto semplice: la pulizia delle strade, e del parcheggio. Quella del parcheggio si fa il sabato mattina nei giorni dispari dei mesi pari, col novilunio, dalle 8 alle 8.30 d'estate e dalle 8.17 alle 8.44 d'inverno, che diamine: come si fa a non saperlo? C’è anche scritto fuori, che leggano, s’informino, le strade ben pulite sono un nostro orgoglio.
Avranno messo giù anche la cera, suppongo: mi metto nei panni di quei due o tre disgraziati che avevano bisogno di usare i mezzi pubblici, il sabato mattina – c’è gente che lavora, il sabato, ma forse i nostri assessori non lo sanno perché non hanno mai fatto lavori scomodi, l’operaio, la cassiera... Ma pazienza: dunque questi poveri disgraziati (e in Lombardia ce ne sono tanti) decidono di usare i mezzi pubblici, magari per inquinare di meno come dice Formigoni, e poi alla sera si ritrovano pesanti multe da pagare. La volta dopo, cosa faranno? Penso che diranno “col cavolo che uso ancora i mezzi pubblici...”, o qualcosa del genere.

Queste cose qui, nei paesi piccoli, fino a poco tempo fa erano impensabili. Se ne favoleggiava su Milano, dove ogni tanto qualche conoscente te lo spiegava: ho preso la multa perché c’era la pulizia delle strade, ma il cartello era coperto e non si vedeva. La multa per le pulizia delle strade è una delle multe più infami che io conosca: perché la pulizia delle strade, lo si capisce subito, è solo una scusa. Se si volesse fare la pulizia delle strade, e solo quella, la sera prima si metterebbero cartelli, delle transenne mobili, un cavalletto, un nastro bianco e rosso: lo si vede, non si parcheggia, et voilà. La multa per la pulizia delle strade (pesca facile e abbondante) è in realtà uno di quegli stratagemmi astuti, come quella dei semafori truccati o dei limiti di velocità abbassati nottetempo e senza preavviso, messi in atto per avere più soldi, ma facendo finta di non aumentare le tasse. Allo stesso modo, per non dire “irpef” o “ici”, da qualche anno in qua chi ha bambini in età scolastica paga 400-500 euro al mese di rette scolastiche, e nella scuola pubblica: così poi i cittadini dicono “tanto vale scegliere una scuola privata”, ed è esattamente quello che si voleva, un po’ come quando si andava a caccia e si usavano i battitori per spingere la selvaggina proprio lì, dove la vogliono i cacciatori. La differenza è che stavolta la selvaggina - pardon: gli elettori – appare felice e contenta.
Ma sorvoliamo anche su questo. Come diceva sempre un mio collega, prendendo in prestito una frase da un film di Totò, “siamo in mano ai Caini”. E ormai penso che sia tardi per tornare indietro.

PS: sul giornale di ieri leggo una dichiarazione esilarante di Matteo Salvini, consigliere leghista a Milano: riguarda la recentissima inchiesta sulle case di proprietà del Pio Albergo Trivulzio (lo storico ospizio per i vecchi, gloriosa istituzione milanese), che pare siano state affittate a prezzi di favore ai soliti noti. Salvini commenta così: «Spero che nella assegnazione di un patrimonio accumulato grazie alla generosità dei milanesi non ci siano sconti o favori». Che dire? Chiedo scusa, ma non ce la faccio a non trascrivere il primo pensiero che mi è venuto in mente, e che è questo: «...ma va’ a dà via i ciapp, Salvini: tu e il tuo partito, la Lega Nord, siete al governo a Milano da vent’anni, ininterrottamente, dai tempi del sindaco leghista Formentini, poi con la giunta Albertini, poi con la Letizia Moratti. Non vi siete accorti di niente? Scusa se lo dico, ma allora siete proprio dei ciula...»

venerdì 18 febbraio 2011

Pubblicità 5

Non ho mai comperato niente basandomi sulla pubblicità. Ho sempre preferito toccare, vedere, assaggiare; e mi meraviglio molto che anche gli altri non facciano così – quando l’ho scoperto, cioè quando ho scoperto di far parte di una minoranza, per me è stato un trauma. Onestamente, e ingenuamente, pensavo che solo gli scemi comperassero qualcosa perché glielo porgeva una ragazza in minigonna, e non dal vero, ma in tv o sui giornali e via internet.
Che dire? Che fare? Niente, cosa posso farci io da solo, se non subire: la pubblicità ormai è padrona ovunque, si fa solo quello che vuole la pubblicità, una volta ho detto che su una radio c’era troppa pubblicità e mi hanno subito zittito, “ma non è mica vero!!!” (ed era già il ventesimo spot in dieci minuti: ma ero in auto con altre persone, o in palestra, o dal dentista, non potevo cambiare canale).

La pubblicità non è sempre sgradevole o irritante, alle volte è piacevole, ma anche se lo spot è ben fatto non è detto che il prodotto sia quello che io sto cercando. La miglior pubblicità, se permettete, è quella del vasetto di vetro trasparente: non mangio quasi mai i cetrioli sottaceto, ma quelli di quella marca lì costavano poco e avevano un ottimo aspetto. Li ho comperati, quei cetrioli: erano eccellenti, li compero ancora. Peccato che si possa fare solo con i cetrioli, ma – per esempio – sono un’ottima pubblicità gli assaggi che si fanno ai supermercati, quelle signore gentili che ti offrono un caffè, un cioccolatino, e ti dicono di provare. Poi, se ti piace, comperi: ecco, questa è una pubblicità da paese civile. E da paese civile è anche la pubblicità sui giornali: nel senso che se non mi piace o se non mi interessa giro pagina. Mi fermo qui perché mi sembra che il discorso sia già abbastanza chiaro, e francamente sono stufo di fare quello che gli altri vogliono che io faccia, rivendico apertamente la mia libertà anche come consumatore. E pertanto:
No grazie, non andrò mai a vedere quel film. No grazie, non comprerò mai quella macchina, costa troppo e consuma troppo. No grazie, non comprerò mai quel libro, è di un autore orribile, un raccomandato che scrive da cani e che pubblica solo perché è amico di X e di Y. No grazie, non uso i dolcificanti: non mi piace il sapore, preferisco mangiare meno zucchero, lo zucchero ha un buon sapore ma pian piano ci si abitua a fare senza. No grazie, quei frollini sono pieni di margarina. No, grazie, quella marca di caffè l’ho presa un paio di volte, tanti anni fa era buona ma adesso non ci casco più. No grazie, la pastasciutta surgelata proprio no, almeno far bollire l’acqua, quello lo so fare. No grazie, non cambierò compagnia telefonica perché conosco persone che sono rimaste un mese senza telefono e poi hanno dovuto pagare due bollette e sono ancora in causa per il rimborso.
E infine, sì, comperavo già quella pasta perché è buona, e continuerò a farlo nonostante la pubblicità orribile che gli fate, ma proprio a causa di quella pubblicità orribile e invadente mi sto già guardando in giro, prima o poi una buona e che costa meno la trovo.

giovedì 17 febbraio 2011

Pubblicità 4

Un’auto nuova, su una strada vuota, solo per voi: ma dove, ma come, ma quando? Quasi tutti gli spot per le automobili sono fatti così, e io sono dell’idea – un po’ drastica, lo ammetto – che gli spot girati in quel modo siano da vietare, perché ormai non ne esistono più, di strade dove puoi sfrecciare e far manovre, sorridente, col bambino accanto sorridente anche lui. Non so nemmeno se ci siano mai state, strade così: io mi ricordo di averne vista una in un film di quando non ero ancora nato, “Il posto delle fragole” di Ingmar Bergman: marito e moglie che litigano e vanno fuori strada, ma non si fa male nessuno perché in strada c’erano solo loro, e la macchina che veniva in senso opposto ha potuto invadere l’altra corsia per evitare lo scontro (l’anno è il 1956). Capitasse oggi, o fosse capitato negli anni ’60 o ’70 o ’80 o ’90, eccetera, un incidente così provocherebbe una strage: perché ci sono troppe macchine in giro, due corsie non bastano più, neanche con le quattro o le sei corsie...
Eppure, gli spot continuano a presentarci auto aggressive (magari piccole, ma potenti e aggressive, roar!), e guidatori e guidatrici sorridenti, giovani mamme al volante felici e contente, e chilometri e chilometri di strade deserte dove sfrecciare senza pensieri - che giubilo che gioia la compro subito anch’io.

Scrivendo questo post non sapevo bene che immagine mettere, perché praticamente tutte le case automobilistiche fanno degli spot come questi; ma poi ne ho trovata una che è esemplare, eccola qua. Fate attenzione ai dettagli: questo signore è andato a infilarsi con la sua macchina enorme e pesante ben dentro un paradiso terrestre, e l’ha parcheggiata in un posto dove avrebbe dovuto andare soltanto a piedi (è giovane e atletico, poteva permetterselo); non contento, ha fatto scendere il cane, ovviamente grande e grosso come la macchina. E il cane, trovato l’unico albero residuo della zona, gli sta pisciando addosso. Una sintesi quasi perfetta di quello che accade quotidianamente, anche qui da noi: che sia questo, il progresso?

PS: ho scritto “una sintesi quasi perfetta” perché mancano due cose: innanzitutto la cacca del cane (ebbene sì, mi spiace dirlo ma anche questa ormai non è più un optional ma viene fornita di serie, distribuita con servizio accuratissimo e capillare, praticamente porta a porta) e, soprattutto, l’uomo non sta telefonando. Cosa ci fa, senza uno smart phone in mano, in un posto del genere? Starà mica guardando il paesaggio? No, impossibile: si tratta solo di una dimenticanza del fotografo, altre spiegazioni possibili non ne vedo.

mercoledì 16 febbraio 2011

Pubblicità 3

“La tua casa nel verde”: ma che significa? Significa che, dove c’era il bosco, un prato, un campo coltivato, adesso c’è una casa. Se la comperi, è tua: ma il verde, ormai, puoi scordartelo. Anzi no: il verde esiste ancora, ma nel senso che gli danno i geometri e gli architetti: due piantine striminzite, con il regolamentare e obbligatorio cerchio di cemento stretto poco sopra le radici.
I geometri e gli architetti hanno questo curioso concetto del verde: per loro, è un elemento d’arredo, un po’ come i lampioni e i portaombrelli. Ovvio che l’alberello stentato dovrà starsene al suo posto, non crescere troppo, non fare troppe foglie, e se poi comincia a fare sul serio e butta qualche radice un po’ troppo prosperosa, lo si sega alla base: le radici danno fastidio quando si parcheggia.
Capostipite di queste speculazioni edilizie “raffinate” fu Silvio Berlusconi con Milano 2 e simili: ma dove adesso c’è Milano 2, col suo laghetto artificiale e il verde che se ne sta al suo posto, c’era la tenuta agricola che fu dei Casati-Stampa, e prima ancora, per secoli, di tante altre famiglie che la accudivano con cura. “Accudire con cura”, prima delle speculazioni edilizie, significa magari starsene a casa d’inverno, e non fare niente oltre alla pulizia dei sentieri e alla rimozione delle piante cadenti e del legno secco, che potevano essere causa d’incendio. Questo è quello che si è fatto per secoli, per millenni.
Le prime grandi speculazioni edilizie, terrificanti, sono degli anni ’50; dopo, si pensava, avremmo tenuto conto degli errori fatti e cercato di rimediare. Invece no, si è continuato sulla strada di stereotipi come “l’edilizia traino dell’economia”, e tra un condono e un centro commerciale, un rondò e una quarta corsia, si sono mangiati tutto quel poco di terra e di bosco che era faticosamente sopravvissuta alle precedenti speculazioni edilizie. E tutto questo, bisogna purtroppo dirlo, nell’indifferenza generale; e anzi, spesso con approvazione profonda e ammirata. C’è tanta gente che vive ancora come se si fosse nei beati e spensierati anni ’50: magari hanno diciott’anni, ma ragionano ancora in quel modo lì, e non c’è verso di fargli alzare la testa, di guardare intorno. Anche se vedono, non capiscono.
Quando sento dire “il verde” so che sto parlando con una persona che non ha nessun contatto con la natura, e nemmeno vuole averne. “La tua casa in mezzo al verde” significa diserbanti, pesticidi, insetticidi, cemento, asfalto, autobloccanti, sale a quintali se no poi la neve, eccetera. “La tua casa in mezzo al verde” significa automobili enormi, suv e fuoristrada, moto da cross, bici da cross, cani enormi da tenere chiusi in casa, qualsiasi cosa pur di non avere contatto con la natura.
Silvio Berlusconi già lo sapeva, in anni lontani: una di queste pubblicità è proprio sua, del 1985; l’altra è più recente, del 2006. Io, per quel che mi riguarda, in mezzo al verde ci vivevo per davvero: ma poi sei venuto tu, con la tua casa in mezzo al verde, e adesso non ho più non dico le ranocchie e i rospetti e le farfalle, ma nemmeno i passeri, le cince, le rondini. C’è solo la tua casa, e la tua, e la tua, e la tua, e l’ipermercato, e il bar, e il marciapiede che è diventato indispensabile perché qui girano la tua macchina, quella di tua moglie, quella di tua figlia, quella di tuo figlio, e il rondò perché l’altro giorno con tutte queste macchine hanno fatto un incidente, e insomma – dico - se volevate vivere lontano dal verde potevate scegliere un altro posto, invece di venire qui.



PS: E questo magnifico esemplare di natura incontaminata che vedete sulla pubblicità? L'erba la raspiamo via col diserbante, nell'acqua un bel disinfestante potente contro le zanzare, e l'uccello magari gracchia, ha una brutta voce, dà fastidio, rompe i coglioni, fa la cacca qui e là, se la fa sulla mia macchina prendo il fucile e gli sparo (niente paura: è volato via un attimo dopo che hanno aperto il cantiere e ha visto le ruspe, è andato a cercare un posto dove non ci sono case – speriamo che ce ne siano ancora...)

martedì 15 febbraio 2011

Pubblicità 2

Questi foglietti sono dappertutto, nelle stazioni campeggiano in formato poster, li ho trovati nella mia cassetta della posta, sotto il tergicristallo, ovunque. Impossibile sfuggirgli: e se non son questi sono i loro concorrenti, magari sulle piccole tv locali, tutti intenti a dirvi che – suvvia! – “fare un prestito è facile e conveniente”. Ci sono anche quelli che inneggiano alla “cessione del Quinto”, e vi invitano caldamente a farlo: sembra che Quinto sia un vostro vecchio e caro amico molto disponibile, ma invece significa che vi fottono un quinto dello stipendio o della pensione.
Capisco che uno può trovarsi nella condizione di chiedere un prestito, ma non accetterò mai l’idea che si possa fare pubblicità dicendo che un prestito si fa “alla leggera”, come vedo scritto qui, e con immagini festose di ragazze giovani e sorridenti. Eh no, i prestiti bisogna pagarli, e salati; e non si sa mai cosa può succedere se non riuscite a pagarli.
E, se voi pensate di andare sul sicuro, affidandovi a istituti seri, a nomi importanti e sorridenti, vi consiglio caldamente la visione di “Piovono pietre”, un bel film di Ken Loach. Loach ha spiegato nel dettaglio cosa succede, io non mi dilungo oltre: non è detto che vada così, magari vi capitano persone oneste e responsabili, ma le associazioni anti usura (che ci sono in ogni città) raccontano storie ben diverse. In ogni caso, il fatto che si lascino circolare liberamente pubblicità come questa, e come molte altre del genere, è un bruttissimo esempio del degrado morale della società in cui viviamo. Non era così, non è sempre stato così: mi piacerebbe che lo si dicesse chiaro, queste sono novità degli ultimi 5-10 anni, prima – quando c’era sicurezza sul lavoro, e non c’era il precariato – per avere un mutuo o un prestito bastava andare in banca. Ed era ben chiaro, fin dal principio, che non c’era niente da ridere, e che i prestiti non si fanno certo “alla leggera”.

PS: notare bene, in verticale a sinistra, la scritta “rispetta l’ambiente – non gettarmi per terra”: ah, adesso se voi spantegate volantini ovunque, poi se restano in giro la colpa non è vostra ma è di qualcun altro? Certo che se ne imparano di cose, dai pubblicitari...

lunedì 14 febbraio 2011

Pubblicità 1

La satira sulla pubblicità: chi la fa più? Sono secoli che non si vede o si sente qualcuno che fa satira “dura e pura” sulla pubblicità. Eppure, è la cosa più facile del mondo: data la quantità di xxxxxxx che i “creativi” riescono a inserire anche in un singolo spot, basterebbe pochissimo per far morire dal ridere gli spettatori. E invece...
Gli ultimi tentativi seri, in proposito, li ricordo una ventina d’anni fa nei primi programmi di Serena Dandini: con titoli come “Avanzi”, “La tv delle ragazze”. Erano molto divertenti, anche troppo. I pubblicitari sono molto permalosi e non sopportano di essere sfottuti, e la pubblicità è diventata la vera padrona del mondo della comunicazione. Oggi, se vi capita di sentire citare uno spot durante un numero “comico” in tv, si tratta quasi sempre di cose innocue, il più delle volte la semplice citazione dello spot o di un personaggio che vi compare. Se un comico provasse a fare qualcosa di più, difficilmente verrebbe mandato in onda. Si può provare a fare satira sul Papa, ma non sugli spot.
E’ per questo che ci provo io, sperando di non beccarmi querele: questo piccolo blog è del tutto “spot-free”, mi voglio divertire un po’ (e pazienza se rido da solo), e soprattutto sono stufo di tutte le xxxxxxx che mi tocca ascoltare, vedere, sentir ripetere. Ci dovrebbe essere un limite...
Da dove comincio? Comincio da una cosa innocua, che non è neanche una pubblicità vera e propria (lo è, ma è mascherata da comunicazione hi-tech). Cancello per bene i riferimenti, e spiego a chi ancora non lo sapesse: se copiate un disco a 33 giri sul pc, così come è, vi vengono giù anche tutti i tic e i tac e i toc. Basta una ciglia, un filo del pullover, un pelo del gatto, un granello di polvere visibile solo al microscopio e forse neanche lì, una lacrima, una ditata anche minuscola: con i 33 giri (che oggi va di moda chiamare “vinile”, come se fosse un vitigno pregiato e non banalissima plastica) era quasi impossibile ascoltare due volte un disco in condizioni perfette. I 33 giri si trattavano con estrema cura, come se fossero dei bambini piccoli: mai le dita sui solchi, avere sempre sottomano un panno antistatico (meglio se di lino), estrema cura, mai far cadere la puntina o dare scossoni...Eppure, anche trattati benissimo, prima o poi, magari nel punto che più richiede silenzio, tac tac tac ssss...
Se voi (inesperti, come tutti quelli che non hanno vissuto l’epoca del 33 giri) avete visto i rapper e i deejay mettere le loro manacce sudate sui microsolchi, e li avete imitati, e poi volete riportare su mp3 il vostro 33 giri, adesso saran dolori. Tra tic e tac e toc e sssst (le ditate), lo farete una volta e poi lascerete perdere. Io ne ho copiati parecchi, e ogni volta ho fatto un lavoro da certosino con i programmi per sistemare i file audio: si può fare un bel lavoro, ma bisognerà ripassare e ripulire con attenzione ogni secondo della vostra registrazione. Ve la sentite? (ecco una delle cose che la pubblicità non vi dirà mai...).

domenica 13 febbraio 2011

Laurence Sterne ( V )

Vorrei saper scrivere un capitolo sul sonno. (...) Oh, le parole di Sancio Panza! "La benedizione di Dio discenda sull'uomo che per primo inventò questa precisa cosa che si chiama sonno: essa copre tutto l'uomo con il suo mantello."
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume quarto, capitolo quindicesimo )

Per parte mia, essendo appena un principiante in questa materia, ne so poco; ma, a mio giudizio, scrivere un libro è in tutto e per tutto come intonare una canzone: non importa, signora, che il vostro tono sia alto o basso, purché voi riusciate a mantenervi intonata. E' per questa ragione, mi concedano le vostre reverenze, che alcune delle più scadenti e delle più piatte composizioni s'impongono al pubblico (come disse una sera Yorick a mio zio Tobia) "d'assedio". Ricordo che mio zio Tobia aguzzò gli occhi al suono della parola "assedio", ma non capii che senso potesse avere.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume quarto, capitolo ventiseiesimo )

Da questo momento io devo essere considerato erede presuntivo della famiglia Shandy; da questo punto comincia la vera storia della mia vita, e delle mie opinioni. (...) Ed ora che siete giunti al termine di questi quattro volumi, ecco la domanda che volevo farvi: come vi sentite la testa? La mia mi fa terribilmente male.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume quarto, capitolo trentaduesimo )

sabato 12 febbraio 2011

Laurence Sterne ( IV )

...Che galoppata ho fatta sin qui, con corvette e impennate, a due per volta, per quattro volumi di seguito, senza voltarmi una volta indietro o di lato per vedere chi calpestavo.
"Non calpesterò nessuno, - dissi tra me quando montai in sella. - Me ne andrò ad un sonante galoppo, ma non urterò il più umile somaro che incontrerò sulla strada".
E partii, su per un viottolo, giù per un altro, qui infilando un varco, là saltando una barriera, come se avessi avuto in groppa con me il più diabolico dei fantini.
Ora, a questa andatura, con tutte le migliori intenzioni e propositi, ci sono un milione di probabilità contro una che voi combiniate qualche malestro, se non a voi stesso, agli altri. E la gente a gridare:
- E' disarcionato - è sbalzato di sella - è partito - è giù - non ancora, ma finirà col rompersi il collo - vedete, è andato a sbattere contro l'armamentario dei critici più audaci - si fracasserà le cervella contro un palo - lo ha schivato - eccolo là che corre all'impazzata, piomba nel folto d'un mucchio di pittori, violinisti, poeti, biografi, avvocati, filosofi, suonatori, scolastici, ecclesiastici, statisti, generali, causidici, esperti, prelati, pontefici, ingegneri.
- Niente paura, - mi dissi io: -  non farò male a nessun povero diavolo che cavalchi sulle vie maestre.
- Ma il vostro cavallo schizza fango; ecco, avete inzaccherato un vescovo.
- Fido in Dio, - rispondo- non era che Ernulfo.
- Ma avete schizzato in pieno anche le facce dei Signori Le Moyne, De Romigny, e De Marcilly, dottori della Sorbona.
- Acqua passata, roba d'un anno fa.
- Ma solo un momento fa avete pestato i piedi ad un re.
- Poveri re, se si fan pestare i piedi da un poveraccio come me.
- Eppure è quello che avete fatto or ora, - risponde il mio accusatore.
- Lo nego, - ribatto io. Ed eccomi smontato, eccomi qui a terra con la briglia in mano e il berretto nell'altra, pronto a riprendere la mia storia.
- Che storia è?
- La udirete nel prossimo capitolo.
Capitolo ventunesimo
- Non sarebbe male, - incominciò Francesco I , re di Francia mentre, una sera d'inverno, sì scaldava alla brace di un fuoco di legna e parlava col suo primo ministro di varie cose interessanti il bene dello stato. - Non sarebbe male, - disse, mentre andava attizzando la brace col suo bastone, - se rafforzassimo questa buona intesa tra noi e la Svizzera.
- Sire, - rispose il ministro: - non c'è scopo a dar denaro a quelle gente; ingoierebbe il tesoro di Francia.
- Poh, poh! - rispose il re. - Vi sono diverse altre maniere, Signor Primo Ministro, dì corrompere gli stati, oltre a quella di dar loro denaro. La Svizzera avrà l'onore di fare da padrino al mio prossimo figlio.
- Vostra Maestà, - rispose il primo ministro, - si tirerà addosso le furie di tutti i grammatici d'Europa. La Svizzera come repubblica è femminile e non può in nessun modo fare da padrino.
- Potrà fare da madrina, penso, - rispose il re, scattando. - Per cui mandate ad annunciare le mie intenzioni con un corriere, domani mattina. (...)
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume quarto, capitoli ventesimo e ventunesimo )

venerdì 11 febbraio 2011

Laurence Sterne ( III )

Farei 50 miglia a piedi, giacché non ho un cavallo che valga la pena di montare, per andare a baciare la mano a quell'uomo che avesse la generosità di lasciar le redini della sua fantasia nelle mani dell'autore, e si abbandonasse al piacere della lettura senza sapere né domandarsi il perché.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume terzo, capitolo dodicesimo )

Nel corso delle infinite digressioni del libro, Sterne trova il tempo di parlarci dei nomi di battesimo (quarto volume); del Tempo, di Locke e di Sant'Agostino (terzo volume, cap.18) ; del cardine di una porta da riparare (fatto vero e citazione dall'Amleto, terzo volume cap.21) ; del segreto nascosto dietro le parole scritte (terzo volume, cap.37); dei nasi e delle loro forme (volume quarto); della struttura della tragedia greca (sempre volume quarto); del nome Trismegisto e della sua importanza per il nascituro (ahimé, il nome verrà sbagliato: volume quarto capitolo 15) ; e se vi interessa l'oroscopo di Lutero è nel quarto volume, all'inizio, dentro la novella di Slawkenbergius.

Che fortunato capitolo sui casi è risultato questo! Perché mi ha risparmiato la fatica di scriverne uno espressamente, e in verità ho già abbastanza da fare anche senza di quello. Non ho io promesso al mondo un capitolo sui nodi? due capitoli sul diritto e il rovescio di una donna? uno sui baffi? uno sui desideri? uno sui nasi? - no, questo l'ho già scritto.
(...)Non è una vergogna fare due capitoli di quel ch'è accaduto in due rampe di scale? Perché siamo arrivati solo al primo pianerottolo, e vi sono ancora 15 scalini da scendere; e, che io sappia, siccome mio padre e mio zio Tobia sono in vena di chiacchierare, vi potranno essere tanti capitoli quanti sono gli scalini. Sia come si vuole, signore, è inevitabile come il mio destino: mi prende un improvviso impulso; una voce che mi dice: "cala giù la tela, Shandy.". La calo. "Tira giù una riga di traverso qui.". La tiro. E poi ? Apro un nuovo capitolo? Diavolo se ho un'altra regola a cui attenermi in questa faccenda! E quand'anche l'avessi, siccome faccio tutto contro ogni regola, se la seguissi, finirei con l'accartocciare il foglio, ridurlo in tanti pezzi e gettarlo nel fuoco. Mi scaldo? E ne ho ben ragione! Bella storia: è l'uomo che deve seguire le regole, o queste l'uomo? (...)
Mio padre riflettè mezzo minuto, guardò in terra, si toccò in mezzo alla fronte leggermente con il dito, e:
- Vero, - egli concluse.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume quarto, capitolo nono )

giovedì 10 febbraio 2011

Formigoni sul Tamigi

L’altro giorno ho letto un articolo sul Tamigi: che vent’anni fa era dato per morto biologicamente, oggi invece è fiorente, pieno di vita e di pesci. Cos’è successo? L’articolo lo spiega nei dettagli (un ottimo articolo, era su http://www.repubblica.it/  ): gran merito alla politica locale ma – soprattutto – intorno a Londra hanno chiuso definitivamente alcuni grandi impianti industriali, quattro acciaierie, cave, raffinerie, eccetera. Le acciaierie fanno un enorme uso di acqua, ed era quella del Tamigi. Chiuse le acciaierie, e le altre industrie che pompavano acqua, anche il Tamigi è rinato.
La stessa cosa è successa a Cernobyl: che, prima degli incendi spaventosi dell’anno scorso, era diventata un’oasi rigogliosa, rifiorita, dove la natura aveva ripreso il suo corso. C’era la radioattività, certo: ma con la radioattività stavamo lontani noi, gli umani. Anche le centrali nucleari pompano enormi grandi quantità d’acqua: finito il gran trambusto, anche con l’enorme sarcofago lì a due passi, la natura era rifiorita.
Ieri sera invece ho ascoltato il presidente della regione Lombardia, Formigoni. Che spiegava, scandendo chiaramente le parole come suo solito: «non è vero che l’inquinamento è aumentato, l’inquinamento è diminuito, a Bruxelles sono contentissimi di quello che stiamo facendo, adesso però è ora che ci si faccia carico, ogni singolo cittadino, dei consumi personali. Bisogna tenere il riscaldamento sotto i venti gradi, usare l’automobile il meno possibile, noi stiamo facendo bene anzi benissimo e adesso tocca a voi». Eccetera.
Sarà. Prima di tutto, anche in Lombardia hanno chiuso moltissime industrie, ma proprio tante: per esempio, l’area della Nuova Fiera è su un posto dove prima c’era una raffineria. E poi mi guardo intorno: fuori da Milano, fuori dalla metropolitana, i mezzi pubblici non ci sono: provate ad andare coi mezzi pubblici, che so, da Olgiate Comasco fino a Milano, e poi mi raccontate. Quei pochi mezzi pubblici che ci sono, quelli sopravvissuti ai tagli, stanno subendo pesanti aumenti nel costo del biglietto e degli abbonamenti; si chiudono stazioni e biglietterie dove ci sono già ("non rendono": come se una stazione fosse una gelateria...), eccetera. Dove abito io, il mio Comune ha visto quasi raddoppiare il numero degli abitanti, in meno di dieci anni: si è costruito dappertutto, ogni millimetro quadrato di campi e di prati è stato cancellato per sempre (e non sto esagerando). Dove non si è costruito, è arrivato l’ampliamento della Milano-Laghi, e la Pedemontana; si è quindi incrementato il numero delle automobili in circolazione, invogliando o costringendo le singole persone ad usare l’automobile di proprietà (e non è che le nuove leggi sul lavoro aiutino molto: se arrivate in ritardo, magari per colpa dei treni per pendolari, è molto facile che vi lascino a casa: disoccupati).
Quanto ai comportamenti personali, mio padre fece l’allacciamento al metano già nel 1972, e la piccola caldaia che abbiamo in casa è controllata regolarmente almeno una volta all’anno: quarant’anni che non inquiniamo. E di notte, da sempre, in casa mia il riscaldamento è spento. La mia automobile è piccola e la uso pochissimo, ma tra poco sarò costretto a cambiare stile di vita: qui intorno esistono ormai solo i grandi centri commerciali, tutti i negozi del paese hanno chiuso, anche per comperare la più piccola cosa sono costretto a prendere la macchina e fare un paio di chilometri, o magari anche dieci. E poi, una volta arrivato al centro commerciale, trovo enormi banchi frigoriferi aperti: c’è mai stato in un supermercato, signor Formigoni? Funzionano tutti così. Vuole vedere la mia bolletta dell’ENEL? Vuole confrontarla con lo spreco della nuova sede della Regione Lombardia?
Tutti discorsi inutili, che potrei risparmiarmi. Lo so da sempre, che di queste cose non importa niente a nessuno. Lo so per esempio da quando ho indicato uno scempio edilizio a un amico (una persona di sinistra, cresciuta in campagna, che pensavo sensibilizzato all’argomento) e lui mi ha risposto: “però, che belle villettine”. Ed eravamo dentro i confini di un parco regionale.
Il consenso c’è, per Formigoni e per la Lega: qui si arriva anche al 75%. Ma è un consenso del tipo che mi fa sempre più pensare: i nostri discendenti ci malediranno. Non so quando, ma quel giorno avverrà: le recentissime alluvioni in Veneto sono già state dimenticate, ma la Natura non dimentica; e degli umani, in definitiva, può anche fare a meno.

mercoledì 9 febbraio 2011

Il parcheggio delle terme

E’ stato aperto un nuovo autosilo, proprio in centro, dove prima c’erano solo i ruderi delle terme romane: una buona notizia? Se pensate che la vostra città sia solo un posto dove lasciare la macchina, certamente sì.
Un altro autosilo lì vicino: all’Arena. L’Arena significa il Teatro Sociale, un posto all’aperto proprio dentro il teatro ottocentesco, dove si facevano spettacoli e si faceva cinema. Un posto in disuso da molto tempo, e quindi un’altra buona notizia? La risposta è la stessa di prima: se pensate che la vostra città sia solo un posto dove lasciare la macchina...
Viene da chiedersi: come mai nessuno l’aveva mai fatto prima? Due spazi grandi, vuoti, proprio in mezzo a Como, nel centro storico. Come mai nessun assessore l’aveva mai fatto, prima? Che fossero tutti scemi? Chiedo scusa per il pensiero espresso in maniera irriverente, ma il fatto dà da pensare. Eh già, con la fame di parcheggi che c’è, come mai nessuno ci aveva mai pensato prima?
Forse perché Como è una città antica, molto bella, che è un peccato deturpare col cemento? Forse perché si pensava che era possibile fare diversamente, che Como è una città piccola, che forse era meglio lasciare le automobili fuori da Como, già fin troppo intasata e inquinata?
Mah, chissà. Intanto, a Milano, si scava per costruire un mega parcheggio: sotto la Basilica di Sant’Ambrogio, uno dei simboli stessi della città. Ohibò, e se dovesse venir giù tutto? Niente paura, lo scavo è già finito e la Basilica è ancora lì; però se la si potesse spostare, pensa quanto spazio, quante macchine. Sempre a Milano, un altro luogo storico: la Darsena, sui Navigli, poco lontano dal centro. Anche lì, zona ideale per un parcheggio: che non si è mai fatto, ma si è tolta l’acqua, c’è un degrado spaventoso, ed è tutto fermo così da dieci anni. Chissà come mai, anche a Milano, nessuno ci aveva mai pensato prima – eppure il problema dei parcheggi è annoso, spaventoso, e l’inquinamento, il PM10, quante robe, quante cose.
Nessuno che si ponga il quesito fondamentale: come si è arrivati ad avere due, tre, quattro automobili per famiglia? Come mai non si è investito sui mezzi pubblici? Come mai sono stati chiusi i piccoli ospedali, che avrebbero garantito un minor traffico intorno a Como? Intanto che mi chiedo come mai, e mentre vengo sfiorato dal dubbio di aver avuto, negli anni ’60 e ’70, qualcosa di simile ad una vera classe dirigente (chi l’avrebbe mai detto, allora), suggerisco agli assessori e alla giunta altri due grandi spazi vuoti, due sprechi enormi che potrebbero portare a contenere tutte la auto anche del Canton Ticino: uno è di fronte a Piazza Cavour, basta girare le spalle alla Piazza ed eccolo lì, enorme, spropositato, vuoto. C’è l’acqua, è vero, ma non è molto profonda: utilizzando anche la Piazza e non solo lo spazio bagnato, verrebbe un autosilo da quasi centomila posti. E, davanti al Duomo, ecco un altro spazio imponente e sprecato: ne metto un’immagine, ricordando agli assessori milanesi che davanti al loro, di Duomo, c’è uno spazio vuoto enorme che permetterebbe altri centomila posti auto. Considerando anche gli spazi liberi in Galleria, e in Piazza Scala, un bell’autosilo anche da centocinquantamila posti, e lo slogan: “la Lombardia, il vostro posto per le vostre auto”.

PS: sono passato di recente per la zona del Politeama, a Como. Qui c’era lo zoo, era una zona piena di colori, di piante, di gente. Adesso è tutto cemento, i negozi che ci sono rimasti chiudono tutti alle cinque. Ed è così ovunque, ormai, anche nelle stradine medievali del centro. Che ci si va a fare, a Como? Meglio gli outlet, gli iper, costruitelo davvero l’autosilo in mezzo al lago. Non penso che ci sia ancora qualcuno che perde tempo a guardarli, il lago e il Duomo, e san Fedele, e sant’Abbondio.

martedì 8 febbraio 2011

Foibe

Delle foibe, del massacro delle foibe, si è sempre parlato poco. Se ne parlava poco, e non era neanche facile trovare chi ne parlasse in maniera attendibile: cosa non facilissima nemmeno oggi, ad essere del tutto sinceri.
Se ne parlava poco perché, fino a tutti gli anni ’70, non conveniva a nessuno: il governo jugoslavo, quello di Tito, era importante in ambito NATO, e non conveniva irritare la Jugoslavia. (La Jugoslavia non faceva parte di nessuno dei due schieramenti del dopo Yalta, ed essendo di ispirazione comunista la sua neutralità non era così scontata). Il governo italiano, dal 1945 fino agli anni ’90, è sempre stato a guida democristiana: quindi, di per sè, non aveva nessun motivo pregiudiziale per tacere sulle foibe; ma probabilmente l’ordine degli USA fu di mettere a tacere tutto, e non toccare l’argomento. D’altra parte, il rischio di perdere anche Trieste era molto alto: basterà dire che i confini fra Italia e Jugoslavia furono definiti chiaramente solo nel 1975, con i trattati di Osimo.
Se ne parlava poco, delle foibe; e quel poco che si ascoltava era, molto spesso, depistante e incomprensibile. Circolavano (e circolano tuttora) frasi del tipo: “i comunisti che hanno fatto le foibe”. Dentro di me, la domanda sorgeva spontanea: il PCI in Italia prendeva il 35% dei voti: tutti assassini? E poi, per me il PCI (i comunisti) erano gente come mio zio, come alcuni vicini di casa, immaginare mio zio (la persona più pacifica del mondo, eppure comunista) mentre ammazza qualcuno era già inimmaginabile, che poi buttasse anche dei corpi dentro un crepaccio, no, era impossibile. Così impossibile che, veniva da pensare, ci doveva essere sotto qualcosa d’altro, e chi riferiva quei fatti in quel modo era del tutto inattendibile.
Una prima risposta mi venne dalla lettura di Ivo Andric: “Il ponte sulla Drina”, ma anche “La cronaca di Travnik”. Andric, che vinse il Nobel nel 1961, era jugoslavo: nel senso che aveva i genitori di ogni parte, non faceva caso se fossero croati o macedoni o serbi, quella era la sua terra. Sono romanzi storici, bellissimi: scritti in stile cronachistico, parlano della Jugoslavia nel corso dei secoli, dal dominio turco fino a Napoleone, e fino al Novecento, gli anni in cui viveva l’autore. Sono libri che raccolgono storia e leggende, e vi sono pagine di grande crudezza: ma un cronachista non può nascondere la verità, e la verità è che la storia della Jugoslavia contiene crudeltà sulle quali verrebbe da voltare pagina. Andric non lo fa, attinge ai documenti storici e descrive quello che è successo: anche qui sta la sua grandezza. Quella violenza, quella violenza indescrivibile, sarebbe riesplosa negli anni ’90, con la dissoluzione della Jugoslavia: la stessa violenza che era esplosa nei massacri delle foibe, e che credevamo appartenesse al passato. Gli anni ’90 significa il 1995, cioè ieri: è solo da pochissimi anni che nei paesi dell’ex Jugoslavia si è tornati a vivere almeno una parvenza di vita normale.
Altri scrittori hanno descritto più direttamente cosa è successo nelle foibe: penso ai diari di Biagio Marin, allo scrittore sloveno Boris Pahor. Sono libri e testimonianze pubblicati di recente, prima non erano disponibili, e consiglio di leggerli, perché servono a capire cosa c’è veramente dietro il dramma delle foibe: il nazionalismo, l’intolleranza, la pura e semplice stupidità umana.
Della stupidità umana fa parte consistente anche il modo (più o meno nascosto) in cui si parla oggi delle foibe, quasi a dire “i lager e le foibe”, come se un massacro giustificasse, bilanciasse, l’altro. Eh no, i massacri non si bilanciano, non si annullano l’uno con l’altro. Non è che “un morto di qui, un morto di là”, dà come risultato nessun morto: no, i morti si sommano, un morto di qua e un morto di là fanno due morti. Questa “giustificazione”, questo usare un dramma per giustificare un altro dramma, è veramente la cosa più schifosa che mi sia mai capitato di ascoltare. Mi fermo qui, per rispetto verso i morti innocenti delle foibe, delle Fosse Ardeatine, di Auschwitz, dei desaparecidos argentini (ragazzi di vent’anni, e anche meno), del Ruanda, dei gulag staliniani, delle vittime di Pol Pot e di Pinochet... Un elenco interminabile.

lunedì 7 febbraio 2011

Laurence Sterne ( II )

Scrivere, quando è fatto a dovere - e potete esser sicuri che tale reputo il mio - non è che un altro nome per conversare.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume secondo, capitolo undicesimo)

Se volete fare un'esperienza curiosa, andate in libreria e cercate un'edizione qualsiasi di "La vita e le avventure di Tristram Shandy, gentiluomo". Sfogliatela a caso, e vi troverete di tutto: lineette, asterischi, pagine bianche, pagine in latino, capitoli spostati, citazioni, manine puntate a indicare qualcosa di rimarchevole, lapidi, riproduzioni più o meno riuscite della carta con le quale si facevano un tempo le copertine dei libri... Quanto alla struttura narrativa, basti dire che la prefazione dell'autore è nel ventesimo capitolo del terzo volume (prima non c'era tempo), e che Tristram -che ne è protagonista e narratore - nasce dopo due terzi delle pagine che avete tra le mani. Quello che precede, e buona parte di quello che segue, sono digressioni, chiacchierate e discussioni tra i personaggi fatte nella casa del padre di Tristram. Il padre del protagonista e lo zio Tobia discorrono tra di loro, coinvolgendo servitori e altri personaggi, in attesa che il bambino, al piano di sopra, si decida a nascere; in più, deve arrivare un medico che soprintenderà al parto, grande novità per l'epoca. Il personaggio più bello del libro è senza dubbio lo zio Tobia, reduce da una delle infinite guerre dell'epoca e spirito pacifico che, debilitato da una grave ferita, si appassiona ormai, più che alle discussioni filosofiche del fratello, a quello che è il suo hobby (hobby horse, nell'originale: il cavallino con cui giocano i bambini...). L'hobby dello zio Tobia è quello di ricostruire, nel giardino di casa, le battaglie alle quali ha partecipato. Insomma, qualcosa di molto inglese ma anche di molto universale: chi di noi non ha il suo "hobby horse" nel quale perdersi e dimenticarsi di qualche ferita?

Cordialmente, con tutta l'anima raccomando alla protezione di Colui che non fa del male ad anima viva, voi ed i vostri affari. Solo nel prossimo mese, se qualcuno di voi dovesse digrignare i denti, e tempestare e infuriare contro di me, come avvenne nel maggio scorso, quando ricordo che il tempo era molto caldo, non si esasperi se io ci passo sopra un'altra volta filosoficamente, essendo risoluto finché vivo o scrivo (che per me è lo stesso) a non dire una parola o far mai a nessun galantuomo augurio peggiore di quello che mio zio Tobia fece alla mosca che gli aveva ronzato sul naso per tutto il desinare. "Va', va', diavolaccia, - disse mio zio Tobia: - vattene; perché dovrei farti del male? Il mondo è di certo largo abbastanza per contenere tanto te che me. "
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume terzo, capitolo quarto )

(facendo clic sulle immagini si riesce a leggere meglio)

domenica 6 febbraio 2011

Laurence Sterne ( I )

- Mi intendo tanto di calcoli, - disse lo zio Tobia, - quanto questa balaustra.
E, nel tentativo di indicarla con la sua stampella, fallì il bersaglio e prese in pieno lo stinco di mio padre.
- L'avrei presa cento contro uno, - si scusò lo zio Tobia.
- Credevo che tu non avessi nessuna nozione di calcolo, fratello Tobia. - disse mio padre fregandosi lo stinco.
- E' un puro caso, - rispose lo zio Tobia.
- Un altro da aggiungere al capitolo, allora. - replicò mio padre.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume quarto, capitolo nono )

Ne parlavo con un'amica, che mi rispondeva: « A me piacciono le storie che hanno un andamento diretto, che non si perdano troppo per la strada. Storie classiche, insomma, dove sia facile seguire il filo della trama, anche se magari è complessa. » Ovviamente sono d'accordo, è sempre bello trovare autori che sanno raccontare bene una storia: Stevenson, magari, oppure Calvino.
Ma ci sono grandi scrittori che fanno esattamente l'opposto, e riescono lo stesso ad essere piacevoli. Il loro campione è, probabilmente, Laurence Sterne con il suo "Tristram Shandy", pubblicato con grande successo, tra il 1760 e il 1767. Sterne era un reverendo inglese, ed iniziò a pubblicare le storie di Tristram Shandy quando aveva 46 anni ed era un perfetto sconosciuto. Il racconto, pubblicato a puntate, ebbe subito il successo che si meritava: per le sue qualità letterarie, ma soprattutto perché era molto divertente.
Infatti è difficile farne un'antologia, di bei momenti ce ne sono anche troppi; però ci vuole anche molta pazienza, e spirito di adattamento. Sterne va dietro al suo naso, all'ispirazione del momento; e in più, pretende dai suoi lettori la massima attenzione. Sterne dialoga con i suoi lettori, ogni tanto "guarda in macchina" (quasi come Oliver Hardy), chiede la nostra collaborazione e controlla se siamo stati attenti. Insomma, si potrebbe che Sterne è interattivo, ed anche per questo è modernissimo.

- Allora, signore, devo avere saltato una pagina.
- No, signora, non avete saltato nulla.
- Ero addormentata, allora.
- Offenderei il mio orgoglio di scrittore se vi concedessi un simile rifugio.
- Allora devo dichiarare di non saperne assolutamente nulla.
- Appunto questa è la colpa che vi faccio. E per punizione insisto che, appena giunta al punto fermo, riprendiate il capitolo da capo e lo rileggiate tutto.
(Laurence Sterne, Tristram Shandy: volume primo, capitolo ventesimo )

sabato 5 febbraio 2011

Eugenetica

Il più grande presidente USA del ‘900 è stato un handicappato: Franklin Delano Roosevelt.
Roosevelt prende la guida degli USA subito dopo la grande crisi del 1929, con il Paese in ginocchio e i suoi cittadini in miseria, e lo porta a diventare la prima potenza mondiale: il fatto che gli USA siano ancora oggi così importanti lo si deve soprattutto a lui, a Roosevelt; e non certo ai Reagan o ai Nixon o ai Bush, i “supereroi” ai quali più che altro si deve lo spaventoso deficit finanziario attuale.
Roosevelt era poliomielitico: si ammalò da adulto, poco prima dei quarant’anni, e da allora visse con le stampelle o su una sedia a rotelle, a seconda dello stato di salute in cui si trovava. Il che non gli impedì di avere idee chiare e una grande visione politica: cosa che invece difetta a quasi tutti i leader politici attuali, anche a molti di quelli che si fanno fotografare mentre fanno jogging.
Parlo di F.D. Roosevelt, oggi, per un motivo ben preciso: ed è il silenzio, silenzio totale e assoluto, attorno alla trasmissione di Marco Paolini del 26 gennaio scorso ("Ausmerzen - vite indegne di essere vissute"), una delle sue migliori dopo quella del Vajont che lo rese celebre. Ho fatto passare un po’ di tempo apposta, prima di parlarne, perché questo silenzio – molto simile a una grande censura - mi ha impressionato molto. Penso che Paolini se lo aspettasse, e con lui Gad Lerner (lo spettacolo di Paolini è andato in onda su La7 e il sito di Marco Paolini è http://www.jolefilm.it/ ). Dato l’argomento, non era certo una sorpresa: ma è pur sempre un silenzio agghiacciante.
Che si fa, meglio parlare di rugby? La gente ha paura degli argomenti difficili? La gente ha paura e si irrita quando viene chiamata direttamente in causa, e per questo si rischia di perdere audience e quindi pubblicità e quindi di chiudere la rete e tanti saluti a tutti, e allora meglio far ridere con paperissima o con un paio di cazzatine più o meno riuscite?

L’argomento scelto da Marco Paolini era l’eugenetica. La domanda di partenza era: come si è arrivati alla follia nazista? Auschwitz non nasce dal nulla, c’è tutto un movimento precedente, e non è mica solo roba da tedeschi, e non è mica finita dopo il 1945, anzi. A me aveva fatto una grande impressione, per esempio, leggere che su una sorella di J.F.Kennedy fu praticata la lobotomia: era una famiglia ricchissima, colta, istruita, e la donna – poco più che una ragazza all’epoca dei fatti – fu operata, e resa simile a un vegetale, perché pare che fosse un po’ troppo attratta dal sesso.
L’eugenetica: l’idea che il mondo potesse essere reso migliore ripristinando ciò che succede in natura, dove i più deboli muoiono subito. Era l’idea di Galton, nell’800, e addirittura di Konrad Lorenz, nel ‘900. Il momento dello spettacolo che Paolini ha dedicato a Lorenz, verso la fine, è uno dei più impressionanti: perché a Konrad Lorenz vogliamo tutti bene, era una persona speciale, un osservatore attento, passi per gli ignoranti e i fanatici, ma come è possibile per uno come Lorenz non capire?

Quello che Lorenz non aveva capito era questo: che la civiltà, il progresso effettivo dell’umanità, è avvenuta proprio per questo, perché l’uomo ha fatto sopravvivere anche gli handicappati, i deboli, quelli che in natura non sarebbero mai sopravvissuti. Molti, moltissimi, di questi handicappati (non tutti, va da sè) sono diventati persone importanti, sia nel campo scientifico che nel campo artistico: ve lo siete mai chieste, mentre compulsate lo smartphone col ditino teso, a chi si deve questa possibilità? Magari a uno come Stephen Hawking, che è sulla sedia a rotelle: malattia genetica degenerativa. Magari la musica che state ascoltando è suonata da Itzhak Perlman (anche lui poliomielitico), o da Michael Petrucciani (era un nano), o magari Gramsci, Toulouse-Lautrec, fate voi. Io ho imparato moltissimo da una mia cugina handicappata, e dai suoi genitori (mia zia e mio zio) che l’amavano profondamente. Quando io ero bambino, un bambino sano, in ogni classe c’era almeno un bambino poliomielitico. Magari mancavano di scuola per mesi, ma quando li si vedeva erano bambini come gli altri, però con le stampelle. Mi si dirà: ci sono quelli che disturbano in classe, però, e che impediscono a mio figlio di seguire le lezioni – ebbene, per queste cose l’inchiesta di Paolini è andata davvero fino in fondo, e con grande lucidità. Vi rimando a lui, se riuscite a vedere lo spettacolo: per intanto io metto qui in fondo le due parole che Paolini non è riuscito a dire: tirchieria, grettezza. Cose che stanno in fondo all’anima, non modi di dire: basterebbe poco, per trovare i fondi per gli insegnanti di sostegno, invece voi avete scelto un governo che tagli proprio questi soldi, e non altri. (Voi, non io: per una volta mi chiamo fuori, io ho sempre pagato volentieri le tasse – i veri problemi sono altri, mica le tasse o la secessione o il federalismo che salverà i conti dell’Italia: la tirchieria è il vero problema, la grettezza d'animo di chi vuol risparmiare dieci centesimi e così manda a fondo il suo prossimo...).

PS: la foto di Roosevelt viene da http://www.wikipedia.it/ E’ di uno come Roosevelt che avremmo un gran bisogno, ma vedo che tutti i nostri politici – anche quelli di trent’anni – non sono fatti di quella stoffa. Camminano in piedi, ma non guardano più al di là delle punte delle loro scarpe. Forse stare seduti, stare fermi, essere costretti a rimanere qui invece di correre via, aiuta ad alzare lo sguardo e a vedere anche un po’ più in là.

venerdì 4 febbraio 2011

Uscire dal '900, o magari piantarla con gli slogan?

Non mi ricordo neanche già più chi l’ha detto, l’altro giorno, se Veltroni o Bersani o D’Alema o Renzi chissà chi altro: «Bisogna uscire finalmente dal Novecento!!!» Che significa? Dovrebbe essere uno slogan vincente? Mah... Oltretutto, detta da un partito politico che aspira ad essere l’erede del PCI di Enrico Berlinguer, suona davvero male: perché operai e lavoratori, nella loro storia millenaria, non sono mai stati così bene come nel Novecento: in Italia e dal 1945 in su, intendo. Non è che tutto fosse rose e fiori, ma se si potesse davvero tornare agli anni ’70, o agli ’80...Io c’ero, e lo auguro di cuore a tutti i ventenni che stanno per finire la scuola e cominciare a lavorare, perché io e i miei coetanei abbiamo davvero potuto progettare un futuro e vivere abbastanza bene, grazie a quel Novecento. Tutte quelle nostre piccole certezze, conquistate a fatica dai nostri padri e dai nostri nonni, sono state però spazzate via in meno di dieci anni, e ancora mi chiedo come sia potuto succedere.
Uscire dal Novecento, tornare al Novecento: ma che significa? Come si fa a perdere tempo con questi slogan senza significato? Innanzitutto, dal Novecento siamo già fuori da un bel pezzo – mi sembrava quasi cretino ricordarlo, ma siamo a febbraio 2011...

Questi giochini sul passato sono sempre penosi. Non è detto che andando avanti si migliori, non è detto che i tempi andati fossero migliori: nel caso si volesse affrontare l’argomento bisognerebbe distinguere, ragionarci sopra, dividere cosa da cosa. Per alcune cose, ad essere sincero, io tornerei indietro anche al ‘500, al ‘600, al ‘700, all’800....E’ vero che oggi viviamo al caldo e con ottimi servizi igienici in tutte le case, ma provate a chiedere, per esempio, a un appassionato di vela: meglio il Tirreno di oggi, o quello dei tempi di Napoleone? Ed è meglio la sanità di oggi, o quella dei tempi di Giuseppe Verdi? Meglio il cinema di oggi, o quello degli anni ’70 quando io aspettavo tutti gli anni un nuovo Kurosawa, Fellini, Bergman, Kubrick, ed erano nuovi e mai visti Lo squalo di Spielberg, ET, Guerre stellari...? Ah, saperlo.
Mi fermo qui, perché mi ero già annoiato prima di iniziare. A dire il vero, non mi sarei mai fermato a ragionare di queste cose se non fosse per un dettaglio: che questa battuta sull’uscire dal Novecento rivela molto bene la mancanza di idee della nostra classe dirigente, e spiega magnificamente il suo scarso appeal elettorale. Come si fa ad andare dietro a dei leader come questi? Come si fa, a secolo XXI abbondantemente iniziato, a ragionare ancora per slogan? Di pubblicitari al governo ne abbiamo già fatto grama esperienza negli ultimi vent’anni, e quindi, per piacere, almeno a sinistra, basta con gli slogan. Ecco, vorrei che se uno slogan ci debba essere per forza, che lo slogan sia ormai obbligatorio, che sia questo: “basta con gli slogan, basta con i pubblicitari, basta con i consiglieri sul look dei politici!”. E tornate a lavorare, che è da almeno trent’anni che non si vede un politico che viene dal mondo del lavoro.