mercoledì 28 marzo 2012

Milano, l'arengario

Le prime volte che venivo a Milano, devo ammetterlo, che ci fosse un Arengario mi era proprio sfuggito. C’erano tante cose da vedere, in Piazza del Duomo: i piccioni per esempio (a me piacciono molto i piccioni, e anche le tortore, e anche i bambini e i turisti che si fanno fotografare coi piccioni), ma anche il cavallo del monumento, il leone, tante cose. Dell’Arengario (che non sapevo ancora che si chiamasse così) più che altro mi aveva colpito il grande terrazzo, e ci ero andato sopra con una ragazza (a dire il vero, mi ci aveva portato lei: sono sempre le ragazze che insistono per andare in alto, sulle terrazze, sulle guglie del Duomo, nei piani alti del caffè in Galleria...). Avrei capito solo in seguito che cos’era, da dove veniva, e già mi era poco simpatico all’inizio, figuriamoci dopo. Ma, in fin dei conti, non è mica colpa sua, se è così brutto: casomai di chi l'ha progettato e costruito.
Comunque sia, il mio parere è esattamente questo:
- Torniamo a Milano. Il Museo del Novecento non le è piaciuto.
«No. A mio avviso l'errore principale sta nel rapporto tra contenitore e contenuto. Credo che sia mancata un'analisi di cos'era l’Arengario, del perché era stato costruito: un luogo, cioè, da cui Mussolini poteva arringare le folle. Dall'assenza di un brivido di orrore penso nasca la mancata riuscita dell'impresa. Anche i tempi veloci di messa in opera non li considero un fatto positivo. Si è avuta l'impressione che la volontà politica di arrivare a un'inaugurazione in tempo per le scadenze elettorali abbia avuto la meglio su rigore e pensiero. Speriamo che si proceda a dei correttivi. Ma i Morandi e i De Chirico sui pianerottoli, tra scale mobili e segnali acustici degli ascensori, come dentro una Fnac o un Coin, temo resteranno».
- E il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo sulla rampa d'ingresso?
«La collocazione odierna penalizza moltissimo il dipinto. Sembra un grande poster».
(Giovanni Agosti, storico e critico d’arte, dal Venerdì di Repubblica 7 ottobre 2011)
Non so bene chi sia Giovanni Agosti e non lo conosco di persona, ma in quest’occasione ha espresso benissimo anche il mio pensiero in proposito, e per questo lo ringrazio.
Ma poi che cos’è, di preciso, un arengario? Questa è la definizione secondo la Garzantina: «Arengario: in epoca comunale, il luogo dell’assemblea popolare, poi l’assemblea stessa, e infine l’edificio o il pulpito da cui si “arringava” il popolo.»  «Arengo: nei comuni medievali, assemblea di tutta la cittadinanza (parlamento). Pur convocato raramente, aveva ampi poteri deliberativi.»
Un Arengario è quindi una costruzione medievale, dell’epoca dei Comuni; l’origine del nome è la stessa di “arringare”, l’arringa dell’avvocato, arringare la folla, queste cose qui. Essendo una costruzione che risale agli anni ’20 del Novecento, l’arengario di Milano è quindi un arengario solo per modo di dire, non autentico. Invece a Monza, per chi volesse farci un giro, c’è un Arengario vero: medievale, e non farlocco come questo di Milano
(la foto dell’Arengario è mia, è la stessa dell’altro giorno per Palazzo Reale, qui non si butta via niente e non si spreca niente.)

2 commenti:

Grazia ha detto...

Sapevo poco o nulla dell'arengario, ma da come lo vedo (e ne parli) mi pare l'edificio meno adatto a un Museo del Novecento. Già il nome mi pare più consono alle passate arringhe di Mussolini( e a quelle attuali di Bossi) che al terzo stato di Pelizza da Volpedo.

Giuliano ha detto...

mah, forse sono stato un po' troppo cattivo con l'arengario di Milano...bastava non enfatizzarlo, non evidenziarlo, nella piazza ci può anche stare. Le linee sono un po' quelle dell'Eur a Roma, che piaceva molto a Fellini ma per un motivo evidente: è un set cinematografico perfetto, anche per gli incubi. (e poi, meglio tenersi le cose vecchie anche se sono brutte: oggi l'architettura dominante ha lo stile o del centro commerciale o del grattacielo...) (ci sono in giro di quelle schifezze!)