Nel capitolo successivo, il secondo dedicato al "Libro delle Macchine" trovato a Erewhon, Samuel Butler comincia a diventare un po’ apocalittico: d’altronde, il genere del suo romanzo è questo, lo stesso del “Gulliver” di Swift. Ho tagliato qualche pagina, il ragionamento comunque funziona, e visto da oggi fa anche un po’ impressione. Molta più impressione che nel 1872, quando “Erewhon” fu pubblicato per la prima volta: perché nel frattempo le macchine si sono davvero evolute, e non di poco.
Samuel Butler, da “Erewhon“:
(...) A questo punto l'autore ridiventava così disperatamente oscuro che fui costretto a tralasciare parecchie pagine. Poi riprendeva: «Si può rispondere che, anche se le macchine riuscissero a sentire perfettamente e a parlare col massimo buon senso, il loro udito e la loro favella sarebbero al nostro servizio, e non al loro; che l'uomo sarà sempre la mente direttiva, e la macchina la sua serva; che appena la macchina non rende più il servizio che l'uomo si aspetta da essa, è destinata a morire; che la macchina si trova, rispetto all'uomo, nella stessa posizione degli animali inferiori, perché persino la locomotiva altro non è se non una specie di cavallo più economico; cosicché, lungi dall’essere destinate a raggiungere, nella loro evoluzione, una forma di vita superiore a quella umana, le macchine devono la loro stessa esistenza e il loro progresso unicamente alla capacità che hanno di soddisfare i bisogni dell'uomo, e di conseguenza sono e saranno sempre inferiori a lui.
Tutto ciò non farebbe una grinza: ma in realtà, pian piano, attraverso impercettibili mutamenti, il servo finisce per diventare padrone; e già siamo arrivati al punto in cui l'uomo, se fosse costretto a fare a meno della macchina, soffrirebbe terribilmente. Se tutte le macchine venissero distrutte nello stesso istante, e all'uomo non restasse né un coltello, né una leva, né uno straccio di vestito, nulla di nulla, tranne il corpo nudo e crudo con cui è venuto al mondo; se ogni nozione delle leggi meccaniche gli venisse tolta, ed egli non fosse più capace di fabbricare macchine; se tutto il cibo prodotto dalle macchine venisse distrutto, e la razza umana. si trovasse spoglliata di ogni cosa come su un'isola deserta, nel giro di sei settimane scompariremmo dalla faccia della terra. Pochi infelici, forse, sopravviverebbero, ma anch'essi, in un paio d'anni, diventerebbero peggio di scimmie.
L'anima stessa dell'uomo è dovuta alla macchina, è un prodotto della macchina; perché l'uomo pensa come pensa, prova le sensazioni che prova per l'influsso e l'azione delle macchine su di lui, e la loro esistenza è la condizione sine qua non della sua, come la sua della loro. Questo ci impedisce di chiedere la distruzione totale delle macchine, ma allo stesso tempo ci dimostra che è necessario distruggere tutte quelle che non ci sono indispensabili, per non diventare ancora più schiavi della loro tirannia.
Da un punto di vista bassamente materialistico si direbbe che abbia vita più prospera chi adopera le macchine quando gli fa comodo e gli conviene. Ma è proprio questa l'astuzia delle macchine: servono per poter comandare. Se l'uomo distrugge per intero una loro razza, non gli serbano alcun rancore, purché ne crei un'altra più perfetta; e anzi lo ricompensano generosamente per aver così accelerato il loro sviluppo. E’ quando le trascura che egli si espone alla loro collera, o quando non fa sforzi sufficienti per inventarne di nuove, o quando le distrugge senza sostituirle con altre. Eppure è proprio questo che dobbiamo fare, e al più presto; perché anche se la nostra ribellione contro il loro potere nascente provocherà infinite sofferenze, dove andremo a finire se aspetteremo ancora a ribellarci?
Esse hanno approfittato dell'ignobile preferenza dell'uomo per i suoi interessi materiali di fronte a quelli spirituali, e lo hanno vilmente indotto a prestar loro quell'elemento di lotta e di competizione senza cui nessuna specie può progredire. Gli animali inferiori progrediscono perché lottano fra di loro: il più debole soccombe, mentre il più forte si riproduce e trasmette la propria forza. Le macchine, incapaci di lottare esse stesse, hanno spinto l'uomo a lottare in loro vece: finché egli compie il proprio dovere regolarmente, tutto va bene per lui (almeno così crede) ; ma appena cessa di combattere per favorire il progresso delle macchine, incoraggiando le buone e distruggendo le cattive, egli resta indietro nella corsa per il potere; e ciò significa che si troverà a soffrire mille disagi e forse perirà. Quindi, già adesso le macchine servono l'uomo solo a patto di essere servite, e pongono loro stesse le condizioni di questo mutuo accordo. Non appena l'uomo viene meno ai patti esse insorgono e si autodistruggono, distruggendo contemporaneamente tutto quello che possono, oppure si imbizzarriscono e si rifiutano di lavorare.
Quanti uomini vivono oggi in stato di schiavitù rispetto alle macchine? Quanti trascorrono l'intera vita, dalla culla alla tomba, a curare giorno e notte le macchine? Pensate al numero sempre crescente di uomini che esse hanno reso schiavi, o che si dedicano anima e corpo al progresso del regno meccanico: non è evidente che le macchine stanno prendendo il sopravvento su di noi?
La macchina a vapore assorbe il cibo e lo consuma col fuoco, esattamente come l'uomo. Alimenta la combustione con l'aria, esattamente come l'uomo. Ha un polso e una circolazione, come 1'uomo. Per ora, lo ammetto, il corpo dell'uomo è ancora il più versatile, ma è anche più antico. Date alla macchina a vapore solo metà del tempo di cui l'uomo ha potuto disporre, fate che essa approfitti ancora del nostro cieco amore per lei, e a quali vette non giungerà fra breve?
(Samuel Butler, da “Erewhon“, ed. Adelphi, trad. Lucia Drudi Demby, pag.172 e seguenti)
(continua)
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