domenica 28 novembre 2010

Incubi e profezie ( n.7 )

Incubi e profezie, n.7 – Il mandarino di Bartok
Di fascisti, o sedicenti tali, ne ho messi a tacere parecchi, quando ancora si poteva parlare.
In effetti, non è difficile: gli argomenti non mancano e sono sotto gli occhi di tutti, basta una normale cultura scolastica (una volta bastava: oggi, a dire il vero, non so più e ne dubito, perché loro stanno manipolando tutto, anche i nostri figli.) Per esempio: davanti ad una serie di vanterie, io rispondo che Mussolini è stato ladro e traditore della Patria, e che per di più era un cialtrone. L'interlocutore conosce già la mia posizione sulle prime due questioni (Matteotti e le sue denunce sulla corruzione dei fascisti, le leggi razziali del 1937 e la Repubblica di Salò che consegnarono l'Italia e gli italiani ad un paese straniero), e non insiste per non dover ascoltare; ma sulla terza si inalbera.
- Cialtrone! Come puoi dire una cosa del genere, come la giustifichi?
Eccetera. Ma il gioco è troppo facile: Mussolini fu davvero un cialtrone, per esempio perché ha sempre insistito sulla necessità di cambiare gli italiani e di farne un popolo guerriero, insistendo molto su questo punto e avendo vent'anni di tempo a disposizione; e, dopo vent'anni (una generazione intera da lui costruita) al momento di fare la guerra eravamo clamorosamente impreparati, e i nostri alpini furono mandati a combattere in Russia con le scarpe di cartone. E alcune domande a cui non si sa, né si vuole rispondere: chi ha vinto ad El Alamein? chi c'era al governo prima dell'8 settembre? chi ha causato la disfatta dell'esercito e della Patria giunta al suo culmine quell'8 settembre del 1943? Quando fu ucciso Matteotti, in che anno? E perché fu ucciso, e da chi? Come fu combattuta la guerra in Grecia e in Albania?
Il colpo è duro, e il mio interlocutore tace; ma io so già che sarà per poco tempo, e che già domani riprenderà con i suoi discorsi, qui sul lavoro o altrove.
Tutto questo, unito ai discorsi di questi ultimi giorni, mi torna in mente riascoltando "Il Mandarino meraviglioso" di Béla Bartok (nella foto, interpretato da Luciana Savignano alla Scala). Un soggetto strano, per un balletto: una donna subisce un'aggressione da parte di un misterioso "mandarino", e pur essendo aiutata da tre altri uomini, non riesce a respingerne l'assalto. Alla fine, pur ferito e morente, il Mandarino riesce a ottenere ciò che vuole. Mi sono sempre chiesto cosa avesse trovato Bartok in questo soggetto, e purtroppo ho trovato la risposta. Loro sono come il mandarino meraviglioso del balletto di Bartok: non si fermano mai, qualsiasi cosa succeda. Sono sempre pronti a ripartire, come i morti viventi dei film del terrore, finché non hanno ottenuto quello che vogliono; e tenerli lontani è difficile, impegnativo. Ogni tanto, noi ci stanchiamo e abbassiamo la guardia: ma loro sono sempre lì. Non mollano mai, sono come una malattia grave e subdola, e purtroppo sono parte di noi stessi e della nostra società.

venerdì 26 novembre 2010

Monteverdiana ( IV )

Poesie musicate da Claudio Monteverdi, quarto libro dei madrigali.

QUARTO LIBRO

Sfogava con le stelle
Un infermo d'amore
Sotto notturno ciel
Il suo dolore,
E dicea fisso in loro:
"O immagini belle
De l'idol mio ch'adoro,
Sì com'a me mostrate
Mentre cosí splendete
La sua rara beltate,
Così mostraste a lei
I vivi ardori miei.
La fareste col vostr'aureo sembiante
Pietosa sì come me fate amante."
(Ottavio Rinuccini)


A un giro sol de' begl 'occhi lucenti
Ride l'aria d'intorno,
E 'l mar s'acqueta e i venti,
E si fa il ciel d'un altro lume adorno;
Sol io le luci ho lagrimose e meste.
Certo quando nasceste
Cosí crudel e ria,
Nacque la morte mia.
(Guarini)


Non piú guerra, pietate
Non piú guerra, pietate, pietate,
Occhi miei belli, occhi miei trionfanti!
A che v'armate
Contr'un cor ch'è giá preso, e vi si rende?
Ancidete i rubelli,
Ancidete chi s'arma e si difende,
Non chi, vinto, v'adora.
Volete voi ch'io mora?
Morrò pur vostro, e del morir l'affanno
Sentirò si, ma sará vostr'il danno.
(Guarini)


Piagn'e sospira, e quand'i caldi raggi
Fuggon le greggi a la dolce ombr'assise,
Ne la scorza de' pini o pur de' faggi
Segnò l'amato nome in mille guise;
E de la sua fortuna i gravi oltraggi
E i vari casi in dura scorza incise,
E in rilegendo poi le proprie note
Spargea di pianto le vermiglie gote.
(Tasso: "Gerusalemme conquistata" VIII,6)

giovedì 25 novembre 2010

Amminoacidi e DNA

Quando si dice “amminoacidi” quasi tutti pensano subito che si stia parlando di una dieta: si tratta invece di un termine chimico molto preciso, ma è difficile da descrivere se non si conosce almeno un po’ di chimica. E qui nasce il problema, perché la maggior parte della gente non solo ignora la chimica, ma trova questa ignoranza del tutto naturale. Dico subito che si tratta di un tipo di ignoranza del tutto scusabile e comprensibile, perché a scuola di chimica non se ne parla proprio, a meno di non fare scuole specifiche. Ci sono chiare spiegazioni per questo “rifiuto” della chimica (e della fisica, e della matematica) da parte dei programmi ministeriali, sulle quali per oggi preferisco sorvolare; ma io penso che del Sistema Periodico si potrebbe cominciare a parlare fin dalle elementari. Quantomeno, la definizione di elemento chimico è importante e la dovrebbero conoscere tutti.
Gli elementi sono come le lettere dell’alfabeto: almeno questo si potrebbe spiegare. Unendosi fra di loro, gli elementi danno luogo ai composti, così come le lettere dell’alfabeto danno luogo a sillabe e parole: spiegato così mi sembra comprensibile a tutti. Per esempio, idrogeno e ossigeno sono due elementi: combinati insieme danno l’acqua.
E’ una spiegazione a livello elementare: che serve benissimo però a capire il mondo. E vorrei che si spiegasse a scuola, ai bambini, perché poi va a finire che tocca a uno come me (perito chimico diplomato con un voto basso nel 1978) spiegare cosa succede, e questo non mi sembra giusto. Alla mia età, poi...

L’immagine qui sopra viene da wikipedia, e rappresenta il DNA: sembra una treccia di lana di diversi colori, ma chi l’ha visto al microscopio dice che è proprio così. Ad ogni filamento corrisponde un amminoacido, e la sorpresa comincia qui: al di là dell’elaborazione grafica di questo disegno, i colori da prendere in considerazione sono solo quattro.
Il DNA è un sistema molto complesso, ma i suoi componenti principali sono soltanto quattro: quattro amminoacidi. Gli amminoacidi sono (detto molto brevemente) lunghe catene di atomi di carbonio: così è tutta la vita sulla Terra, lunghe catene di atomi di carbonio combinate con idrogeno, ossigeno e azoto. Questi quattro elementi, Carbonio, Ossigeno, Idrogeno e Azoto, sono i componenti principali della vita sul nostro pianeta. Disposti diversamente, con catene più o meno lunghe, formano tutto ciò che vive: dalla cellulosa delle piante al nostro DNA.
Gli amminoacidi che compongono il DNA sono fondamentalmente quattro: adenina, citosina, guanina, timina, spesso indicati con la lettera iniziale, A, C, G, T.
I mattoni biologici: con questi quattro mattoni, combinati come in un puzzle o in un gioco di costruzioni, si coprono quasi tutte le informazioni relative alla nostra persona. Una delle meraviglie della Creazione, e sarebbe ora di conoscerla anche per i politici e per i religiosi.
Con il DNA mi fermo qui, andare oltre sarebbe troppo complicato anche per me: però la voce DNA su http://www.wikipedia.it/ è ben fatta, chi non ne sa niente di niente (compresi politici, preti, filosofi, e tutti i diplomati al liceo classico) può cominciare a dare un’occhiata.
PS: il disegno qui sopra è di Winsor Mc Cay, grandissimo illustratore e autore di fumetti, che centocinque anni fa pubblicava sul New York Herald le avventure di Little Nemo. Una volta le tavole di Winsor Mc Cay erano pubblicate da Milano Libri Edizioni, cioè da Giovanni Gandini editore di Linus: oggi Gandini non c’è più, e temo che sia tutto fuori catalogo. (“puzzle” in inglese è anche il cruciverba, qualcosa da risolvere, che fa pensare ).

martedì 23 novembre 2010

Orizzontali e verticali

L’idrogeno e l’elio sono gli elementi più leggeri presenti sulla Terra: sulla tavola periodica occupano il posto n.1 e n.2. L’elio è il gas con cui si gonfiano i palloncini (quelli che volano: se li gonfiate col fiato rimangono qui con noi); l’idrogeno è uno degli elementi più comuni, ma in Natura non si trova mai allo stato puro, bensì sempre combinato con qualcos’altro, magari con l’ossigeno, come capita per l’acqua.
Nella tavola periodica, leggendo in orizzontale e andando a capo come se fosse un poema in versi, gli elementi sono infatti disposti in ordine di peso: non è proprio così, ma spiegare bene cosa succede significherebbe parlare della struttura dell’atomo, elettroni e protoni, e forse è meglio rimandare il discorso altrimenti le cose si complicano. Per ora si può far notare, come esempio, la posizione del Piombo (Pb, numero atomico 82, peso atomico 207) dell’oro (Au, aurum, numero atomico 79, peso atomico 197) e dell’uranio (numero atomico 92, peso atomico 238).  (facendo clic sull'immagine qui sotto tutto diventa più leggibile)
E dunque: l’elemento più leggero è l’Idrogeno, che ha per simbolo H (dal nome latino, hydrogen), e che ha numero atomico 1.
Il numero atomico ha un rapporto diretto col peso atomico, e quindi col peso dell’elemento (anche in chilogrammi o in libbre), e non è un semplice numero ordinale, ma – anche qui – spiegare bene cosa significa implicherebbe un discorso troppo complicato, sul quale per ora sorvolo. Proseguendo in orizzontale, magari con un righello perché in mezzo c’è un ampio spazio vuoto (ma è vuoto solo per questioni di grafica), dopo l’idrogeno si arriva all’Elio: elio come il Sole, su cui si trova in abbondanza. Il simbolo dell’elio è He (Helium), il numero atomico è 2.
Si può quindi dire che l’elio pesa il doppio dell’idrogeno: essendo atomi piccoli, entrambi sono leggerissimi. Il fatto che si usi un elemento abbastanza raro come l’elio per riempire i palloncini, invece di usare l’idrogeno che è più abbondante e più leggero, è dovuto ad un fatto ben noto: l’idrogeno è altamente infiammabile. Cent’anni fa, al tempo dei dirigibili (i famosi Zeppelin), si usava infatti l’idrogeno: che fu causa di terribili incidenti, come quello spaventoso del 1937 in New Jersey, quando il dirigibile Hindenburg bruciò come un fiammifero in meno di un minuto.
Per capire l’estrema instabilità (e quindi infiammabilità) dell’idrogeno bisogna passare alla seconda chiave di lettura della tavola periodica, quella in verticale. Gli elementi nella colonnina verticale sotto l’idrogeno hanno, infatti, lo stesso comportamento: sono cioè molto instabili, e in natura non esistono allo stato puro ma solo combinati con qualcos’altro. Si tratta, per citare solo i primi (i più comuni) del Litio (Li) , del Sodio (Na, dal latino natrium) e del Potassio (K, da kalium).
Sodio e Potassio sono tra gli elementi più comuni sulla Terra, ma esistono solo combinati, in forma minerale: carbonati (con carbonio e ossigeno), solfati (con zolfo e ossigeno), eccetera. Nei laboratori chimici, anche a scuola, una volta si trovavano facilmente allo stato puro, così come li descrive Oliver Sacks: sotto forma di panetti bianchi, morbidi, conservati rigorosamente sotto un apposito olio inerte. L’aspetto (può sorprendere, ma è così) è straordinariamente simile a quello di formaggini, o burro, conservati sott’olio: ma sodio e potassio allo stato puro sono estremamente pericolosi e infiammabili, soprattutto se entrano in contatto con l’acqua. A scuola era abbastanza comune (ma sconsigliabile, il rischio di farsi male è alto) divertirsi rubacchiando un granellino di sodio metallico, da buttare poi nell’acqua di una pozzanghera: ne esce una gran fiammata, istantanea. (La presenza del sodio e del potassio allo stato puro nei laboratori e in fabbrica non è motivata da scopo didattico o di pura di curiosità, ma ha scopi industriali, soprattutto come catalizzatore).
Ci si può chiedere: da dove nasce questa estrema instabilità? E qui entra in gioco il concetto di gas nobile, o gas inerte a seconda delle vostre opinioni politiche (si fa per dire): l’elio, stabilissimo, è per l’appunto il primo dei gas nobili. E’ per questo che si può usare per i palloncini: e, se cent’anni fa fosse già stato possibile disporne in maniera industriale, forse la storia dell’aviazione civile sarebbe stata diversa. I dirigibili che si vedono oggi (rari, ma ci sono) sono infatti tutti gonfiati con l’elio, quindi molto sicuri.
Il gas nobile è lo stato a cui tendono tutti gli elementi: quelli che gli sono più vicini lo raggiungono con estrema fretta, quelli più lontani ci mettono più tempo a reagire. Per spiegare bene questo concetto, ancora una volta, bisognerebbe studiare la struttura dell’atomo, elettroni e protoni e relativi orbitali: qui ci si può contentare di dire che la struttura atomica dei gas nobili è quella più stabile, e che tutto – nel mondo – si muove verso la situazione più stabile (è per questo che ogni tanto si inciampa e si cade...).
Tornando alla tavola periodica, in verticale sotto l’elio ci sono gli altri gas nobili, quasi tutti abbastanza rari: il Neon (quello delle lampade al neon), l’Argon, il Krypton (niente a che vedere con Superman), lo Xeno, il Radon.
La tavola periodica si legge quindi nei due sensi: in senso orizzontale (periodi) e in senso verticale (gruppi). Primo Levi, che era dottore in chimica, dice che nel Sistema Periodico ci sono le rime, e che si può leggere come un grande poema: è verissimo ed è bellissimo, ma per arrivarci bisogna studiare. E se non studiate voi, se proprio non volete capirlo, sarete travolti da quello che succede: ma non preoccupatevi, capita anche ai politici e ai religiosi – che stanno ancora qui a chiedersi cosa ha detto Darwin, e intanto siamo già agli OGM e alla fecondazione artificiale...
PS: il libro che ho citato in lungo e in largo è, ovviamente, “Il sistema periodico” di Primo Levi: uno dei libri più belli di tutta la letteratura italiana. Vi si trova anche un magnifico racconto dedicato al Potassio e al Sodio, e per chi volesse leggerlo e fosse appassionato di film catastrofici c’è anche una clamorosa esplosione in laboratorio – per fortuna senza danni. Un altro libro molto bello sulla Tavola Periodica è “Zio Tungsteno” di Oliver Sacks (ed. Adelphi): due grandi scrittori e due letture piacevolissime.
(nelle illustrazioni: una vignetta dalla Settimana Enigmistica; un frammento di un mio antico libro di scuola; e la Tavola Periodica, che è invero molto ben disegnata e che nel suo reale aspetto fisico, quotidiano e tridimensionale è – nientemeno – un tappetino per il mouse.)

Casa Pound? ma per piacere...

Ieri sera ho guardato la trasmissione di Gad Lerner su La7, perché ho visto che c’era Dell’Utri reduce dalla seconda condanna per mafia (seconda, cioè in Appello) e volevo sentire cosa diceva. Lasciando perdere Dell’Utri (perfetto il commento di Marco Revelli, presente in studio: basta meno di mezzo minuto per definire Dell'Utri e i suoi discorsi), che ha detto esattamente quello che ci si aspettava da lui e che ha fatto un bel po’ di pubblicità al suo libro sui falsi diari del buce (quantomeno, spero che Lerner e La7 ne abbiano tratto un buon profitto), in studio c’era anche un uomo sui trent’anni di bell’aspetto, nel senso che si presenta bene e che sembrava una persona affidabile. Quest’uomo si chiama Simone Di Stefano ed è un esponente di “Casa Pound”, ed ha avuto anche lui ampio spazio. Mamma mia! Il mio gatto ne sapeva di più, sulla storia del Novecento...
Perciò forse sarà il caso di ripetere per l’ennesima volta che:
1) alla Resistenza parteciparono anche i cattolici, e molti dei partigiani erano di destra. In Francia uno dei capi della Resistenza fu il generale De Gaulle, che era molto a destra (ma molto). Molti di quelli che fecero la Resistenza non erano comunisti: da noi, quasi tutti i capi finirono nel Partito d’Azione, Tina Anselmi fu da sempre iscritta alla DC, e l’elenco potrebbe continuare.
2) chi oggi continua a dirsi comunista, si rifà non certo a Stalin e all’Unione Sovietica ma ai diritti dei lavoratori, alla loro sicurezza sul lavoro, all’assistenza alle famiglie. “Otto ore per il lavoro, otto ore per te e la tua famiglia, otto ore per dormire”: uno slogan che è ancora condivisibile da chiunque (almeno, spero!).
3) Simone Di Stefano se ne è uscito con una frase lunghissima e sparata in un solo colpo (e chissà quante volte ripetuta, come una formula magica) che fa così: «gli antifascisti che accoltellano i nostri e che sanno di poterlo fare impunemente perché la Costituzione glielo permette e per la cultura dominante di sinistra che glielo permette e gli fa credere di avere ragione». Mamma mia! Meno male che Gad Lerner gli ha spiegato subito (ma ha dovuto farlo due o tre volte) che per gli accoltellamenti in Italia sono previsti vent’anni di galera, ma – santo Cielo – questo è un linguaggio da ultras del calcio. “Romanisti bastardi, laziali nei forni”, e chiedo scusa per la citazione. Come si fa ad arrivare a trent’anni in queste condizioni? Come si fa a presentarsi in tv per dire queste scemenze, e con aria convinta?
Ezra Pound è un poeta e scrittore che io non ho mai amato molto, ho provato a leggerlo ma non mi è arrivato niente; le sue vicende di vita non mi aiutano ad amarlo. So però che piaceva a Pasolini, che negli anni ’60 andò ad intervistarlo (esiste il filmato nelle teche Rai), e questo per me è importante, la poesia parla ad ognuno di noi in modo diverso e si vede che per apprezzare Pound io non ho la sensibilità giusta. Ma io mi sento di dire che nessun poeta vero propaganderebbe l’ignoranza, come si fa invece a Casa Pound. Oso sperare che gli altri frequentatori di quei circoli siano diversi, e che questo signore sia capitato in tv per caso, ma temo che non sia così.

domenica 21 novembre 2010

Il mistero di Pompei, e altri casi irrisolti

A Pompei, fino a una decina d’anni fa, c’era una squadra di muratori fissi: sempre presenti sul lavoro, e assunti in pianta stabile. Da qualche anno non è più così: si esternalizza. Un po’ alla volta, i vecchi muratori-restauratori sono andati tutti in pensione; nessuno li ha sostituiti. Così, quando c’è da fare un lavoro, si chiama una ditta esterna: non solo è gente senza esperienza specifica (oggi il mestiere di muratore è quasi tutto basato sul cemento armato), ma da quando sorge il dubbio che qualcosa possa crollare a quando si iniziano i lavori passano mesi, perché la nuova burocrazia richiede tempi lunghissimi, bisogna fare gare d’appalto, eccetera. Intanto, Pompei crolla; e la notizia fa subito il giro del mondo, perché Pompei è una delle immagini-icona del nostro Paese.
Devo queste notizie a Riccardo Iacona, che sul Venerdì di Repubblica del 19.11.2010 ricorda di aver dedicato un servizio tv a Pompei un anno fa, dove si evidenziavano i pericoli relativi ai crolli.

Un’altra notizia di questi giorni è il tono trionfalistico con cui le Ferrovie annunziano di aver raggiunto un utile di esercizio consistente: da oggi, le Ferrovie guadagnano. Già, ma come è stato raggiunto questo risultato? Al di là delle dotte analisi contabili, l’utile è stato raggiunto tagliando personale, licenziando ed esternalizzando, e mandando in pensione i più anziani, magari con incentivi. Inoltre, sono state tagliate moltissime corse, soprattutto a livello locale (treni pendolari); sono state chiuse stazioni e biglietterie, anche in località importanti; ed è più che probabile che siano stati ricevuti consistenti finanziamenti statali. Il metodo Alitalia, da quel che si sussurra in giro: i debiti al contribuente, il resto ai privati – ma non è di questo che vorrei parlare.
Se quel che dice Iacona è vero, e ho paura che sia proprio così, a Pompei c’era un piccolo gruppo di lavoratori sempre disponibile, ed era gente ormai specializzata, che sapeva dove mettere le mani e cosa fare. E’ anche per questo, suppongo, che crolli simili a Pompei non se n’erano mai visti, finora.
Magari sarà anche stata gente “che se la spassava avendo trovato la pacchia”, come dice qualche leghista; ma erano lì, pronti, oggi o domani il lavoro lo facevano. Bollati come fannulloni dal ministro Brunetta, e da tutti quelli che la pensano come lui, adesso non ci sono più; si è persa la loro esperienza quotidiana (magari piccola, ma c’era ed era utile), e chissà quando la si potrà recuperare. I risultati, cioè il crollo, sono sotto gli occhi di miliardi di persone; ricostruire la Schola dei gladiatori costerà adesso molto più caro del risparmio che è stato fatto, e meno male che non ci sono stati né morti né feriti.

Pompei è esemplare anche perché mostra una cosa che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vuol vedere: si risparmia sulla manutenzione. Fa così anche la Telecom, che di recente ha “esternalizzato” tremila dipendenti addetti alla manutenzione: se avete un guasto in casa, d’ora innanzi vi potrà capitare in casa il primo che capita, o magari non arrivare nessuno per mesi. Fanno così anche le Poste, sulle quali bisognerà dedicare un capitolo a parte: le tariffe sono decuplicate, e la nostra posta è in mano a chissà chi.
Un pensiero orribile è che anche Ferrovie e Anas e Autostrade seguano lo stesso metodo “di destra” (thatcheriano) usato a Pompei. Voglio sperare di no, ma incrocio le dita a mo’ di scongiuro ed evito di pensare all’alluvione in Veneto (un’alluvione come non capitava da sessant’anni, dal tempo in cui era appena finita la guerra...).

venerdì 19 novembre 2010

Il caso Tremonti, e dintorni

“Non leggo un libro da vent’anni” e “Con la cultura non si mangia” sono due frasi recenti del ministro per l’Economia, Giulio Tremonti. Sono concetti spesso ripetuti, da lui e un po’ da tutte le persone che compongono il governo Bossi-Berlusconi. Vediamo un po’ se è vero.
1) Angelo Rizzoli aveva una Rolls Royce in garage, tenuta sempre in perfette condizioni. Non la usava mai: il nipote, Angelo come lui, raccontava in un’intervista televisiva (riproposta di recente su Raistoria) che per uno che era cresciuto tra i Martinitt, gli orfani di Milano, non era bello farsi vedere in giro con il simbolo evidente della ricchezza. Rizzoli aveva fatto i soldi, e tanti, con i libri: non aveva una gran cultura, ma sapeva che i libri erano importanti. Un dettaglio importante: Rizzoli non ha fatto i soldi con le edizioni rilegate e lussuose, ma con i piccoli libri tascabili della BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, che ancora si trovano in tante case. Libri accuratissimi, traduzioni perfette, collaboratori scelti con estrema cura.
2) Arnoldo Mondadori, un altro martinitt come Rizzoli, prese a modello l’idea della BUR: la BUR è del primissimo dopoguerra, gli Oscar Mondadori nascono all’inizio degli anni ’60. Anche gli Oscar Mondadori sono edizioni accuratissime, a poco prezzo e tascabili. Vendono subito moltissimo, anche nelle edicole e non solo nelle librerie.
3) Dino de Laurentiis, scomparso di recente a 93 anni, è diventato miliardario con il cinema: non con i cinepanettoni ma con Vittorio De Sica, con Rossellini, con il cinema d’autore. La stessa cosa è capitata ai grandi produttori di quel periodo, Carlo Ponti, Amato, Rizzoli stesso, Cristaldi... I grandi produttori del cinema italiano facevano i soldi con Fellini e Antonioni, con Pasolini e Bertolucci: se vi sembra strano è solo perché siete cresciuti con Silvio Berlusconi, ma così era.
4) Federico Fellini ha vinto cinque Oscar: e gli Oscar sono premi commerciali, non è un premio per raccomandati o per appassionati pensosi, lo si dà a chi porta soldi, a chi fa un profitto. Agli Oscar dati a Fellini vanno aggiunti quelli dati ai suoi collaboratori: Danilo Donati, Dante Ferretti, Nino Rota (scene e costumi, musica). Un collaboratore di Bertolucci, Vittorio Storaro, lasciò a bocca aperta tutta Hollywood con le immagini di “Novecento” (metà anni ’70); in seguito, Storaro vinse l’Oscar per “Apocalypse now”.
C’è bisogno di altri esempi? C’è bisogno di continuare? Se c’è bisogno, continuo. Magari con Pompei, che attira visitatori da tutto il mondo e che è l’immagine stessa del nostro Paese: un crollo a Pompei è come se venisse giù il Colosseo o l’Arena di Verona (che hanno la stessa età), cioè (chiedo scusa per il termine) una colossale figura di merda su scala mondiale, per tutti. C’è invece chi ci ride sopra, al crollo di Pompei: per esempio il governatore leghista del Veneto, che si chiama Zaia.
Provate a chiedere alla Mondadori attuale (gestita dalla figlia di Berlusconi) di rinunciare al catalogo degli Oscar, e vedete cosa vi rispondono. Provate a chiedere alla Einaudi di rinunciare ai libri di Calvino e di Pavese, e vedete cosa vi rispondono: sono ancora oggi la struttura portante, in termini economici. Non solo i vecchi Rizzoli e Mondadori sono diventati miliardari con i libri e con il cinema, ma il loro lavoro dà ancora prestigio all’Italia.
Di recente, l’attuale responsabile dell’Einaudi (finita sempre nelle mani di Berlusconi) ha avuto il coraggio di dire che il fondatore dell’azienda era un incapace, o giù di lì. Einaudi fece un unico errore, la pubblicazione di un’Enciclopedia molto prestigiosa ma molto costosa: ma erano gli anni ’80, l’era berlusconiana stava per iniziare e un’enciclopedia non era più una cosa da farsi. Si avvicinava l’epoca in cui, al governo, sarebbero arrivati ministri che inneggiano all’ignoranza e all’evasione fiscale.
PS: su http://www.repubblica.it/ di oggi c’è un video “autocelebrativo” di un gruppo di consiglieri comunali leghisti e berlusconiani in visita alla Cattedrale di Monaco di Baviera. E’ pieno di rutti e di bestemmie, e non è la prima volta che capita; quantomeno, nessuno di loro ha fatto il gesto dell’ombrello o ha alzato il dito medio: come fa da sempre il loro capo Umberto Bossi, ministro per le riforme.

mercoledì 17 novembre 2010

Il caso TAV

Un treno che non ferma a Parma, a Modena, a Reggio. Un treno che non ferma a Cuneo, a Ivrea, ad Alessandria. Un treno che non ferma a Mantova, a Lodi, a Voghera, a Cremona. Un treno che passa via dritto come una freccia da Treviso, da Padova, da Monza, da Cantù, da Viareggio, da Massa, da Carrara, da Brescia, da Bergamo, da Udine, da Trento, da Siena, da Livorno, da Viterbo, da Perugia, da Assisi... Un treno che ferma solo a Torino, a Milano, a Bologna, a Firenze, a Roma. Un treno che fa solo cinque fermate. A chi serve un treno così?
E’ presto detto: serve ai parlamentari, e agli uomini d’affari. Sorvolando sul prezzi dei biglietti, serve anche a chi ha l’autista, a chi può pagarsi il taxi, o abita in zone molto ben servite dai mezzi pubblici. E sui mezzi pubblici, anche dove già ci sono, sta per calare la scure di Tremonti: corse tagliate, prezzi dei biglietti aumentati anche del 30%.
E’ un treno che fa concorrenza all’aereo. Spostarsi in aereo è diventato sempre più noioso, con tutti i controlli aggiunti di recente; e poi col treno non c’è il problema della nebbia, per esempio.
E’ un treno costosissimo, del quale non si può parlare male perché tutti ti saltano addosso: tutti i potenti, intendo, perché poi se vai a chiedere a uno di Reggio Emilia cosa ne pensa di quel coso che gli passa a tutta velocità sotto casa, ma che poi non può prendere perché gli toccherebbe andare fino a Milano o a Bologna, penso che le risposte sarebbero diverse. Le risposte sarebbero diverse anche se si andasse a chiedere un parere ai pendolari da Cremona a Milano, o da Lecco a Milano, o da Ivrea a Torino. Le cose cambierebbero ancora se si andasse a chiedere pareri a un abitante di Gironico al Monte, o di Gironico al Piano, su cosa fare per andare a Milano: ci si va in macchina, non ci sono alternative. Anche per andare a Como da Olgiate Comasco, da Appiano Gentile, o da Lipomo (distanze fra i 5 e i 10 Km), non è mica facile, si sta in ballo tutta la mattina su mezzi scomodi e strapieni, e i biglietti costano carissimi.
Ma della linea TAV non si può parlar male, guai a farlo. Ci hanno provato i sindaci e gli abitanti del cuneese, si sono presi dei terroristi. Sulle linee TAV c’è l’unanimità assoluta: Prodi e Bersani, Berlusconi e Tremonti, per tacer di Bossi e Borghezio che sulle devastazioni ambientali causate dai cantieri TAV hanno mazzuolato di persona molti dei loro sindaci leghisti.
E perciò, neanch’io parlerò male della magnifica linea TAV: ne parlerò benissimo, e del resto cos’altro dire se non tutto il bene possibile, di un treno che non ferma a Parma, non ferma a Modena, non ferma a Reggio, non ferma a Cuneo, non ferma a Ivrea, non ferma ad Alessandria, non ferma a Mantova, a Lodi, a Voghera, a Sondrio, a Cremona; un treno che passa via dritto come una freccia da Treviso, da Padova, da Monza, da Cantù, da Viareggio, da Massa, da Carrara, da Brescia, da Bergamo, da Udine, da Trento, da Siena, da Livorno, da Viterbo, da Perugia, da Assisi... Un treno che ferma solo a Torino, a Milano, a Bologna, a Firenze, a Roma. Un treno che fa solo cinque fermate. A chi serve un treno così?
PS: e ricordatevi di obliterare il biglietto, se no sono multe. Abitiamo nel Paese dei Tornelli, nel caso ve ne foste dimenticati: il Tornello con Obliteratrice Annessa è ovunque sacro e obbligatorio, lo dice anche il ministro Brunetta, e se lo dice lui vuol dire che è una cosa davvero indispensabile.

martedì 16 novembre 2010

Chi vota a destra è un imbecille? ( VII )

L’ultima l’ho letta l’altro ieri: da adesso è obbligatorio, per legge, che i ristoranti si comperino un etilometro. Chi paga? I ristoratori, è ovvio. Funziona sempre così: da quando questa destra (Lega Nord ben compresa) è al governo, sono nate una infinità di leggi e leggine che comportano una lunga e pesante serie di spese per i cittadini e per le famiglie.
Queste leggi, spacciate per severissime e indispensabili, sono approvate sempre nello stesso modo: dentro un enorme pacco, insieme a mille altri argomenti diversissimi fra loro, e approvate in un botto solo grazie al voto di fiducia. Sono anni che il governo Bossi-Berlusconi va avanti così, e in questo modo non solo non esiste più un dibattito su cosa è davvero giusto fare, ma non si riesce nemmeno più a essere informati. Io lo ammetto qui pubblicamente: sono nel panico, non so più cosa fare e temo sempre che ci sia una multa in arrivo, o magari l’arresto. Bei tempi, quando si poteva circolare solo con la patente in tasca: io la carta d’identità ce l’ho sempre avuta, ma conosco gente che non ha mai avuto altro in tasca che un po’ di soldi (pochi) e un pacchetto di sigarette, oltre alla patente quando serviva: non era la preistoria, erano gli anni del boom economico e dell’Italia fra le prime quattro potenze industriali del mondo. Ma oggi non è più possibile, i nuovi burocrati della destra sono tanti, potenti, inflessibili e severissimi. Prendete il codice della strada: fino a dieci anni fa era semplice da capire, da quando esiste il governo Bossi-Berlusconi sono nate un’infinità di norme impossibili da memorizzare.
L’ultima novità: vi danno le multe (multe pesanti) e non ve ne accorgete nemmeno. Vi arrivano tutte a casa, non serve più il foglietto sul parabrezza: se c’è un cartello poco visibile o poco chiaro, e se ripetete lo stesso percorso per una settimana, arrivare a mille o duemila euro di multe è facilissimo. E non è tutto qui: dai giornali vi beccherete pure del “furbetto”.

Tutti questi soldi, tutte queste multe, tutti questi obblighi hanno una sola spiegazione: mettere le mani nelle tasche dei cittadini. A destra dicono che è vero l’opposto, ma provate un po’ a fare il conto: per esempio le tasse scolastiche, anno 1998 e oggi. Per esempio, stipendi e pensioni: anno 1998 e oggi. Per esempio, l’affrancatura di una lettera o la spedizione di un pacco: anno 1998 e oggi. Per esempio, i parcheggi: anno 1998 e oggi. (fate pure i calcoli tenendo conto dell’inflazione, fanno impressione lo stesso). I filosofi alla Tremonti vi diranno che è colpa dell’euro, ma l’euro è un semplice calcolo matematico: moltiplicare per due non significa triplicare o decuplicare, anche un bambino di sette anni dovrebbe essere in grado di capirlo.
Per esempio, chi ha pagato il rinnovamento del parco automobili? Ci sono stati incentivi vari, è vero, ma il resto della macchina lo avete pagato voi, e intanto un Formigoni (sempre per esempio) va in giro a dire “abbiamo rinnovato il parco macchine in Lombardia” – che somiglia molto al famoso “armiamoci e partite”, ma passi: si sa, lo ha fatto per il nostro bene. E il digitale terrestre? Vi dicono “procuratevi un nuovo televisore o un decoder”, ma il decoder non si procura, si compera. E’ commovente la dedizione con cui si evita di dire “dovete comperare il decoder”, ogni volta che ascolto questa frase non so se ridere o se piangere – ho già speso circa 500 euro tra antennista e tv nuovi, ma per fortuna tutto questo finirà entro l’anno. Dopo di che, nel 2011, ci sarà di sicuro qualcosa di nuovo da inventare, a destra, per mettere le mani nelle tasche dei cittadini.

La pensata più straordinaria è quella del cosiddetto federalismo: non nel senso che i sindaci e i presidenti di provincia potranno gestire le tasse già esistenti, ma nel senso che potranno inventarne di nuove, e qui non c’è limite alla fantasia: dalle tasse (pardon, multe) sulle gomme da neve obbligatorie anche se ci sono 20 gradi a quelle sulle minigonne, ai semafori taroccati, ai limiti di velocità abbassati nottetempo. Le cronache degli ultimi due anni sono sempre più piene di queste vere e proprie vessazioni, chissà quando i cittadini si accorgeranno che sono opera dei Bossi, dei Calderoli, dei Borghezio, dei Maroni.
Per disboscare questa proliferazione di leggi e di leggine (le bestemmie sono già punibili per legge, da sempre: non serve una legge nuova), di multe e di balzelli, ci vorranno molti anni. Chissà se ci riusciremo, negli anni ’90 il mondo sembrava già abbastanza complicato di suo, invece le complicazioni sono state decuplicate, e la gente è anche contenta – contenta finché non gli arriva il conto da pagare, ma anche allora mica tutti se ne rendono conto.

Che dire, in conclusione? Che anche l’altro giorno ho sentito due persone (una è Bersani) dire che “non si può dire che la gente che vota a destra sono tutti imbecilli”: e se è nel senso che anche i dirigenti della sinistra hanno le loro colpe, ci sto – ma per intanto, in questo novembre 2010, è quasi divertente vedere gente di destra che prende le distanze dagli ex colleghi di governo, anche in maniera scomposta. Fini e Bocchino e tutti gli altri di FLI dicono le stesse cose che dicevamo noi vent’anni fa, e che loro stessi fino a ieri negavano con stizza; se ne sono accorti un po’ ritardo, ma pazienza. Prima o poi la verità viene a galla, ma non sempre basta che venga a galla; e chissà quanto ci metteranno gli elettori della Lega Nord a capire chi è veramente Umberto Bossi...

domenica 14 novembre 2010

Afidi e coccinelle

La scena è questa: una cinquantina di afidi verdi stretti l’uno vicino all’altro, in gregge, su un ramo; e una coccinella che ne abbranca uno e comincia a mangiarselo. Il piccolo afide si dibatte, forse grida, la coccinella se lo sbrana in tutta tranquillità e poi passa a quello dopo. Che non si è mosso di un millimetro, che non è scappato via: è rimasto lì, in gregge, addosso agli altri afidi.
E’ una scena che ha dell’incredibile, ma che si ripete ogni giorno, d’estate, da millenni. E’ la stessa scena che capita con i leoni e le gazzelle, o con le pecore e i lupi, ma pecore e gazzelle mica se ne stanno lì ferme, scappano via più veloci che possono. Invece gli afidi no, lì quieti, pare di sentirli parlare fra loro:
- Ehi, si sono sbranati il Giuseppe. Senti come grida.
- Sì, ma che ti frega? Mica ti stanno sbranando a te.
- Ehi, adesso si stanno mangiando Salvatore.
- Uh, ma quello è uno statale.
- Ehi, ma adesso...
- Come? Che dici? Non si capisce niente, e strilla un po’ meno che non riesco a dormire.
Mi ricorda qualcosa. A dirla tutta, ogni volta che vedo una coccinella all’opera mi sembra di essere dentro una vignetta di Altan, una di quelle con l’ombrello, magari. L’importante però è non distrarsi, stare nel mucchio, non ammalarsi, non finire ai margini: è finendo ai margini che si rischia. Si pensa sempre che non tocchi a te: hanno licenziato quello là ma chi se ne frega era un fannullone; quello là è disoccupato ma cosa voleva pretendere; quest’altra qui stava per andare in pensione ma adesso in pensione si va a settant’anni è finita la pacchia per gli statali.
Lo so che non bisogna dare pensieri umani agli animali, e so benissimo che gli afidi contano sul numero: sono tanti, si riproducono velocissimamente, di afidi ce ne saranno sempre – a patto che ci siano ancora piante e giardini, s’intende. Il che non è così scontato: tra poco, soprattutto in Lombardia e nel Veneto (me lo sento) avere piante e giardini sarà severamente vietato.

PS: la coccinella, la libellula e la mantide sono le tigri del mondo degli insetti. Tre insetti graziosi, esempio di eleganza, magari perfino simpatici (la coccinella piace, si sa), ma la loro vera natura è questa. E’ per questo motivo che la coccinella è un simbolo dell’agricoltura “biologica”: perché è voracissima, sia da larva che da adulto. Per nostra fortuna, noi siamo molto più grossi di lei, ma anche della mantide e della libellula; e di questo non finirò mai di ringraziare il Creatore.
(le immagini le ho prese in rete, tempo fa: al momento non sono in grado di risalire al sito originario e me ne scuso)

venerdì 12 novembre 2010

Trigonometria

Non mi è mai piaciuto dire “i seni”, eppure oggi lo dicono tutti. Il seno destro, il seno sinistro: a me avevano insegnato che “seno” indica tutta quella parte del petto, il seno in grammatica era indivisibile e non aveva plurale. La conferma viene da molte espressioni proverbiali: “covare una serpe in seno”, “stringere al seno”. Anche un uomo (un maschio) può ben stringere al seno un amico, un figlio, un fratello: significa che lo stringe stretto, tirandolo contro di sè. E una serpe in un seno solo non ci sta, scivola via: ci vuole tutto il petto, per nasconderla sotto la camicia abbottonata.
La vera natura del problema, di per sè insignificante (le parole cambiano spesso significato, nelle lingue parlate) l’aveva spiegata bene uno psicoanalista (purtroppo sono passati tanti anni, e il nome non me lo sono segnato): il nome italiano corretto di quella parte anatomica non è seno, è “mammella”. Il fatto che sia ormai diventato d’uso comune dire “i seni”, specificando bene “il seno destro, il seno sinistro”, sta anche nella rimozione collettiva dell’allattare. Il seno è un richiamo erotico, la mammella no: la mammella è una cosa da mungere, la mammella ce l’hanno le vacche. E, soprattutto, una mammella non può essere di silicone; un seno invece sì.
I nostri vecchi, in dialetto, tagliavano corto: la parola da usare, in quasi tutto il Nord Italia, è “tetta”; e allattare si dice “tettare”. Mi hanno insegnato, fin da piccolo, che “tetta” non si dice, perché è volgare; ma “tettare” è qualcosa che si riferisce ai bambini, ai neonati. Probabilmente, “tetta” ha la stessa origine di “mamma”: una parola semplice, due sillabe, una delle prime che un bambino piccolo può imparare a dire. E così non posso dire né tetta né mammella, eppure mi piacerebbe usare le parole giuste. Mi tocca invece dire “seno”, e fin qui passi; ma “i seni” proprio non mi esce, magari in un’altra vita ci riuscirò, in questa qui proprio non mi viene – e a dirla tutta sono sempre più numerosi i giorni in cui preferirei (per l’appunto) di tornare bambino. Ma un bambino molto piccolo, che ancora non sa che cosa l’aspetta fuori da quel seno.
PS: L’illustrazione che ho scelto è un dipinto di Guido Reni, che mostra Cleopatra morsa dall’aspide. E’ un quadro che mi è sempre piaciuto molto, al di là della grandezza del pittore, anche perché mostra in modo del tutto evidente che dell’aspide, al pittore, non importava un fico secco. L’importante era un’altra cosa, illustrata con dovizia: e qui ringrazio sentitamente, anche dopo tutti questi anni, sia il pittore che la modella.

giovedì 11 novembre 2010

Il caso Bertolaso, e dintorni

Giulio Bertolaso è figlio di un generale: non sapevo niente su di lui, e l’ho scoperto quando è uscita la notizia del suo pensionamento. Quanti anni ha Bertolaso, mi sono chiesto – e siccome nessun giornale riportava quel dato (ma è la prima domanda che ci si pone quando si parla di uno che va in pensione) sono andato a cercare su wikipedia, dove ho scoperto che Giulio Bertolaso, sottosegretario del governo Berlusconi, responsabile delle emergenze in tutta Italia, è nato nel 1950 ed è figlio di un generale veronese che fu un asso dell’aviazione.
Questa notizia non cercata mi ha però spiegato molte cose: che Bertolaso fosse figlio di un militare, l’avrei dovuto capire subito. L’atteggiamento è quello: per fare un solo esempio, anche Raimondo Vianello, che pure fece tutt’altro mestiere (forse una vera e propria ribellione) aveva quel portamento, quel modo di parlare, l’eleganza innata, il piglio gentile ma autoritario.
“Usi ad obbedir tacendo” è uno di quei motti che spiegano bene la carriera militare; e infatti Bertolaso, pur essendo persona di grande valore, sopporta malissimo le critiche. A un ufficiale non si risponde dicendo “se” e “ma”, si obbedisce. Il problema, del quale Bertolaso non sembra rendersi conto, è che il mondo non è una grande caserma. In democrazia, dei “se” e dei “ma” bisogna tenere conto. Anche nell’emergenza: ho ancora sotto gli occhi lo sguardo di quei due anziani contadini abruzzesi che si videro piombare in casa Bertolaso, a dirgli che da ora innanzi prendeva possesso dello spiazzo davanti a casa loro, e che non bisognava discutere. L’obiezione dei due anziani signori era questa: ben venga l’accoglienza ai terremotati, ma quel piccolo pezzo di terra ci serviva per mangiare, e adesso noi come facciamo per campare? Scampati al terremoto, adesso si vedevano sconvolgere la vita da una decisione irrevocabile e alla quale non era possibile opporsi: facile immaginare che il loro terreno, anche una volta finita l’emergenza (chissà quando), sarebbe stato lottizzato e rivenduto a chissà chi.
Ripensavo a queste cose ieri pomeriggio, dopo essere finito sul canale Rainews che trasmetteva il discorso di Bertolaso in Parlamento, la sua relazione alla situazione creatasi dopo l’alluvione in Veneto. Un intervento ben fatto, una relazione perfetta e condivisibile salvo che in un piccolo particolare: che Bertolaso non è all'opposizione ma è parte del governo, e che in Veneto c’è al governo, da quindici anni almeno, il suo partito, il partito di Bossi, di Zaia, di Galan, di Berlusconi.
Non ci si può nascondere dietro a un dito: è vero che le colpe non sono quasi mai dell’ultimo arrivato, che le colpe dell’incuria e della speculazione edilizia vanno distribuite con i sindaci, con i presidenti delle province, con il presidente della Regione, magari anche con i singoli cittadini, ma di qualcuno sarà pure la responsabilità, sarebbe bello se nel suo discorso almeno un pochino di responsabilità se la fosse presa, invece di dire “questi qua sanno solo criticare, in Italia quelli che fanno vengono criticati da quelli che stanno a guardare”. In Emilia, l’Emilia rossa, quella del PCI, gli argini hanno tenuto per cinquant’anni, e sono ancora in buone condizioni. Cosa succederà domani, con l’arrivo della Lega Nord e di Forza Italia anche in Emilia, è tutto da dimostrare.
PS1: dietro a Bertolaso, nell’inquadratura tv, c’era il ministro Brunetta che faceva ampi cenni di assenso: la sua testa si muoveva in su e in giù più vigorosamente quando Bertolaso parlava della necessità di assicurazioni private anche per le calamità naturali. Il ministro Brunetta, responsabile con Tremonti della valanga di tagli, di licenziamenti, di insulti continui ai lavoratori che svolgono quotidianamente il loro mestiere? Ho le mie ipotesi, riguardo ai suoi vigorosi assensi, ma me le tengo per me.
PS2: addirittura comico il ministro Bondi (ministro della Cultura e dei Beni Culturali) intento, come Bertolaso, a distribuire ben bene le colpe del crollo della Casa dei Gladiatori a Pompei. Bondi spiega (spiega per bene, come si fa con gli scolari distratti) che la colpa in realtà non è di nessuno in particolare, né sua come ministro né del sovrintendente come sovrintendente, che non c’è; che la cosa è venuta così, e che Pompei è pur sempre vecchia di duemila anni, un crollo ci può anche stare. Che dire? che sono in attesa che qualcuno informi il ministro Bondi che Pompei ha la stessa età del Colosseo e dell’Arena di Verona (state alla larga dai monumenti!), e soprattutto che c'è lui  al governo e che se il sito archeologico di Pompei è mal amministrato la colpa è un tantino anche sua, come ministro...
PS3: il governatore presidente del Veneto, il leghista Zaia, dice subito due cose: che i soldi delle tasse devono rimanere in Veneto, e che Pompei sono quattro sassi vecchi, prima i soldi al Veneto poi vediamo se avanza qualcosa. Un atteggiamento che non ha nulla a che fare con quello dei veneti veri, usi a rimboccarsi le maniche senza chiedere niente a nessuno. In Friuli, addirittura, ci furono dei Comuni che ricostruirono da soli dopo il terremoto: i soldi dello Stato furono restituiti. Da dove vien ‘sto Zaia? I soldi dello Stato, in caso di calamità, sono sempre arrivati ovunque: anche per la grandine, e non solo per le alluvioni. Da dove viene, questo signor Zaia? De chi xe fiol? Sarà mica un furbetto napoletano infiltratosi nell’alacre terra della Serenissima?

martedì 9 novembre 2010

Nils Liedholm

Quando Berlusconi si comperò il Milan, metà anni ’80, ci trovò dentro anche lo svedese Nils Liedholm. Liedholm era stato un grandissimo centrocampista negli anni ’50, proprio con la maglia del Milan; poi aveva iniziato la carriera da allenatore, con qualche difficoltà iniziale dovuta probabilmente al suo carattere: nel senso che Liedholm era un signore, una persona fine, raramente gridava, mai nessuno lo ha visto scomposto, anche quando da calciatore era sempre stato correttissimo. Tutte queste cose, nel mondo del calcio e dei manager in generale, sono spesso viste come un grave difetto. Poi, alla fine degli anni ’70, la carriera da allenatore di Liedholm prese forza: lo scudetto con la Roma, lo scudetto con il Milan, bei campionati con altre squadre. E poi il ritorno al Milan, un Milan molto in crisi, che fu risollevato da Berlusconi nel modo che sappiamo. Liedholm fu scaricato subito da Berlusconi: troppo anziano, troppo lontano dalla sua mentalità; ma al Milan, da grande appassionato di calcio, l’allenatore svedese aveva lasciato un regalo enorme: metà squadra fatta da giovani calciatori che lui stesso aveva tirato su, come un padre più che come un allenatore, fin dalle giovanili. Ragazzi di 16-17 anni che erano diventati campioni: Franco Baresi fu il primo (titolare a 18 anni, nel 1978), poi Maldini, Costacurta, tanti altri che hanno fatto la storia del calcio italiano. Prima ancora, a Roma e a Firenze, aveva dato le indicazioni giuste ad altri giovani calciatori (Antognoni, Ancelotti...) poi diventati famosi; nel 1970, a Varese, aveva insegnato a giocare a un ragazzo di 19 anni in prestito dalla Juve, Roberto Bettega.  Sul lavoro di Liedholm, innestando su quel telaio di squadra campioni famosi e spendendo molti soldi, Silvio Berlusconi costruì le glorie del Milan. Ci si faccia caso: l’intera difesa del Milan “stellare” era stata “costruita” da Liedholm, e durò per moltissimi anni.  Liedholm non c’è più da tanti anni, il Milan ha continuato a vincere ma non è più brillante come un tempo; soprattutto, è da molti anni che per avere i giocatori buoni il Milan deve spendere, e tanto. I giocatori buoni, l’anima della squadra, non vengono più dalle giovanili del Milan; e la stessa cosa è capitata all’Inter di Moratti, che un tempo allevava ottimi professionisti e anche campioni (da Sandro Mazzola e Boninsegna fino a Bergomi, Zenga, Oriali...), oggi non più.

Non è un discorso che riguarda solo il calcio, è un discorso che tocca tutta la società. Nel calcio, Liedholm non era il solo a lavorare così: per fare solo due nomi, Trapattoni alla Juve lanciò giocatori come Gentile, Brio, Torricelli, Tardelli, e tanti altri che probabilmente in altre squadre si sarebbero persi; sempre alla Juve, Boniperti e Vycpalek lanciarono Causio, Bettega, eccetera; prima ancora, al Milan, c’era stato Nereo Rocco che aveva aiutato molto lo stesso Giovanni Trapattoni, e il padre di Maldini, e Prati, e Gianni Rivera...
Non è un discorso che riguarda solo il calcio, è un discorso che ci tocca tutti: come Liedholm, come Rocco, come Trapattoni, c’erano nell’industria italiana centinaia di persone che amavano il loro lavoro, e amavano trasmetterlo ai giovani. Gli piaceva insegnare, vedere continuare il loro lavoro, vedere che quello che avevano imparato non andava perduto. Questo è il significato ampio, vero, bello, della parola “Tradizione”. Ed è quello che è andato perduto in Italia (e ancora di più in Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia...) con l’avvento della generazione dei Berlusconi, dei Moratti, dei Tronchetti Provera. Una generazione che si riconosce nei Briatore, nei Montezemolo, nei Marchionne, convinta che tutto si risolva grazie al denaro.
Ma non è così, e forse stiamo cominciando ad accorgercene. Negli ultimi 10-15 anni, sono stati messi da parte tutti i grandi maestri di lavoro; e sono stati sostituiti dalle agenzie interinali, nella convinzione stupida che i bravi artigiani, muratori, stuccatori, piastrellisti, idraulici, contadini, nascano spontaneamente come i funghi; nella convinzione che per avere un lavoro ben fatto basti andare al supermercato e comperarlo.
Per fortuna, qualcuno di noi ha continuato “alla vecchia maniera”; ma lo ha fatto a suo rischio e pericolo, il rischio di essere travolto da chi invece poteva spendere e spandere, e agire anche infischiandosene delle leggi e del buon senso, perché ben coperti politicamente. Il rischio è quello di “andare sotto”, per un artigiano: essere bravi non conta più, con la Lega Nord e con i berluschini, conta di chi sei amico. C’è chi dice: “è sempre andata così”: ma non è vero, non credeteci.
Chiudo qui, con un pensiero affettuoso per quelli che ancora insegnano il mestiere ai giovani, e un pensiero triste per quelli che scuotono la testa e dicono “la manodopera non si trova più, i giovani non hanno voglia di lavorare”: la colpa è anche vostra, rendetevene conto.
PS: A Milanello, centro di allenamento del Milan, c’era all’ingresso una statua di Nereo Rocco. Non era una bella statua, ma c’era: indovinate chi la fece togliere.
(anno 1954-55: Nils Liedholm è il terzo di quelli in piedi, partendo dal signore con la tuta)

domenica 7 novembre 2010

Laurie Anderson

Non ho mai frequentato molto Laurie Anderson, ma mi è sempre piaciuta come persona. Di recente ha rilasciato una bella intervista a Repubblica, ne riprendo qui alcuni passaggi.
INTERVISTA CON LAURIE ANDERSON
di Leonetta Bentivoglio, www.repubblica.it  31 ottobre 2010
ROMA - Geniale autrice di performance celebrate in tutto il mondo, l'americana Laurie Anderson ha sempre coltivato un sogno: quello d'invadere la nostra immaginazione con i suoi stessi sogni. Farci sognare insieme a lei, «perché trovo bellissimo», confessa con la sua voce ipnotica e piena di salti di toni, ora intimi ora cupi ora infantili, «volare nella propria testa mentre si dorme pescando nelle associazioni più incontrollate, fluttuando in mari di sonorità misteriose e cogliendo in libertà i riflessi della memoria. Dato che ogni notte dormo circa otto ore - mi piacerebbe che fossero quindici ma non me lo posso permettere – nel giorno del mio sessantatreesimo compleanno ho fatto un po' di calcoli rendendomi conto che ho trascorso più di vent'anni a dormire. Dunque il mio io sognante è diventato una persona adulta e affidabile, che va festeggiata».
...
«i miei miti sono Balzac e Vittorio De Sica, straordinari raccontatori di storie. (...) Mi piace raccogliere visioni e spunti dell'esistenza. Amo le cose vere e vissute, non rigide o etichettate. Narro l'impermanenza, la tensione, il movimento, i conflitti. Niente a che vedere con certe dimensioni frivole o "carine", congelate in una forma, che troppo spesso ci propongono i teatri e le gallerie d'arte. Diffido delle trame che finiscono in modo netto e risolto. La vita è terribilmente incasinata e io cerco di trasferire questa complessità nel mio lavoro».
...
Nata a Chicago nel 1947 e trasferitasi a New York negli anni Settanta, Laurie ha vissuto intensamente la stagione più leggendaria delle avanguardie newyorchesi, «quando tra gli artisti vigeva una situazione fertile di scambi. I grandi ideali libertari e comunitari degli anni Sessanta erano ancora ossigeno per noi. Avevo amici come il musicista Philip Glass, la danzatrice Trisha Brown e lo scultore Gordon Matta Clark. Non c'era alcuna possibilità di fare soldi con l'arte. Eravamo pazzi, generosi e privi di senso pratico. Facevamo le nostre opere per puro piacere, con forte autocoscienza, determinazione e fiducia nel futuro».
...
«Sono cresciuta tra boschi e laghi, vicino a Chicago. Ero la seconda di otto figli, sembravamo un esercito. Si pescava, si pattinava, giocavamo in mezzo agli alberi. Mia madre, che dipingeva e suonava, voleva che ognuno studiasse uno strumento musicale, e io scelsi il violino. Formavamo una piccola orchestra e il nostro pubblico era mio padre. Non avevamo il permesso di guardare la televisione, per cui inventavamo di continuo i nostri giochi, montavamo piccoli spettacoli e disegnavamo. (...)
...
Laurie scalò velocemente i vertici del successo a partire dall'esito commerciale clamoroso, nel 1981, del suo singolo O Superman, che dominò a lungo le classifiche britanniche: «(...) Avevo confezionato il disco in modo artigianale, spendendo cinquecento dollari, e lo misi in vendita tramite ordini postali che mi arrivavano a casa. Chiunque, da ogni parte degli Stati Uniti, poteva chiamarmi al telefono e dirmi: voglio una copia; io andavo all'ufficio postale a spedire un pacchetto a quell'unica persona. Un giorno mi chiama una stazione radiofonica da Londra ordinandomi ottantamila copie. Ero costernata, non sapevo come fare. Decisi di chiedere aiuto ai produttori della Warner Brothers, che seguivano da tempo i miei show e volevano produrmi un disco. Solo a quel punto mi convinsi a firmare un contratto».

La sua ultima creazione, Delusion, già acclamata in Canada, negli Stati Uniti e a Londra, sarà presto in Italia, prima a Firenze, il 13 novembre al Centro d'Arte Contemporanea EX3, poi il 2 dicembre a Roma, per il festival Romaeuropa in collaborazione con Santa Cecilia, che la accoglie nell'immensa sala dell'Auditorium Parco della Musica. Suoni, visioni, pensieri, ricordi. Le incongruenze del vocabolario, la politica, le password. La morte: lo spettacolo è pervaso dalla lacerazione per la recente scomparsa di sua madre.  Un viaggio tra mito e quotidianità, una meditazione su cose e parole: «Sono venti piccoli racconti composti da immagini e musica e tradotti in una sorta di film tridimensionale. Trovo insopportabile chiudere i sogni dentro rettangoli, perciò in Delusion gli spazi su cui si riversano le proiezioni sono il fondo del palcoscenico, gli angoli della scena e un grande foglio di carta spiegazzato, e per chi non può farne a meno c'è pure uno schermo rettangolare. Lo sguardo dello spettatore può vagare senza fissarsi su un unico paesaggio».
Definita spesso una fanatica di universi iper-tecnologici, spiega che in verità per lei «la tecnologia è un attrezzo come un altro da usare. Nessuno si eccita se spinge un pulsante e succede qualcosa; tutto è già stato fatto, non c'è più sorpresa. Gli artisti che utilizzano la tecnologia solo per scioccare non capiscono che niente ormai impressiona più. Per questo non ho mai pensato a me stessa come a un'artista tecnologica. Sarebbe come dire che un pittore è un artista del pennello. Puoi suonare la tecnologia come un sassofono o puoi farne il più rozzo dei media».
Ora ovviamente la popolarità non la spaventa più, «e anzi mi piace che arrivi a dimostrarmi quanto è viva la mia comunicazione con il pubblico, e che ci sono ancora tante cose su cui possiamo dialogare. Voglio essere compresa, e se mi accorgo che un passaggio di una mia opera confonde troppo gli spettatori lo taglio». A evitare i labirinti cerebrali la aiuta il partner Lou Reed, che Laurie sembra amare molto: « È più diretto di me, che tendo a incastrarmi nelle metafore. Se scrivo qualcosa di oscuro mi sgrida: perché non dici semplicemente quello che vuoi dire? Ha un modo puro di usare il linguaggio e guardare le cose che io sto provando a imparare».
(da un'intervista a Laurie Anderson: l'integrale è su www.repubblica.it in data 31.10.2010)
(il fermo immagine di Laurie Anderson viene dal suo film "Home of the brave")

sabato 6 novembre 2010

Il caso Obama

Adesso sono tutti qui a discutere su Barack Obama che perde le elezioni per il Senato americano: quelli che lo hanno in simpatia dicono che non ha saputo comunicare, ma c’è anche chi gongola e ammicca: “hai visto, Obama?”.
Mai che si vada a vedere di che cosa si sta parlando. Perché la questione non è (non dovrebbe essere...) se un politico è bello, se è giovane, se è simpatico, se è donna, se è nero, eccetera: la questione è andare a vedere che cosa sta facendo, i suoi provvedimenti. Capitava così anche con l’ultimo governo Prodi: sui giornali leggevi ogni giorno le stesse parole, ha ottenuto la fiducia, è andato sotto, è in bilico. Ma su che cosa? Eh già, perché dietro ad ogni “andare sotto” c’era una legge, un regolamento, qualcosa che va a incidere sulle nostre quotidiane esistenze. Da noi, oggi, c’è un governo (a guida Bossi-Berlusconi, in quest’ordine) che impacchetta tutto l’esistente, si vota una volta sola, non si ha più nemmeno il tempo di capire cosa succede; e intanto si vanno a toccare sempre di più le nostre quotidiane esistenze, non c’è angolo della nostra vita che non sia stato toccato, ma di quel che succede in Parlamento (complici dei pessimi giornalisti: non tutti, ma molti sì) non si riesce mai a capire niente.
Tornando a Obama, su cosa il suo elettorato non è d’accordo? Gira e rigira, si va a finire lì: sulla riforma sanitaria. In USA non era come da noi, in USA ti curano fino a che puoi pagare. Non è solo una questione di povertà: quando sei troppo malato, anche se puoi pagarla, l’assicurazione privata ti scarica. Non sia mai, se hai avuto un tumore e sei guarito l’assicurazione privata ha già speso un patrimonio per te: metti che hai una ricaduta, loro vanno in rosso, gli assicuratori non possono rimetterci e tu ti trovi senza assistenza sanitaria proprio quando ne hai più bisogno. Da questo meccanismo sono ovviamente esclusi i ricchi e i ricchissimi, che possono pagarsi tutto da soli.
Ecco, su questa cosa ha inciampato Barack Obama: disse di aver voluto la riforma sanitaria (oh, molto ma molto timida!) perché aveva sofferto molto nel vedere sua madre, morta di cancro, dover discutere fino all’ultimo giorno con la sua assicurazione privata. Anche sotto chemioterapia, anche in punto di morte, l’assicurazione era lì: e non a prestare soccorso.
Un difetto di comunicazione, dicono? No, Barack Obama si è spiegato benissimo. Il problema è la grettezza, la tirchieria, la miseria spirituale e umana, la bassezza, l’egoismo. Questi problemi si risolverebbero benissimo tirando fuori un dollaro a testa, ma se chiedete un dollaro (o un centesimo) a un tirchio, quello vi guarderà malissimo.
Non vi piace questo modello? da noi non c’era, ma ormai siamo vicini a ottenerlo anche noi, e quindi cercate di diventare ricchi o ricchissimi il più presto possibile. E, soprattutto, cercate di non ammalarvi mai, nemmeno un raffreddore o un’influenza: altrimenti arriveranno i Brunetta, i Maroni, i Marchionne e le Marcegaglia, e vi diranno che siete soltanto uno sporco furbetto assenteista.

venerdì 5 novembre 2010

Il caso Marcegaglia

Il caso Marcegaglia è un po’ più complesso, perché Emma Marcegaglia si presenta bene, ha un bell’aspetto, è intelligente, è grintosa. Insomma, a me piace: perciò, quando RaiNews trasmette il suo discorso, la seguo con interesse per molto tempo. E condivido quasi tutto quello che dice, l’unica domanda che mi sorge è questa: ma non poteva accorgersene prima, che le politiche di Bossi e Berlusconi andavano verso lo sfacelo? C’è molta gente che queste cose le dice da vent’anni...
Però pazienza, ok, meglio tardi che mai. Quello che mi disturba, invece, è questo: che ad un certo punto Emma Marcegaglia sembra cambiare marcia, diventare ancora più grintosa e aggressiva, alzare i toni: ce l’ha con gli operai e i lavoratori dipendenti. Ce l’ha con i sindacati, of course.
Sposa in pieno la linea di Marchionne alla Fiat: poca produttività, tanto assenteismo, troppe tutele. Ecco, qui la Marcegaglia diventa davvero cattiva, sembra che sia questo il suo vero obiettivo. Bossi e Tremonti e Berlusconi se li è fatti anche piacere, gli operai proprio no.

Vediamo un po’: pochi giorni dopo il discorso di Emma Marcegaglia (che è presidente di Confindustria) escono i dati ufficiali sul mercato dell’automobile: una catastrofe. Il dato peggiore è quello della Fiat, che in Italia è arrivata anche al 45% in meno; i suoi competitori sul mercato hanno perso anche loro quote, ma non così tanto. In queste condizioni, e purtroppo non si parla solo della Fiat e dell’automobile, che senso ha parlare di produttività? Se il cliente non compera il tuo prodotto, aumentare la produttività serve solo a riempire i magazzini di merce invenduta. Che il vero problema sia un altro, per esempio un mercato già saturo (non a caso la Fiat fa profitti in Brasile, dove le automobili pro capite sono ancora poche) oppure – apriti cielo! che sto mai per dire... – che sia un problema di idee, di imprenditorialità? Che per caso, per carità, solo un’ipotesi, in Italia negli ultimi 20-25 anni sia stata allevata una generazione di imprenditori un tantino scarsi, senza idee e senza iniziative, senza la minima tendenza al rischio? Fateci caso: qui in Lombardia ci sono decine di fabbriche chiuse, ma al loro posto ci sono quasi soltanto centri commerciali, spesso uno vicino all’altro. Tutta qui l’iniziativa imprenditoriale? Che poi, si sa, per un’Esselunga o un Bennet o un Iper, vendere merce cinese o prodotta qui vicino fa lo stesso, anzi meglio se è cinese che costa meno.

L’assenteismo è l’altro grande bersaglio: e io qui vorrei sapere che cosa si intende di preciso, perché se nell’assenteismo ci si mette, oltre a quello che pensano subito tutti, anche la mamma che sta a casa con il bambino o l’operaio con la febbre a 39, beh, insomma, bisognerebbe dirlo. Così sarebbe tutto più chiaro, anche per i vescovi e per il prete che confessa i Berlusconi i Bossi e le Marcegaglia e deve dare loro la Comunione. Siamo ancora cristiani se neghiamo di stare a casa ai malati? Che fine fanno le tante sbandierate politiche sulla famiglia, se una mamma non può mollare tutto e correre a casa dal bambino che ha la febbre alta?

PS: Pochi giorni dopo la conferenza della signora Marcegaglia, mi imbatto in un’intervista all’economista Mario Monti: dice più o meno le stesse cose, ma premette che Berlusconi ebbe il merito storico di evitare che l’Italia finisse nelle mani di Occhetto (anno 1994) e che questo gli va riconosciuto come grande merito; aggiunge che è d’accordo con le “riforme di Brunetta”, ma che non basta, bisognava andare oltre. Le “riforme” a cui si riferisce sono Mario Monti sono la pensione a settant’anni, e ancora maggiore precarietà sul lavoro; e un bel calcione a quei lacci e lacciuoli della Legge 626 e derivati, per esempio, che tanto intralciano la ripresa dell’economia. Le mie conclusioni, per quel che contano: che stimavo molto Mario Monti, ma che ogni giorno muore qualcuno sul lavoro, e sono stufo di sentir dire che è sempre colpa sua, del lavoratore (solo un idiota o un disperato, nell’anno 2010, scenderebbe in una fossa o in un serbatoio senza i necessari accorgimenti: consiglio di soffermarsi sulla seconda ipotesi); che io ho potuto studiare grazie al fatto che mio padre, grazie allo Statuto dei Lavoratori, si trovò a guadagnare qualche lira in più (mica tante, ma se le è fatte bastare); che mio padre morì a 55 anni, probabilmente per una malattia presa sul lavoro; e infine – ma non è che si deve spiegare proprio tutto – aver paura di Achille Occhetto è la cosa più stupida che mi è capitato di sentire in vita mia. Paura di Achille Occhetto? Suvvia, dottor Monti...

mercoledì 3 novembre 2010

Incubi e profezie: Ghostbusters

Qualcuno si ricorda ancora di Ghostbusters? Era un film divertente, e in più c'era una splendida Sigourney Weaver. Il primo film della serie uscì nel 1984, scritto da Dan Aykroyd per la regia di Ivan Reitman. Protagonisti erano gli "acchiappafantasmi" del titolo, tre tipi simpatici che all'inizio del film avevano poco da fare, ma che poi si trovavano in mezzo ad un seguito di apparizioni spettrali sempre più imponente, un crescendo continuo con un finale da panico. Sotto la città scorreva un fiume oscuro, che conteneva tutti i mali che fin lì erano stati sotto controllo e che erano pronti a riemergere; è l’immagine del film che più mi ha impressionato, rivedendolo oggi. Gli acchiappafantasmi erano un po' imbranati, come da copione, ma poi il film finiva bene: con sollievo di tutti, perché le apparizioni demoniache erano sempre più potenti e inaspettate.

Poco tempo fa, nel rivedere il film, pensavo che non mi sarei mai aspettato che un film pieno di gags come questo potesse trasformarsi in qualcosa di reale. Mai visti tanti spettri del passato tornare a vivere nelle nostre città come accade oggi: lo spettro del nazionalismo, per esempio; o quello del fascismo, visto che siamo in Italia; o quello del razzismo e dell'intolleranza... Adesso sta arrivando a gran galoppo il fantasma dello scontro generazionale, i giovani contro i vecchi; e non è ancora finita, le violenze, gli omicidi, le rapine, hanno avuto una crescita esponenziale e non passa sera che al tg non se ne abbia notizia.
Mi fermo perché il semplice elenco dei demoni che sono già tornati in circolazione mi fa un po' impressione. Speriamo che ci siano già in giro anche dei Ghostbusters efficienti: ne dubito, ma sperare non costa nulla.
(Giuliano, anno 2003)

lunedì 1 novembre 2010

Burocrazia trionfante

Quante password avete? Quanti PIN? Quante tesserine di plastica con il microchip?
In principio c’era soltanto la carta di credito, poi venne il bancomat; poi la tessera sanitaria, la tessera dei servizi, l’abbonamento del treno o del tram, la tessera comunale per accedere alla discarica, la tesserina di ricarica del telefono, il badge per la ditta in cui lavorate, il badge per la scuola, la patente, il badge per la mensa, tra poco servirà una tesserina col microchip anche per fare pipì – anzi, in molti posti c’è già.

Pensavate che la burocrazia fosse una questione di timbri e di scartoffie e di marche da bollo? Lo pensate ancora? provate a farlo davvero, il conto delle schede col chip o magnetiche che avete in tasca o in casa. Se poi ci si vogliono aggiungere le “fidelity card” dei negozi e dei supermercati, la chiave d’accesso al portone di casa o alla camera d’albergo, o la tessera del tifoso per chi ancora fosse così pazzo da andare allo stadio, o il gratta e sosta, la lista è ormai così lunga che mi ci perdo. Ogni carta, naturalmente, ha il suo particolare codice PIN da tenere a mente e da digitare; il che non è un’impresa da poco, soprattutto per una persona anziana. E altre tesserine sono in arrivo, questo è solo l’inizio.
Alcune finezze dei nuovi burocrati sono inarrivabili: per esempio, la card che sostituisce la carta d’identità è stata rinnovata con un foglietto di carta, da portare sempre in allegato, e che molte dogane non riconoscono più come valida.

Dietro il proliferare delle carte di plastica ci sono spesso veri e propri accanimenti da ideologia. Per esempio, la carta di plastica che apre la barriera del centro raccolta rifiuti: servirebbe, in teoria, per certificare che chi va in discarica sia residente nel Comune di pertinenza. Ma per questo basterebbe la carta d’identità, che ha da sempre questa funzione; quindi c’è sotto qualcosa d’altro, ed è questo: quella carta fa alzare la barriera d’accesso. E quindi, se la barriera la alzate voi, non c’è più bisogno del portinaio: che a questo punto si può licenziare e sostituire con qualche volontario – che essendo volontario lavora gratis e non bisogna pagargli i contributi. E’ questa, a guardar bene, la grande novità del Duemila: da qualsiasi punto si parta si va sempre a finire qui, al licenziare, al ridurre il personale e magari ad azzerarlo, anche a costo di aumentare disagi e disservizi: tanto poi la gente è contenta e si beve di tutto, anche se la mandate a riempirsi da sola le bottiglie della minerale, per esempio.
Pensare che da un paio d’anni abbiamo anche un Ministro per la Semplificazione Legislativa. Di recente ha fatto anche un bel falò, annunciando trionfante: «tre milioni di leggi in meno!», o qualcosa del genere. Poi hanno spiegato che si trattava di “regi decreti” mai abrogati e che nessuno usava più. Ohibò, bastavano dunque un computer e un paio di stagisti...

Ministri a parte, cosa succederà (e in gran parte è già successo) con il Federalismo? Ogni sindaco, anche quello del Comune più piccolo, potrà legiferare. Mettere tasse, divieti, balzelli: come nell’anno Mille, insomma. Tanti piccoli satrapi, tanti Ghino di Tacco: qui la velocità consentita è 70 all’ora, dopo due Km è 50, dopo tre Km è tornata a 70 ma il cartello è nascosto, voi dovete essere informati se no multe. Qui bisogna avere sempre le catene da neve in macchina, a tre Km di distanza non è più necessario: ah, saperlo!
Il nostro mondo somiglia sempre più a un videogame da playstation, e c’è poco da ridere.
Per esempio, questa notizia è di oggi e viene dal sito di Repubblica:
Italia: divieto di guida oltre settantacinque anni
Il nuovo Codice impone esami più severi ma mancano le commissioni che esaminano le pratiche e la burocrazia stritola ogni anziano che cerchi di rinnovare la patente: di fatto così è impossibile rinnovare il permesso di guida
di Vincenzo Borgomeo www.repubblica.it  1.11.2010
Una montagna di documenti da presentare, pochissimi uffici sparsi come semi al vento in tutta Italia, visite mediche costose e infinite: di fatto, gli ultra settantacinquenni ormai in Italia non possono più guidare (ma il problema è identico per gli ultrasessantenni che volessero rinnovare la patente D e per gli ultra sessantacinquenni che cercassero il rinnovo della C). Le modifiche apportate lo scorso luglio al Codice della strada hanno infatti introdotto importanti novità per rendere più serio il rinnovo della patente per gli anziani. (...) Il problema arriva dalla gestione di queste novità. Una gestione folle che rende impossibile per un ultra 75enne prendere o rinnovare la patente. Il percorso a ostacoli comincia dalla carenza di punti dove richiedere il rinnovo della patente, le famose "commissioni speciali": ce ne sono, una per tutti i comuni della provincia. Tanto per capirci, nel Lazio ce ne sono solo sette. Tre per tutta Roma, ma una sola di queste è in città, sul Lungotevere della Vittoria 3, ma è aperta solo la mattina, dalle 9 alle 12, dal lunedì al venerdì. Da qui che abbiamo cominciato la nostra inchiesta, scoprendo file chilometriche (alle 10 del mattino avevamo 35 persone davanti) e un disastro nella gestione degli anziani clienti. Una sola immagine vale più di mille discorsi: quella del cartello che indica l'ufficio per i non vedenti al quarto piano... Accanto al cartello "Guasto" attaccato sulla porta dell'ascensore... Un'immagine simbolo, uno spaccato di una realtà da paese del terzo mondo, con tutto il rispetto per i loro uffici pubblici. Ed è quasi una metafora poi della burocrazia insormontabile che gli ultra ottantenni si trovano davanti per rinnovare la patente. Già perché una volta arrivati davanti allo sportello, solo lì, si scopre l'elenco dei documenti da presentare. Si va dalla fotocopia del codice fiscale, all'autocertificazione compilata e non firmata di un modello (da prendere in uno dei rarissimi uffici della Usl dove ci sono le commissioni), dalla marca da bollo da 14,62 euro alla fotocopia della patente di guida, dalla ricevuta di pagamento di un bollettino da 18,59 a quella del pagamento di un altro bollettino di 9 euro. Già questo basterebbe. Ma siamo solo agli inizi: a proprie spese - e in tempi ristrettissimi, quindi impossibili da rispettare viste le liste d'attesa dei nostri ospedali, occorre sottoporsi a una visita medica di fatto insormontabile: ci sono diciassette esami complicatissimi da superare. E potrebbero non bastare neanche perché alla fine (testuale) "la commissione valuterà se richiedere consulenze specialistiche o relazione psicoattitudinale". Solo a questo punto, se tutto va bene, viene dato il via per il rinnovo della patente. E, considerando che - nella migliore delle ipotesi, ci vorranno sei mesi circa per venire a capo di questo delirio burocratico, dopo appena un anno e mezzo l'anziano dovrà di nuovo rifare tutto questo percorso: il rinnovo della patente per queste persone è biennale. (...)
(articolo di V. Borgomeo, http://www.repubblica.it/ 01.11.2010 )

AGGIORNAMENTO al giugno 2013: sono passati quasi tre anni, nel frattempo la situazione è molto peggiorata. Oggi ho dovuto dare per l'ennesima volta il mio codice fiscale, ho dovuto cercare per l'ennesima volta i dati catastali della casa dove abito da cinquant'anni per passarli all'amministrazione condominiale (legge dell'anno scorso), sto per fare una fotocopia della ricevuta del caldaista che mi fa manutenzione (idem come sopra), ogni volta che dal governo (regionale, locale, nazionale, l'è istèss) sento dire che combatteranno la burocrazia comincio a star male e a sudare freddo. Vorrei dirgli: state fermi, non fate niente, come vi muovete la melma sale fino al collo, tra un po' non ce la faremo più, state fermi per piacere, non fate più niente...