domenica 28 luglio 2019

Ratta Buratta


I miei nonni paterni erano veneti, di Trebaséleghe; mio padre (l'ultimo dei loro figli) è cresciuto qui, in Lombardia, parlando quasi sempre italiano. Mia mamma è di Parma, ma la convivenza con la suocera l'ha portata a una buona conoscenza del veneziano; ed ecco dunque che ogni tanto salta fuori, ancora oggi, una filastrocca o una storia di quelle che raccontava la nonna. La filastrocca che è venuta fuori, di quelle che si cantano ai bambini piccoli (facendo ballare il bambino sulle ginocchia; alla fine si aprono le ginocchia e il bambino "cade", e ride), è questa:
buràta buràta
i spini per la gata
i ossi per i cani
fasioi per i furlani
la cotta per i preti
moena per i vèci
buràta buratìn
(nome del bambino) va giò per el camin.
E' facile da ricordare e sembrerebbe semplice anche da capire; in realtà, una volta che la si è scritta e la si rilegge, rivela difficoltà inaspettate. Così ho fatto qualche ricerca online (Google) e mi sono subito scontrato con la stupidità dell'algoritmo (chiedo scusa ai tifosi dell'algoritmo) o meglio con l'ottusità di chi lo ha programmato in quel modo, perché la prima parola che volevo capire bene era "moena". Digitando moena per i veci si ottengono pagine e pagine sull'omonima località turistica vicino alle Dolomiti; allora metto le virgolette, "moena per i veci" e ottengo ancora pagine e pagine di pubblicità per Moena, comune italiano di 2631 abitanti in provincia di Trento e importante località sciistica. Scoraggiato, lascio perdere e scelgo un altro verso che non crei equivoci (e meno male che non ho digitato Moana, se no chissà cosa mi usciva) e mi pare che "fasioi per i furlani" sia il più adatto. Difatti, funziona; stavolta ho beffato l'algoritmo e mi sono uscite diverse pagine che riportano la filastrocca. Imparo subito due o tre cose importanti: la prima è che è diffusa in tutta l'area veneta o veneziana, comprese Trieste e l'Istria, e che comunque ci sono pochissime varianti, tutti la riportano come la ricordiamo anche noi in casa. La variante principale è nell'inizio, che spesso diventa "Ratta buratta"; altre le riporto qui sotto. La terza cosa che ho notato è che quasi tutti "fanno i furbi": davanti alle difficoltà tacciono, scantonano, fanno finta di niente. Passi per "la cotta per i preti" (qui basta un buon dizionario italiano), ma che cosa saranno mai "gli spini per la gatta"? Allora ci provo io, vado con l'esegesi e cerco di fare meglio che posso.

Buratto, spiega lo Zingarelli, è il tessuto con cui si fabbrica il setaccio, o crivello, per separare farina e crusca; il buratto è anche nel simbolo dell'Accademia della Crusca e serve per separare la farina dagli scarti. Il movimento che si fa con il bambino sulle ginocchia è infatti simile a quello che si fa per setacciare, muovendo il corpo avanti e indietro. "Ratta buratta" è un facile gioco di parole, oltretutto divertente perché sembra un nonsense anche se non lo è. Si può anche osservare che, essendo in area veneta, forse sarebbe più corretto scrivere "ràta buràta", senza le doppie; ed è certamente così, ma per me - mezzo veneto e nato fuori dal Veneto - resterà sempre così come l'ho scritto. Il primo verso ostico è "i spini per la gata", ma lo risolvo facilmente con una chiacchierata in famiglia: la lisca del pesce, quante volte l'ho vista nei cartoni animati? Gli spini sono dunque le ossa del pesce, e io non c'ero arrivato perché alla mia gatta non li dò mai (sono pericolosi), ma certo una volta si usava. Gli ossi per i cani non necessitano spiegazione, i fagioli per i friulani sono ottimi per la rima ma l'origine della frase è destinata a rimanere per me oscura. La cotta è uno dei vestimenti del prete (c'è anche la "cotta di maglia" dei soldati antichi, una maglia di rete di ferro). "Moena" è probabilmente un formaggio molle o una minestra di latte, cose che non si masticano (i vecchi non portavano la dentiera, nei tempi andati); rimango comunque sempre nel campo delle ipotesi, ma mi sento di escludere ciò che suggerisce l'algoritmo, e cioè che i miei antenati portassero gli anziani a sciare sulle Dolomiti (mi è uscita anche questa, offerte di soggiorno a Moena per la terza età). Mi sembra ci sia poco da spiegare anche per il finale, il "camino" sono le gambe che si aprono e fanno "cascare giù" il bambino (in realtà tenuto ben saldo) nel gioco. La prima volta il bambino magari si spaventa, ma poi capisce che è un gioco e chiede "ancora".
Altre varianti simpatiche: el mejo per i osei (il miglio per gli uccelli), la pappa per i putei. Il miglio per i canarini (per gli uccellini), la pappa per i bambini: avendo trovato la rima anche in italiano, passo e chiudo.
Eventuali correzioni sono più che benvenute, così come i suggerimenti.

sabato 27 luglio 2019

Autunno caldo e Statuto dei Lavoratori

Negli anni '60 ero un bambino, ma mi rendevo conto lo stesso che i miei genitori facevano molti sacrifici per arrivare a fine mese con la paga che prendevano. Sacrifici che non mi pesavano molto, a me è sempre bastato poco e ho avuto una bella famiglia; ogni tanto mi guardo in giro e penso che sono stato un bambino fortunato.
 Arrivato ai trent'anni, sul posto di lavoro, mi sono poi stupito nel vedere che operai nella stessa condizione di mio padre (tre figli, moglie casalinga o operaia) facevano invece una vita senza sacrifici; c'era sempre da stare attenti al bilancio economico, ma la situazione era ben diversa da quella che avevo vissuto io. Negli anni '80 e '90 gli operai facevano studiare i figli (e le figlie) fino alla laurea, si comperavano la casa, facevano lunghe vacanze con tutta la famiglia. Cosa c'era di diverso, che cos'era successo?
E' stato qui, con questa domanda, che ho iniziato a conoscere lo Statuto dei Lavoratori, e a ragionare sul cosiddetto "autunno caldo" che lo ha preceduto. Lo Statuto dei Lavoratori, oggi quasi del tutto cancellato, è contemporaneo alla grande riforma del Servizio Sanitario Nazionale, che è oggi in serio pericolo di cancellazione. Da una parte, più soldi e più tutele per i lavoratori; dall'altra, il non doversi più preoccupare per le spese in caso di malattia. Due riforme che hanno, di fatto, cambiato la nostra società.

Ho letto e ascoltato molte critiche riguardo a quel periodo. Le ascolto ancora oggi, il '68 come rovina della società, lo strapotere dei sindacati, i danni per l'economia. Ci sono delle buone ragioni in queste critiche, ma io mi guardo intorno, penso alla vita che ho vissuto, alle persone che ho conosciuto, a com'era la vita prima e dopo lo Statuto dei Lavoratori, e a come siamo messi oggi, quando lo Statuto non c'è più. Riguardo all'Economia, per esempio, negli anni '80 e '90 l'impresa italiana andava molto bene: siamo stati stabilmente nel novero delle prime potenze industriali al mondo, il made in Italy era molto apprezzato, e se siamo ancora invitati ai vari G7, G8, G10, lo si deve a quel periodo e non certo all'Italia attuale. Tutto questo è successo con le paghe e gli stipendi derivati dall'autunno caldo; il che dovrebbe far pensare.
Quanto allo "strapotere dei sindacati", anche qui ci sarebbe molto da dire; ma i sindacati hanno potere quando l'economia va bene, se non ci sono soldi e se le fabbriche chiudono il sindacato può solo gestire l'emergenza e la disoccupazione, finché glielo lasciano fare.
 
Negli ultimi vent'anni ho ascoltato spesso ripetere che le fabbriche sarebbero fuggite all'estero se non si fosse toccato lo Statuto dei Lavoratori, che avremmo perso di competitività, che il costo del lavoro era eccessivo; gli elettori hanno votato a destra per tutti questi anni, le leggi sul lavoro sono state profondamente modificate, ma le fabbriche hanno delocalizzato lo stesso e siamo entrati in recessione. Non ho mai ascoltato un dibattito serio su questi temi, tutti ripetono le stesse cose ma pochi sottolineano il vero motivo di tutte queste delocalizzazioni: fino al 1989, fino al crollo del Muro di Berlino, l'Italia era protetta. Il Muro di Berlino e la Cortina di Ferro spingevano gli Usa e i tedeschi a investire da noi, ad aprire fabbriche da noi. Finito questo sistema che si reggeva dal 1945, e che è durato cinquant'anni, la situazione ha cominciato a cambiare. Finite le guerre in Jugoslavia (guerre terribili) la situazione dell'Est Europa si è normalizzata e molte fabbriche sono andate lì. Non tanto per il costo del lavoro più basso, ma perché in molti Paesi dell'Est Europa c'era una lunga tradizione industriale, si pensi alla Zeiss in Germania (Germania Est), alla meccanica in Cecoslovacchia, una tradizione pari alla nostra e che era stata interrotta dal dominio dell'URSS, ma che si poteva riprendere. Prima del crollo del Muro di Berlino, le aziende americane venivano invitate dal governo a investire in Italia, o in Francia, e comunque non potevano andare nei paesi del Patto di Varsavia; dopo il 1995 il governo americano non ha più posto limiti e ognuno è andato dove gli faceva più comodo. L'Italia è diventata marginale anche per questo, forse soprattutto per questo.
 
Intanto, e non è una nota di colore ma un dato di fatto, in Italia c'è stato un boom ma nella vendita di prodotti di lusso. Pagando meno i dipendenti (il costo del lavoro!) c'è chi si è comperato la Ferrari o lo yacht. Sembra una barzelletta dei tempi andati, invece è la verità. C'è anche chi ha venduto l'azienda di famiglia e sta facendo vita beata, poi a chiudere lo stabilimento sarà una multinazionale e si deplorerà il fatto, ma la multinazionale (appunto) va a produrre dove vuole, si prende il marchio storico e va a produrre magari in Turchia (il cioccolato, per esempio).

Non sono un economista e mi fermo qui, ma qui nel mio piccolo continuo a pensare che quelli che se la prendono con lo Statuto dei Lavoratori (e con il PCI, con i sindacati, eccetera) probabilmente non vogliono che i figli degli operai possano studiare, e auspicano che si torni alla situazione descritta da Dickens a metà Ottocento, con il lavoro minorile, le donne che partoriscono in fabbrica, gli incidenti mortali sul lavoro... E' una mia constatazione, a me piace ascoltare quello che si dice e ho ascoltato per davvero discorsi di questo tipo.
A quel tempo non ce ne siamo resi conto, ma la mia generazione ha vissuto un periodo felice che purtroppo è finito; oggi c'è il precariato, la disoccupazione mascherata da impieghi a termine breve o brevissimo e con paghe che non bastano nemmeno a pagare la luce e il gas. Si fa passare per privilegio ciò che è stato ottenuto con grandi lotte e sacrifici personali (molti in quelle lotte hanno perso il posto di lavoro, e magari anche peggio: non sono stati dei regali). Penso che la situazione sia ormai irrimediabile. Nel futuro, e direi anche nel presente, pagare le tasse universitarie o le prestazioni sanitarie sarà un lusso riservato a pochi. Ai figli dei ricchi e dei benestanti, non alle "classi inferiori"; ed è quello che volevano le classi dominanti, in modo più o meno mascherato. Gli elettori, dal canto loro, si sono fatti abbindolare con discorsi sui rom o sugli immigrati (eccetera), ma la vera posta in ballo era quella.

giovedì 25 luglio 2019

Lavorare di domenica


Ogni tanto, quasi a scadenze fisse, si torna a parlare dei negozi aperti di domenica: è giusto, è sbagliato? Ogni volta, telegiornali e commentatori vari affrontano il tema allo stesso modo, cioè con una serie di interviste a clienti dei centri commerciali, a passanti, a politici, a imprenditori o a manager e dirigenti d'azienda. Difficilmente, raramente, la parola viene data ai diretti interessati e cioè a chi poi deve fare per davvero la fatica, ai lavoratori o ai gestori di imprese familiari. Questo è uno dei momenti in cui più viene a mancare la cultura di sinistra, eppure dovrebbe essere semplice trovare la chiave giusta per affrontare la questione. Dato che io ho lavorato la domenica e nei festivi per molti anni, in fabbrica, so come si affrontava la questione quando c'era ancora una sinistra forte e degna di questo nome, e provo a ricordarlo a chi ha la memoria corta o cortissima o magari proprio zero memoria.

La Ditta ha bisogno di lavorare senza interruzioni, perché ha molte commesse e buone prospettive e non bisogna perdere l'occasione; si convocano i rappresentanti dei lavoratori (sindacati locali e consiglio di fabbrica) e si discute su tre punti essenziali: retribuzione, riposi compensativi, nuove assunzioni. Tutto questo senza mai dimenticare la sicurezza sul posto di lavoro, della quale fanno parte anche i riposi compensativi. Vale a dire: lavorare nei festivi è pesante, soprattutto per chi ha i bambini piccoli ma anche per chi ha persone da accudire, e senza dimenticare i più giovani che hanno pur diritto a una loro vita sociale. Di conseguenza, il lavoro festivo va pagato come festivo, cioè di più del normale. Il secondo e il terzo punto sono strettamente collegati: i supermercati e i centri commerciali, soprattutto, aumentano le ore di lavoro del personale senza fare nuove assunzioni o facendone pochissime, o magari lasciando a casa il personale più esperto (con le leggi odierne sul lavoro si può fare in un attimo) e assumendo personale precario che verrà pagato di meno. Se questa cosa avviene nei supermercati, i problemi con la sicurezza saranno comunque limitati; ma provate a pensare a ditte come l'acciaieria Thyssen di Torino, qualche anno fa, o come quella in cui lavoravo io, un'industria chimica a rischio di incidente rilevante (normativa Seveso). Nel mio caso, i dirigenti furono attenti o abbastanza attenti e non successe niente di grave; alla Thyssen andò in un altro modo.

Questi ragionamenti dovrebbero essere l'abc per una persona che si dice di sinistra o che raccoglie voti da sinistra, invece succede come a Milano dove il sindaco Sala ha uscite su questi temi che fanno pensare che davvero di sinistra non abbia niente, del tipo "i negozi alla domenica chiusi? lo facciano ad Avellino". Sala è un buon manager, e abbiamo bisogno di buoni manager, ma il suo curriculum ha poco a che fare con la sinistra e quindi ci può stare che faccia di questi discorsi; mi colpisce invece il silenzio di chi lo accompagna in questa sua avventura, cioè il PD e gli altri assessori con un curriculum "di sinistra".

Mi fermo qui per brevità, non perché sia esaurito l'argomento. C'è tanta gente che lavora la domenica, magari di notte come ho fatto io (la notte tra sabato e domenica, la notte fra domenica e lunedì), ma viene costantemente dimenticata, così come ci si dimentica sempre dei turnisti (mettere la sveglia alle 5 del mattino per andare al lavoro alle sei), dei proprietari di negozi a conduzione familiare (se i centri commerciali sono aperti 24 ore su 24, io quando riposo? mai?), dei lavoratori sui cantieri e sulle autostrade, e più in generale di tutta la gente che lavora, e che dovrebbe essere al centro del pensiero di persone che si reputano di sinistra. Insomma, io ho lavorato su tre turni domenica e festivi compresi, ma mi hanno pagato bene e ho visto assumere con tutte le regole (non precari) tante persone che avevano bisogno di lavorare. Capita così ancora oggi?

domenica 21 luglio 2019

Borrelli for President

Mi unisco al cordoglio per la morte di Francesco Saverio Borrelli: per qualche anno ho sperato che potesse assumere qualche ruolo importante nella guida della Nazione, ma così non è stato. Borrelli è sempre rimasto defilato, magistrato innanzitutto. Eppure, era una persona di grande preparazione e grande cultura - a differenza di molti dei protagonisti della vita politica degli ultimi trent'anni, viene da dire. Ho letto titoli e commenti sui giornali, direi che la figura di Francesco Saverio Borrelli è stata ben rappresentata (con le solite eccezioni, purtroppo) ma quasi tutti hanno mancato un dettaglio tutt'altro che insignificante. Comprendo l'imbarazzo di molti giornalisti e commentatori (sono cose che si colgono facilmente), e allora provo a mettere io le parole che andrebbero dette. Io non ho problemi di carriera, non ho legami con nessuno, e soprattutto faccio riferimento a sentenze ormai passate in giudicato (sentenze non di Borrelli, ma di molti altri giudici e tribunali in tutta Italia).

Quello che manca nei commenti ufficiali è questo: sotto la guida di Borrelli iniziò la stagione detta di "Mani Pulite", nel 1992. Questa stagione, di fatto, terminò con le elezioni del 1994 quando gli italiani votarono in modo massiccio per due o tre partiti che, in seguito, avrebbero visto i loro leader finire in galera non per reati di opinione ma per truffa, corruzione, mafia. Alcuni, per puri e semplici furti di denaro. Tanto per non lasciare le cose in sospeso, qualche nome: tre dei più importanti fondatori di Forza Italia, il fondatore della Lega Nord, il presidente (per quindici anni) della Lombardia, amministratori delegati e presidenti di Trenord, eccetera. Cesare Previti fu il primo a finire in carcere: corruzione di un giudice per ottenere un'importante sentenza; qualche anno dopo toccò a Dell'Utri per vicinanza alla mafia, infine a Silvio Berlusconi stesso per truffa ai danni dello Stato. Si tratta di condanne pesanti, dai quattro ai sei anni e in via definitiva. Umberto Bossi è stato di recente condannato, sempre intorno ai cinque anni, e c'è ancora in ballo la restituzione di 49 milioni di euro intascati illecitamente (da chi? aspetto che qualcuno ne parli...). Roberto Formigoni è attualmente in carcere per corruzione e fatti di denaro legati alla Sanità, ed è un'altra condanna definitiva intorno ai cinque anni (non cosa da poco). Gli scandali della gestione Alemanno a Roma sono ancora in via di definizione, le vicende di Gianfranco Fini sono ancora all'ordine del giorno, ma gli scandali e i furti conclamati dei vincitori delle elezioni di quel 1994 costituiscono un elenco così lungo che non riesco a completare.

Mi si dirà: e il PD, allora? Il PD del 1994, o meglio il PDS, era ancora composto da persone accettabili e rispettabili; non a caso dei governi successivi farà parte Carlo Azeglio Ciampi, tanto per fare un solo nome. Del PD degli ultimi dieci-quindici anni preferisco non parlare, ma faccio notare che è stato pesantemente sanzionato in termini di voto alle elezioni. Insomma, a sinistra ci siamo resi conto degli errori del nostro partito, ma quantomeno nessuno dei vertici del Partito è mai stato condannato: né Occhetto, né D'Alema, né Veltroni, né Bersani, e nemmeno Renzi, con tutti i suoi difetti che me lo rendono insopportabile. A destra invece si è votato e si continua a votare di tutto, ma poi ci si lamenta dei politici ladri e questa è una contraddizione evidente. Va anche ricordato che a destra, nel 1992, c'erano anche partiti e persone rispettabili; ma gli elettori scelsero proprio quelli e diedero loro le chiavi del Paese (e della cassaforte). L'indagine di Borrelli, nel 1992, poteva essere l'inizio di un'Italia migliore; così non è stato, e la colpa è degli elettori italiani. Ancora oggi c'è chi non se ne rende conto.

sabato 20 luglio 2019

« Non stia lì a perdere tempo»

Come da abitudine, appena versata la quantità di reagente necessaria chiudo la bottiglia e la metto al suo posto. «Non stia lì a perdere tempo» mi dice il Direttore di Produzione, alle mie spalle.
Devo dire che ancora oggi, dopo tanti anni, quella frase mi disturba e non poco. Che significa «non stia lì a perdere tempo» ? Anche lasciando da parte la buona pratica di laboratorio, provate un po' a cronometrare quanto tempo ci si mette nel chiudere una bottiglia e spostarla trenta centimetri più in là... Anche in cucina, è buona pratica chiudere la bottiglia dell'olio dopo averne versato quel che serve: se per caso date un urto alla bottiglia, poi c'è da lavorare per mezza giornata per raccogliere l'olio versato. Sono le piccole cose, spesso, che danno il senso di quello che succede. Il Direttore di Produzione, il dottor Biribò, tra le altre cose aveva lunga esperienza di tecnico di laboratorio, e proprio per quello non mi aspettavo da lui una simile scemenza. Anche se si ha fretta, un'analisi richiede il tempo necessario. Sembra una banalità, ma evidentemente non lo è.

Trascrivo qui questo ricordo perché dà la misura di quello che può succedere sul nostro posto di lavoro. A me avevano insegnato che lavorando bene si è rispettati e considerati, e che si può anche fare carriera. Se tu sei bravo e lavori bene, meriti considerazione. Lo direi anch'io a un ragazzo o a una ragazza di vent'anni, e ammetto di avere un po' di titubanza nello scrivere qui l'esatto contrario - che pure è una verità con la quale prima o poi dobbiamo o abbiamo dovuto scontrarci. I menefreghisti, come quel mio collega (non uno solo, ma questo in particolare) che lasciava sempre le bottiglie aperte e il posto di lavoro sporco, era infatti molto ben visto dai capi: obbediva veloce agli ordini, come a militare, e quindi tutto andava bene. Poi, si sa, a pulire e a mettere in ordine ci penserà qualcun altro; e non importa se il reagente presenta dei pericoli oppure è delicato e non va lasciato a contatto con l'aria (pensate a cosa succederebbe in un ospedale...). Quello che viene dopo, sciagurato, impiegherà il doppio del tempo per controllare i reagenti e togliere il liquido non identificato dalla bilancia analitica, ma cosa vuoi che importi.

Che dire, in uno dei suoi spettacoli (Oylem Goylem, se non ricordo male) Moni Ovadia racconta l'aneddoto del sarto sopravvissuto ad Auschwitz, che non aveva mai perso la fede nemmeno nei momenti più difficili, e che tornato a casa cede improvvisamente davanti a un fatto piccolo e banale. Anche a me è successo così, fatte le debite proporzioni s'intende, e quel «non stia lì a perdere tempo» continua a risuonarmi nella testa, e ha condizionato pesantemente la mia successiva vita lavorativa. Dove volevi andare, cosa volevi fare? Ne concludo che ho ricevuto un'educazione sbagliata, avrei dovuto imparare fin da subito a fare il furbo o il menefreghista. Per esempio, e per uscire dal mio piccolo mondo di perito chimico, provate a immaginare un impiegato di banca che, a inizio Duemila, sconsiglia i clienti dall'acquistare quei bond argentini o quelle obbligazioni di un gruppo che sta per fallire. Cosa gli succederà, se uno dei suoi capi lo viene a sapere? E' successo, succede, succederà ancora: non è mica tanto vero che lavorando bene e secondo coscienza si viene presi in considerazione. Più facile che ti mettano alla porta...
Chi non ha mai lavorato queste cose non le sa. Purtroppo, il mondo dirigenziale è pieno di gente che non ha mai lavorato per davvero; e se una volta in Parlamento c'era qualche operaio o impiegato tecnico come me, oggi le cose sono cambiate. In peggio, spiace doverlo dire ma è così.
 
 
(la vignetta qui sopra viene dalla Settimana Enigmistica;
quella è in alto è di Jules Feiffer, dal mensile Linus anno 1977)
 

giovedì 18 luglio 2019

Kerosene

Da bambino avevo visto in tv un film che mi aveva spaventato: "La cosa" (The thing, 1951, prodotto da Howard Hawks, regia di Christian Nyby) dove il mostro venuto dallo spazio, quasi immortale e autorigenerante perché in parte o in tutto vegetale, veniva alla fine distrutto con il kerosene, cioè incendiandolo. Era il mostro a farmi spavento, s'intende, non il kerosene perché sapevo che cos'era, più o meno, o comunque me lo avevano spiegato subito: come la benzina o il gasolio, insomma. Sta di fatto che quella parola strana, "kerosene" da allora è per me associata a quel film; molti anni dopo, studiando chimica, avrei scoperto che si trattava uno dei tanti derivati dalla distillazione del petrolio: nafta, gasolio, kerosene, benzina, eccetera.
Ho ritrovato il kerosene di recente, in modo inatteso, guardando un altro film degli anni '50, stavolta a colori e in formato panoramico: "L'ultima carovana" (The last wagon, 1956, regia di Delmer Daves). Nel finale, Richard Widmark respinge gli apache (300 apache contro quindici "dei nostri" male armati) incendiando appunto un barile di kerosene e scatenando un'esplosione con fiamme altissime e nere. Che cosa ci fa il kerosene in un film western, ambientato nel 1873? La cosa mi sembrava strana, anche perché sul barile c'era scritto soltanto olio lampante (la scritta "cherosene" è una didascalia della versione italiana). Probabilmente era un mio vuoto di memoria, o forse non l'avevo davvero mai saputo, ma è bastata una ricerca veloce per scoprire che il kerosene era già in uso in quegli anni, soppiantando l'olio di balena che era appunto usato per l'illuminazione, cioè per le lampade ad olio. Per questo motivo, probabilmente, il kerosene era presente nell'ultimo carro disponibile di quella carovana.

Il kerosene fu brevettato nel 1846 da un chimico canadese, che lo distillò dal carbone; dieci anni dopo, 1856, un chimico polacco riuscì ad ottenerlo dal petrolio in abbondanza e con un metodo più economico che lo rese molto popolare in breve tempo. L'uso del kerosene come olio lampante nelle case durò per qualche decennio, fino all'avvento della luce elettrica e all'invenzione delle lampadine; continuò ad essere usato nelle case per le stufe a kerosene e come carburante per l'aviazione, dove lo si usa ancora oggi. Ovviamente, è un carburante che inquina molto: le fiamme nerissime del film con Richard Widmark parlano molto chiaro, e ogni volta che un aereo passa sulle nostre teste bisognerebbe imparare a farci caso, visti problemi con i motori diesel (a gasolio) sulle nostre strade.

 
La Garzantina della Chimica (che usa la grafia italiana, "cherosene"), lo definisce così: « frazione petrolifera con intervallo di ebollizione compreso fra 175 e 275°C contenente mediamente l'84% di carbonio e il 16% di idrogeno , con potere calorifico di undicimila chilocalorie per grammo. Trova impiego come combustibile e come carburante per motori a reazione.» Una miscela di idrocarburi, insomma: come la benzina, ma con un punto di ebollizione più basso. Per intenderci, la nafta (più densa) bolle fra i 60 e i 100°C; il gasolio fra 200 e 350°C. Per la benzina il discorso è un po' più ampio, perché esistono diversi tipi di benzine: si va dai 50-120°C della benzina leggera ai 120-160°C della "normale", arrivando ai 140-200 delle benzine usate per le vernici sotto il nome di acqua ragia (quelle che un tempo venivano estratte dalle conifere). La definizione di "normale" per la benzina in questo caso non va confusa con quella che era in commercio fino a vent'anni fa: in quel caso la differenza fra "normale" e "super" era data da un componente aggiunto per migliorare le prestazioni del motore (per aumentare il "numero di ottano": una volta lo si studiava anche per risolvere i quiz per la patente, oggi non so).
Sono tutti derivati dal petrolio, che viene distillato con gli stessi principi con cui si distilla l'alcool per i liquori ma ovviamente con impianti molto più grandi e complessi. Per i liquori si cerca un solo componente, l'alcool etilico (scartando il primo liquido che esce, che contiene il velenoso metanolo) e quindi basta un solo alambicco per separare vinacce, acqua e alcool; le benzine vengono invece distillate nelle grandi "colonne a piatti" che si vedono in tutte le immagini di raffinerie petrolifere. Ne riporto qui un'immagine, presa dal mio vecchio libro di chimica industriale (metà anni '70, ma rende bene l'idea).
 
« Le colonne a piatti sono strutture cilindriche alte parecchi metri, nel cui corpo si realizzano un gran numero di evaporazioni e condensazioni (...) Lo strato di liquido stanziante su ciascun piatto varia di composizione a seconda del livello del suo piatto e risulta progressivamente più ricco del componente più volatile verso l'alto e del meno volatile verso il basso. Il liquido che si spilla in modo continuo alla base della colonna è costituito nel migliore dei casi dal componente meno volatile puro. (...)» (E.Stocchi, L.Bonzio: Chimica Industriale vol.1, ed. La Prora 1968).
I piatti non sono propriamente piatti "di cucina" come si potrebbe pensare, forse sono più simili a dei tubi di camino o di cappa; per rimanere in cucina, come esempio, si potrebbe magari pensare al coperchio di una pentola con la sua condensa, o magari a un piatto da minestra caldo con sopra un piatto liscio sul quale si condensa il vapore. Nella colonna, facendo un esempio il più semplice possibile, distillando petrolio avremo nella parte bassa la nafta; a metà il gasolio, nella parte più alta le benzine, e in cima il gas. Le frazioni che ne escono sono in realtà composte da molti differenti idrocarburi, ognuno con un suo nome preciso; le parole gasolio, nafta, kerosene e benzina sono più che altro denominazioni commerciali, miscele di varie molecole scelte in base al loro uso pratico. Dalle benzine, dal gasolio, dalla nafta e dal kerosene (e anche dal catrame) si possono ancora distillare altri composti, fino ad arrivare ai reagenti puri per analisi che hanno nomi come xylene, benzene, e così via.
Da parte mia, non ho mai maneggiato del kerosene; visto l'andamento della mia vita penso proprio che per me continuerà ad essere un riferimento cinematografico, e magari anche il ricordo di qualche brutto voto preso a scuola (ero uno studente molto scarso, ogni tanto è meglio se lo scrivo...).
(in alto, un fermo immagine da "La cosa" di Hawks-Nyby, e qui sotto un curioso poster che ho trovato su internet senza altre indicazioni)


 

martedì 16 luglio 2019

Sardine e delfini


In una delle sue tante apparizioni in tv, sotto elezioni, Silvio Berlusconi risponde alla domanda sui suoi "delfini", cioè sulle personalità che avrebbero dovuto raccogliere la sua leadership in questi anni (tanti, quasi 30). Berlusconi risponde con una battuta che andrebbe conservata negli archivi: "non erano delfini, erano sardine". Quasi tutti questi nomi, è questo il senso della battuta, sono spariti presto dalla scena politica. Credo che i ventenni di oggi non ne conoscano nemmeno il nome: Fini, Casini, Irene Pivetti, Marcello Pera, Scognamiglio... perfino Giulio Tremonti, responsabile dell'Economia per più di dieci anni, è quasi dimenticato. Si tratta di persone ancora piuttosto giovani come età, per un politico avere cinquanta o sessant'anni non è certo un handicap.Viene da chiedersi di chi sia la colpa: se credi di allevare delfini e invece ti ritrovi delle sardine, proprio negli anni in cui stai lavorando più duramente, significa che qualcosa non è andato per il verso giusto. Questo "qualcosa" secondo me è proprio la leadership di Berlusconi e di quelli come lui. Ho ascoltato per decenni il piagnisteo sul '68 come origine di tutti i mali, ma il '68 è roba di cinquant'anni fa: i "maestri" del 1968 ormai sono settantenni e ottantenni. Non è successo niente nel frattempo? Sì che è successo qualcosa, a partire dagli anni '80 (quindi molto presto) la generazione che fatto il '68 è stata sostituita nella vita quotidiana e poi in politica dai paninari e dai venditori, o meglio dai piazzisti di commercio (i venditori seri sono un'altra cosa). All'inizio degli anni '80 nacque la moda dei "paninari": erano stati appena aperti i primi posti dove si vendevano hamburger, all'americana (non solo Mc Donald's, all'epoca c'era ancora molta concorrenza) e quelli che oggi hanno cinquant'anni si ritrovavano lì. Per molti commentatori è stata una moda come tante, invece io direi proprio di no. I paninari di trent'anni fa oggi sono dirigenti d'azienda e funzionari a vari livelli, e credo proprio che dentro di loro continuino a pensarla come allora, cioè che la cosa più importante del mondo è la marca del giaccone che indossi, e se hai le calze di quel tipo lì ma non della stessa marca allora sei un tamarro e non vale la pena di perdere tempo con te.

I venditori, che Berlusconi difende a spada tratta, non sono quelli onesti e attenti che tengono molto al loro rapporto con i clienti e sono fondamentali per la vita di un'azienda; sono piuttosto quelli che suonano di casa in casa, che ti telefonano a orari importuni, e che sono pronti a rifilarti qualsiasi patacca per far vedere che loro sanno vendere. Ho conosciuto molti di questi venditori, e del resto anche alla recente convention di una nota marca di aspirapolvere c'era chi si vantava di questo sistema di vendite. Berlusconi deve la sua carriera politica alla pubblicità in tv: per le generazioni di manager da lui allevati quello che conta è la pubblicità, il prodotto da vendere può anche essere difettoso (o peggio) ma l'importante è venderlo lo stesso. La tv, così, è diventata poco più di un grande contenitore per la pubblicità, dove conta solo l'audience: se la sera girate per i centomila canali del digitale terrestre e non trovate niente che valga la pena di guardare, fermatevi un momento a pensare a chi ha allevato manager e funzionari tv in tutti questi decenni dal 1980 a oggi. Anche la Rai è così, certo: ma da dove vengono i manager e i funzionari Rai? Berlusconi è stato al governo per tre legislature, e ancora oggi ha grande influenza sulla Rai.

Con questa Armata Brancaleone (ma ben vestita, paninara o figlia di paninari) dove si voleva arrivare? Alle truffe sui bond argentini, al fallimento di aziende importanti e storiche, alla delocalizzazione, alla perdita di valore dei salari, alla precarietà sul lavoro. Gli stipendi dei manager hanno avuto un'impennata folle, le paghe dei lavoratori al contrario. Le statistiche del commercio dicono che i beni di lusso hanno avuto un enorme boom, in questo inizio di millennio: Rolex e Ferrari, suv da centomila euro. Secondo me, non è affatto un caso e le due cose sono collegate, collegatissime: giù le paghe di chi lavora, su le paghe dei manager. Delocalizzazione, riduzione del personale, vendita di storici marchi a imprese estere (comprese Inter e Milan), i palazzi storici di Milano ai cinesi, i nuovi grattacieli agli arabi... Un'economia da paninari, io mi compro il bel giubbotto e la marmaglia dei tamarri (cioè noi) si fotta. Sorvolo sugli scandali della sanità per non far diventare troppo lungo questo post, ma quando prenotate un'ecografia e vi dicono che dovete ripassare fra sei mesi per prendere l'appuntamento, cominciate a pensare ai manager della sanità e alla loro origine.

Tornando a sardine e delfini, ai paninari e ai piazzisti di commercio nell'ultimo decennio si è aggiunta un'altra scuola di management: quella degli ultrà del calcio. Non è uno scherzo, abbiamo in Parlamento un paio di deputati che provengono dagli ultrà del calcio, a Roma la giunta Alemanno aveva un cospicuo bacino di voti in quell'area, e oggi, per la prima volta nella nostra storia, abbiamo un Ministro degli Interni che si fa fotografare a braccetto con i capi ultrà. A questo punto, direi, non solo i delfini ma anche le sardine le abbiamo salutate da tempo; che tipo di bestia sia oggi di attualità non lo voglio nemmeno pensare e vado piuttosto a vedere un bel film di fantascienza: "La cosa da un altro mondo", magari. Più attualità di così...

lunedì 15 luglio 2019

Sbruffoncello


"Sbruffone", secondo il dizionario, è chi le spara grosse, chi minaccia e promette ma poi non combina niente. Nelle scorse settimane, il ministro degli Interni Salvini ha usato questa parola, per di più con un diminutivo ridicolizzante, per indicare una persona che invece è andata diritta per la sua strada e ha fatto quello che aveva promesso di fare. Si tratta ovviamente della tedesca Carola Rackete, capitano di una nave che ha soccorso dei profughi: le si possono imputare errori e si può discutere sulle sue decisioni, ma di certo non è una "sbruffoncella" come ha detto Salvini. Così come è più che certo la manovra effettuata dalla Rackete non è stata affatto una "azione di guerra" (altra frase usata da Salvini in quei giorni), tutt'altro. Magari una manovra pericolosa, ma di guerra non ha parlato nessuno che abbia un po' di buon senso. Le parole che si usano sono importanti, soprattutto se si ricopre un ruolo pubblico; di conseguenza, se Salvini usa le parole a vanvera e poi non le ritira scusandosi, mi viene da pensare che sia poco attendibile anche nelle sue altre dichiarazioni pubbliche. E se fosse un'altra persona verrebbe anche da chiedersi quali siano i suoi veri pensieri e i suoi veri scopi, ma con Salvini è tutto ben chiaro e alla luce del sole. Viene anche da chiedersi chi c'è dietro Salvini, che non somiglia certo a un genio della politica, ma qui mi fermo perchè sto cominciando ad andare un po' troppo in là, e francamente comincio ad aver una grande paura del futuro. Settantacinque anni di pace in Europa sono tanti, una cosa mai vista da quando esiste la memoria umana; in questi ultimi anni abbiamo scoperto che la pace e la prosperità non a tutti piacciono.

sabato 13 luglio 2019

Revenant


Revenant, più o meno "colui che ritorna", è una parola francese che indica i fantasmi. E un po' fantasma mi sento anch'io nel riaprire - non so per quanto - questo blog chiuso da sei anni abbondanti. Devo dire che i lettori non l'hanno mai abbandonato, i miei ormai antichi scritti sulla chimica e sulle storie naturali hanno mantenuto un buon numero di visite anche durante tutto questo tempo, in cui non ho pubblicato niente a parte qualche nota o qualche correzione qua e là.
Fantasma mi sento io, sperduto in un mondo - sto parlando soprattutto di politica - che ha ben poco di razionale. A questo punto, a 2019 avanzato (quasi 2020) rileggo quello che avevo scritto sei anni fa nel chiudere e mi ritrovo a quello stesso punto, ma con la situazione ancora peggiorata e ancora più surreale. Surreale, perché ho passato gran parte della mia vita ad ascoltare chi diceva che i politici sono tutti ladri; e non era vero, non erano tutti ladri e provavo a dirlo. Ma oggi che abbiamo molte sentenze passate in giudicato, e quindi la certezza su chi sono i ladri, la gente continua a mandare al potere i ladri conclamati e ad ignorare le persone oneste e competenti (ormai quasi estinte: chi poteva è andato via dall'Italia, gli altri si nascondono sperando in tempi migliori). Era il ragionamento che facevo dopo le elezioni del 2013, sconsolato; nel frattempo la situazione è peggiorata e mi viene da pensare che il recente "caso Savoini" porterà alla destra centomila voti in più. In più, non in meno; i voti pioveranno sui politici scorretti soprattutto se le accuse verranno provate: ormai è una costante, un "trend" se preferite questa parola, e non resta che prenderne atto. Si può anche sperare che non vada così, ma speratelo voi perché io osservo quello che succede e faccio fatica a pensare che accada.

Devo anche dire che nel frattempo, ragionando sui versi di Delio Tessa che danno il titolo a questo blog, ho capito definitivamente (ma già lo sapevo) che "andar via con la testa", "aver la testa di un gatto" per usare le parole del grande scrittore milanese, non garantisce affatto serenità e buon umore. Credo che fosse anche il vero senso dell'osservazione di Tessa, ormai cent'anni fa: di là del muro si può cantare, ci sono dei momenti di serenità, momenti in cui non si pensa a niente e magari si riesce anche ad essere felici, ma il presente è quello che è e così rimane. Si possono anche avere degli incubi, "di là del muro"; la felicità non è affatto garantita ma - quantomeno - si può far a meno di occuparsi degli scandali finanziari, dei mafiosi (cent'anni fa a Milano i mafiosi non c'erano), degli intrallazzi e di certe facce di sedicenti politici che occupano stabilmente i telegiornali.
Di tutto quanto il resto, cioè delle cose che vorrei che fossero dette con chiarezza dai professionisti del settore (cioè dell'informazione) mi occuperò un po' alla volta, secondo l'umore e il momento.

P.S.: i post sugli animali (Storie naturali - L'entomologo) continuano qui.