giovedì 12 novembre 2009

The antique people ( II )


Tornando a “Goodbye and Hello”, a Larry Beckett & Tim Buckley, prima di andare avanti con la traduzione devo affrontare un’altra frase che mi risuona spesso nella memoria. Dopo “afraid of the tax”, di cui ho parlato nel post precedente (la “gente antica”, che “ha paura delle tasse”), si tratta di “petrified by tradition, in a nightmare they stagger”: che è nella seconda strofa.
In attesa di prendere il dizionario e capire cosa significa “stagger”, il resto è chiarissimo ed è un’immagine ancora una volta molto forte e inaspettata: la tradizione, che provoca incubi e che pietrifica.
La tradizione vista come Medusa nel mito di Perseo: Medusa pietrifica con lo sguardo, Perseo la sconfigge usando uno specchio che le riflette addosso i suoi poteri. Quindi Perseo porta con sè la testa di Medusa, e la userà per pietrificare il mostro marino (un drago?) e salvare Andromeda incatenata ad uno scoglio.
Le tradizioni non sono eterne: hanno anch’esse una data di nascita e una data di morte; il che significa che qualcuno le ha inventate, e che al loro primo apparire erano delle novità, spesso viste come pericolose e antipatiche, innaturali. Sarà poi il corso del tempo a dar loro un’aura di sacralità e di eternità.
Per esempio la messa cattolica in latino, quella che si definisce Tradizione, nasce alla fine del ‘500, con il Concilio di Trento: prima la Messa si diceva in un altro modo. E’ vero che la Messa tridentina riprende le tradizioni precedenti, ma agli inizi del XVII secolo tutti i preti e i fedeli furono costretti a studiare la novità e ad abbandonare il rito “così come lo avevano sempre fatto”.
Ho imparato questo concetto, della Tradizione che non c’è sempre stata ma ha un punto d’inizio, da un libro al quale sono molto affezionato, e che è stato scritto da un chimico: un chimico che sarebbe diventato molto famoso in seguito, ma che all’epoca del racconto era un ragazzo di venticinque anni all’inizio della sua carriera lavorativa – e che molti a questo punto avranno già riconosciuto. Ne riporto qui un passo, ricordando – un piccolo consiglio pratico - che le vernici sono quasi tutte a base di oli e dei loro derivati; e che quindi se vi sporcate le mani e non volete usare l’acquaragia, che puzza, per pulirvi basterà andare in cucina e lavarsi le mani con un qualsiasi olio di semi (o d’oliva, che però costa di più).


C'era pesce come secondo piatto, ma il vino era rosso. Versino, capetto della manutenzione, disse che erano tutte storie, purché il vino e il pesce fossero buoni: lui era sicuro che la maggior parte dei sostenitori dell'ortodossia non avrebbero distinto ad occhi chiusi un bicchiere di bianco da uno di rosso. Bruni, del reparto Nitro, chiese se qualcuno sapeva perché il pesce vada col bianco: si udirono vari commenti scherzosi, ma nessuno seppe rispondere in modo esauriente. Il vecchio Cometto aggiunse che la vita è piena di usanze la cui radice non è piú rintracciabile: il colore della carta da zucchero, l'abbottonatura diversa per uomini e donne, la forma della prua delle gondole, e le innumerevoli compatibilità ed incompatibilità alimentari, di cui appunto quella in questione era un caso particolare: ma del resto, perché obbligatoriamente lo zampone con le lenticchie, e il cacio sui maccheroni?
Io feci un rapido ripasso mentale per accertarmi che nessuno dei presenti l'avesse ancora udita, poi mi accinsi a raccontare la storia della cipolla nell'olio di lino cotto. Quella, infatti, era una mensa di verniciai, ed è noto che l'olio di lino cotto (ölidlinköit, in piemontese) ha costituito per molti secoli la materia prima fondamentale della nostra arte. (...) Per ritornare dunque all'olio di lino cotto, raccontai ai commensali che in un ricettario stampato verso il 1942 avevo trovato il consiglio di introdurre nell'olio, verso la fine della cottura, due fette di cipolla, senza alcun commento sullo scopo di questo curioso additivo. Ne avevo parlato nel 1949 col Signor Giacomasso Olindo, mio predecessore e maestro, che aveva allora superato la settantina e faceva vernici da cinquant'anni, e lui, sorridendo benevolmente sotto i folti baffi bianchi, mi aveva spiegato che in effetti, quando lui era giovane e cuoceva l'olio personalmente, i termometri non erano ancora entrati nell'uso: si giudicava della temperatura della cottura osservando i fumi, o sputandoci dentro, oppure, piú razionalmente, immergendo nell'olio una fetta di cipolla infilata sulla punta di uno spiedo; quando la cipolla cominciava a rosolare, la cottura era buona. Evidentemente, col passare degli anni, quella che era stata una grossolana operazione di misura aveva perso il suo significato, e si era trasformata in una pratica misteriosa e magica. (...) A questo punto io feci osservare che tutti i linguaggi sono pieni di immagini e metafore la cui origine si va perdendo, insieme con l'arte da cui sono state attinte: decaduta l'equitazione al rango di sport costoso, sono ormai inintelligibili, e suonano strambe, le espressioni «ventre a terra» e «mordere il freno»; scomparsi i mulini a pietre sovrapposte, dette anche palmenti, in cui per secoli si era macinato il grano (e le vernici), ha perso ogni riferimento la frase «macinare» o «mangiare a quattro palmenti», che tuttavia viene ancora meccanicamente ripetuta. Allo stesso modo, poiché anche la Natura è conservatrice, portiamo nel coccige quanto resta di una coda scomparsa. Bruni ci raccontò un fatto in cui era stato lui stesso implicato, ed a misura che raccontava, io mi sentivo invadere da sensazioni dolci e tenui che cercherò poi di chiarire (...)
(Primo Levi, da “Il Sistema Periodico”, il racconto intitolato “Cromo”)

Che cosa ci fa una cipolla nella ricetta industriale per fare le vernici? Niente, a questo punto: i termometri erano disponibili e costavano meno che in passato, non c’era più bisogno di misurare la temperatura dell’olio come si fa a casa con il soffritto; ma gli operai e i tecnici continuavano a usarla, perché “guai, non si sa mai”. Il racconto prosegue ed è uno dei miei preferiti in assoluto, e prevede un colpo di scena: a iniziare una Tradizione fu proprio Primo Levi in persona, che la racconta sorridendo. Una Tradizione ormai insensata, ma si continuava a fare: perchè “guai, non si sa mai, se non fai così magari poi non viene”.
Insomma, le Tradizioni sono una bella cosa ma è sempre utile ogni tanto interrogarsi su di esse, rinfrescarle, ripensarci. Di solito sono i giovani che contestano le Tradizioni, per poi diventarne gelosi conservatori quando hanno capito a cosa servono; in questi ultimi decenni è però capitato il contrario e non mi sembra buon segno.
PS: dimenticavo: “nightmare” è l’incubo, e “to stagger” significa “avanzare barcollando”. “Pietrificati dalla Tradizione, avanzano barcollando in un incubo...”
(continua) (forse)

2 commenti:

Ermione ha detto...

Molto molto interessante e godibile questo partire da un testo di Tim per una riflessione sulle tradizioni. E quel brano di Primo Levi: letto mille anni fa, me l'hai ricordato ora e, insieme, mi hai fatto venire voglia di rileggere tutto il libro.
Sto ascoltando brani di Tim, ma preferisco ancora di gran lunga la voce di Jeff.

Giuliano ha detto...

Ti regalo un altro verso: "I came here to hold, and be held for a while..."
(viene da "Lorca", 1970: il primo lp di Tim Buckley che ho ascoltato)(voce ineguagliabile per tecnica ed estensione - al di là delle preferenze personali).
Ma Larry Beckett a quanto ne so c'è ancora, oggi è un simpatico signore con i baffoni bianchi... è la fine che facciamo noi giovanotti
:-)