martedì 7 giugno 2011

Il Duca va alla guerra

Nel 1595 l’ipod non era stato ancora inventato, e in ogni caso ricaricare la batteria sarebbe stato un po’ troppo complicato. E’ per questo motivo, suppongo, che il Duca di Mantova partì per la guerra in Pannonia (pardon, Ungheria) portandosi dietro tutta l’orchestra che aveva a casa sua, compreso Claudio Monteverdi che ne era il direttore principale, nonché compositore di corte. Il quale Monteverdi, va detto, non è che ne fosse particolarmente contento.

da “Monteverdi” di Paolo Fabbri, ed. EDT Torino, pag.45 e seguenti:
A Mantova non dovettero mancare le occasioni per Monteverdi di proporsi porsi all'attenzione del duca: le sue molteplici virtú (di cantore, violista, «novello Orfeo col suono della sua viola, di cui non ebbe pari» ", e compositore) furono per la prima volta messe alla prova in un'occasione importante nel 1595 quando Vincenzo, unico tra i signori italiani oltre al papa, decise di aderire all'appello dell'imperatore Rodolfo II d'Asburgo per una lega contro i turchi che dall'Ungheria minacciavano sempre piú gravemente l'Europa.
Piú d'una volta Vincenzo era stato sul punto di porre in essere quegli ideali cavallereschi che trovava epicamente idealizzati nella Gerusalemme liberata: se Lodovico Arrivabene, letterato di corte, gli auspicava genericamente di diventare il campione di una nuova crociata in Terrasanta, in Francia contro gli ugonotti (dove lo chiamava lo zio Ludovico Gonzaga di Nevers) avrebbe potuto piú agevolmente ed immediatamente praticare quell'ideale di santa milizia.
Alla chiamata di Rodolfo, cui fece eco il papa con accorate parole, il duca Vincenzo si risolse, inviando tre compagnie di archibugeri a cavallo comandate dal conte Carlo de' Rossi: la spedizione, cui decise d'intervenire personalmente, lasciava Mantova alla fine di giugno del 1595.
Mentre la cavalleria raggiungeva direttamente il campo degli imperiali a Gran, il duca vi si dirigeva con piú comodo passando per Trento, Innsbruck, Otting, Linz, Praga e Vienna, compiacendosi dei festeggiamenti frequentemente allestitigli dagli ospiti. Vincenzo poi viaggiava accompagnato da una corte ridotta ma completa: alle necessità musicali doveva provvedere una piccola cappella di quattro elementi a capo della quale, forse ~ proprio per le sue molte abilità, era stato posto Monteverdi, nelle carte della spedizione esplicitamente menzionato come «maestro di cappella» (gli altri erano il castrato Teodoro Bacchino e i due bassi Giovan Battista Marinoni e Serafino [Terzi?]). Anche una volta giunto al campo dell'arciduca Mattia, Vincenzo non si negherà una vita brillante, allietata dalle universalmente ammirate esibizioni della sua cappella musicale, che non dovette essere impegnata solo nella musica sacra come vorrebbe far credere il cronista ufficiale della spedizione Fortunato Cardi, tutto preso a sottolineare la cristianissima condotta dei mantovani (al campo imperiale erano presenti anche molte truppe di religione protestante).
«Qui non mi pare di tacere che ne suoi padiglioni, ch'erano molti e belli, stava et si faceva servire il sig. duca [Vincenzo] alla grande, perché oltre una solita guardia d'arcobugieri, che teneva alla sua persona, et che aveva seco una numerosiss.a et compita famiglia, et in part. una grossa mano di cavalieri titolati et gentiluomini, onde di continovo faceva con molto suo splendore una lautiss.a tavola, banchettò anche S.A. spesso sontuosam. molti sig. et baroni dell'essercito, i quali la maggior parte del giorno venivano a trattenersi amorevolm.te con S.A. D'ordine della quale non solo le feste, ma ogni giorno si dicevano nel suo quartiere quattro et cinque messe, et si viveva catolicamente, ma nelle solennità si faceva cantare vesperi con musica di cantori et organo, che aveva condotti seco, con infinito gusto non dico di quelli che servivano a S.A., ma d'altri cat[toli]ci dell'essercito, che vi concorrevano; occorrendo anche molte volte ch'il ser.mo arciduca si faceva fare musica per suo passatempo dalli med.mi cantori. » (F. Cardi, relazione ufficiale della spedizione, dagli archivi Gonzaga di Mantova)
A novembre di quello stesso 1595 i mantovani, protagonisti in settembre della presa di Visegrado, rimpatriavano dopo aver attraversato Vienna, la Stiria, la Carinzia e la repubblica di Venezia. A non considerarne i disagi, per Monteverdi (che allora aveva uno stipendio di dodici scudi e mezzo al mese) quel viaggio fu gravoso anche economicamente, obbligandolo ad un supplemento di spese quanto mai sgradito. «Io dicco a V.S.Ill.ma che la fortuna mia hauta a Mantoa per dieci nove anni continui m'ha datto occasione di chiamarla inimica a me et non amica, perché, se dal sere. sig. ducca m'ha favorito d'esser agratiato di poterlo servire in Ongheria, m'ha disfavorito anco con farmi avere una gionta di spese che la povera casa nostra quasi ancora ne sente di quel viaggio», scriverà il compositore ad Annibale Chieppio da Cremona, il 2 dicembre 1608, cioè quasi quindici anni più tardi.

Qualche tempo dopo il ritorno della spedizione d'Ungheria, agli inizi di maggio del 1596 moriva a Mantova il maestro di cappella Giaches de Wert ed al suo posto veniva nominato il cremonese Benedetto Pallavicino, piú anziano di Monteverdi sia anagraficamente che professionalmente (era a Mantova dal 1582 ed aveva al suo attivo diverse raccolte di madrigali, piú collaborazioni a parecchie miscellanee). Fu probabilmente per questo che il compositore in quel giro d'anni intrattenne rapporti più stretti con gli ambienti ferraresi, dove sperava forse di trovare quella sistemazione di maggior prestigio e responsabilità che a Mantova gli si precludeva chissà per quanto ancora. (...)
da “Monteverdi” di Paolo Fabbri, pag. 45 e seguenti, Paolo Fabbri, ed. EDT Torino.

4 commenti:

giacy.nta ha detto...

un itinerario ( via Pannonia ) in due puntate piacevolissimo per me che ti leggo, non così per Monteverdi, povero! Poveri cortigiani. Ricordo i lamenti di Ariosto quando fu spedito in Garfagnana, terra di banditi.
I versi che hai riportato nel precedente post sono bellissimi. Ho pensato subito a quanto somiglino a quelli shakeasperiani.

"Ma che veggio, infelice? Non già fantasmi, oppur notturne larve: son questi i servi di Nerone; ahi dunque
agli insensati venti io diffondo le lacrime e i lamenti...
Necessito le pietre a deplorarmi,
adoro questi marmi,
amoreggio con le lacrime un balcone,
e in grembo di Poppea dorme Nerone."

Come dici tu c'è un tono ed il suo contrario. E poi una sorta di oggettivizzazione dei sentimenti che non mette in moto l'immaginazione.

Giuliano ha detto...

Conosco Monteverdi ormai da trent'anni, ci sono molte cose belle e sorprendenti nelle sue opere. Per i madrigali, ho già fatto un primo lavoro di selezione: è qui in archivio, "Monteverdiana". Le musiche non le metto, per ora, spero sempre che non ci si imbatta in esecuzioni punitive - purtroppo ce ne sono tante!
Ma se si scelgono direttori come Alessandrini, Gini, Dantone, e comunque le edizioni recenti e italiane (l'italiano è importante, come l'inglese per Shakespeare...) si casca sempre bene.

giacy.nta ha detto...

ho letto la tua risposta ( ti ringrazio ) e riletto il mio commento. C'è un "non" di troppo ( prima di mette ). :-)

Giuliano ha detto...

si capiva lo stesso...
:-)
con i commenti è difficile correggere!
(adesso poi mi tocca lasciarli come un visitatore qualsiasi, e non come padrone di casa, speriamo che a Google si diano una sistemata prima o poi.)