Sono le due di notte, e in
laboratorio arriva Nicola, con due vasetti in mano.
- Devi farmi subito la
prova su questo Forlanit P.
- Nicola, sono le due di
notte… Ho qui da fare l'impianto, i finitori da sistemare…
- No, no, ma questo qui è
urgente. Lo devi fare subito, lo ha detto il dottor Biribò.
- Ma se è in lavorazione
da tre giorni!
- Appunto. E' urgente,
deve andare in consegna domani.
- Ma non è un lavoro che
spetta a me. E' una cosa complicata, ci vorrà almeno un'ora.
- Eh, ma cosa ci vuole.
Questi sono i due intermedi, li devi mescolare secondo le
proporzioni, fare la viscosità e il pH, vedere se va corretto e con
che cosa, fare le prove con il TPF oppure se si deve usare qualche
altra cosa, fai tutte le prove e poi…
- Nicola, ma è proprio
necessario? Non potevano farle di giorno, queste prove, quando sono
qui tutti? E tutto il lavoro che ho qui? E gli impianti che vanno?
- No, no, lascia lì tutto
e fai questo.
Tiro un sospiro, che fare.
Contro Nicola non si può combattere, ma non posso nemmeno lasciar lì
il resto del lavoro: non è vero che gli impianti li posso lasciare
lì senza controllarli, anzi è vero il contrario, cioè che questo
benedetto fosfonato, comunque vadano le cose, è fermo in una
macchina, dentro un pentolone da 5000 Kg, e invece l'impianto va, va,
va sempre e bisogna tenerlo controllato, e se si ferma sono dolori.
Comunque faccio meglio che
posso, mi sbrigo velocemente (conosco il mestiere), prendo i due
intermedi e li mescolo nelle debite proporzioni: ma subito diventa
tutto duro, quasi di perla, e devo ricominciare. Eh sì, dovevo
aspettarmelo: ma, non avendolo mai fatto prima… Per fortuna, tempo
ce n'è, almeno stanotte: gli impianti vanno tranquilli, è una notte
quieta. E' sempre duro fare il turno di notte, ma almeno qui in
laboratorio, ogni tanto, arriva la notte serena.
E dunque finisco la mia
prova, e ci metto, per l'appunto, un'oretta; comunico i dati a
Nicola, per telefono, e mi metto subito al lavoro perché è arrivato
un nuovo campione d'impianto, e altre due o tre cosette da sistemare.
Ma ecco Nicola di ritorno:
ha preso il messaggio col telefonino, ed è arrivato subito.
- E' alto di viscosità,
mi hai detto?
- Sì, Nicola, è molto
alto.
- Hai fatto la prova col
TPF?
- No, Nicola, non l'ho
fatta: mi è arrivato il campione d'impianto e lo sto analizzando.
- Lascia perdere
l'impianto, e fai la prova sul fosfonato.
- Ma come faccio a lasciar
perdere l'impianto? Stai scherzando, Nicola?
- No, no, dico davvero.
- Ma se Mario mi ha detto
che ha dei problemi con le portate, e di farlo subito…
- No, no: lascia stare
l'impianto, così ha detto il dottore. Dai la precedenza al
fosfonato.
- Senti, per fare quella
prova lì dovrei andare nell'altro laboratorio, qui non abbiamo il
miscelatore adatto, dovrei proprio andar via e stare di là ancora
per almeno mezzora.
- E tu vacci.
- Sì, ma non è il mio
laboratorio, capisci? Dovrei chiedere il permesso, eccetera.
- Te lo do io il permesso.
Ma proprio in quel momento
(nel frattempo ho finito l'impianto, e ho telefonato i dati a Mario)
ecco che arriva una piccola valanga di campioni dall'altro reparto.
Guardo Nicola, che allarga le braccia.
- E va bene, allora la
prova col TPF la faccio io, - dice Nicola, e mi lascia da solo alle
prese con gli altri campioni.
Nicola è un bravo
ragazzo, del tipo che tutti vorrebbero come vicino di casa:
silenzioso, tranquillo, piacevole nell'aspetto e di compagnia. Ma sul
lavoro diventa così, soprattutto da quando lo hanno fatto capo: non
cattivo, non aggressivo come tanti altri capi, ma tignoso, noioso,
insistente. Leggermente ma continuamente insistente, che è forse la
cosa peggiore, quella alla quale non puoi resistere: non si può
litigare con Nicola, come si farebbe con altri; prima o poi devi
cedere e fare quello che vuole lui.
Ed ecco Nicola di ritorno,
trionfante, col bicchiere da 300 cc in mano:
- Ecco. Fammi la
viscosità.
Che dire, che fare? Mollo
tutto, e faccio la viscosità del fosfonato, che però è prima da
centrifugare e da raffreddare. Intanto ripenso a questo benedetto
prodotto, il fosfonato per l'industria tessile: lo si fa da una vita,
forse da più di 40 anni. E' stato uno dei cavalli di battaglia della
Ditta, oggi è un po' in declino ma lo si continua a produrre con
buon successo. Insomma, lo si è sempre fatto: non è un prodotto
facile, da cuocere: ma lo si è sempre fatto senza troppi problemi.
Cos'è successo, oggi, che non ci riusciamo più? Si è forse perso
il segreto, come diceva per scherzo uno dei vecchi, uno di quelli che
oggi sono andati in pensione? C'è forse davvero un segreto dietro al
vecchio fosfonato, un segreto alchemico o mistico, del tipo di quelli
dei fonditori di campane o dei fabbricatori del vetro blu e dei
cristalli?
Ma intanto verso il
prodotto nelle provette della centrifuga, e nel versarlo mi accorgo
che c'è un curioso paesaggio sul fondo del becker. Ci sono in
Turchia, mi pare, dei paesaggi così: in Cappadocia, credo. Si tratta
di montagnette bianche, a forma di cono o di sfera, coperte dal
fosfonato che – di per sé, e soprattutto a queste viscosità –
ha un aspetto e una consistenza vetrosa che rende il fondo del becker
simile a un paesaggio misterioso e innevato, quasi dei minuscoli
trulli argentati.
- Nicola, ma sei sicuro di
aver sciolto bene il tripolifosfato? – chiedo, con una certa
cautela.
- Certo! Perché me lo
chiedi?
Esibisco sconsolato il mio
becker, e c'è poco da eccepire. Il TPF, che è una polvere simile al
bicarbonato, non si è sciolto. E' finito tutto sul fondo, e in
questi casi neppure il potente miscelatore del laboratorio accanto
può farci qualcosa. Bisognerebbe rifare tutto da capo, ma questa
volta Nicola cede e si allontana mestamente, un po' preoccupato per
la mancata bella figura e per quello che gli dirà il dottor Biribò,
che lo aspetterà di sicuro la settimana prossima, quando potrà
vederlo, per chiedergli conto del ma perché e del ma come mai, come
è sua usanza.
Intanto sono arrivate le
cinque del mattino, e il turno di notte (l'ennesimo: sono 15 anni che
faccio il turno di notte) sta per finire. Così mi appresto a lavare
tutto e a mettere in ordine, provette e centrifuga comprese; ma prima
accendo la radio. Anzi, visto che ho portato con me un paio di
cassette, metto sul registratore l'opera di Verdi che stavo
ascoltando a casa: I Vespri Siciliani.
Ed ecco che inizia
l'opera, e Placido Domingo, nelle vesti del tenore, viene sfidato a
duello dal baritono Guido di Monforte: in realtà sono padre e
figlio, ma a questo punto non lo sanno ancora. E, soprattutto, il
tenore non può rispondere alla sfida: il governatore normanno ha
proibito ai siciliani di portare armi.
- Ah, non poss'io, -
canta sconsolato Domingo – A me fu tolto il Brando!
- Beato te! – non posso
non commentare. E mi siedo, finalmente quieto, ad aspettare l'alba.
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