In italiano si dice
"apri", qui dalle mie parti, tra Milano e il confine
svizzero si dice "derva", e dalle parti di mia mamma a
Parma "apri" diventa "vira". In Veneto invece si
dice "verzi", non con la zeta di Zorro ma con un suono
intermedio tra esse e zeta; penso che siano tutte varianti di una
stessa radice che io non saprei indicare, ma lascio volentieri la
questione agli esperti anche perché "verzi" oggi mi serve
soltanto per raccontare una storiella che conosco fin da bambino e
che per molto tempo non ho ben capito. La storiella la raccontava mia
nonna, quella veneta, la nonna paterna, ed è quella presente un po'
in tutte le raccolte di fiabe, la storia dello stupido che fa un po'
di fortuna ma sempre stupido rimane. La storia per intero non la
conosco, purtroppo, ma ne ho qualche frammento: il giovane elegante e
urbanizzato torna a casa dai genitori contadini e simula di aver
dimenticato tutto quel mondo di duro lavoro, chiede il nome degli
oggetti, cos'è questo e cos'è quello, fino a quando non mette il
piede su un rastrello e il rastrello (chi conosce i rastrelli sa che
fanno spesso di questi scherzi) si raddrizza di colpo e il manico gli
va a sbattere sul naso. Il giovane dice subito "ahia porco
rastrello" e i presenti commentano serafici: "vedi che ti
ricordi come si chiama?".
Però prima c'è un'altra
scena, il giovane che torna a casa e per darsi un contegno quando
bussa alla porta invece di dire "verzi" dice "verzéte"
e da dentro gli rispondono "non ghe n'avemo più". Verzéte,
piccole verze, dei cavoli insomma. E' un umorismo basso, s'intende,
sul tipo di quello di Bertoldo; ma mi sono chiesto spesso perché
dire "verzéte" dato che si tratta pur sempre di parlare in
dialetto. Se quel giovane voleva darsi un contegno, avrebbe dovuto
usare l'italiano; ma poi la questione è di poco conto e non ci ho
più pensato fino a quando non mi è venuta in mente la più che
probabile soluzione. E' dunque possibile che la storiella sia nata ai
tempi del fascismo, quando fu vietato usare il "lei" come
forma di cortesia; dovendo dare del voi, ecco che il "verzi"
diventa un "verzéte", sottinteso "verzéte voi".
Un sottile antifascismo, forse, che di certo sarebbe piaciuto a Luigi
Meneghello.
Sia quel che sia, la
storiella continuava con altri momenti buffi, ma io non so
ricostruirla. Per capire cosa vi succede, forse è meglio rivolgersi
alle versioni più conosciute, non solo Bertoldo, Bertoldino e
Cacasenno ma anche i Grimm, Calvino, Rabelais. Per intanto, verzéte
per tutti; o anche verzone pantagrueliche, come quella qui sotto.
(Nuova Zelanda, 1890circa)
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