Una goccia d'acqua cade sul foglio di carta dove avete appena scritto qualcosa; l'inchiostro nero si spande e rivela di essere composto da colori diversi, tre o quattro, o magari una piccola iride.
Sembra una cosa banale, e invece è il punto di partenza della cromatografia, una delle analisi chimiche più belle e complete. Gli inizi, storicamente, sono proprio con la "cromatografia su carta": un foglio di carta assorbente viene immerso per un lembo in acqua, e si aspetta con pazienza che l'acqua risalga su per tutto il foglio di carta. Nel risalire, l'acqua trascina diversamente le parti che compongono la miscela che stiamo analizzando: se sono colorate, è facile vederle e riconoscerle.
In seguito, il metodo d'analisi è stato perfezionato, ma sempre tenendo ferme una fase fissa (la carta, o una resina in una colonna) e una fase mobile, che può essere acqua, alcool o qualsiasi altro solvente purché adatto allo scopo. Per esempio: un tubo di vetro con un rubinetto in fondo, riempito di materiale adatto a trattenere in modo diverso il campione da analizzare; e un liquido che si versa dall'alto. Dal rubinetto, in basso, si prelevano campioni a intervallo di tempo determinato, che poi vengono analizzati separatamente.
E, infine, la gascromatografia: il campione viene vaporizzato dentro un piccolo forno, e scorre dentro una lunga colonnina avvolta a spirale e riempita con materiale appositamente scelto, spinto non più da un liquido ma da un gas. Il gas può essere idrogeno (ottimo ma pericoloso), oppure elio (quello per far volare i palloncini), o magari l'azoto, che è poco costoso e del tutto inerte. Con la gascromatografia si possono analizzare oli e grassi, e si può anche andare a vedere con che semi è fatto un olio di semi, e se l'olio d'oliva è fatto davvero con le olive. Per un analista esperto, questo non è un compito molto faticoso.
Sul lavoro, dove usavamo spesso i gascromatografi, ogni tanto capitavano cose come queste:
Una mattina viene da noi Giuseppe, un operaio di origine pugliese. Giuseppe si è fatto mandare una damigiana di olio d'oliva dal suo paese. La Puglia è famosa per il suo olio d'oliva, ma Giuseppe non si fida dell'autista che gli ha portato la damigiana e chiede aiuto a noi del laboratorio: non rientrerebbe nei nostri compiti, ma oggi c'è tempo, bisogna testare la nuova colonna, ed è un buon diversivo dalla routine.
Andiamo dunque a consultare un po' di sacri testi: l'olio di oliva dovrebbe dare, in gascromatografia, un picco solo: il picco dell'acido oleico, che esce molto tardi sul nostro strumento, dopo più di venti minuti. Se il tracciato gascromatografico dà un picco prima dei venti minuti, si tratta senza ombra di dubbio di un grasso più leggero dell'acido oleico: un olio di soia, di mais o magari di ravizzone...
Alla fine dell'analisi, eccolo lì, implacabile, il picco dell'olio di girasole e il verdetto:
- Purtroppo avevi ragione, Giuseppe: il tuo olio d'oliva è stato tagliato con l'olio di semi: un bel 5%.
- Cinque litri, se ne è fregato, quel disgraziato... ma adesso mi sente, quando lo vedo gliene dico quattro, che se le ricorda per un pezzo!
(Giuliano, giugno 2004)
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