Ai miei genitori piacevano i canarini, finché eravamo bambini ne hanno sempre tenuti. E anche noi bambini ovviamente ne eravamo contenti, perché i canarini sono belli da vedere, ed era bello sentire il loro canto; però mi sono sempre chiesto chi glielo facesse fare, i canarini danno un gran lavoro.
Appena hanno potuto farlo, infatti, i miei genitori avevano dato a me l’incarico di pulire la gabbietta e di cambiare la sabbia sul fondo; ed è stato lì che ho cominciato a chiedermi come faceva un uccellino così piccolo a sporcare così tanto. Un lavoro che facevo senza lamentarmi, s’intende, una piccola responsabilità che mi dava importanza, l’unica cosa da tenere presente era che non bisognava alzare la gabbietta quando avevi tolto il fondale, se no gli uccellini volavano via.
Però, santo cielo, nemmeno le galline sporcano così tanto! E fosse solo per quello, va beh, Madre Natura li ha fatti così (più avanti avrei imparato: gli uccelli hanno l’intestino più corto del nostro, in sostanza gli manca il colon), ma vuoi mettere quello spargere in giro tutti i semini, quell’ostinarsi a cercare solo ed esclusivamente quel semino che gli piace a loro, e via per terra tutti gli altri (anche sul pavimento!).
I nomi dei semini nel mangime me li ricordo ancora: il nero del niger, il pallino del panico, il chicco morbido dell’avena, la spiga di panico, il miglio, il granellino duro della canapa, la scagliola, la colza, e l’osso di seppia, immancabile ed utilissimo soprattutto quando era tempo di cova. E infatti la nostra coppia di canarini, rigorosamente gialli, il maschio un magnifico Harzer, avevano avuto discendenza: una canarina gialla, che facevamo uscire dalla gabbia per fare il bagno, e che poi bisognava costringere a rientrare nella gabbietta, cosa che faceva ma non sempre molto volentieri.
Invece a Jules Renard (1864-1910) non è che piacessero molto i canarini. Forse a quel tempo, nel 1896 quando uscì “Storie naturali”, erano ancora animali esotici, roba di moda. In ogni caso, tra il buon Jules e quel suo canarino, un vero rapporto pare che non sia mai nato.
Jules Renard, da “Storie naturali”
LA GABBIA SENZA UCCELLI
Félix non capisce come si possan tenere degli uccelli prigionieri in gabbia. Egli dice: «Come è un delitto coglier fiori (e io, personalmente, voglio respirarli soltanto sulla pianta), così gli uccelli son fatti per volare». Tuttavia, ecco che compra una gabbia e l'appende alla finestra. Ci mette un nido d'ovatta, uno scodellino di semi, una tazza di acqua pura, da rinnovare di tanto in tanto, vi sospende un'altalena e uno specchietto. A chi lo interroga un po' sorpreso, lui risponde: «Tutte le volte che guardo questa gabbia, mi felicito con me stesso per la mia generosità. Potrei metterci un uccello, e invece la lascio vuota. Basterebbe che volessi, e un tordo bruno, o un monachino agghindato, che saltelli, o un altro qualunque dei nostri uccellini, ecco, sarebbe schiavo. Per merito mio, però, uno almeno di codesti rimane libero. È già qualcosa».
IL CANARINO
Che idea ho mai avuto di comprar questo uccello! Il negoziante mi dice: «È un maschio. Aspetti una settimana che s'abitui, e poi canterà». Invece, l'uccello si ostina a stare zitto e fa ogni cosa a rovescio. Appena gli riempio lo scodellino di semi, lui li assale col becco e li sparpaglia ai quattro venti. Con uno spago, gli lego un biscotto tra due sbarrette della gabbia. Lui mangia solo lo spago. Spinge via il biscotto e ci picchia sopra, come un martello, finché il biscotto cade. Fa il bagno nello scodellino per bere, e beve in quello del bagno. Fa i suoi bisogni dove gli càpita, in questo o in quello. Crede che la cialda sia fatta apposta perché gli uccelli della sua specie vi facciano il nido, e ci si rannicchia istintivamente. Non ha ancora capito l'utilità delle foglie d'insalata, e si diverte a lacerarle. Quando becca sul serio un semìno per inghiottirlo, fa pena. Se lo rigira da una parte all'altra del becco, lo schiaccia, lo sbriciola, torcendo il collo come un vecchietto senza denti. La zolletta di zucchero non gli serve mai. Si tratta forse di una pietra sporgente, di un balconcino, o di una tavola punto comoda? Preferisce le sbarrettine di legno. Ne ha due, l'una sull'altra, che si incrociano, e mi vien male a guardarlo saltellare. Agisce con la stessa stupidità meccanica di un pendolo che non abbia niente da segnare. Che gusto ci piglia a saltellare così, che necessità ne prova? Se per un po' si riposa di codesta monotona ginnastica, posato con una zampina bene stretta su un bastone, con l'altra zampina cerca, macchinalmente, lo stesso bastone.
Quando, al venir dell'inverno, accendiamo la stufa, lui crede che sia primavera, l'epoca della muta, e si spoglia delle penne. La luce della lampada turba le sue notti, disordina le sue ore di sonno. S'addormenta al crepuscolo. Io lascio che le tenebre si addensino attorno a lui. Che stia sognando? Bruscamente, avvicino la lampada alla gabbia. Lui apre gli occhi. Che succede? È già giorno? E subito ricomincia ad agitarsi, a saltellare, a sforacchiare una foglia, apre la coda a ventaglio, stira le ali. Ma io, ecco, spengo la lampada, e mi rincresce di non poter vedere la sua aria sbalordita.
Mi stufo presto di quest'uccello muto, che vive tutto a rovescio, e lo metto fuori della finestra. Non sa servirsi della libertà meglio della gabbia. Si farà prendere con la mano.
Si guardino bene dal riportarmelo. Non solo non darò nessuna mancia, ma giurerò che nemmeno lo conosco.
(Jules Renard, da “Storie naturali”, ed. BUR-Rizzoli 1959)
Le immagini dei canarini vengono da “Il mondo degli animali”, editore Rizzoli, anno 1968; l’immagine con la gabbietta viene dal film “Solaris” di Andrej Tarkovskij, anno 1972.
Fango bollente - Vittorio Salerno
1 giorno fa
2 commenti:
Non so se Felix sia più tenero o geniale.
Il tuo post è l'uno e l'altro.
:-)
Ho trovato Jules Renard in una delle ormai rare librerie dove hanno anche i libri "vecchi", a poco più di un euro... La segnalo perché merita: è in via Dante, a Milano. (la segnalo anche perché la libraia è una mia passione da sempre, ma come si fa a farglielo sapere?)
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