La béuta è una piccola
bottiglia, o bicchiere, fatta un po' come un vaso di fiori. Può
essere di varie dimensioni, avere la bocca larga o stretta, avere un
tappo smerigliato oppure no: l'importante è che sia comoda, e adatta
allo scopo.
La buretta invece è un
tubo graduato, molto lungo e stretto, con in fondo un rubinettino,
dal quale far scendere a goccia a goccia il reagente (di solito,
dentro ad una beuta). Ma questo in tempi antichi: ormai le burette di
questo tipo non si usano quasi più, e sono state soppiantate, già a
partire dagli anni '70, da un altro tipo di apparecchio: una
bottiglia collegata tramite tubicini di plastica a una pompetta a
pistone. Il pistone sale e scende, più veloce o più lento, azionato
da un pulsante simile a quello dell'autopista; e a fine corsa (di
solito 20 centimetri cubi) si ferma e torna a riempirsi, pescando
dalla bottiglia che contiene il reagente. E' molto più comodo e più
preciso, non richiede una gran manutenzione e c'è un solo problema:
che il collega che era in turno prima di te non abbia riempito la
bottiglia (ahimé, succede).
Detto questo, penso che
invece tutti sappiate cos'è una stagista: è una studentessa (in
questo caso è una ragazza, ma può essere anche un maschio) che
viene mandata in fabbrica per imparare qualcosa sul mondo del lavoro.
Una pratica molto utile, e molto apprezzata; e poi, in questo caso,
la stagista è una ragazza molto carina, e il mio collega più
giovane (un bravissimo ragazzo) le ha messo subito gli occhi addosso.
Il mio collega è molto educato e un po' timido, la ragazza anche. E
così, quando ci portano un campione d'impianto, il giovane analista
le chiede se vuole guardare mentre si fanno le analisi su quel
campione. Detto fatto, eccoli davanti alla buretta automatica (di
quelle con lo stantuffo) ad iniziare l'analisi. Il nostro capo, la
Dottoressa, è curiosa: e poi questa è un'analisi che sa fare, e
vuol darsi un contegno. E' un'analisi a controllo visivo, cioè
bisogna aggiungere il reagente al campione fino a cogliere il
viraggio, cioè il cambiamento di colore, dal rosa al grigio-azzurro,
che indica la fine dell'analisi. Un'analisi di routine, per noi: ne
facciamo anche venti o trenta per turno.
- Glielo faccio vedere io,
- dice la Dottoressa all'analista - intanto tu vai di là al computer
a fare quei certificati, che il magazzino li richiede già da
mezzora.
Il giovane analista, forse
un po' triste, esegue e si allontana. Intanto arriva il Dottor
Biribò: perché questo non è un campione qualsiasi. L'impianto,
infatti, ha dei problemi e servono subito i dati: soprattutto quello
che deve uscire da quest'analisi che la Dottoressa sta mostrando alla
stagista. Ma il viraggio non arriva, eppure abbiamo già messo molto
più reattivo di quello che servirebbe.
- Provi un po' a fare il
conto, - suggerisce, gentile ma teso, il Dottor Biribò - Dovrebbe
venire un valore intorno al 29%.
- Viene 45: è possibile?
- risponde dopo un po' la Dottoressa.
- No. - risponde il Dottor
Biribò, forse cominciando un po' a sudare freddo. - Forse c'è
qualcosa che non va. E' giusta la pesata?
- Penso, - risponde la
Dottoressa; e continua l'analisi, mentre il povero Biribò va su e
giù per il laboratorio come un'anima in pena, e ha già telefonato
due o tre volte in reparto. Finalmente, la Dottoressa si risolve di
chiamare il suo sottoposto, che arriva e controlla.
- Non è che ne hai pesato
troppo, di campione? - gli chiede un po' stizzita.
- No, Dottoressa: è che
la bottiglia è vuota. Stava pompando aria, e non reagente. Non se ne
è accorta? Eppure il livello del liquido nella beuta non è
aumentato... a quest'ora dovrebbe traboccare. La riempio subito, ma
poi bisognerà rifare il fattore...
- Non importa, lasci
perdere - dice il Dottor Biribò. - Fate pure con calma, tanto stanno
già cambiando produzione. Vi faccio portare il campione direttamente
dalla macchina.
E se ne va, stranamente
controllato, forse sospirando. Il mio giovane collega comincia a
riempire la bottiglia del reagente, assistito dalla stagista. Che è
proprio carina: ha un aspetto quieto e intelligente, e - forse per
via dei suoi lineamenti ancora un po' infantili - assomiglia a una
di quelle belle bambole di porcellana che una volta si mettevano sui
letti matrimoniali. Che peccato, che io non sia più tanto giovane...
PS: Magari qualcuno si chiede perché pubblico queste cose, domanda più che legittima. Provo a spiegare: il primo motivo è che mi sono divertito a rileggere, sono passati tanti anni e me ne ero dimenticato ma è un numero comico degno di Stan Laurel & Oliver Hardy. Il secondo motivo, e chiedo scusa se qualcuno si offende, è che vent'anni fa pensavo di essere stato sfortunato e invece stavo assistendo in prima persona a un cambiamento epocale. Dal 1998 in qua, infatti, queste persone hanno cominciato ad assumere posti sempre più di rilievo; i risultati sono sotto i nostri occhi in questi giorni. Per fortuna, c'è ancora molta gente capace, non tutto è perduto.
PPS: per chi avesse equivocato, qui c'è scritto cosa penso delle donne sul lavoro. Questa è una storia vera, vorrei tanto poterla modificare ma così è andata.
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