martedì 12 novembre 2019

Il refuso germoglia ( VII )


Sono qui, un po' imbarazzato, a contemplare me steso. Infatti, mi è appena arrivata una e-mail: come puoi vedere da te steso...
Beh, pazienza. Cosa ci posso fare, capita. Avrei preferito un me esteso, ma forse era chiedere troppo. Mi rialzo e tiro giù un po' di polvere dai vestiti, poi si vedrà. Tutto questo dà da pensare, bisognerebbe evitare gli errori ma prima o poi ci si casca dentro. E' inevitabile, stante la nostra natura umana e fallibile.
 
A volte i nostri errori sono leggeri e svaniscono subito, altre volte lasciano lividi e ammaccature, altre volte ancora lasciano ferite che fanno male. E quasi mai impariamo dai nostri errori, che pure avrebbero molto da insegnarci.

SOFFERENSA
Soffro di sofferenza
mista a riconoscenza
io non so farne senza
ma se potessi appena...
Soffro per la tua assenza
cerco la tua presenza
io non so farne senza
e quasi quasi vengo
vengo a trovare te.

Molti errori avvengono in togliere: basta poco per trasformare un'autopista in un'utopista, magari con la testa fra le nuvole; bisogna invece aggiungere qualcosa in altri casi. Una C, per esempio, può trasformare un aquilone in un acquilone, e il drago di carta non s'apparenta più all'aquila che vola ma all'acqua che scorre. Gli errori sono come le erbacce nel nostro giardino: alcune infestano e basta, altre è un peccato strapparle.
Per esempio, Esmepio: Esmepio, chi era costui? Vi giuro che arrivarci non è stato facile: ancora non so come ho fatto, ci ho riprovato sei o sette volte, anche a occhi chiusi, giocando sulla tastiera del pc ma senza più riuscire ad evocare lo spettro di questo misterioso filosofo d'un altro mondo, mondo di ombre erranti. Infatti, Esmepio non è un antico greco seguace di Esculapio, e neanche uno dei dialoghi socratici; e se scrivo "Per Esmepio!" non si tratta di un'imprecazione ma di un peresempio qualsiasi, anch'esso corrotto (corretto?) e deformato dall'errore. Ma basta con la filosofia, se no si diventa noiosi.

Felicemente
con l'alacre mente
pondero;
infine penso
ma senza insistere
che sono un bischero
fatto di sughero
e mi sollucchero
con versi insipidi.
Ahimè insensibili
versi invisibili
poco solubili
fatti di zucchero
e tante lacrime.


(continua)

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