martedì 9 giugno 2020

Karl Fischer


- Dai, fammi un calfisch veloce così spedisco via subito nel serbatoio - mi dice Tùtolo, insinuandosi tra i banconi del laboratorio.
- Non posso, sto facendo le analisi sull'impianto e sono urgenti. Lascia qui il campione che poi ti telefono.
- E dai, un calfiscerino, che ci vuole?
Una volta specificato che "calfisch" e "calfiscerino" sono in realtà delle analisi con il reattivo di Karl Fischer (una iodometria, che serve a determinare il contenuto d'acqua in un liquido), capisco le ragioni di Tùtolo ma io proprio non posso mollare quello che sto facendo per dare retta a lui.
- Se mi dai dieci minuti di tempo...
Ma lui sbuffa, forse anche impreca, e si attacca a qualcun altro dei miei colleghi, lamentandosi del mio comportamento.

Il Karl Fischer è un'analisi che si può fare anche a mano, ma noi abbiamo (come tutti, ormai) un apparecchietto molto utile che fa quasi tutto da solo. Quasi tutto, perché la manutenzione dobbiamo farla noi analisti: tenere pulito, prima di ogni altra cosa. Non solo c'è un elettrodo che è piuttosto delicato, ma la vaschetta in cui è immerso ogni tanto si riempie e va vuotata. Andrebbe vuotata ogni volta, a essere pignoli, ma non siamo in un'industria farmaceutica e qualche margine d'errore ci può stare. Oltre a curare che la vaschetta non trabocchi, bisogna anche controllare che le due bottiglie con i reattivi siano piene: sembrerà banale, ma lasciare le bottiglie da riempire a quello che viene dopo è una pratica molto comune e qui con me a lavorare ci sono almeno due specialisti in materia, veri virtuosi dello scaricabarile. Difatti, la mia collega che ha preso in consegna il "calfiscerino veloce" di Tutolo adesso ne avrà per almeno un quarto d'ora, perché sono capitate le due cose nello stesso tempo: le bottiglie dei reattivi vuoti, e la vaschetta strapiena e strabordante. Una volta riempite le bottiglie ed effettuata la pulizia dell'elettrodo, bisognerà calcolare il fattore di correzione; e dopo si potrà fare l'analisi. Dieci minuti è già un tempo ottimistico.

La scena si ripete diverse volte, Tùtolo viene da me e io non posso sempre dargli retta, anche perché lui lavora in un reparto che si chiama "miscele": lì non ci sono reazioni chimiche in corso, non c'è un impianto di solfatazione che produce diecimila litri di prodotto in un'ora, da Tutolo ci sono solo pentoloni dove miscelare due o tre cose e secondo logica è lui quello che deve aspettare, non gli altri reparti. Far attendere una resina epossidica in macchina può significare un mezzo disastro, se la resina si solidifica nella macchina poi servirà il martello pneumatico per tirarla fuori; se Tutolo arriva e mi chiede di fargli subito il calfiscerino io lo faccio aspettare, perché questo è il modo in cui bisogna lavorare. A me sembra ovvio, glielo spiego, penso che i miei colleghi capiscano, e invece no.
Tutolo va in giro a dire che io non lo sopporto, che non capisce perché lo mando sempre via (non è vero, quando ho tempo lo accontento), e i miei colleghi abboccano. A me sembra semplice: se ti dico che in produzione stanno aspettando questi dati d'analisi, perchè insisti? Ma i miei colleghi tutti si convincono, perchè glielo dice lui, dice che mi sta antipatico ed è per questo che gli dico sempre di mettere lì il campione che poi ti telefono: invece c'è il dottor Biribò (direttore di produzione) che aspetta proprio da me questi dati d'analisi che sto facendo, e che è già un bel po' in ansia. Possibile che sia così difficile da capire? Possibile che dopo 15 anni passati in questo posto pensino queste cose di me? In mezzo a che gente sono vissuto?

Ma, eccolo qui di nuovo. Ed ecco arrivare Christian, che dopo averlo servito mi dà una pacca sulla spalla e mi fa la battuta:
- Ecco, Giuliano, è andato via, il Tùtolo cattivo.
Queste cose, nel corso del tempo, fanno del male. Me ne accorgerò a suo tempo, il lavoro di Tùtolo è stato costante e Tùtolo, anche se è soltanto un operaio di livello medio basso, è molto ascoltato, anche in direzione. Tutolo è uno di quelli che sanno cercare e trovare appoggi e simpatie, cosa per la quale io sono negato; in ditta fa un po' di tutto, piccoli commerci, sigarette, confidenze, non per nulla prima di venire qui faceva il rappresentante di commercio. Così, dunque, imparo quanto sia sbagliato ragionare quando lavoro, dare delle precedenze non in base alle simpatie personali (io non ho niente contro Tùtolo) ma secondo le istruzioni dei miei capi e l'ormai lunga esperienza. Alle volte, sembrerà strano ma è proprio così, la cosa peggiore da fare sul lavoro è seguire le istruzioni dei superiori. La prossima volta che rinasco, mi dedicherò di più alle pubbliche relazioni - è così che si fa carriera.

Da wikipedia:  Karl Fischer (Monaco di Baviera, 24 marzo 1901 – 16 aprile 1958) è stato un chimico tedesco, inventore del metodo omonimo. Karl Albert Otto Franz Fischer studiò dal 1918 al 1924 alla Universität Leipzig di chimica. Nel 1925 con la tesi "Untersuchungen über den Einfluß verschiedener Magnesiumoxydpräparate hinsichtlich ihrer Wirkung auf Vulkanisation und Eigenschaften des Kautschuks" si laureò dottore in chimica. Rimase fino al 1927 come assistente Hochschulassistent a Lipsia. Successivamente entrò nell'industria petrolchimica. Noto è lo sviluppo nel 1935 di un sistema di titolazione per la quantificazione del contenuto d'acqua in fluidi e materiali solidi (Karl-Fischer-Verfahren), ancora oggi impiegato nell'analisi chimica nei laboratori di tutto il mondo e divenuto standard per la farmacopea. Il suo lascito è presso l'Institut für Geschichte der Pharmazie der Philipps-Universität Marburg.

2 commenti:

Dario ha detto...

"La prossima volta che rinasco, mi dedicherò di più alle pubbliche relazioni - è così che si fa carriera."
Siamo in molti a dircelo, mi sa :)

Giuliano ha detto...

non che sia una cattiva persona, s'intende, e ovviamente aveva dei buoni motivi per fare in fretta. Ero rimasto deluso dai miei colleghi, piuttosto, che potevano ben vedere cosa stavo facendo.
Ovviamente, la prossima volta che rinasco rifarò tanti errori, magari proprio gli stessi...