domenica 3 ottobre 2010

The Doors

Non a tutti piacevano i Doors. E’ vero, hanno avuto un enorme successo e venduto milioni di dischi e ancora oggi sono annoverati tra i grandi miti della musica; ma non piacevano proprio a tutti, anzi. Molti si aspettavano qualcosa tipo Elvis Presley o i Deep Purple, invece era tutta un’altra musica; e io i dischi li prestavo volentieri, facevo copie su cassette, e poi alcuni erano contenti, altri invece mi dicevano, molto delusi: “Ma i Doors sono questa roba qui?”.
Pensare all’organico dei Doors aiuta un po’ a capire il disagio e lo sconcerto dei patiti del rock: chitarra, batteria, organo, voce. La batteria e la chitarra elettrica, John Densmore e Robbie Krieger, sono abbastanza tranquillizzanti: la chitarra può ben fare la parte ritmica, fin qui ci siamo. Poi c’è l’organo di Ray Manzarek, e le cose cominciano a non tornare: è rock questo? Basta ascoltare “Light my fire” per capire che non è rock, non è jazz, e non è nemmeno musica classica. Siamo, piuttosto, dalle parti degli organetti di barberia e delle fisarmoniche: una cosa voluta, volutissima, perché Ray Manzarek è un musicista molto attento e molto preparato. Gli organetti di barberia sono quelli che si suonavano agli angoli delle strade quando ancora non c’erano i dischi e la musica registrata: una manovella, magari una scimmietta ammaestrata, quella roba lì. Trovare una cosa simile in un gruppo rock è davvero strano, ma capitava, e non solo con Ray Manzarek: i musicisti, quelli veri, sono sempre attenti e curiosi e sanno fare queste fusioni di genere.
E poi c’è Jim Morrison.

Reduce dalla visione di “A tribute to Jim Morrison”, un bel documentario che raccoglie interviste e filmati d’epoca, mi sono chiesto: cosa mai capirà, un ventenne di oggi, del mito di Jim Morrison? Guardando il documentario è infatti difficile capirlo, perché per dire che Morrison era grande si usano le stesse parole e le stesse espressioni che ormai si usano per chiunque – a dar retta alle tv e le radio commerciali, chiunque può diventare un mito.
Cosa distingue Jim Morrison da altri “miti” degli anni seguenti, gente come Freddy Mercury, come Kurt Cobain, come gli U2, e come molti altri che non sto ad elencare? Innanzitutto, bisogna distinguere un “mito generazionale” (la terminologia è orrenda, chiedo scusa) cioè qualcosa che piace ai giovani che avevano 12-18 anni in quel periodo, da qualcosa che dura nel tempo e che è un evento che va oltre le generazioni. C’è musica che viene eseguita ed ascoltata ininterrottamente da 250 anni, e anche da 400: nessuno di noi umani può vivere così a lungo da avere nostalgia del 1791, o del 1605. Quindi, Morrison ha davvero qualcosa di fuori del comune: innanzitutto, non è un cantante vero e proprio, ma un uomo di teatro. Manzarek racconta che lo conobbe ad un recital di poesie: erano composizioni sue, di Jim Morrison. Insieme, provarono ad adattare quei versi alla musica, e funzionava: ma anche questa non è una cosa inedita, anche Leonard Cohen e Francesco Guccini nascono così. Il mistero rischierebbe di rimanere irrisolto, se non fosse per un indizio chiaro, e ben indicato dai Doors stessi fin dagli inizi: sul primo album, il più famoso, quello che contiene “Light my fire” e “The end”, c’è un brano – quello che sorprese di più i miei amici che non conoscevano i Doors – che porta due firme illustri. Non “The Doors” come gli altri brani, ma Bertolt Brecht e Kurt Weill: Alabama Song, da “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”. Ecco da dove viene l’organetto di barberia, ecco da dove viene la voce da attore di teatro di Jim Morrison: ma io sono cresciuto negli anni ’70, Brecht era ben presente in quegli anni. Giorgio Strehler in teatro lo affidava alle voci di cantanti famosi, da festival di Sanremo: Domenico Modugno (grandissimo nell’Opera da tre soldi), Massimo Ranieri (altrettanto bravo in “L’anima buona di Sezhuan”), perfino Milva faceva recital brechtiani. I musicisti di Brecht, Kurt Weill ma anche Hanns Eisler e Paul Dessau, erano di formazione classica ma avevano deciso di scrivere musica semplice, facilmente comprensibile: da loro nacque il grande teatro berlinese, quello a cui si rifanno Ray Manzarek e Jim Morrison, e che rende unica, nel panorama del rock, la loro musica. Oggi Brecht è stato vittima di una campagna di stampa che tende a ridurlo a poca cosa, ma Brecht non è né noioso né troppo politicizzato. Questo post è un invito a leggere Brecht, ad ascoltare Gisela May, e poi a ritornare a Jim Morrison, a Ray Manzarek, a The Doors.
Whiskey Bar (Alabama Song)
(Brecht, Weill)
Well, show me the way
To the next whiskey bar
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why
Oh, show me the way
To the next whiskey bar
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why
For if we don't find
The next whiskey bar
I tell you we must die
I tell you we must die
I tell you, I tell you
I tell you we must die
Oh, moon of Alabama
We now must say goodbye
We've lost our good old mama
And must have whiskey, oh, you know why...
Well, show me the way
To the next little girl
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why
Show me the way
To the next little girl
Oh, don't ask why
Oh, don't ask why
For if we don't find
The next little girl
I tell you we must die
I tell you we must die
I tell you, I tell you
I tell you we must die

2 commenti:

Anonimo ha detto...

I "doors" sono stati il gruppo musicale piu influente dal 1967 al 1970. Il loro stile fu unico..inimitabile!
L'uscita nel '67 dell' album "The doors" fu sconvolgente per i testi delle canzoni che per lo stile del tutto originale. Molti non lo hanno capito o non l'hanno saputo apprezzare. Tuttavia, i "doors" sono destinati a rimanere nell'olimpo della storia della musica.

Giuliano ha detto...

Jim Morrison e Ray Manzarek, inimitabili. Ottimi anche Densmore e Krieger, s'intende
:-)