1) Quell'apparecchio, che veniva
chiamato teleschermo, si poteva abbassare di volume, mai annullare
del tutto.
2) Lontano, un elicottero volava fra un
tetto e l'altro; se ne restava librato per qualche istante come un
moscone, e poi saettava con una curva in un'altra direzione. Era la
squadra di polizia, che curiosava nelle finestre della gente. Le
squadre non erano granché importanti, tuttavia: quello che
soprattutto contava era la polizia del pensiero, la cosiddetta
Psicopolizia.
3) Si doveva vivere, o meglio si viveva
per un'abitudine che era infine diventata istinto, tenendo presente
che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di
essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto.
(George Orwell, 1984, le prime tre
pagine)
Nella cosiddetta "fase due"
del periodo del Covid-19 dovremo dunque andare in giro con le
mascherine sul volto, e con una "app" sullo smartphone che
segnali tutti i nostri movimenti: alla tv, sui tg Rai, questa viene
definita "nuova normalità". Siamo dunque ben dentro alla
"neolingua" immaginata da George Orwell settant'anni fa:
inventarsi una frase come "nuova normalità" è soltanto
ipocrisia, perché la normalità consiste nell'andare in giro senza
mascherine, nell'abbracciarsi, nello stringersi le mani. Il resto
sono balle, invenzioni linguistiche senza senso, l'ennesima trovata
degli inventori di slogan pubblicitari che ormai hanno invaso ogni
nostra comunicazione. Che mai significa "nuova normalità"?
(sarà come questa, magari) E che dire dell'altro slogan,
"andrà tutto bene"? Ci sono 500 morti al giorno, da due
mesi in qua: andatelo a dire ai parenti delle vittime che andrà
tutto bene e vediamo cosa vi risponderanno.
Meno male che c'è il Papa a
ricordarlo, ancora una volta papa Francesco dice le cose come stanno:
la normalità è nel contatto umano, in un sorriso, in un abbraccio.
Il resto sono balle, ipocrisia: stiamo vivendo un periodo di
emergenza, prendiamo i provvedimenti più adatti e speriamo che passi
presto, che si possa tornare presto alla normalità - quella senza
aggettivi, per piacere. Confesso che sono molto più preoccupato del
"dopo" che non del virus in sè. Siamo in un periodo molto
delicato, è la democrazia stessa ad essere in pericolo. Oggi è il
25 aprile, la democrazia non è stata un regalo ma una conquista; l'auspicio è di non
perdere questi ultimi 75 anni di pace e di buona convivenza, ma
quello che vedo e ascolto non mi dà molte speranze.
La gente semplicemente non capisce,
pochi hanno letto Orwell (1984) e Huxley (Brave new world) e anche
tra quelli che li hanno letti pochi hanno capito. Le nuove tecnologie
sono belle ma molto pericolose; in ballo c'è proprio la normalità,
e la democrazia che della normalità fa parte.
Gli imbonitori non mancano: una notizia
recente circola a proposito di Google view, con un giovane uomo che
dice "ho rivisto mio padre": morto sette anni fa, il padre
di quest'uomo era stato immortalato su Google View e non è mai stato
cancellato. Le nostre immagini, riprese e mandate in diretta, dunque
non vengono mai cancellate: la violazione della privacy è colossale,
ma è così ben cammuffata dal modo in cui è data la notizia che
quasi non ci si fa caso. I teleschermi nelle stazioni, il
riconoscimento facciale, le videocamere ovunque, gli smartphone, la
smart tv che memorizza le nostre preferenze, perfino le bambole che
registrano cosa dicono le bambine e lo trasmettono al produttore del
giocattolo (per quest'ultima cosa è in corso un procedimento
giudiziario in Germania, purtroppo non è una notizia inventata). La
scusa è sempre pronta: il terrorismo e la criminalità, adesso anche
le malattie, fanno mettere da parte la privacy come cosa secondaria.
Del resto, la privacy è stata ridotta a barzelletta da leggi e
regolamenti recenti: non ci si può opporre all'invadenza, se non dai
il consenso al trattamento dei tuoi dati ormai non puoi fare più
niente. Sui siti internet, e purtroppo anche su Raiplay (parte del
servizio pubblico) puoi dialogare solo con un tasto con su scritto
"ok approvo". O approvi, o sei fuori: e così andrà anche
con la app "Immuni".
Altri esempi di neolingua, o di
sbadataggine pura e semplice (fate voi): nei corridoi di un ospedale
comasco è apparso un cartello con una frase di Paul Claudel: «Quando
pensiamo che sia giunta la fine, ecco che un pettirosso si mette a
cantare». La metto a confronto con un'altra notizia, sempre dallo
stesso giornale (La Provincia di Como) e nella stessa data (21 aprile
2020): a Lambrugo si costruirà un nuovo supermercato, su un'area
agricola a cui è stata cambiata destinazione. C'è ancora spazio per
i pettirossi? In un servizio recente del telegiornale si mostrava
come si stia pensando di sostituire le api con piccoli droni, per
l'impollinazione; figuriamoci cosa importa dei pettirossi a chi passa
le giornate chino sullo smartphone. E, soprattutto, non sono mica
tanto sicuro che i parenti dei morti in quell'ospedale (e in altri)
leggano volentieri queste frasi. Per i loro cari, il pettirosso non
canterà mai più.
In questi giorni, da lombardo, ho anche
scoperto che quelle che io chiamavo ASL, azienda sanitaria locale,
sono diventate ATS. La novità è di tre anni fa, ma io non ci avevo
fatto caso e ci sono arrivato solo dopo una conferenza stampa del
presidente della Regione. La A è rimasta ed è sempre quella,
significa "azienda": diventare come delle aziende, che
magari fanno profitti, era la parola d'ordine dei Formigoni, dei
Berlusconi, dei Brunetta, della Lega. Sono passati più di vent'anni,
era già neolingua.
Infine, io non ho uno smartphone. Cosa mi succederà?
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