martedì 9 novembre 2010

Nils Liedholm

Quando Berlusconi si comperò il Milan, metà anni ’80, ci trovò dentro anche lo svedese Nils Liedholm. Liedholm era stato un grandissimo centrocampista negli anni ’50, proprio con la maglia del Milan; poi aveva iniziato la carriera da allenatore, con qualche difficoltà iniziale dovuta probabilmente al suo carattere: nel senso che Liedholm era un signore, una persona fine, raramente gridava, mai nessuno lo ha visto scomposto, anche quando da calciatore era sempre stato correttissimo. Tutte queste cose, nel mondo del calcio e dei manager in generale, sono spesso viste come un grave difetto. Poi, alla fine degli anni ’70, la carriera da allenatore di Liedholm prese forza: lo scudetto con la Roma, lo scudetto con il Milan, bei campionati con altre squadre. E poi il ritorno al Milan, un Milan molto in crisi, che fu risollevato da Berlusconi nel modo che sappiamo. Liedholm fu scaricato subito da Berlusconi: troppo anziano, troppo lontano dalla sua mentalità; ma al Milan, da grande appassionato di calcio, l’allenatore svedese aveva lasciato un regalo enorme: metà squadra fatta da giovani calciatori che lui stesso aveva tirato su, come un padre più che come un allenatore, fin dalle giovanili. Ragazzi di 16-17 anni che erano diventati campioni: Franco Baresi fu il primo (titolare a 18 anni, nel 1978), poi Maldini, Costacurta, tanti altri che hanno fatto la storia del calcio italiano. Prima ancora, a Roma e a Firenze, aveva dato le indicazioni giuste ad altri giovani calciatori (Antognoni, Ancelotti...) poi diventati famosi; nel 1970, a Varese, aveva insegnato a giocare a un ragazzo di 19 anni in prestito dalla Juve, Roberto Bettega.  Sul lavoro di Liedholm, innestando su quel telaio di squadra campioni famosi e spendendo molti soldi, Silvio Berlusconi costruì le glorie del Milan. Ci si faccia caso: l’intera difesa del Milan “stellare” era stata “costruita” da Liedholm, e durò per moltissimi anni.  Liedholm non c’è più da tanti anni, il Milan ha continuato a vincere ma non è più brillante come un tempo; soprattutto, è da molti anni che per avere i giocatori buoni il Milan deve spendere, e tanto. I giocatori buoni, l’anima della squadra, non vengono più dalle giovanili del Milan; e la stessa cosa è capitata all’Inter di Moratti, che un tempo allevava ottimi professionisti e anche campioni (da Sandro Mazzola e Boninsegna fino a Bergomi, Zenga, Oriali...), oggi non più.

Non è un discorso che riguarda solo il calcio, è un discorso che tocca tutta la società. Nel calcio, Liedholm non era il solo a lavorare così: per fare solo due nomi, Trapattoni alla Juve lanciò giocatori come Gentile, Brio, Torricelli, Tardelli, e tanti altri che probabilmente in altre squadre si sarebbero persi; sempre alla Juve, Boniperti e Vycpalek lanciarono Causio, Bettega, eccetera; prima ancora, al Milan, c’era stato Nereo Rocco che aveva aiutato molto lo stesso Giovanni Trapattoni, e il padre di Maldini, e Prati, e Gianni Rivera...
Non è un discorso che riguarda solo il calcio, è un discorso che ci tocca tutti: come Liedholm, come Rocco, come Trapattoni, c’erano nell’industria italiana centinaia di persone che amavano il loro lavoro, e amavano trasmetterlo ai giovani. Gli piaceva insegnare, vedere continuare il loro lavoro, vedere che quello che avevano imparato non andava perduto. Questo è il significato ampio, vero, bello, della parola “Tradizione”. Ed è quello che è andato perduto in Italia (e ancora di più in Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia...) con l’avvento della generazione dei Berlusconi, dei Moratti, dei Tronchetti Provera. Una generazione che si riconosce nei Briatore, nei Montezemolo, nei Marchionne, convinta che tutto si risolva grazie al denaro.
Ma non è così, e forse stiamo cominciando ad accorgercene. Negli ultimi 10-15 anni, sono stati messi da parte tutti i grandi maestri di lavoro; e sono stati sostituiti dalle agenzie interinali, nella convinzione stupida che i bravi artigiani, muratori, stuccatori, piastrellisti, idraulici, contadini, nascano spontaneamente come i funghi; nella convinzione che per avere un lavoro ben fatto basti andare al supermercato e comperarlo.
Per fortuna, qualcuno di noi ha continuato “alla vecchia maniera”; ma lo ha fatto a suo rischio e pericolo, il rischio di essere travolto da chi invece poteva spendere e spandere, e agire anche infischiandosene delle leggi e del buon senso, perché ben coperti politicamente. Il rischio è quello di “andare sotto”, per un artigiano: essere bravi non conta più, con la Lega Nord e con i berluschini, conta di chi sei amico. C’è chi dice: “è sempre andata così”: ma non è vero, non credeteci.
Chiudo qui, con un pensiero affettuoso per quelli che ancora insegnano il mestiere ai giovani, e un pensiero triste per quelli che scuotono la testa e dicono “la manodopera non si trova più, i giovani non hanno voglia di lavorare”: la colpa è anche vostra, rendetevene conto.
PS: A Milanello, centro di allenamento del Milan, c’era all’ingresso una statua di Nereo Rocco. Non era una bella statua, ma c’era: indovinate chi la fece togliere.
(anno 1954-55: Nils Liedholm è il terzo di quelli in piedi, partendo dal signore con la tuta)

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