Ho preso un treno Eurostar sponsorizzato: i divisori tra i sedili erano interamente occupati dalla pubblicità di una banca, con un effetto a catena, vagone dopo vagone, decisamente opprimente. Come se qualcuno ti ripetesse la stessa parola, sadicamente, fino a stordirti.
Nelle stazioni della metropolitana milanese la pubblicità, oltre che murale, è anche sonora: gli altoparlanti trasmettono imprecisati notiziari imbottiti di spot. Ascoltarli non è una scelta. È un obbligo.
Ogni percorso quotidiano è oramai una gimkana tra spot, gingle, tabelloni luminosi, totem girevoli (vedi la stazione Centrale di Milano). La pubblicità dilaga, occhieggia da ogni banda; tracima da ogni interstizio, tende agguati. Non la reggo più, e penso che solo la parola "regime" è in grado di descrivere la pervasività, l'onnipresenza, in ultima analisi la violenza di questo continuo stimolo a consumare, spendere, immolare il proprio tempo a una banca, diventare devoti di un'assicurazione...
Pazzesco come il lento, inesorabile stillicidio, divenuto col tempo un diluvio insopportabile, ci trovi oramai assuefatti. Nessuno che dica "basta, lasciateci in pace, mollate la presa". Tutti come pecoroni, chiniamo la testa e viviamo come ricettori passivi, rassegnati, di una litania che ci spappola il cervello.
(ringrazio Michele Serra per questo articolo, che conservo con molta cura: purtroppo la situazione è molto peggiorata, ormai la pubblicità obbligatoria è arrivata ovunque, anche nei posti più impensati. E quelli che dicono "basta, lasciateci in pace, mollate la presa" sono davvero pochi: gran brutto segno...)
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