giovedì 30 gennaio 2020

Ciclotimia


- Lei è come mia moglie, - mi dice il Direttore, dopo avermi chiamato per un colloquio molto particolare, noi due soltanto, nel suo ufficio. Ma non c'è spazio per equivoci: intende un'altra cosa, e lo fa nel suo solito stile paterno e colloquiale che ben conosco, con l'intenzione di darmi un ottimo consiglio. Ho ottenuto questo tête-à-tête con il Direttore in persona per un ottimo motivo: in questi giorni gli ho fatto tanto disperare il mio capo, che gode evidentemente di una super raccomandazione (in giro si sussurra: il Prefetto; ma di preciso nessuno lo sa). Ma, in fondo, il Direttore mi stima e mi vuole davvero bene: e io lo so, perché ci conosciamo da tanti anni.
- Lei è come mia moglie, io lo so perché queste cose ormai le conosco bene e, quando arriva la primavera, mi preparo e so già cosa mi aspetta. I cambi di stagione, nelle persone come lei, e come mia moglie, sono pericolosi. Lei le sa già queste cose, vero? - continua, rigirandosi il sigaro (un mezzo toscano) fra le dita.

A dire il vero, si tratta di questioni di lavoro: puro e semplice lavoro, cose tecniche e più che tangibili. Ma resto zitto: lui è così ben disposto, vuoi vedere che ne vien fuori qualcosa di positivo, che finalmente riesco a fargli capire perché mi dispero tutti i santi i giorni (io, mi dispero: io e non il mio capo...), e magari si risolve una volta per tutte questo maledetto problema? Lui sa già che ho dei problemi con il turno di notte, che dopo 15 anni filati comincia ad essere veramente pesante, e che non sono più tanto giovane. Forse è di questo che mi vuole parlare. Ma cos'ha detto, nel frattempo?
- ... perché se lei risponde ancora male al suo capo, lo sa, e mi dispiacerebbe molto...
Alt: io non ho mai risposto male al mio capo, e glielo dico con chiarezza. Per dirla tutta: ho fatto come fanno i gatti, mi sono tirato in disparte. I gatti non litigano mai, lo fanno solo se sono costretti; e sono mesi, ormai, che io mi nascondo ed evito le occasioni di polemica, che sarebbero almeno una al giorno...
Ma ha ormai finito con la sua diagnosi, e si aspetta una risposta da me.

- Dottore, ma da quanto tempo è che non guarda l'HPLC? Ha visto che bei mostri che abbiamo, sulla memoria del computer? E se viene il Cliente e ci chiede di vedere le analisi, sa cosa dovremmo fargli vedere? Secondo me conviene cancellare tutto, e simulare un guasto al pc... E poi l'altro strumento non funziona da un anno, e quindi non possiamo nemmeno fare l'analisi, a guardar bene: a meno di non farla a mano, come ho fatto io l'altra notte.
- Davvero? No, è da un po' che non vengo in laboratorio, ha fatto bene a ricordarmelo.
- E poi c'è la faccenda dell'analisi della sostanza attiva. La Dottoressa ha voluto tirar fuori lo strumento con gli elettrodi, togliendo un misuratore manuale, e adesso lo strumento non funziona, e abbiamo un titolatore in meno: cioè, ne abbiamo uno solo. Le ricordo che queste sono le nostre due analisi fondamentali: se non riusciamo a fare queste due analisi, ed è una faccenda che dura da parecchi mesi, è meglio che chiudiamo il laboratorio... Spesso mi chiedo: ma come fa il Dottor Biribò a mandare avanti gli impianti, se noi del laboratorio gli diamo i numeri del lotto?
- Mi ha dato molti spunti di riflessione, e la ringrazio. E' stato un bel colloquio, no? Dovremmo farne più spesso, di queste chiacchierate, come facevamo una volta, quando lei era nel Consiglio di Fabbrica... Si ricorda? Ma poi perché si era dimesso? E perché aveva lasciato anche la Commissione per la Sicurezza? Ha visto che bel lavoro che abbiamo fatto?

Eccetera. Molto cordiale, paterno, comprensivo: anche troppo. Mi sa che tutto resterà come prima, e forse farò meglio a prepararmi per ogni evenienza. Del resto, dopo che mi ha paragonato a sua moglie, cosa gli resta ancora da fare? Forse chiedere il divorzio?


lunedì 27 gennaio 2020

Titanio

 
In cucina c’era un uomo molto alto, vestito in un modo che Maria non aveva mai visto prima. Aveva in testa una barchetta fatta con un giornale, fumava la pipa e dipingeva l’armadio di bianco. Era incomprensibile come tutto quel bianco potesse stare in una scatoletta così piccola, e Maria moriva dal desiderio di andare a guardarci dentro. (...) quando l’armadio fu bianco, raccolse la scatola e molti giornali che erano per terra e portò tutto accanto alla credenza e cominciò a dipingere anche quella. L'armadio era così lucido, pulito e bianco che era quasi indispensabile toccarlo. Maria si avvicinò all’armadio, ma l’uomo se ne accorse e disse: - Non toccare. Non devi toccare -.
Maria si arrestò interdetta, e chiese: - Perché? - al che l’uomo rispose: - Perché non bisogna -. Maria ci pensò sopra, poi chiese ancora: - Perché è così bianco? - Anche l’uomo pensò un poco, come se la domanda gli sembrasse difficile, e poi disse con voce profonda: - Perché è titanio.
Maria si sentì percorrere da un delizioso brivido di paura, come quando nelle fiabe arriva l’orco; guardò con attenzione, e constatò che l’uomo non aveva coltelli, né in mano né intorno a sé: poteva però averne uno nascosto. Allora domanda - Mi tagli che cosa? - e a questo punto avrebbe dovuto rispondere «Ti taglio la lingua». Invece disse soltanto: - Non "ti taglio": titanio.  (...)
(Primo Levi, da "Il sistema periodico", il racconto intitolato "Titanio")

Il Titanio, elemento chimico con numero atomico 22, è molto presente intorno a noi, nei telai delle biciclette, nelle vernici, e perfino nelle pastiglie delle medicine (ma non come farmaco); è presente anche negli oli che si usano come filtri solari, per non scottarsi quando ci si abbronza. Lo abbiamo insomma sempre intorno a noi, ma è difficile rendersene conto. Non è come per il ferro, per il rame, per il piombo o per l'oro e l'argento, che siamo abituati a toccare e che impariamo a conoscere fin da bambini. Anche il nome, "titanio", sembra tratto da un film di fantascienza ed è facile confonderlo con il pianeta quasi omonimo. Scoperto nel 1791, il titanio venne isolato per la prima volta nel 1910 e ha avuto un uso industriale solo a partire dal 1946, cioè da pochissimo tempo. Sulla Terra esiste in grande quantità, ma non è mai allo stato puro ed estrarlo dalle rocce in cui è imprigionato richiede molta pazienza. Resiste alla corrosione, non è tossico, è l'ideale per rendere più resistente e più leggero l'acciaio. 
Quanto al colore bianco, Primo Levi (un chimico che dirigeva una fabbrica di vernici), lo spiega bene in una nota a questo racconto: "Il biossido di titanio è il più importante dei pigmenti bianchi impiegati nella fabbricazione delle vernici." Quando vediamo del bianco intorno a noi, ma proprio bianco bianco, è più che probabile che si tratti di una vernice a base di ossido di titanio, che è bianchissimo.  L'ossido di titanio, per intenderci, è un po' come la ruggine per il ferro (che, per essere precisi, in realtà è un idrossido), con la differenza fondamentale che non si sfalda ma anzi rende più resistenti i materiali con cui viene ricoperto.
Il titanio, per me, è anche parte consistente delle lenti per gli occhiali: vent'anni fa mi sono fatto operare per la miopia ma mi ricordo ancora che, per rendere più sottili le mie lenti da miope, molto spesse (dieci diottrie per occhio, le ho portate per più di trent'anni fin da quand'ero bambino) dovevo comperare le lenti al titanio. Per questo, soprattutto, sono ancora molto affezionato al titanio; o, quanto meno, è il primo pensiero che mi sorge quando penso al titanio. Dopo il colore bianco, s'intende: anche questa scrivania, e l'armadio qui di fronte, bianchissimi, me lo ricordano di continuo.

 
(le immagini: la copertina di un lp dei Kraftwerk, e un fotogramma da The day the earth stood still", che in Italia è conosciuto come "Ultimatum alla Terra")
 


sabato 25 gennaio 2020

Crozza & Razzi


«Parlare di un politico inetto con la satira spesso è tagliargli le gambe» dice l'attrice Anna Bonaiuto in un'intervista (Il Venerdì di Repubblica, 27 settembre 2019). Ne siamo proprio sicuri? Basta guardare a cosa è successo in questi ultimi anni, per esempio con la caricatura del deputato Razzi fatta da Maurizio Crozza. In teoria, Razzi poteva uscirne distrutto; all'atto pratico, la satira "terribile" fatta da Crozza con la sua imitazione lo ha fatto diventare famoso e popolare. Senza Crozza, Razzi sarebbe stato dimenticato in poche settimane; grazie a Crozza, oggi Razzi se la cava benissimo e anzi se la gode. Ricordo brevemente come divenne famoso Razzi: eletto nel partito di Di Pietro, trasmigrò immediatamente da Berlusconi, insieme ad altri, per potergli garantire di governare. Si dice che Razzi sia stato letteralmente comperato da Berlusconi, comunque sia non un bel comportamento davanti agli elettori. Ricordo anche le imitazioni di Berlusconi fatte da Sabina Guzzanti: satira graffiante, da uscirne distrutto, e invece Berlusconi è ancora qui a spiegarci cosa si deve fare per raddrizzare il bilancio dello Stato, anche dopo una condanna penale definitiva e pesantissima (cinque anni per frode ai danni dello Stato, tanto per la precisione). Gli esempi sarebbero tanti, infiniti; preferisco fermarmi qui e scrivere cosa penso davanti a certe satire tv, Crozza compreso: complimenti per il successo, ma cosa c'è da ridere? La situazione è tragica, e io non riesco a riderci sopra. Oggi ci sono addirittura politici che fanno battute su ragazzine di tredici anni rapite e magari uccise, ed hanno grande successo (Matteo Salvini quando parla di Liliana Segre e Anna Frank, tanto per capirci). In un altro programma televisivo, pochi giorni fa (quello di Serena Dandini) ho ascoltato una battuta (pessima, oltretutto) perfino sulla catastrofe degli incendi in Australia. Tanti auguri ad Anna Bonaiuto, quindi, per il suo nuovo spettacolo; ma la situazione è quella che è. Una situazione che preoccupa, e non poco.
 
(satira politica del 2004: Plantu su "Le Monde")
 

mercoledì 22 gennaio 2020

Profeti di sventure


Proprio ieri il presidente Usa Donald Trump ha definito gli ambientalisti "profeti di sventure"; sono rimasto colpito dal silenzio e dalle mancate risposte di gran parte dei commentatori abituali. Il dibattito non è nemmeno cominciato, insomma, e non è che sia la prima volta; quindi metto qui in fila i pensieri che ho avuto io, per quel che valgono. Il primo pensiero è che i profeti di sventure vengono chiamati anche "cassandre", dal nome della Cassandra che previde la caduta di Troia, nell'Iliade. Il fatto è che Cassandra aveva ragione, aveva visto giusto, e i Trump dell'epoca avevano torto. Altri "profeti di sventure", nell'antichità classica e nella mitologia, vennero perseguitati: nell'Edipo Re vediamo Tiresia accecato, ma anche Tiresia aveva ragione.
 L'elenco potrebbe continuare, magari con la Bibbia, ma il pensiero vero, definitivo, che mi è arrivato subito senza nemmeno pensarci, è che di profeti non c'è nemmeno bisogno: le sventure sono già qui tra noi. Gli incendi in California e in Australia, perfino in Alaska, sono recentissimi e fanno pensare davvero all'Apocalisse; California e Alaska sono in casa di Trump, possibile che se ne sia già dimenticato? La verità è che Trump, e quelli come Trump, vengono eletti proprio per non doverci pensare, per illudersi che tutto possa continuare così, per non prendere atto di quello che capita sotto il nostro naso.
Anche qui da noi, in Europa e non solo in Italia, c'è gente che ha perso la casa o che è rimasta isolata a causa di frane e allagamenti, in gran parte dovuti al cambiamento climatico e non solo all'incuria. Se poi si allarga lo sguardo all'Asia, all'Africa, tutto diventa ancora più evidente: no, non c'è bisogno di profeti. Non più.

lunedì 20 gennaio 2020

Le meraviglie del 5G


Dal 2020 partirà il 5G e potrò finalmente avere ciò che ho sempre ardentemente desiderato per tutta la mia vita: un frigorifero che mi dice che cosa devo comperare e che fa gli ordini direttamente per me al supermercato o magari online. Wow. Il frigo dialogherà con il telefono e mi ordinerà on line la spesa, pensa un po'. Così quando compero una scatola di salsa perché non ho trovato la mia solita marca, ne sono poco soddisfatto e ho deciso di non comperarla più, il frigorifero smart farà partire in automatico l'ordine e un corriere me ne recapiterà a casa cinque scatole - ma a me quella marca non è piaciuta... Chi paga?
Ci scherzo sopra, so che ci sono tante cose belle nel futuro e perfino nel presente, ma mi spaventa la superficialità da barzelletta su come vengono annunciate queste cose. Questo sistema, il frigorifero "intelligente" che legge le scadenze e le giacenze e fa partire gli ordini in automatico, è l'ideale per i supermercati e per i negozi; ma a casa mia a cosa serve? Mi basta aprire il frigo e dare un'occhiata, come ho sempre fatto. In America, negli Usa, è già in vigore un etilometro in cui bisogna soffiare prima di poter far partire l'automobile; pare che tra non molto diventerà obbligatorio. Mi immagino cosa potrebbe succedere in caso di emergenza, quando bisogna accendere e partire subito, magari a un semaforo o a un passaggio a livello; vado avanti a leggere e scopro che ci sono dei modelli in cui bisogna soffiare nell'etilometro anche durante la marcia, e che questo obbligo ha già provocato degli incidenti perché "distrae il guidatore durante la guida": chi l'avrebbe mai detto. Se uno è astemio, si può essere esentati? Temo di no, e temo che presto questo congegno sarà obbligatorio anche da noi. Se è disponibile, arriverà.
Sono solo due esempi, molti altri se ne potrebbero fare (con i nuovi contatori per l'elettricità, sempre per esempio, è possibile rubare la corrente elettrica a distanza, o far pagare le proprie bollette a un altro); ma come sarà il mondo nuovo con il 5G? Anche sorvolando sugli interrogativi per la salute (in Svizzera ne parlano da tempo, qui da noi silenzio assoluto...), direi che ci sarà un mondo di poveri, questo è certo, che non potranno permettersi di avere forse nemmeno la casa, figuriamoci il 5G - ma io no, diranno i soliti furbi. E invece... Per intanto, smetto di pensare alle cose serie e provo a immaginare cosa ne scriverebbe Achille Campanile se fosse qui insieme a noi (in realtà non se ne è mai andato, l'assurdo, il refuso e la complicazione sono sempre ben presenti nelle nostre vite). Come si comporterà il frigosmart con le scadenze dei prodotti alimentari? secondo me, un raggio laser distruggerà senza scampo la confezione di latte scaduta, e ovviamente partirà subito l'ordine via corriere. Dunque attenzione alle dita, quando metterete le mani nel frigo intelligente; e anche una maschera da saldatore comincia a sembrarmi indispensabile.

PS: finisco di scrivere e trovo in tv una pubblicità con la caldaia che mi dice "hai l'acqua fredda, rischi di fare la doccia gelata! accendimi". Un'altra cosa di cui non sento alcun bisogno, se ho una buona caldaia l'acqua calda arriva in pochi minuti. Dev'essere una caldaia scadente, mi segno la marca e la eviterò con cura.

(la vignetta viene da "La Settimana Enigmistica")

sabato 18 gennaio 2020

Tri per ott


Tri per ott fan ses perìtt: una matematica più che opinabile, ma in fin dei conti tutt'altro che errata. Immaginatevi una bilancia di quelle a due piatti, oggi rare da trovare ma un tempo comunissime: su un piatto tre pere di quelle robuste, tre perotte, e sull'altro piatto sei pere piccoline, tipo i perìtt de sant'Anna (quelle che vengono mature per sant'Anna, a luglio). Se si scelgono le pere giuste, ecco che i conti tornano. E' una barzelletta di quelle antiche, non sono sicuro che vi abbia fatto ridere ma certo la conoscono in tanti e a me piace tirarla fuori ogni tanto, soprattutto col mio amico fruttivendolo (figlio di amalfitani, ma cresciuto in Lombardia). Un'altra famosa, forse la più famosa, è sul due per due: sa fan du per du. La risposta non è "quater", ma "cérchen la strada de turnà indré", con la variante "cerchen la strada de turnà a cà". Due perduti, e non due per due: la pronuncia è identica. Sono piccole cose, ma io mi ci diverto sempre; e chissà chi le ha inventate e quando. Se qualcuno passa di qui e me ne ricorda altre, lo ringrazio fin d'ora.

 
(immagine dal sito www.lacucinaitaliana.it )

martedì 14 gennaio 2020

Il refuso germoglia ( XI )


E poi ci sarebbe l’Amleto: ma non c’è verso di far scrivere Amleto al mio scanner. Ogni volta lo trovo cambiato: Anileto, Amlieto, Amieto, Arileto, seguendo il vento che spira da Nord-Nord Ovest. Ne escono tante cose strane, ma io ho avuto un sobbalzo soltanto alla vista di “fragilità, il tuo nome è Dorina”. Ma poi ho pensato che in fin dei conti anche questo ha un senso, Amleto non lo direbbe mai ma perché Anileto non dovrebbe dirlo? Può ben darsi che nell’Anileto una Dorina ci sia, noi non lo sappiamo ma chi potrebbe negarlo?

Se veramente mi guardi e non mi parli,
che sia per timidezza o per errore,
(che con gli occhiali io so che può succedere),
se veramente taci il tuo tacere
collima poco con quel che può piacere
a me o a qualsivoglia altra persona.
Se veramente taci per tacere,
ahimé dovrò cambiar parere allora.

A questo punto anche la mia mente comincia a ragionare come lo scanner, e i miei occhi a leggere come lui. E’ così che scopro altre cose inaspettate: come la tigre dai denti a spatola, presto estinta (un bel lapsus di quelli di una volta, infine). Ma anche scrivere stroia invece di storia è un bel refuso, molto significativo soprattutto di questi tempi (solo al pc possono succedere queste cose)
E anche ricarica è una bella parola, rica-rica; e Urani sono gli abitanti del cantone di Uri (lo dice la TSI); e il verbo introiettare contiene una porcellina. E, a proposito: che bestia sarà mai il gappotardo?
 
S’avanza lepido il tranellopardo
(mi fa paura sol con lo sguardo):
vive tranquillo al limite estremo
del grande buco in cui tutti cadremo,
e non è esotico e non ha riguardo,
ride felice se caschi, io temo...
Lo schiaffopardo, ben assestato,
è per avere tu ritardato
con lenti riflessi la mia risalita
con lievi eccessi la mia riuscita
con dolci amplessi l’ora che attendo
per rivedere infine l’aurora;
ma aspetta, aspetta che venga l’ora...
(che ben punisce chi non va in galera!).
 
Trovo in una lettera (una mail, per la precisione: posta elettronica) il signore che, con l’occasone, mi saluta cordialmente. Raccolgo gli auguri, ma cosa sarà mai l’occasone? Che si celi una minaccia dietro a tanta cordialità? Che quel signore mi aspetti dietro un angolo, con l’occasone in mano, pronto a darmelo in testa? O, invece, che attenti alla mia già più che curva linea del ventre con un magnifico occasone, ripieno di uvette e di canditi? (sarebbe anche un bel nome per un vino rosso: “occasone”, come l’amarone, per un vigneto illuminato dolcemente dalla luce del tramonto...).

Per veder bene ecco gli occhiali inforca;
tra le sue mire sono le rime ch'egli cerca -
ma non le trova e tira i remi in barca.

E infine le pagine dei libri, scansionate per portarne dei frammenti in un qualche scritto. E’ così che mi sono imbattuto negli artisti a cavallo. Gli artisti a cavallo??? Ah no, ecco: “gli artisti a cavallo fra il XIX e il XX secolo...”: bastava girare pagina, ma io non l’ho fatto.
E ringrazio ancora l’industriale che, in un’intervista peraltro molto interessante, se ne esce con questa frase: “Penso che noi sciupiamo in maniera incredibile. Rincorriamo totem che ci fanno perdere le dimensioni e il valore delle cose...”. Vedi cosa succede quando si parla: si dicono tante belle cose, e poi ci si trova a rincorrere qualcosa che sta fermo. Rincorrere un totem? Dev’essere un bello sport, ecco qualcosa che saprei fare anch’io.
 
Voluto ho essere io cacofonico
voluto io essere ho disarmonico
voluto mettere prosa sinfonica
laddove versi et anco rime abbondano;
voluto mettere io capri con cavoli
et a merenda ancor mangiare un polipo;
voluto fare qui quel che mi garba
tenere o radere questa mia brutta barba
far della metrica dovunque strame;
questo è il mio regno, telkì lo mio reame.

Ma è appunto il totem, il palo immobile e scolpito, qui nel bel mezzo del trivio, che mi ricorda che è ora di farla finita con questa commedia. Perciò passo e chiudo: ma come chiudere? Avrà un significato tutto questo mio discorso, o sarà solo “il racconto di un povero idiota, vento e suono che nulla dinota” ? Nel dubbio, chiudo così, cioè meglio che posso, cioè in una qualche miniera, come mio solito; augurandovi che soave sia il vento, che tranquilla sia l’onda, e che ogni elemento / benigno risponda / ai vostri desir.
 


(continua)

sabato 11 gennaio 2020

Il refuso germoglia ( X )


Nel frattempo ho imparato a usare lo scanner, almeno un po’. Le sorprese sono così diminuite, ma non si riesce ad eliminarle del tutto. Come dicevo prima, basta una piccola imperfezione sulla carta dalla quale si vuole trarre l’articolo che interessa per vedere le parole trasformarsi e assumere forme del tutto inaspettate. Basta un puntino nero (la carta dei quotidiani ne è piena), e una “n” diventa una h; e basta una piega del quotidiano per rendere tutto un paragrafo illeggibile.
Nel mio caso, avevo in un cassetto un po’ di vecchie carte ingiallite: ma basta schiarire il fondo, e il testo del vecchio quotidiano di vent’anni fa diventa miracolosamente, in quattro e quattr’otto, un file di word che potrò manipolare come voglio, fotografie comprese.

Una goccia nell'Oceano che cade
si trasforma veloce in un'altra
e si fonde e diventa lei stessa
un oceano di cose da fare.
Ecco, è un'evoluzione continua
questa cosa qui che io sto a fare.
 
Però ogni tanto il software dello scanner fa le bizze, e non è tutta colpa sua. Direi che ogni tanto assomiglia ad un vecchio signore molto volonteroso ma un po’ presbite (ci sto arrivando anch’io), che confonde le e con le o, le m con le n, e non capisce bene se si tratta davvero di una “m” o di qualcosa che gli somiglia. Per esempio, una i con una n vicina: è l’incidente più comune, così come il suo inverso, cioè una m che diventa “ni”. Ma anche “in” può saldarsi insieme e diventare “m”: e tutte le altre varianti di questo piccolo inconveniente che potete immaginare (e anche quelle che non potete immaginare, e che non arrivereste mai a concepire però esistono).

Or mi muovo qui fra’ venti
freschi o caldi nei sembianti
d’oltre mille avvenimenti
per cui provo, qui davanti,
sentimenti contrastanti.
Che ho da far, tra quei frangenti?
Ove muovo, indietro o avanti?
Non lo so, però mi muovo;
tutto il mondo, in fondo, è nuovo.
 
Da questo punto di vista, i più spettacolari sono gli avverbi: completamente che diventa completaniente, definitivamente che si trasforma in definitivaniente, veramente che diventa veraniente: quasi che il demone del refuso si diverta a farvi dire l’esatto opposto di quello che avevate in niente di dire (pardon, “in mente”).
 
Tre mele spettrali, tre mele tremende,
ti trovi sul capo, sperduto, tremante:
tremendo trovarti sul crine già bianco
tre tomi di Dante, tre mele e tre piante
tre cose che temi, tre temi già vinti,
tre serene mele, tre canti vincenti,
tre carte, tre mele, ma tre fra le tante.
Ti scuoti e le mele, da tempo cadenti,
le mangi, mature, succose, splendenti;
le mordi fra i denti -
ma è tempo, è già tempo,
di guardare avanti.
 
Ma non è finita qui: il cosmo diventa un cosino, e a questo punto il macrocosmo è, in definitiva, soltanto un macrocosino. Il mondo è inondo, e ormai è orinai; e la nientalità è la mentalità, in questo mondo alla rovescia, un tantino anarchico e certamente rivoluzionario, forse perfino nichilista, dove la modernità diventa modemità, l’eternità del modem nell’era di internet, quasi un trattato di filosofia celato dentro un refuso.

Soldati pigri osservati da un marziano
fermo in attesa di veder qualcosa;
ma non ci sono segreti da carpire,
tutto è tranquillo ed egli attende invano:
questi son pigri, non marciano, marziano...
 
Ma le possibilità sulla lettera m sono infinite: può diventare anche un r-n, nella distorta visione dello scanner sempre più presbite. Ed ecco allora che Paolo da Lomazzo diventa Paolo da Lornazzo, o da Loffiazzo (incredibile ma vero), ovviamente nel libro di Storia dell’Arte pubblicato dall’editore Einauck.
E, certo, queste cartacce ingiallite avrei dovuto buttarle via da tempo, ma già che c’ero ho voluto rileggerle approfittando dello scanner: è così che ho appreso dell’esistenza in Francia di una città di nome Panki (è Parigi); che in Unione Sovietica vigeva il comunigino; e che è esistito un papa Innocenzo M (non millesimo, ma XI). Ma non è tutto, perché un “Josè che mostra i Dieci Comandamenti” non l’avrei mai creduto possibile: è la didascalia ad una tavola di Doré, o meglio lo scempio (lo sberleffo?) che ne ha fatto il mio incredibile software.
Ma il mondo diventa morido; la comunità è una cornunità; ricorda diventa ricorcia; e di tutte queste cose esiste una bella rantologia con un comodo indice dove le varie voci sono elencate secondo l’ordine alfabotico.

Silenti e tristi persiane chiuse
sovente aperte per dare al sole
la possibilità di dare il lume
a cose spente che ancora qui s'illuminano
spandono ombre silenti e vuote
sugli atri spenti delle antiche sale;
così, del resto, suole fare il sole
che agli antri oscuri ormai reca la luce.

 
 
(anno 2003 circa - continua)

martedì 7 gennaio 2020

L'urlo di Munch


Una copertina per il "Wozzeck" di Alban Berg è stata il mio primo incontro con Edvard Munch, all'inizio degli anni '80. Non avevo mai visto niente del grande pittore norvegese (1863-1944), ne ignoravo perfino il nome; l'accostamento con l'opera di Alban Berg, tratta da Georg Büchner, era perfetto e mi fece una grande impressione. "L'urlo" è del 1893, ed esiste in più versioni: quella del mio 33 giri era un'incisione a stampa, forse ancora più impressionante delle più famose versioni su tela. Ma all'inizio degli anni '80 anche "L'urlo" non era così famoso, anzi direi che non lo era affatto, almeno qui da noi; sarebbe seguita pochi anni dopo una grande mostra a Milano, che probabilmente faceva parte di un lungo tour mondiale dedicato a Munch. Sta di fatto che, dalla metà degli anni '80, "L'urlo" di Munch è diventato famosissimo, così famoso da essere ormai alla portata di qualsiasi cretino. Chiedo scusa per il termine, ma a me dispiace sempre vedere le cose importanti sporcate o derise: che sia un capolavoro musicale o dell'arte figurativa, un simbolo religioso o politico, il titolo di un saggio o di un romanzo, mi aspetterei che si capisse di cosa si tratta prima di cominciare a scherzarci sopra. Così non è, perché questo è il periodo della perdita non solo di aura (vedi Elemire Zolla, "Aure", editore Marsilio) ma anche di senso e di memoria.
Sono ormai passati cent'anni da quando Marcel Duchamp fece i baffi alla Gioconda, sarebbe anche ora di smettere di parlare di provocazione o di dissacrazione: se è una cosa che fanno tutti (che può fare qualsiasi pirla, mi viene da dire) non è più provocazione ma conformismo. Duchamp, in fin dei conti, pasticciò una cartolina mandata a un amico; e il senso era quello di invitare a guardare finalmente la Gioconda di Leonardo, a studiarsela. Inoltre, erano ancora anni in cui non eravamo così invasi dalle immagini e dai filmati; ogni libro e ogni immagine stampata, ogni fotografia o filmato, avevano un peso ben differente da quello che diamo oggi. Oggi, anche immagini pesanti e devastanti che ci arrivano in tempo reale vengono dimenticate in un istante; oggi, perfino le immagini di Auschwitz e dei campi di sterminio di ogni tempo vengono prese come qualcosa su cui scherzare. Oggi, anno 2020, se si parla di una ragazzina di tredici anni rapita e seviziata c'è chi ride e scherza come se niente fosse, ci sono perfino politici e ministri che ci ridono sopra, come si ride e si scherza sull'Urlo di Munch (sto parlando di Anna Frank e di Liliana Segre, e di centinaia di altre come loro: lo scrivo qui per i distratti e i male informati). In ordine di tempo, e tornando all'argomento con cui ho cominciato, l'ultimo cretino a fare il verso all'Urlo di Munch è un deejay della mia età, non un ragazzotto qualsiasi dunque. Questo è ciò che lasceremo come eredità alle nuove generazioni: il non prendere nulla sul serio, il ridere anche sul dolore.

PS: Se non vi è piaciuto questo post, ci risentiamo dopo il prossimo incidente automobilistico con sei morti, magari anche bambini, come quello del suv a Bolzano di domenica scorsa, o quello delle due ragazze romane (un altro suv) di pochi giorni fa. O magari dopo qualche altra notizia su cui ridacchiare, simile a quelle di cui ho parlato sopra. L'importante, si sa, è che il dolore (l'urlo) tocchi a qualcun altro.

domenica 5 gennaio 2020

Tasse


- Tasse, tasse, sempre tasse! - si lamenta Maurilio, sedendosi al tavolo della mensa. - Ma ti lo sa quante tasse che go fatto oggi?
Maurilio è friulano: anzi, è ladino e ci tiene a specificarlo. Il suo dialetto è affine al romancio, e infatti mi racconta che quelli del suo paese si capiscono bene con gli Svizzeri del Canton Grigioni, loro confinanti. Però anche i ladini sono di area veneta, e il mio amico non se la sta prendendo con il governo: l'oggetto della sua deprecazione sono le tazze , come in fabbrica vengono definiti i fusti di plastica da 120 Kg, quelli blu col coperchio nero che si vedono un po' dappertutto. Tazze si pronuncia "tasse", come in veneziano insomma; e sapendomi di origini venete Maurilio ne approfitta un po' e mi strizza l'occhio.
Maurilio sorride e scherza: gli manca poco ad andare in pensione, è già vicino ai sessanta. Ispira simpatia immediata, ma ha l'aspetto e i modi (spesso discutibili) di un vecchio soldato dell'impero austroungarico, statura e baffoni spioventi compresi, ed è ormai un esemplare in via d'estinzione. Operai così non se ne vedono più, ormai hanno studiato tutti almeno un po', si sono dirozzati ma sono anche molto meno spontanei e caratteristici, se mi si passa la brutta parola: ma non saprei in che altro modo definire Maurilio.
 
Adesso siamo seduti a tavola, in mensa; strizza l'occhio e comincia a raccontare uno dei pezzi forti del suo repertorio: la descrizione di una delle specialità del suo paese, il formaggio con i vermi.
- ...che poi la cosa più buona è proprio dove ci sono dentro i vermi. - dice - Ma devi stare attento, che i vermi scappano e poi gli devi correre dietro per il piatto...
Il vicino di posto guarda nel suo, di piatto, e chissà perché gli scappa la voglia di mangiare. Eppure ormai dovrebbe sapere con chi ha a che fare, dopo tanti anni. Ma Maurilio si diverte, guarda verso di me, strizza l’occhio, e insiste, serissimo:
- Ma varda che non scherso, sai? Dìghelo ti, che le cose le sai...

venerdì 3 gennaio 2020

Storia del quaderno perduto


Finalmente, dopo anni e anni, il Direttore dà il via ai lavori: la USSL ha detto che il tetto del laboratorio è troppo basso, e che così non si può più andare avanti. Ed il tetto è in eternit: cioè in amianto, pericolosissimo. Così si dà il via ai lavori, nella prima estate del nuovo millennio.
Questo comporta un trasloco temporaneo del laboratorio, con tutti i suoi strumenti: per un mesetto non ci sarà neppure il tetto, sopra i vecchi banconi. Giunge il fatidico giorno: ad uno ad uno smontiamo gli strumenti e gli accessori, e li portiamo nel posto provvisorio, una decina di metri più in là.
- Alle dieci staccheranno la corrente. Vedete di essere pronti per quell'ora. - dice il Direttore; e così ci affrettiamo.
Ma poi c'è un intoppo, la corrente verrà staccata fra un paio d'ore e nel posto nuovo non c'è ancora...
- Ma allora non possiamo fare le analisi? - mi chiede il dottor Biribò, un po' ansioso e insolitamente gentile.
- Eh no, dottore, - gli rispondo, con le mani occupate dal pHmetro, cercando di non far cadere l'elettrodo di vetro; e gli spiego come è andata la cosa.
- Ma chi vi ha dato ordine di portare di là tutto quanto? - chiede ancora, stavolta leggermente alterato. Forse pensa che sia colpa nostra, di noi lazzaroni che non vogliamo lavorare, ovviamente.
- L'ha detto il Direttore. Ha detto che staccavano la corrente alle dieci, ma poi...
Il dottor Biribò se ne va, sospirando e agitando le mani a mulinello davanti a sè.
Comunque i lavori iniziano, e proseguono nei tempi previsti. Quando viene smantellato il tetto, gli operai dell'impresa girano con tute bianche integrali e mascherine. Un mio collega, il più ingenuo, si spaventa un po' :
- Ma perché loro girano con le mascherine, e noi che siamo così vicini lavoriamo lo stesso senza nessuna precauzione?
Lo chiede a diverse persone, soprattutto ai capi, ma non ottiene una sola risposta decente. Così si va avanti a lavorare, sia pure un po' accampati. Un po' troppo accampati, per i miei gusti: ma pazienza. Cosa non si fa quando si ama il proprio lavoro, e si ha senso di responsabilità...
Intanto piove, piove a dirotto per diversi giorni, di quegli acquazzoni che vengono giù solo d'estate, quando vengono.
E qui inizia una notazione un po' triste, soprattutto per me. Mi spiego. Quando ho incominciato a lavorare, mio padre mi diede un consiglio: prendi un quaderno, segna quello che vedi, fai vedere che sei interessato al lavoro... E così ho fatto: per 12 anni ho preso nota, giorno dopo giorno, di quello che facevo. Così ero sempre pronto quando c'era da sistemare un prodotto, e siccome avevo fatto un discreto lavoro i miei appunti venivano richiesti e consultati un po' da tutti; in mancanza di istruzioni "ufficiali", tra l'altro, ogni appunto preso è prezioso.
Anche i nostri armadietti sono stati spostati e messi sotto una tettoia. Ma adesso piove a dirotto, la tettoia ( anch'essa in eternit, del resto) si rivela un po' obsoleta; il mio quaderno è nell'armadietto e fa una brutta fine. Ormai è bagnato fradicio, l’inchiostro della biro è diventato illeggibile. Devo rassegnarmi a buttarlo via, con tutte le informazioni che contiene.
Addio, vecchio quaderno d'appunti... Sei stato un fedele compagno, e non solo per me: ma così gira il mondo.
 
PS: con il mio quaderno, sembrerà impossibile ma così andava per davvero, venivano sistemati gran parte dei prodotti della fabbrica. In direzione dicevano che era tutto scritto, in realtà non c'era quasi niente di scritto sul finissaggio dei prodotti, spesso molto complicato. In estrema sintesi, consultare quel mio povero quaderno è servito a diversi miei compagni di lavoro per avere promozioni, per far bella figura. Le istruzioni scritte sono arrivate molti anni dopo, con molta fatica, nessuno voleva prendersi le responsabilità, men che meno i laureati neo assunti. Far scrivere quelle istruzioni mi è costata l'antipatia di molti, ma so che è stata una cosa utile: mica si può sempre andare avanti in maniera semi clandestina, con il quaderno d'appunti di un tizio che lavora in laboratorio... (A me spiace, su quel quaderno c'erano più di dieci anni di storia della fabbrica. Non una cosa da poco, l'avrei tenuto volentieri per ricordo)