lunedì 27 settembre 2010

Monza è in Turchia

Un'intervista che ho conservato per un anno, sperando che non ci fosse bisogno di ripubblicarla. Invece no, bisogna proprio ascoltare e prendere nota: il miglior modo per aiutare i brianzoli è chiudere le fabbriche e spostare il lavoro all'estero. I brianzoli prendano nota, e anche tutti i lombardi, i veneti, i piemontesi, gli emiliani...

Monza resta “un buon esempio della parte migliore d’Italia”: lo dice Aldo Fumagalli, erede della Candy, che però sposta le sue fabbriche in Turchia
IL FUTURO DELLA BRIANZA È ALL’ESTERO
di luigi bolognini, repubblica 8 novembre 2009
POSITIVO: Aldo Fumagalli, 50 anni, presidente e amministratore delegato della Candy elettrodomestici: ha appena inaugurato una nuova fabbrica in Turchia BRIANZOLITUDINE: lo stato d'animo di chi vive e soprattutto lavora a Monza e provincia, fatto di orgoglio e di operosità a volte anche eccessiva. Ma è ancora così? È cambiato qualcosa con la nascita della Provincia di Monza? La Brianza è sempre il motore economico della Lombardia?
A rispondere è Aldo Fumagalli, personaggio simbolo della zona non solo per il cognome che più brianzolo non si può, ma anche per il marchio di famiglia, la Candy elettrodomestici, di cui a 50 anni è presidente e amministratore delegato.
- È così, allora? La Brianza è sempre la parte dinamica della Regione?
«Mi lasci risponderle con un piccolo esempio personale. Le sto parlando da Eskisehir, in Turchia, dove abbiamo appena inaugurato un nuovo impianto. Questo per dire che sì, la Brianza è ancora un buon esemplare della parte migliore dell'Italia, che le aziende hanno un dinamismo innato e che sempre più noi brianzoli sappiamo portare in giro per il mondo la nostra operosità.»
- Quindi il luogo comune del brianzolo sgobbone che pensa solo a "lauràa" è ancora vero?
« Come si dice m America siamo uno per cento di ispirazione e 99 per cento di traspirazione. Poche idee e molto lavoro, forse troppo a volte, diciamo che potremmo goderci un po più la vita. Ma va bene così: le idee, la fantasia, le lasciamo ai milanesi, ci mettiamo in secondo piano rispetto alla grande finanza cittadina, magari la sosteniamo coi nostri soldi, però un po’ distaccati. Certo, i legami con Milano ci sono, e sempre più forti: quand'ero bambino tra Monza e Milano c'erano i prati, ora se si fa cadere uno spillo cade sul cemento».
- Non è cambiato nulla col riconoscimento anche istituzionale della vostra diversità, cioè con la Provincia?
«Umanamente no: già da prima il brianzolo era orgoglioso e indipendente. A livello pratico è ancora presto per capire se e cosa cambierà. Devo dire che non ho molta fiducia nella politica: il massimo che può fare sarebbe pensare a migliorare la formazione dei giovani, aumentando e migliorando scuole e università. E’ la contropartita che gli chiediamo, per il resto si lasci fare a noi.»
- Ma fare cosa? La recessione ha colpito anche voi.
«Se è per quello abbiamo subito anche più danni del resto d'Italia: sono sparite le piccole ricchezze, in città hanno chiuso parecchi piccoli negozi, e Monza era una città di commercianti. Se nel complesso il sistema si è salvato dalla catastrofe è stato grazie a un misto di locale e di globale».
- Ovvero?
«Il locale sono le microbanche: istituti di credito cooperativo, casse rurali e tutta quella serie di sportelli che raccolgono il risparmio e lo investono a beneficio di tutti. Qui han preso piede ben più che altrove, e hanno fatto da rete di salvataggio. Il globale è appunto la globalizzazione: l'industria brianzola è anzitutto esportatrice, un euro forte l'ha salvata. Ora dobbiamo spingere sempre più il pedale, investendo nel mondo».
- Traducendo, la delocalizzazione tanto temuta da sindacati e lavoratori? Ma non è un paradosso rafforzare la Brianza impoverendola di fabbriche?
«E un paradosso, ma mi lasci spiegare. Ormai l'economia locale è matura, cioè non ha più grossi sbocchi, qui. Aggiunga un tasso demografico negativo: di figli se ne fanno sempre meno, la popolazione - malgrado i massicci innesti di stranieri - è destinata a calare. Il risultato sarà una parziale deindustrializzazione, o meglio un trasferimento di impianti all'estero, anche per un banale motivo pratico: se un'ora lavorata qui mi costa 23 euro e altrove 2, è chiaro che vado altrove».
- E questo non significa buttare sul lastrico un'intera provincia?
«No. Significa che dovremo avere sempre più ingegneri, classe dirigente, pensante, e sempre meno operai. Per questo la politica deve aiutarci migliorando istruzione e specializzazione dei nostri giovani. E’ una trasformazione che va fatta, anche se coi modi e i tempi giusti, per ovvi motivi sociali. E alla fine ci farà stare tutti meglio. Anche l'ambiente: tra i luoghi comuni sul nostro territorio c'era quello del polmone verde di Milano. Un recupero dell'ambiente può essere non solo vantaggioso umanamente, ma anche un buon business».
http://www.repubblica.it/

2 commenti:

franz ha detto...

il miglior commento

http://www.politicamentecorretto.com/files.php?file=cuore_561174664.gif

Giuliano ha detto...

L'operosità brianzola è un mito duro da sfatare...I nostri vecchi sì, erano operosi; i loro figli, altrettanto; che lo siano anche i brianzoli di oggi è tutto da dimostrare. E poi, operosi a far cosa? Dicono Roma ladrona ma a Roma sono tutti milanesi: Maroni agli Interni, Bossi alle riforme, Gelmini all'istruzione, Coso allo sviluppo economico, il brianzolo Berlusconi a capo del governo...
Tra varesotti e brianzoli, un giorno ci chiederanno: ma come avete fatto a farvi governare da questi qua? La situazione è da questo punto di vista ancora peggio che ai tempi del fascismo, perché stavolta abbiamo fatto le elezioni, e parecchie: non ci sono scusanti.