Di Jean Genet ignoravo perfino il nome,
e dopo aver visto "Le balcon" al Piccolo Teatro non me ne
sarei mai più interessato. Quel giorno, il 27 febbraio 1977, ero
stato cooptato da un amico di mio fratello: "vuoi venire anche
tu?". Avrei preferito che mi avessero invitato prima, magari per
un Brecht (c'era stata in cartellone "L'opera da tre soldi"),
ma non ero mai stato al Piccolo Teatro e ho detto subito di sì. Il
testo, risalente agli anni '50, era stato molto discusso: l'azione si
svolge in un bordello e molte scene erano piuttosto esplicite.
L'allestimento di Strehler era bello, ma c'erano state critiche
negative sui giornali e anche qualche fischio alla prima
rappresentazione, che aveva fatto scalpore perché di regola al
Piccolo c'erano solo applausi.
Franco Quadri, su Repubblica, ne
scriveva così:
Nelle
parole di Genet, Le balcon è «la glorificazione dell'Immagine e del
Riflesso». Tutto quanto vi si vede rappresentato non vive infatti di
luce propria ma è dimensionato da una serie di riferimenti. Il
bordello in cui si svolge l'azione è una casa di illusioni, forse il
teatro stesso: rinasce qui lo schema di una società autoritaria
attraverso dei piccoli figuranti che arrivano alla soddisfazione
rivestendosi delle maschere del potere, giocando i ruoli del vescovo,
del magistrato, del generale. Da fuori intanto giungono le urla di
una rivoluzione che divampa (ma tutte le apparizioni dei
rivoluzionari sono state tagliate nella edizione di Strehler): là
all'ordine partorito dall'immaginazione si contrappone una ricerca di
valori autentici. In
uno spettacolo che prende alla lettera le indicazioni più esplicite
del testo, proponendosi di chiarificare quanto l'autore aveva velato
di voluta ambiguità, e di liberare dal dubbio e dal fremito
irrazionale questa sagra del travestitismo e del teatro nel teatro,
anche il gioco dei riflessi diventa esteriore: si condensa cioè
nella scatola scenica di Luciano Damiani, complesso apparato a più
strati di pareti verticali od oblique, di pilastri, di soffitti,
sempre ugualmente di specchio. Le immagini così si moltiplicano, ma
per restare segni nitidi, asettici, di un paradigma tecnologico
lontano dal polveroso scorrere di paraventi delle molte segrete del
casino: sfilano tette e culi nudi, plastica e cuoio, fruste e
bicipiti, ma impaginati per benino secondo la grafica di Crepax
piuttosto che aderendo allo spirito laido del mondo sfatto di Genet. Assieme
al gusto della profanazione è scomparso anche il ritualismo,
riassunto nella scultorea durezza dei costumi raffinatamente
intagliati da Damiani per delineare le simbologie del potere,
inghiottendo l'umanità dei personaggi che rivestono. (...)
Strehler si era risentito molto per il
risalto dato ai fischi (pochi, ci teneva a precisare) da un
quotidiano del pomeriggio che aveva fatto un titolo scandalistico
(penso che fosse "La Notte": all'epoca era l'unico
quotidiano che usciva nel pomeriggio a Milano) e sul Corriere della
Sera uscì un articolo (a firma D.R., probabilmente Donata Righetti)
dove Strehler diceva di voler conoscere le ragioni di quei fischi.
Uno dei "fischiatori" rispose, con una lettera molto
dettagliata:
Corriere
della Sera, 1977, lettera di Giovanni Curti:
«
Le Balcon »: perché di un fischio
Milano.
Allora, visto che, contro ogni mia intenzione, la cosa ha fatto
notizia, vorrei soddisfare la curiosità di Strehler: io sono una
delle tre o quattro persone che, in occasione della prima di Le
Balcon al Piccolo Teatro, ha espresso il suo dissenso con qualche
fischio (oh, leggero, appena a fior di labbra, che diamine!). Un
dissenso di cui peraltro mi sono immediatamente pentito non appena ho
potato accorgermi che, per contrasto, gli applausi (oh, davvero
fiacchi e appena cordiali fin lì) crescevano d'intensità
aggiungendosi a qualche voce che gridava il suo "bravo" non
senza una punta d'isterismo. Comunque, dicevo, io ho fischiato. Non
so chi altri lo abbia fatto, ma per quanto mi riguarda posso dire che
sono uno studente universitario, pendolare, militante della sinistra,
e che ho fischiato perché, a mio avviso, si tratta di uno spettacolo
sostanzialmente mancato. Sarebbe troppo lungo elencare qui tutte le
ragioni di un dissenso, ma alcune voglio indicarle: 1) Genet non
tollera alcun bagliore di speranza, alcuna "prospettiva";
2) il "pirandellismo" di Genet è solo apparente: in realtà
nulla gli è più estraneo della dialettica essere-parere intesa in
senso pirandelliano; a tratti, invece, l'altra sera pareva di
assistere a un allestimento pirandelliano fatto dalla Compagnia dei
Giovani. 3) l'espediente della scena tutta a specchi è terribilmente
datato (anni '60): lo so anch'io che Genet richiede gli specchi, ma
non è una buona ragione per recitarlo in una cornice che purtroppo
richiama in modo eccessivo il night club della metà degli anni '60.
4) mi domando se la cosiddetta lettura "totale e oggettiva"
di un testo significhi la sua riproposizione neutra, acritica; non
nego che i personaggi siano stati visti in maniera critica, ma
purtroppo la mia impressione è che non si sia andati al di là di
una dimensione satirica. La verità è che il testo stesso è
chiaramente datato e che la proposizione dei suoi significati
universali non dovrebbe tralasciare di sottolinearne la parziale
caducità; 5) tutta la caratterizzazione dei personaggi è di
maniera, come se si trattasse di realizzare la consueta e consunta
satira del piccolo borghese; 6) le trovate della regia sono molte, ed
è proprio qui il punto, secondo me: non essendo poeticamente
risolte, restano delle "trovate". 7) la distribuzione dei
ruoli non mi ha convinto: non sono un critico e non mi è quindi
consentito muovere rilievi personali, però almeno tre ruoli
importanti (due donne e un uomo) erano stati affidati a tre attori
(ineccepibili in altre occasioni) qui visibilmente a disagio. E
poi, via, i fischi qualche volta sono salutari.
Strehler in un intervento successivo
(molto lungo, tre colonne molto fitte) accettò le critiche, pur
sottolineando che si trattava di un dissenso di poche persone,
facendo una breve storia delle contestazioni e delle difficoltà
avute nei trent'anni di storia del Piccolo Teatro (trent'anni, dal
1947 al 1977). Strehler teneva soprattutto a ribadire che il pubblico
del suo teatro non era certo inerte e succube come qualcuno voleva
suggerire, e quindi dava il benvenuto anche ai dissensi purché
propositivi. Da parte mia, dopo lo spettacolo e dopo aver letto
questi interventi ero andato in biblioteca (a Como) e mi ero portato
a casa il testo originale di "Le Balcon": Franco Quadri
aveva ragione, Strehler aveva tagliato parti fondamentali per capire
il testo. Aveva ragione anche il "contestatore" Curti, ma
intanto io mi ero appassionato al lavoro di Strehler, sia pure con
uno spettacolo sbagliato (succede) e da allora sarei diventato uno
spettatore assiduo, non solo per Strehler. Di Jean Genet, come dicevo
all'inizio, non mi sarei invece mai più occupato: di sicuro Genet
non scriveva per me.
Di quello spettacolo, rileggendo ciò
che avevo messo da parte e pensando ai quarant'anni che sono passati,
mi porto dentro il ricordo di un periodo in cui il teatro faceva
parte della vita quotidiana, quando di teatro si scriveva sui
giornali con grande spazio, spazio del tutto sparito da almeno un
quarto di secolo, da quando Vittorio Feltri sul Giornale licenziò di
fatto i critici teatrali, poi imitato più o meno in sordina da tutti
gli altri quotidiani. Oggi non c'è quasi più critica, non solo
teatrale ma anche musicale, cinematografica, letteraria: ci sono
brevi note degli uffici stampa, o poco più. Il pubblico latita,
tranne che in poche occasioni; e il colpo inferto in questo 2020 dal
"lockdown" è molto probabilmente di quelli micidiali.
Ripartirà, il teatro, ma dal basso.
Il cast dello spettacolo:
Anna Proclemer, Tino Carraro, Renzo Ricci, Renato De Carmine, Giulia
Lazzarini, Franco Graziosi, Enzo Tarascio, Anna Saia, Erika Blanc,
Maristella Greco, Elena Croce, Alan Steel, Armando Benetti. Le scene
e i costumi sono di Luciano Damiani e le musiche di Fiorenzo Carpi.
E'
stato l'ultimo ruolo recitato in teatro da Renzo Ricci, uno dei più grandi attori del
Novecento italiano.