domenica 1 dicembre 2019

I batteristi del jazz


Mi capita di guardare un concerto jazz registrato all'inizio degli anni '60, il sestetto di Charlie Mingus. Mi sono fermato a guardarlo perché interessato dal nome importante (e famoso) ma poi scopro il batterista e non smetto più di guardarlo. Chi è, come si chiama? Alla fine, sui titoli di coda, ne trovo il nome, Danny Richmond, ma non mi dice molto. Danny Richmond non è tra i nomi leggendari del jazz, eppure è così bravo che non smetto di guardarlo e ascoltarlo. Oltretutto, sta suonando con Charlie Mingus, contrabbassista: una sezione ritmica, se non fosse per il fatto che Mingus era anche un solista.

I batteristi del jazz, anche i meno famosi, erano bravissimi e hanno influenzato fortemente anche i batteristi del rock, negli anni '60 e '70. Ci penso ogni volta che ascolto Robert Wyatt, Ginger Baker, i nomi sono tanti. Bassisti e batteristi, come Danny Thompson dei Pentangle (contrabbassista, come Mingus) o Jack Bruce e Hugh Hopper o Dave Holland, erano per noi appassionati di musica dei punti di riferimento alla pari o magari ancora più dei chitarristi e dei cantanti. Ricordo anche chi storceva il naso su Charlie Watts dei Rolling Stones, per tacere di Ringo Starr considerato pochissimo; ma ascoltandoli oggi Watts e Starr sembrano dei prodigi, con i tempi che corrono.
Per fare solo un piccolo esempio (ma internet è piena di questi esempi) metto qui il link a Robert Wyatt, ventunenne, nel primo disco dei Soft Machine.

Ripenso spesso a questi grandi batteristi e bassisti, alla loro capacità di cambiare ritmi e alla loro grande fantasia, quando si parla di rap e più in generale della musica che domina negli ultimi vent'anni, o forse anche di più - da quando esiste la batteria elettronica, intendo. L'altro giorno un rapper che va per la maggiore ha detto "c'è gente che ha dei problemi a capire il rap", ma io non ho problemi a capire il rap, anzi. Mi chiedo piuttosto, ascoltando i rapper, come si faccia ad accontentarsi di una cosa così banale che quasi non è musica. Il rap, e tutto quello che ne è seguito, è probabilmente un buon mezzo per esprimersi, ma è musica molto elementare; e i rappers non sono cantanti, ma declamatori in versi. Io sono cresciuto con questi grandi batteristi e bassisti, poi sono passato a Stravinskij (un cambio di ritmo a ogni battuta, o quasi), a Couperin, Rameau, Rossini, Weber, una lista infinita che comprende anche Johann Sebastian Bach e tutti i contrappuntisti; e mi sono sempre stupito quando ho trovato chi mi diceva che erano noiosi. Che dire, vien buono un detto che usano gli economisti: la moneta cattiva scaccia quella buona. Sembra un paradosso, ma spiega tante cose: si comincia con l'accontentarsi di poco, magari da bambini, e poi è difficile uscire da quel piccolo recinto. I miei migliori auguri a chi ci prova, basta solo un po' di costanza; oggi è più facile di quando ci sono riuscito io, abbiamo youtube e non c'è nemmeno bisogno di spendere soldi per i dischi.

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