venerdì 27 aprile 2012

La chimica al cinema ( IV )

L’alambicco che ribolle, al cinema e in tv, è una delle cose che si vedono sempre quando si mostra un laboratorio chimico: vapori, fumi, liquidi ribollenti anche se palesemente freddi. Sono trucchi abbastanza banali, al cinema si vedono cose ben più complicate fin dai tempi di Georges Méliès; io non sono un esperto di trucchi cinematografici ma so che per simulare un’ebollizione in un liquido, anche senza fuoco, basta un po’ d’aria compressa, del tipo di quella che usa anche il gommista: la si fa gorgogliare lentamente, da un tubo nascosto, ed ecco pronto il misterioso liquido ribollente anche senza fiamma. Nei laboratori chimici c’è sempre l’aria compressa, serve per asciugare la vetreria, per facilitare l’evaporazione dei solventi, per tante cose che non sto qui a spiegare. Basta farla uscire lentamente, da un tubicino nascosto, e l’illusione è perfetta.
Fumi e vapori si possono ottenere facilmente con il ghiaccio secco, che è anidride carbonica solida: se le formule chimiche vi fanno impressione, basterà pensare che anche noi, respirando, produciamo anidride carbonica, e che molti estintori anti incendio sono a base di anidride carbonica. Si riconoscono subito, perché sono vere e proprie bombole e non semplici contenitori (come per gli estintori a schiuma o a polvere), con la parte superiore dipinta in grigio. Il ghiaccio secco, cioè l’anidride carbonica solida, in laboratorio l’ho usato anch’io: serviva per controllare un lubrificante di nostra produzione che doveva mantenersi fluido anche a venti sotto zero, e con il ghiaccio secco ci si arriva. Da noi ne bastavano piccole quantità, che prendevamo dalla bombola dell’anidride carbonica: aprendola e facendo entrare il gas in un apposito stampo, si ottengono dei dischetti di “quasi neve” facilmente maneggiabili. Al cinema, basta mettere un po’ di ghiaccio secco in fondo a un recipiente e poi versarci sopra un po’ di acqua a temperatura ambiente per veder sviluppare dei fumi bianchi: esistono metodi un po’ più sofisticati, ma penso che qui possa bastare e passo ad altre cose misteriose.
Un oggetto molto spettacolare, oltre ai tubi refrigeranti di cui ho già parlato, è sicuramente l’imbuto separatore, di ottimo effetto scenografico se montato sugli appositi sostegni. Per spiegare come funziona l’imbuto separatore farò un esempio pratico: mettiamo che si voglia sapere che olio è stato usato in una maionese, se è olio d’oliva o di semi e, nel caso, di quali semi si tratta. Si prende la maionese, se ne pesa una piccola quantità e la si porta nell’imbuto separatore: dato che l’imbuto separatore ha un rubinetto sul fondo, sarà bene verificare di aver chiuso il rubinetto prima di iniziare l’operazione. Non l’avete chiuso? Capita, anche ai migliori di noi analisti è successo, e succederà ancora: nessuno è perfetto, ma adesso bisogna ricominciare da capo. E dunque, si pesa qualche grammo di maionese, la si porta nell’imbuto separatore (avete chiuso il rubinetto in basso?), e si aggiunge un solvente facilmente evaporabile, per esempio cloroformio, etere etilico, in alcuni casi va bene anche l’alcool; il solvente separa l’olio dall’acqua, se non si separa bene basta aggiungere un po’ di acqua salata. Si mette il tappo grosso nella parte superiore (questo è facile da ricordare, se vi dimenticate del tappo sopra è grave), si agita lievemente, e poi si lascia a riposo. Se l’operazione è stata fatta bene avremo due fasi, sopra l’olio (nel solvente) e sotto l’acqua, e tutto quello che nell’acqua si scioglie (dato che è maionese, l’aceto o il succo di limone); aprendo il rubinetto sotto si toglie la fase acquosa e rimane la fase superiore, che adesso si può analizzare facilmente. Nella fotografia qui sopra, che ho preso da wikipedia, si vedono bene le due fasi, ben separate.
In una celebre foto che ritrae Madame Curie si vede bene un altro oggetto che è stato di uso molto comune, e che in italiano si chiama spruzzetta: un nome non finissimo, ma è quello che si usa normalmente. Oggi le spruzzette sono tutte fatte di plastica, una bottiglia di plastica morbida con una cannuccia infilata dentro; non sto a spiegare come funziona, mi sembra ovvio: che premendo sui lati esca il liquido lo sanno anche i bambini di tre anni. Ma le bottiglie di plastica esistono solo dagli anni ’60, prima si usava la spruzzetta come quella che ha in mano Madame Curie, e che anch’io ho fatto in tempo ad usare. Due cannucce di vetro infilate in un tappo di gomma: soffiando in una delle due cannucce, dall’altra esce il liquido (acqua distillata, di solito) e il getto si può dirigere dove meglio conviene, per esempio per pulire le pareti di un bicchiere e raccogliere una parte del campione che era finita sulle pareti. Anche qui, mi sembra inutile spiegare il funzionamento: è un’esperienza che si può fare anche in casa con due cannucce per le bibite, basta guardare la foto. (il grande recipiente alle spalle di Madame Curie è un semplice bottiglione, l’ampollina che ha nell’altra mano è soltanto un’ampollina di vetro). E’ invece interessante far notare che fino a pochi anni fa, cioè prima dell’avvento e del trionfo della plastica, i chimici erano anche un po’ vetrai. Funzionava così: si comperavano dalle vetrerie bacchette o tubi di vetro molto lunghi, anche due metri, di vari diametri e spessori, che poi si tagliavano e modellavano su una fiamma a gas. Anche la spruzzetta di Madame Curie è fatta sicuramente così: alcuni chimici di laboratorio erano dei veri artisti e modellavano e sagomavano il vetro in maniera perfetta, altri (tra i quali anch’io, disdetta) avevano minore abilità manuale e i tubi e le bacchette uscivano sempre un po’ strani e poco eleganti, ma l’importante era che svolgessero le loro funzione. Se non riuscivano a svolgere la loro funzione, o se si spezzavano, allora bisognava buttare via tutto e ricominciare da capo; ma dopo un po’ di volte e un po’ di “ritenta, sarai più fortunato”, di regola anche i più imbranati riuscivano nell’impresa.
Chissà se oggi si insegna ancora a modellare il vetro, nei laboratori; temo di no, ma in ogni caso provate a fare attenzione a tutta la vetreria che si vede nei film e in tv, dal Frankenstein di James Whale (1933) fino ad Harry Potter: palloni, matracci, bottiglie, flaconi, vetreria varia di tutte le forme, colori e dimensioni. Qui è possibile che sia tutto vero, è anche possibile che il flacone per il misterioso elisir sia una boccettina autentica, recuperata da qualche antiquario. Per tutto il periodo alchemico e prescientifico, e anche per tutto l’Ottocento i chimici (anche quelli importanti) infatti dovevano essere anche un po’ vetrai, farsi gli oggetti da soli o spiegare bene cosa fare a un vetraio vero. Da qui deriva la grande varietà di forme e colori delle bottiglie e bottigliette, delle beute e dei matracci, dei flaconi e dei vasi dei farmacisti.
(nelle immagini: un imbuto separatore, da wikipedia; una foto famosa di Madame Curie, premio Nobel per la chimica nel 1903 e nel 1911; due immagini da “The bride of Frankenstein”, con Boris Karloff ed Elsa Lanchester).

6 commenti:

giacy.nta ha detto...

inevitabile il rimpianto... ma il corso del piccolo chimico è sempre più piacevole.

Va da sè che un giorno o l'altro mi organizzerò per la spruzzetta:)

Giuliano ha detto...

le spruzzette di plastica sono comodissime, si possono avere sia di precisione (uscita a punta di matita, esistono appositi gadgets) che più grossolane (si lascia la cannuccia così come è, foro grosso).
Io avevo un collega o due che toglievano sempre la punta fine dalla spruzzetta di precisione "perché così ci si mette troppo tempo" e poi quando serviva la spruzzetta fine (quasi sempre) bisognava incazzarsi ogni volta (ops). Inutile dir loro che lì di fianco c'era quella col foro grosso, inutile.
:-(
il prossimo post sarà per Primo Levi, un brano bellissimo che ho riletto l'altro giorno.

Grazia ha detto...

Bellissimi tutti questi post sulla chimica al cinema.Mi sono molto divertita a ricordare misteriose bottigllie, fumi e fenomeni per me incomprensibili che ho visto nei film.
Ho consigliato il tuo blog ai miei amici: trovo che sia uno dei più interessanti che ho incontrato ultimamente.
E ora aspetto il post su Primo Levi.

Giuliano ha detto...

Questo sito è dedicato a Delio Tessa (de là del mur...) e a Biagio Marin, ma Primo Levi qui lo trovi ovunque. Se non ho ancora messo una tag dedicata a Primo Levi, è proprio perché dovrei metterla quasi dappertutto...
:-)
anch'io mi sto divertendo! mi fa piacere vedere che non scrivo solo per me

Anonimo ha detto...

Ciao Giuliano,
purtroppo non sono la persona più adatta per comprendere il lato umanistico di questo blog, e di ciò me ne dolgo assai, tuttavia questa quadrilogia dedicata alla chimica mi ha davvero entusiasmato, e ti faccio i miei più sinceri complimenti. Come chi mi ha preceduto, non vedo l'ora di leggere la tua digressione su Levi, uno dei miei più grandi miti che non finirò mai di esplorare a sufficienza.
Un caro saluto dal chimico impertinente!

Giuliano ha detto...

grazie! non so se me lo merito, quest'ultimo post è nato dalla visione "infrazapping" di un telefilm molto recente, è bastato un fotogramma per vedere le quattro cosette che usiamo tutti - ma per chi non ha pratica di laboratorio (e anche per i chimici ventenni, temo) sembra tutto magico e misterioso...
Per il lato umanistico, pensa che io sono sempre stato molto lontano sia dal liceo classico che dall'università che dai cineforum: basta un po' di curiosità, nella vita. O meglio, bastava.