Del sapone di Napoli parla Miguel de Cervantes nel “Don Chisciotte”, definendolo come molto pregiato ed eccezionalmente profumato. Siamo a casa del Duca della Duchessa, nella seconda parte del libro; e si tratta di uno degli scherzi preparati per lui, ma stavolta è uno scherzo piacevole.
...in fine, don Chisciotte si calmò, fini il pranzo e, come fu sparecchiato, vennero quattro damigelle, l'una con un bacile d'argento, l'altra con un'anfora, pure d'argento, la terza con due bianchissimi e finissimi asciugamani sulla spalla, l'ultima, che con le braccia nude fino al gomito, teneva per le bianche mani (e davvero che erano bianche), una rotonda palla di sapone di Napoli. S'avvicinò quella dal bacile e con bel fare maliziosetto e faccia franca cacciò il bacile sotto il mento di don Chisciotte; il quale, senza dir verbo, maravigliato di simile cerimonia, credette che avesse a essere usanza di quel luogo il lavare la barba, anziché le mani; perciò distese la faccia quanto piú poté e a un punto stesso l'anfora cominciò a rovesciar giú acqua; quindi la donzella dal sapone si dette con gran furia a stropicciargli la barba, sollevando bioccoli di candida neve, ché tale era, e non meno, la saponata; e non soltanto la barba, ma tutto il viso e su per gli occhi del docile cavaliere, tanto che fu costretto a serrarli. Il duca e la duchessa, che non sapevano nulla di questo, stavano ad aspettare dove mai andasse a finire quella straordinaria lavanda. La donzella barbiera, quando gli ebbe fatto un' insaponata alta un palmo, finse che le fosse finita l'acqua e comandò a quella dall'anfora che andasse a prenderne ; intanto il signor don Chisciotte aspetterebbe. L'altra andò e don Chisciotte rimase a fare la figura piú strana e piú ridicola che si possa immaginare. Lo guardavano tutti gli astanti, che erano in molti, e al vederlo lí col collo teso, lungo una mezza canna, piú che passabilmente scuro, con gli occhi chiusi e la barba tutta insaponata, fu un gran miracolo ed anche molta loro discrezione se riuscirono a dissimulare le risa. Le donzelle, che avevano ordito la burla, tenevano gli occhi bassi, senza osar di guardare i loro padroni, e questi, nel contrasto fra l'ira e il riso in cuor loro, non sapevano a cosa appigliarsi: se castigare l'ardire delle ragazze o premiarle per il divertimento che essi provavano nel vedere don Chisciotte in quello stato. Finalmente tornò la donzella con l'anfora e finirono di lavare la faccia di don Chisciotte; quindi colei che recava gli asciugatoi lo pulì e lo asciugò adagino adagino, finché, facendo tutte e quattro a un tempo un gran saluto e profonda riverenza, stavano per andarsene; ma il duca, perché don Chisciotte non s’avvedesse della burla, chiamò la donzella del bacile e le disse: «Venite a lavar me, e guardate che l’acqua non vi finisca.»
(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, parte II cap.XXXII)
(traduzione e note di Alfredo Giannini, ed. Sansoni)
La storia prosegue, non dico come perché leggere Cervantes è sempre un piacere, e anche perché a me per oggi interessa sapere cos’aveva di particolare questo sapone “di Napoli”. Nelle note (di Alfredo Giannini) viene spiegato di cosa si tratta: «Molto pregiato, come quello di Bologna tanto esaltato da Cristòbal de Villalón (Viaje de Turquia), era il sapone di Napoli; un sapone signorile composto con diversi ingredienti, tra cui crusca, latte di papavero, latte di capra, midollo di cervo, mandorle amare, zucchero, ecc. Cfr. le mie già citate “Impressioni italiane di viaggiatori spagnoli nei secoli XVI e XVII. Già nel sec. XV l'Arciprete di Talavera cita nel “Corbacho” (II 3, 4) come molto ricercato dalle dame il sapone di Napoli, dicendo che ne era principale ingrediente il midollo di cervo.»
La storia del cervo non deve impressionare: il sapone propriamente detto deriva infatti dalla bollitura con soda caustica (oppure soda solvay, carbonato di sodio) degli acidi grassi; che possono essere di origine vegetale o animale. Molto spesso, la materia prima usata erano le ossa: cioè il midollo, la parte grassa.
Non sapevo niente del sapone di Napoli prima di leggere Cervantes, adesso ne so qualcosa di più; è invece molto famoso ancora oggi il sapone di Marsiglia, che nella sua formula originale proviene dalle olive, è cioè un sapone di olio d’oliva. Non so se il sapone di Marsiglia si usi ancora nella lavorazione della seta, ma io a suo tempo l’ho avuto tra le mani e posso assicurare che è ottimo, però lascia un forte odore d’olio addosso. A me non dispiaceva, però di regola oggi si preferiscono profumi più leggeri.
A proposito di saponi (però bisognerà ritornarci sopra), due cose vanno comunque dette: che non esistono saponi neutri, e che le sostanze che si usano per lo shampoo e il bagno schiuma, e anche molte saponette, non sono propriamente saponi. Non dal punto di vista chimico, s’intende.
Posso anticipare una cosa: che se portato a pH neutro, il sapone vero e proprio diventa una pasta molliccia e poco attraente; se lo si vuole duro come nelle saponette e nel sapone da bucato, un po’ di alcalinità va lasciata. Conclusione: i “saponi neutri” sul mercato, in forma di saponetta, se sono davvero neutri non sono saponi (il che non significa che non siano buoni, anzi ce ne sono di eccellenti: ma qui sto parlando da chimico), e se invece sono davvero saponi un po’ di alcalinità ce l’hanno sempre, anche se c’è scritto “neutro” (dicitura prevista dalla legge: significa che siamo comunque a un pH accettabile per la nostra pelle).
(le immagini: un Don Chisciotte di Dalì, o forse di Octavio Ocampo; e un fumetto che prendo da un numero del mensile “Linus” dei primi anni ’60)
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