sabato 4 settembre 2010

Christo Javacheff

L’acqua che si ripulisce passando attraverso la terra, da bambino, mi era sembrata una cosa incomprensibile. Come è possibile, mi chiedevo: caso mai, l’acqua nella terra si sporca, perché la terra è sporca; altrimenti, perché mi fanno lavare le mani dopo che ho giocato con la terra?
Questo era ciò che mi suggeriva la mia esperienza immediata, e so che era così (forse lo è ancora) per molti adulti; invece no, la terra filtra l’acqua e la depura. L’avrei imparato bene molti anni dopo, a scuola, studiando chimica: non tutta la terra filtra l’acqua, c’è terra e terra, ma se l’acqua che peschiamo dalle falde sotterranee e dalle sorgenti è pura e leggera è proprio perché passa attraverso la terra. La stessa cosa viene fatta oggi, artificialmente, con i depuratori e i demineralizzatori: che fanno passare l’acqua attraverso delle resine, ma quelle resine altro non sono che terra, terra opportunamente selezionata e trattata per aumentarne l’efficienza.
Ora, immaginiamo cosa potrebbe succedere all’acqua se stendessimo un enorme velo di domopak o di polietilene su tutta la superficie terrestre. L’acqua piovana non finirebbe più dove vuole lei, ma dove la incanaliamo noi: nelle fogne, nei tombini. Di conseguenza, l’operazione di filtraggio non avverrebbe più.
Non è una fantasia, è esattamente quello che abbiamo fatto negli ultimi cinquant’anni e che stiamo continuando a fare: asfalto e cemento impermeabilizzano il suolo, l’acqua viene incanalata nelle fogne, e di conseguenza i fiumi sono inquinati, le falde sono inquinate, e c’è bisogno dei depuratori (detto per inciso, anche i depuratori hanno un forte impatto ambientale: i depuratori sono delle enormi piscine, anch’esse fatte di cemento e di materie plastiche).
Seguendo questi ragionamenti, ho finalmente capito l’arte del bulgaro Christo Javacheff, diventato famoso per i suoi “impacchettamenti” ambientali, e che si è sempre fatto chiamare con il solo nome di battesimo, Christo.
Christo ha impacchettato di tutto, fiumi, isole, monumenti, palazzi e grattacieli. Non ho mai capito cosa ci fosse di artistico in questi impacchettamenti, adesso finalmente ci sono arrivato: più o meno consciamente, Christo (che ha iniziato a “lavorare” nell’epoca in cui nacquero le borse di plastica usa e getta) ha trovato il modo di esprimere la perfetta metafora di quello che l’uomo stava facendo al suo ambiente. Le generazioni future si ricorderanno di noi per queste cose, per aver distrutto completamente le aree coltivabili e per aver avvelenato aria e acqua; e Christo Javacheff ha rappresentato benissimo questo nostro incessante lavoro di soffocamento.
PS: Christo non è uno pseudonimo: in Bulgaria è d’uso normale chiamare i figli con il nome di Cristo, così come in Spagna si usa molto Jésus. Da noi non si usa, e anzi fa un po’ impressione: ma adesso che ci penso, trovo che l’idea delle sofferenze di Cristo inchiodato alla Croce siano perfette per esprimere le sofferenze di questa nostra povera madre Terra.
PPS: nelle foto, Christo con la moglie (coautrice delle sue opere); un impacchettamento sul mare vicino a Sydney, uno in Colorado, e un'isola che non ricordo più dov'è. (volendo, c'è anche qualcosa fatto a Milano, piazza del Duomo).

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