martedì 8 giugno 2010

Tòcio

- Prima di tutto bisognerebbe stabilire cos’è il tocio. – mi dice freddamente l’amico M.
Sapendo che M. è di origine veneta, come me, mi ero permesso un piccolo scherzo in una conversazione fra colleghi, sul lavoro; visto che la questione, sia pur molto amichevole, non accennava a risolversi, mi ero girato verso di lui e ammiccando, dopo tutti quei se, gli avevo buttato lì un verso di una canzone famosa, di quelle che una volta si cantavano in gita e che quindi conoscevano tutti: «Se il mare fosse tocio, e i monti de polenta...». Eh sì, se il mare fosse tocio, e i monti de polenta...
Ma a lui la mia battuta non era piaciuta, e il motivo era questo: essendo veneto di Marostica, a casa sua si diceva “pocio”, e non “tocio”. Differenza fondamentale: anche se io stavo dalla sua parte in quella discussione, mica si può fraternizzare con uno che dice tocio invece di pocio.
Ma la canzone dice proprio così:
La mia morosa vecchia / larì larà
La tengo di riserva / larì larà
E quando spunta l’alba
La mando a pascolar.
Perché non m’ami più?
Eccetera: mica sto qui a cantarla tutta. Nella seconda strofa (o era la terza?) sorge quest’immagine magnifica, degna di Gargantua e Pantagruel: i monti che diventano polenta, e il mare che è un immenso intingolo in cui immergere tanto ben di dio. Polenta e baccalà, che meraviglia.
Il “tocio” (io lo so perché i miei nonni erano veneti) è appunto quella cosa che in italiano se dise “intingolo”: con un bel diminutivo, “tocéto”, a renderlo ancora più buono. Per me era normale e naturale, anche mia mamma (che è emiliana) ormai diceva tocio e tocéto, pensavo che fosse cosa di dominio pubblico; invece scopro che a Marostica si dice pocio, parola che somiglia di più al milanese “puccia”, una parola che a me è sempre suonata poco elegante.
A dire il vero, il tocio e tocéto mi piacciono ancora molto, anche con il pane; e se qualcuno ha qualche sinonimo locale da propormi ascolto e prendo nota con piacere. Però intanto mi è tornato in mente quello che diceva Roberto Leydi, torinese, forse il maggior storico della musica popolare e delle nostre tradizioni: che il dialetto viene usato principalmente in due modi, ed uno è quello naturale e normale delle persone che parlano il dialetto come lingua sorgiva, materna; l’altro è il dialetto di chi vuole chiudersi e soprattutto isolare “gli altri”, quelli di fuori. La seconda opzione, spiegava ancora Leydi, si trova – sorprendentemente – anche fra le persone istruite.
Ecco, quando ascolto parlare quelli della Lega Nord mi tornano sempre in mente quelle parole di Leydi; e conoscendo bene i miei lombardi (soprattutto questi qua di Varese e di Como) so bene quanto possano essere chiusi, gretti, tirchi. Per fortuna, non sono tutti così: ma questo genere di lombardo, parente strettissimo dell’Avaro di Molière, è quello che sta trionfando in questo momento storico, e che detta legge a tutti quanti, isole comprese.

2 commenti:

Amfortas ha detto...

C'è anche la variante tociada, intesa come bagno in acqua di mare: andemo a farse una tociada, ma anche andemo a farse un tocio.
Cosa di cui avrei bisogno io in questo momento, perché oggi fa un caldo già fastidioso, almeno per me.
Ciao Giuliano.

Giuliano ha detto...

...intanto è tutto il giorno che canticchio...(che cos'è, "la mula de Parenzo"?)
:-)