Ho imparato a conoscere Boris Christoff quando ero sui diciott’anni, e l’opera lirica ancora non mi piaceva; ma la TSI, la tv della Svizzera Italiana, gli aveva dedicato una lunga intervista, che io avevo visto senza cercarla, per caso (ammesso che queste cose succedano per caso: a dire il vero, ne dubito fortemente).
Christoff non poteva passare inosservato, neanche in tv: per la voce, ma anche per l’aspetto. Non che fosse imponente fisicamente, era sì alto e forte ma tutto sommato nella norma: era proprio qualcosa di suo, di naturale, un carattere che impone soggezione. Magari in privato, a casa sua, sarà stato una persona simpatica e cordiale: ma così, in veste ufficiale, Christoff sembrava davvero uno Zar, un Grande Inquisitore, un Filippo II, o il Gran Sacerdote dell’Aida. Certo, la voce di basso aiuta: i bassi del teatro lirico, a sentirli parlare, fanno tutti un po’ soggezione. Ma Christoff era proprio un’altra cosa, e del resto basta ascoltare i suoi dischi per capire cosa intendo.
Christoff, bulgaro di nascita, aveva spiegato di essere arrivato in Italia molto giovane, e di aver studiato con il baritono Riccardo Stracciari: un cantante di grande fama, e un insegnante molto attento ma anche molto esigente, soprattutto nella dizione. Un’ottima scuola, a giudicare dai risultati: molti cantanti d’opera si mangiano le parole, ma con Christoff si può fare a meno di leggere il libretto, ogni singola parola è scandita (e cantata!) con enorme precisione e chiarezza assoluta. Non aveva una voce bellissima, Christoff: piuttosto aspra, scura, non la voce morbida e fluente di un altro basso altrettanto grande Nicolai Ghiaurov (bulgaro-italiano come lui, e di lui più giovane), ma una voce precisa, potente, intonatissima, personalissima e impressionante.
Parlando di musica, Boris Christoff è stato una presenza fondamentale per me, una delle persone che – suo malgrado – mi hanno indicato la strada giusta da seguire. A un certo punto mi è anche capitato di conoscerlo di persona, gli ho perfino stretto la mano – io ero più alto di lui e mi ha guardato un po’ male, abituato com’era ad essere il Re, lo Zar, il Gran Sacerdote, e di conseguenza a stare sempre un gradino più in alto, a guardare tutti dall’alto in basso.
Ma, andando con ordine, e specificando subito che io non sono abituato a importunare i grandi artisti (e nemmeno le persone normali), quel giorno nel camerino mi ci avevano portato le persone con cui ero andato all’opera, a Parma. Il mio comportamento consueto era questo, al termine degli spettacoli: magari applaudivo anche per venti minuti di fila, ma poi andavo subito a casa. Anche se avessi incontrato Carlos Kleiber o Claudio Abbado, cosa mai avrei potuto dirgli? Una riconoscenza infinita, questo sì; ma la riconoscenza l’avevo già espressa con gli applausi, pensavo che bastasse. Oltretutto, io non sono un musicista e uno come Christoff della mia approvazione di semplice ascoltatore poteva benissimo farne a meno.
Ho ascoltato Boris Christoff una volta sola: si era già ritirato da tempo, ma ogni tanto si concedeva un’uscita, e l’8 gennaio 1982 cantò a Parma nel Don Carlos di Giuseppe Verdi, in uno dei suoi ruoli preferiti: Filippo II re di Spagna. Era ancora in ottima forma, e non capita a tutti. Accanto a lui, Renato Bruson, Ghena Dimitrova, Luigi Roni, Vasile Moldoveanu, Stefania Toczyska; direttore Günther Neuhold.
Al termine dello spettacolo, mi portarono a fare un giro nei camerini: io non ero abituato, ma si usava. Anche di persona, visto da vicino, Christoff era impressionante: sembrava essere rimasto nel suo personaggio, era molto cordiale ma un suo sguardo o un’alzata di voce, anche in una conversazione normalissima, facevano comunque sobbalzare. Mi venne da pensare che se fosse stato un maestro di scuola avrebbe ottenuto attenzione e disciplina anche nella classe più agitata, semplicemente alzando un sopracciglio (e se poi avesse deciso di alzare la voce...).
Avevo già tutti i suoi dischi: il Boris Godunov di Mussorgskij, il Don Carlos, il Simon Boccanegra, Una vita per lo Zar, Il principe Igor. Oltretutto costavano poco, perché nella musica classica e operistica vale il principio opposto a quello che si potrebbe immaginare, e cioè che le incisioni leggendarie costano meno delle altre. E’ così da sempre, perché si crede che le incisioni degli anni ’50 e ’60 e ’70 (prima del digitale) siano peggiori: ma così non è, e gli appassionati lo sanno.
Non è tutto oro quello che luccica, col digitale e col computer si fanno facilmente trucchi meschini (un po’ come capita con photoshop per le immagini), ma soprattutto si impara presto che è l’interpretazione che conta, non il modo in cui la si è registrata. Certo, l’ideale è avere un’esecuzione leggendaria ottimamente registrata: ma se volete ascoltare Enrico Caruso sappiate che ci ha lasciati nel 1921, se volete ascoltare Furtwaengler e Toscanini, le loro incisioni più recenti risalgono ai primi anni ’50; se volete ascoltare Maria Callas, i suoi anni d’oro vanno dal 1948 al 1958. Gli anni migliori di Pavarotti, per fare un esempio recente, sono quelli tra il 1960 e il 1980; ma conviene restare il più vicini possibile al 1960, è lì che vive la leggenda di Pavarotti, e sono già registrazioni eccellenti. Del resto, poco tempo fa chiesero a Maurizio Pollini quale fosse la registrazione migliore di Chopin, e Pollini non ebbe esitazioni: Arthur Rubinstein per la RCA, anno 1956.
Di Boris Christoff la mia Garzantina dice: «Christoff, Boris (1919-1993) nato a Plovdiv, basso bulgaro naturalizzato italiano. Perfezionatosi a Milano con Riccardo Stracciari, esordì nel 1946 a Roma con la Bohème di Puccini. Specialista del repertorio russo (Mussorgskij: Kovancina e Boris Godunov; “Una vita per lo zar” di Glinka; “Il principe Igor” di Borodin), grande interprete anche del repertorio verdiano (Ernani, Don Carlos, Simon Boccanegra) e della musica da camera. Fu attore intelligente, dotato di ottima presenza scenica.»
Wikipedia dice invece che Christoff nacque nel 1914, aggiunge che era laureato in giurisprudenza e che fece in tempo a iniziare la carriera da magistrato, poi abbandonata visto il grande successo in palcoscenico. Il suo maestro, Riccardo Stracciari, lo vedeva meglio come baritono, ma Christoff decise subito di essere un basso. Il debutto alla Scala arriva molto presto, 1948-49, con il Boris Godunov. Si può ancora aggiungere che la liturgia cristiano-ortodossa utilizza da sempre voci scure e anche molto profonde, questo è stato il punto di partenza di molto grandi cantanti dell’Est Europa, e anche Boris Christoff (che in Bulgaria iniziò a cantare in un coro) non fa eccezione.
(Le immagini le ho prese in rete, alcune molto tempo fa; non sono riuscito a trovare i link giusti, e me ne dispiace molto, soprattutto per la foto con l'autografo, in costume di Filippo II.)
Longlegs – Oz Perkins
13 ore fa
2 commenti:
è nato nella stessa città di Moni Ovadia:)
non lo conoscevo, lo ascolto adesso su youtube, è bravo davvero!
E' impressionante nella parte di Fiesco, il "Simon Boccanegra" di Verdi: sembra scritta su misura per lui, così come il Filippo II.
Altri bassi l'hanno cantata bene, magari magnificamente come Ghiaurov, ma Christoff aveva davvero quel tanto di cattivo che lo rendeva più credibile in quelle parti.
A proposito, adesso vado a vedere dove era nato Ghiaurov: tre bulgarimilanesi, tre immigrati che hanno fatto grande Milano.
Una volta capitava...(anche mio nonno era un immigrato, però veniva da Trebaséleghe)
:-)
Posta un commento