giovedì 12 settembre 2019

Gianni Brera compie cent'anni

Gianni Brera nacque l'8 settembre 1919 e si celebra il suo centenario. Si merita questo ricordo affettuoso (ci ha lasciati nel 1992, per un incidente automobilistico), è stato un grande giornalista e anch'io nel mio piccolo gli ho dedicato due post qualche anno fa (qui per il link). C'è stata qualche esagerazione ("gigante del Novecento": no, nel '900 abbiamo avuto Pirandello, Primo Levi, Calvino, Buzzati...) e qualche imprecisione ("fu fascista e partigiano" scrive Angelo Carotenuto sul Venerdì di Repubblica del 20 agosto 2019: no, come tutti i nati e cresciuti sotto la dittatura, Brera potè prendere coscienza della vera natura del fascismo solo da adulto). A me però sembra interessante partire da Brera per arrivare a parlare del giornalismo sportivo di oggi, che versa - lo dico subito - in condizioni pietose.

Per quel che mi riguarda, sono sempre stato alla larga dalle trasmissioni sul tipo di quelle che conduceva Aldo Biscardi. Ho ricominciato a guardare le trasmissioni sul calcio nel 2006, al tempo di "calciopoli", per cercare di capire cosa stava succedendo. Avevo trovato diverse voci interessanti, ex calciatori come Anastasi, Mazzola, Mondonico, Francesco Morini, Ferrario, e soprattutto il giudice Piero Calabrò al quale devo dei ringraziamenti per le spiegazioni precise e chiarissime sul diritto sportivo (e non solo). Da allora, però, le cose sono cambiate e si è arrivati all'odierna - mi si perdoni la chiarezza - fiera del cretino. Un po' alla volta, le voci più serie e più preparate si sono tirate indietro, le tv private hanno preferito scegliere chi urla di più e i discorsi da bar (tra ubriachi, mi verrebbe da dire). Passi per le emittenti più dichiaratamente commerciali (c'è sempre il telecomando a disposizione) ma ascoltare certi discorsi su TeleNova, l'emittente della CEI e quindi dei Vescovi è veramente deprimente. La star è un ex calciatore che sembra sempre ubriaco (non lo è, e questo preoccupa) e sempre pronto a gridare; nella parte "seria" della trasmissione si depreca il fair play finanziario ("ai tifosi non interessa se hai i bilanci in ordine": una vera bestemmia, su una TV che dovrebbe educare), e così via. Non va meglio sulla Rai, dove trasmissioni un tempo gloriose come La Domenica Sportiva si riducono a una sbrodolatura di parole inutili con ospiti inutili, dove per vedere la partita che ti interessa ti tocca stare alzato fino all'una di notte: non perché trasmettano servizi e immagini, ma proprio per farti ascoltare le sbrodolature.

Gianni Brera sarebbe infastidito da tutte queste chiacchiere inutili, lui andava al sodo oppure faceva divagazioni alte, da persona di cultura. Questo dovrebbe essere il compito principale (morale) di chi scrive di calcio: il calcio è seguito anche da persone di scarsa o nulla istruzione, è un'occasione per migliorare le persone e la società, e farsi sfuggire queste occasioni è davvero un peccato grave.
« (...)All'epoca (quando Brera iniziò a scrivere professionalmente, dopo il 1945), molti di quelli che avevano scritto sui giornali fascisti si erano riciclati nello sport, ma tirandosi dietro una scrittura estremamente retorica, fatta di "fantaccini d'assalto", "estremo sacrificio", "cuore oltre l'ostacolo"... Per reazione, e anche come forma di lotta all'analfabetismo, i giornali mandarono a scrivere di sport, il genere più popolare, le loro firme migliori. Da Montanelli ad Alfonso Gatto, dalla Ortese a Pratolini e Orio Vergani. L'operazione di Brera è figlia di quel fermento.»
(Gianni Mura, intervistato sul Venerdì di Repubblica 30.08.2019, per i cent'anni di Gianni Brera)
Siamo tornati a quello stesso punto, là dove ha iniziato Brera, e direi che stiamo anche peggio perché non si prende nessuna iniziativa contro il tifo violento, organizzato in vere e proprie bande molto vicine alla criminalità. Ascolto qualche parola, qualche deprecazione, ma poi andare contro il tifo violento significa perdere ascoltatori, quindi le tv commerciali (che hanno bisogno dell'audience e sono quasi sempre dei semplici contenitori per la pubblicità) finiscono con l'assecondare il tifo, dicendo cose come "senza le curve lo stadio è un mortorio", e così via. Ormai il commento sportivo è quasi sempre becero o inutile, e le eccezioni sono pochissime. Qualche esempio di altre occasioni perdute: tempo fa Moggi (il perfido Moggi...) lanciò un suggerimento per un'inchiesta sulle squadre di calcio fallite finanziariamente dopo aver raggiunto obiettivi importanti, scudetti o promozioni in serie A. L'elenco è lungo, lunghissimo: Napoli, Torino, Sampdoria, e se poi si scende nelle categorie inferiori ci si accorge che ormai da decenni la serie C non è fatta sulla base delle classifiche ma sul criterio del "chi è rimasto in piedi" , cioè partecipano le squadre che non sono finite davanti al tribunale dei fallimenti (un'ecatombe ogni anno). Ci sono poi veri e propri scandali finanziari, squadre di fatto fallite ma salvate da amicizie importanti (Lazio e Roma, l'Inter di Moratti...).

Brera si interrogherebbe sul perché ci siano così tanti calciatori provenienti da federazioni estere, dato che l'Italia è stata da sempre una scuola di campioni o di ottimi giocatori. La risposta, a dirla tutta, starebbe alla Guardia di Finanza: far crescere e far giocare un ragazzo delle nostre parti (se è figlio di immigrati non importa) non porta soldi nelle tasche di agenti e procuratori. Far arrivare un calciatore dal Sud America, invece, può essere utile per portare un bel pacco di soldi in qualche paradiso fiscale caraibico: per cose come questa, è bene ricordarlo ogni tanto, fu condannato per frode fiscale nientemeno che Silvio Berlusconi. Non per il calcio, ma per i diritti di film e serie Tv; l'operazione è comunque molto simile (cinque anni di carcere in via definitiva, se non ricordo male). Sul perché la Finanza non indaghi ci si può interrogare, ma certo toccare il calcio non è facile, al punto in cui siamo arrivati. Ci sarebbero poi le tante interviste a Maradona, ma mai che si ricordi che l'acquisto di Maradona è collegato al fallimento del Banco di Napoli...

Sempre da Gianni Mura, nell'articolo citato sopra, leggo che Brera si offese e diede del pirla a Umberto Eco, che lo aveva paragonato a Gadda, "un Gadda spiegato al popolo", cioè un Gadda minore; ma è così per davvero, Carlo Emilio Gadda è stato davvero uno dei giganti del Novecento ed essere paragonati a lui, sia pure in minore, è una cosa di cui andare fieri. Gadda era più vecchio di Brera, ma i suoi libri più importanti sono stati pubblicati negli anni '50 e '60, quando il giovane Brera cominciava a diventare una firma importante. Facile immaginare che Brera si sia letto tutto Gadda, prendendolo a modello magari senza pensarci troppo. La verità è che Eco stimava Brera, lo leggeva e lo conosceva. Mi viene da dire: magari lo dicessero a me, che somiglio a Gadda ma in piccolo...

In conclusione, il discorso non riguarda solo l'ambito sportivo ma un po' tutto il giornalismo e il mondo della cultura in generale. Lascio da parte la politica e il modo in cui viene descritta, però non posso non segnalare che ho appena visto in tv a "Quante storie", il programma di Raitre che è stato di Corrado Augias, l'esaltazione dei Vanzina davanti a degli studenti universitari di una scuola di cinema. Se il dopo Augias è l'esaltazione dei Vanzina, se nelle scuole di cinema si insegnano Fantozzi e Lino Banfi, siamo davvero messi male. I grandi giornalisti, i grandi scrittori, i grandi conduttori televisivi, non hanno avuto eredi.

Tornando allo sport, chissà cosa direbbe Brera del ciclismo, dove chi vince il Giro o il Tour viene subito dopo squalificato e arrestato, magari anche dopo dieci anni. Vale la pena occuparsi ancora di queste cose? A chi credere, di chi fidarsi? Possibile che nessuno si ponga queste domande?
Non credo che Gianni Brera oggi scriverebbe di calcio, forse farebbe tutt'altro, magari l'ingegnere o l'astronauta, vista la sua passione per il paracadutismo. Da questo giornalismo, e da questo calcio, meglio star lontani.

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