Dunque, sono le 21:40 e
sono già in laboratorio, pronto per mettermi a lavorare nel turno di notte in fabbrica. Ma i miei
due giovani colleghi sono distratti: è una sera di maggio del 1998,
e c’è la finale di Coppa dei Campioni. I due hanno portato un
piccolo televisore, lo hanno sistemato in bagno e lo stanno guardando
con attenzione e partecipazione: la partita è Real Madrid-Juventus,
a me non interessa molto ma a loro sì. C’è una cosa che non
torna: lo juventino sono io, i miei due colleghi sono interisti...
Sono ormai le 22:10, ma i
miei due colleghi non se ne vanno. Sono ancora lì, a “gufare”;
ogni tanto il più giovane dei due esce dal cesso (pardon,
spogliatoio) e mi fa dei gestacci, soprattutto quando lo jugoslavo
Mijatovic segna un gol per il Real Madrid. Rifletto, intanto che vado
avanti con il lavoro: il minore dei due interisti ha 22 anni, abita a
quindici minuti da qui, fossi in lui me ne andrei a casa, o al bar, o
meglio ancora a morosa. Il maggiore ha 31 anni, è sposato, ha una
moglie giovane e bella e abita anche lui a dieci minuti da qui: cosa
ci sta a fare, a quest’ora, vicino al cesso, a sbirciare in un
televisore così piccolo?
E ora veniamo alle mie
colpe: avendo a che fare con persone più giovani di me, quando la
Juve ha sconfitto l’Inter, una ventina di giorni fa, avevo ritenuto
opportuno ricordare alcune cose fondamentali nello sport, e cioè –
per esempio – che le partite durano 90 minuti, che l’Inter
perdeva a dieci minuti dalla fine, che non ci si può appoggiare ad
un rigore dato o non dato, che l’Inter schierava Ronaldo e Zamorano
e che la difesa della Juve era fatta da giocatori logori o mediocri,
a parte Ciro Ferrara: le cose che mi diceva mio padre quando io avevo quattordici anni, insomma, e guardavamo le partite insieme (mio padre non era juventino). Ma, niente: ne avevo ricavato solo una serie di
insulti che stasera sto riascoltando in sequenza e con varianti, e
con gestacci irripetibili rivolti alla mia persona. Adesso io non
sono più l’amico e collega con cui tanto si andava d’accordo,
quello che se hai bisogno ti cambia sempre il turno anche di domenica, sono solo un perfido gobbo juventino come tanti altri: il che,
secondo me, non giustifica il fatto che loro due siano ancora chiusi
qui dentro, alle 22:40, invece di andare a casa o a morosa. Tra l'altro, mentre loro guardavano il primo tempo della partita il lavoro è rimasto fermo, e adesso io devo correre per rimettermi in pari. Ben mi
sta, così imparo ancora qualcosa della vita, all’alba dei 40 anni:
così sono fatti gli operai, purtroppo, e dovevo ancora impararlo.
Altre sorprese mi sarebbero arrivate negli anni successivi, e anche
se sono sempre rimasto amico dei miei colleghi, da allora ho quasi
smesso di parlare di calcio e anche di interessarmene. Purtroppo, del
calcio non si può fare a meno, non in un ambiente quasi
completamente maschile.
Quando finalmente se ne
vanno, ormai verso le 23, mi siedo e penso: penso al ‘68,
all’autunno caldo, alle grandi manifestazioni che hanno portato
allo Statuto dei Lavoratori. Forse non ce lo meritiamo, forse hanno
ragione i padroni che chiedono di ricontrattare tutto, forse – se
queste sono le nuove leve della fabbrica - abbiamo dato troppe cose
per scontate, democrazia compresa.
PS: sono passati più di vent'anni, sono successe tante cose ma questo piccolo fatto continua a darmi fastidio e a tornarmi alla memoria. All'epoca mi sembravano piccole cose, questa e le altre che mi sono successe, invece segnavano un cambiamento epocale. In quello stesso periodo, dal 1998 in poi, sono arrivate le nuove norme sul lavoro: il precariato, insomma, del quale oggi ci si lamenta. Io ormai sono fuori dal mondo del lavoro, i due interisti (Enzo e Stefano) invece ci sono ancora ben dentro. Sono loro, quelli che con te si lamentano ma poi davanti ai capi abbassano la testa e dicono sempre di sì, a mantenere il posto di lavoro mentre gli altri vengono buttati fuori - almeno finché la multinazionale non decide di chiudere e trasferire la produzione altrove, s'intende; e sono cose che capitano, ma lamentarsene a cose fatte è un po' ipocrita, a meno di non avere vent'anni ed essere appena entrati in questa gabbia di matti che è il mondo del lavoro.
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