Non ho mai frequentato molto Laurie Anderson, ma mi è sempre piaciuta come persona. Di recente ha rilasciato una bella intervista a Repubblica, ne riprendo qui alcuni passaggi.
INTERVISTA CON LAURIE ANDERSON
di Leonetta Bentivoglio, www.repubblica.it 31 ottobre 2010
ROMA - Geniale autrice di performance celebrate in tutto il mondo, l'americana Laurie Anderson ha sempre coltivato un sogno: quello d'invadere la nostra immaginazione con i suoi stessi sogni. Farci sognare insieme a lei, «perché trovo bellissimo», confessa con la sua voce ipnotica e piena di salti di toni, ora intimi ora cupi ora infantili, «volare nella propria testa mentre si dorme pescando nelle associazioni più incontrollate, fluttuando in mari di sonorità misteriose e cogliendo in libertà i riflessi della memoria. Dato che ogni notte dormo circa otto ore - mi piacerebbe che fossero quindici ma non me lo posso permettere – nel giorno del mio sessantatreesimo compleanno ho fatto un po' di calcoli rendendomi conto che ho trascorso più di vent'anni a dormire. Dunque il mio io sognante è diventato una persona adulta e affidabile, che va festeggiata».
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«i miei miti sono Balzac e Vittorio De Sica, straordinari raccontatori di storie. (...) Mi piace raccogliere visioni e spunti dell'esistenza. Amo le cose vere e vissute, non rigide o etichettate. Narro l'impermanenza, la tensione, il movimento, i conflitti. Niente a che vedere con certe dimensioni frivole o "carine", congelate in una forma, che troppo spesso ci propongono i teatri e le gallerie d'arte. Diffido delle trame che finiscono in modo netto e risolto. La vita è terribilmente incasinata e io cerco di trasferire questa complessità nel mio lavoro».
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Nata a Chicago nel 1947 e trasferitasi a New York negli anni Settanta, Laurie ha vissuto intensamente la stagione più leggendaria delle avanguardie newyorchesi, «quando tra gli artisti vigeva una situazione fertile di scambi. I grandi ideali libertari e comunitari degli anni Sessanta erano ancora ossigeno per noi. Avevo amici come il musicista Philip Glass, la danzatrice Trisha Brown e lo scultore Gordon Matta Clark. Non c'era alcuna possibilità di fare soldi con l'arte. Eravamo pazzi, generosi e privi di senso pratico. Facevamo le nostre opere per puro piacere, con forte autocoscienza, determinazione e fiducia nel futuro».
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«Sono cresciuta tra boschi e laghi, vicino a Chicago. Ero la seconda di otto figli, sembravamo un esercito. Si pescava, si pattinava, giocavamo in mezzo agli alberi. Mia madre, che dipingeva e suonava, voleva che ognuno studiasse uno strumento musicale, e io scelsi il violino. Formavamo una piccola orchestra e il nostro pubblico era mio padre. Non avevamo il permesso di guardare la televisione, per cui inventavamo di continuo i nostri giochi, montavamo piccoli spettacoli e disegnavamo. (...)
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Laurie scalò velocemente i vertici del successo a partire dall'esito commerciale clamoroso, nel 1981, del suo singolo O Superman, che dominò a lungo le classifiche britanniche: «(...) Avevo confezionato il disco in modo artigianale, spendendo cinquecento dollari, e lo misi in vendita tramite ordini postali che mi arrivavano a casa. Chiunque, da ogni parte degli Stati Uniti, poteva chiamarmi al telefono e dirmi: voglio una copia; io andavo all'ufficio postale a spedire un pacchetto a quell'unica persona. Un giorno mi chiama una stazione radiofonica da Londra ordinandomi ottantamila copie. Ero costernata, non sapevo come fare. Decisi di chiedere aiuto ai produttori della Warner Brothers, che seguivano da tempo i miei show e volevano produrmi un disco. Solo a quel punto mi convinsi a firmare un contratto».
La sua ultima creazione, Delusion, già acclamata in Canada, negli Stati Uniti e a Londra, sarà presto in Italia, prima a Firenze, il 13 novembre al Centro d'Arte Contemporanea EX3, poi il 2 dicembre a Roma, per il festival Romaeuropa in collaborazione con Santa Cecilia, che la accoglie nell'immensa sala dell'Auditorium Parco della Musica. Suoni, visioni, pensieri, ricordi. Le incongruenze del vocabolario, la politica, le password. La morte: lo spettacolo è pervaso dalla lacerazione per la recente scomparsa di sua madre. Un viaggio tra mito e quotidianità, una meditazione su cose e parole: «Sono venti piccoli racconti composti da immagini e musica e tradotti in una sorta di film tridimensionale. Trovo insopportabile chiudere i sogni dentro rettangoli, perciò in Delusion gli spazi su cui si riversano le proiezioni sono il fondo del palcoscenico, gli angoli della scena e un grande foglio di carta spiegazzato, e per chi non può farne a meno c'è pure uno schermo rettangolare. Lo sguardo dello spettatore può vagare senza fissarsi su un unico paesaggio».
Definita spesso una fanatica di universi iper-tecnologici, spiega che in verità per lei «la tecnologia è un attrezzo come un altro da usare. Nessuno si eccita se spinge un pulsante e succede qualcosa; tutto è già stato fatto, non c'è più sorpresa. Gli artisti che utilizzano la tecnologia solo per scioccare non capiscono che niente ormai impressiona più. Per questo non ho mai pensato a me stessa come a un'artista tecnologica. Sarebbe come dire che un pittore è un artista del pennello. Puoi suonare la tecnologia come un sassofono o puoi farne il più rozzo dei media».
Ora ovviamente la popolarità non la spaventa più, «e anzi mi piace che arrivi a dimostrarmi quanto è viva la mia comunicazione con il pubblico, e che ci sono ancora tante cose su cui possiamo dialogare. Voglio essere compresa, e se mi accorgo che un passaggio di una mia opera confonde troppo gli spettatori lo taglio». A evitare i labirinti cerebrali la aiuta il partner Lou Reed, che Laurie sembra amare molto: « È più diretto di me, che tendo a incastrarmi nelle metafore. Se scrivo qualcosa di oscuro mi sgrida: perché non dici semplicemente quello che vuoi dire? Ha un modo puro di usare il linguaggio e guardare le cose che io sto provando a imparare».
(da un'intervista a Laurie Anderson: l'integrale è su www.repubblica.it in data 31.10.2010)
(il fermo immagine di Laurie Anderson viene dal suo film "Home of the brave")
Antonio MONTICO
9 ore fa
2 commenti:
Ola, è un po' che manco e ho diversi post arretrati.
Musicalmente parlando, di Laurie Anderson apprezzo soprattutto il marito...
Però alcuni anni orsono (almeno sette-otto, mamma mia se ci penso mi vien male) ho visto una sua mostra al PAC di Milano. Molto interessante.
ciao Mauro! sull'altro blog ho messo da molto tempo "Home of the brave", il film di Laurie Anderson. Laurie Anderson la collego sempre, non so più bene perché, a "Einstein on the beach" di Philip Glass e Bob Wilson...
Qui dice delle cose molto belle, a prescindere comunque dalla sua musica (devo dire che mi piace molto come persona, non sono molto informato su queste cose ma forse è per aver incontrato lei che Lou Reed è ancora qui tra noi...).
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