sabato 10 marzo 2012

Piazza San Babila

La basilica di san Bàbila è uno dei posti di Milano a cui sono più affezionato. Innanzitutto, è una chiesa molto bella; l’origine è antica, ma ha subìto molte trasformazioni nel corso dei secoli. E poi ho diversi ricordi nei dintorni, nel suo lato verso corso Monforte: ricordi piacevoli e anche abbastanza strani, che per oggi lascerò a riposare nella mia memoria. Mi piacciono anche i dipinti e i mosaici all’interno, che risalgono all’inizio del Novecento: trovo belli soprattutto quelli del ferrarese Mentessi, nelle pareti laterali.
Insomma, della chiesa in San Bàbila, e della colonna sormontata da un leone che le si trova davanti, non posso che parlare bene. I problemi mi sorgono dopo, quando esco dalla chiesa e le volto le spalle. Piazza San Bàbila, a parte la chiesa, è veramente uno dei posti più brutti di Milano.
La chiesetta in San Bàbila (ormai mi viene da chiamarla così, non più Basilica ma “chiesetta”) schiacciata dal marmo e dal cemento razionalista-futurista di inizio Novecento, finisce per sembrare un corpo estraneo. Viene perfino il sospetto che in quegli anni abbiano pensato di buttarla giù, so bene che i mattoni rossi e le forme tondeggianti e gentili del romanico danno ancora fastidio, cent’anni dopo Terragni; ma si sa che c’è gente che trova fastidiosa la vista dell’orizzonte, figuriamoci una chiesa in mattoni.
Pensando a Piazza San Babila, mi chiedo cosa possa pensare un estraneo vedendola per la prima volta: non necessariamente un marziano ma magari un coreano, un arabo, un nigeriano. Essendo del tutto all’oscuro della nostra storia, la prima cosa che salterà all’occhio è che la chiesa è molto più antica di tutto quello che la circonda; voltando le spalle alla chiesa, un egiziano potrà pensare che palazzoni così ci sono anche al Cairo, a Tunisi, ovunque. Ma un egiziano avrebbe comunque nozione di cos’è una chiesa, in qualche modo potrebbe raccapezzarsi; qualcun altro invece, magari uno dei nostri bambini, potrebbe pensare di essere finito a Disneyland o a Gardaland, una bizzarria architettonica (la chiesa) distrattamente dimenticata in mezzo al cemento e ai palazzoni.
Che Milano sia brutta, in paragone alle altre città antiche d’Italia, è un luogo comune molto radicato: brutta e grigia. Una volta ricordato che il grigio è il colore del cemento, e quindi del Novecento (la chiesa di San Bàbila è rossa, i palazzi ottocenteschi sono gialli o rosa antico), chi conosce Milano sa che non è così, che a Milano ci sono ancora molti luoghi belli; ma poi bisogna abbassare la testa e ammettere che sì, è vero, Milano poteva essere una bella città ma molti danni sono stati fatti, la maggior parte recenti e irrimediabili.
Ciò che avrebbe potuto essere Milano lo si vede, San Bàbila a parte, camminando nella zona verso la Rotonda del Besana, nelle zone delle antiche Università, verso l’Istituto dei Tumori, qua e là alla Bovisa: qualcosa è ancora rimasto. Nel resto della città, ad aver trionfato è il cemento fascista, futurista e razionalista, roba da palazzinari, costruzioni fatte in fretta, velocemente, unificate da un look cimiteriale di marmo e di cemento. Tutto questo è ben visibile in piazza San Babila. I portici non sono male, questo va detto, ma i portici non sono la piazza.
Piazza San Bàbila è stata ristrutturata almeno un paio di volte, da quando la conosco io: il risultato di questi continui “restyling” è sempre peggiore del precedente. Di questo peggioramento è testimone la vasca di lamiera che vorrebbe fare da fontana, al lato opposto della Basilica: l’arredo urbano che c’era prima era ugualmente brutto, visti i risultati forse era meglio non toccare niente e limitarsi alla messa in sicurezza della piazza; ma dietro a ogni restyling e rifacimento ormai sappiamo cosa trovare, e suppongo che anche questa vasca, di per sè innocente nella sua bruttezza, abbia dietro qualche storia da raccontare: non tanto a me o ai passanti, ma magari a qualche giudice istruttore.
Qualche notizia storica, e qualche immagine, che prendo da un libro in vendita dentro la Chiesa.
San Bàbila fu vescovo di Milano fino al 250 d.C., anno in cui morì. Per dare un’idea del periodo storico, si può ricordare che Sant’Ambrogio visse fra il 339 e il 397. La chiesa a lui dedicata ha una storia molto lunga, le prime notizie certe di un assetto simile all’attuale risalgono al 1099 e al 1140, e fu probabilmente costruita vicino a una delle porte della città, della quale porta si è però persa ogni memoria. Lo stile architettonico originale è il romanico lombardo; la facciata fu però rifatta nel Seicento, in stile neoclassico. L’assetto attuale, con il ripristino del romanico, si deve ai lavori effettuati a partire dal 1881 sotto la guida dell’architetto Cesa Bianchi, che dovette intervenire a restaurare la Basilica, chiamato dalla Curia, a causa di pericolose infiltrazioni di umidità. I lavori furono completati nel 1926; della facciata neoclassica esistono le fotografie.
La colonna con la scultura leonina fu collocata nel 1626, il suo significato è ancora oggetto di molte interpretazioni, delle quali la più probabile è un riferimento a Venezia: il nome completo è infatti “colonna di Porta Orientale”. I dipinti e i mosaici all’interno, risalenti all’epoca dell’ultimo restauro, sono opera di diversi artisti, tra i quali Giuseppe Bertini, Luigi Pogliaghi, Giuseppe Mentessi, Luigi Cavenaghi. Il battistero risale al 1937, architetto Alfonso Orombelli.
(notizie da “La Basilica di San Babila” di Adele Buratti Mazzotta e Alessandro Gandini, in vendita solo all’interno della Basilica) (mio riassunto, il libro è molto bello e ricco di immagini e di notizie)

2 commenti:

Grazia ha detto...

Conosco pochissimo Milano e mi piace l'idea di fare un tour inconsueto attraverso i tuoi post.

Giuliano ha detto...

più che altro, un tour nella mia memoria...nessuna pretesa di fare qualcosa in più.
comunque, grazie: prossima tappa Piazza Cadorna, con annessa stazione.