D’ora in poi, parleremo con una macchina; e i clienti già lavorano al posto dei cassieri, prendendosi anche responsabilità che ai clienti non dovrebbero spettare. Sì, mi dicono: però si risparmia, però così non fai le code. Sarà, ma io non ho mica studiato da ragioniere, e – soprattutto – fino a poco tempo fa non solo tutto questo era gratis, ma mi davano anche gli interessi sul conto corrente. Qui qualcosa non funziona, e penso di sapere cos’è: non perché io sono bravo, ma perché è talmente evidente che per non accorgersene bisogna essere in malafede, oppure essere un bel po’ addormentati (o ipnotizzati, fate voi).
Si tratta di questo: che i dirigenti delle nuove generazioni, da almeno vent’anni in qua, sono stati addestrati a fare una sola cosa, ridurre il personale. Il personale è un costo: questo è il dogma, lo si è ripetuto all’infinito, quaranta volte al giorno, anche di notte, anche le feste comandate, su tutti i media disponibili, tv, libri, giornali, internet, ovunque. Il personale è un costo, se si vuole aumentare l’efficienza e il profitto bisogna ridurre il personale, altra via non esiste. Inutile far notare che con il personale che c’era prima, prima negli anni ’70 e ’80 e ’90, le imprese e le banche facevano lo stesso dei grandi profitti, così grandi che si meritavano nomi come “le sette sorelle”, “poteri forti”, eccetera eccetera.
"Come mai c’è la crisi, da dove viene la crisi", ripetono le stessi menti ottenebrate dall’ideologia (quella della Thatcher, di Reagan, dei Bush); e ci sarebbe anche da ridere se la nostra situazione non fosse invece così tragica. Andate in un qualsiasi supermercato, magari uno di quelli per bricolage ed elettrodomestici: vi sfido a trovare merce italiana. Magari il nome è italiano e familiare, ma dietro c’è un’etichettina “made in China”. Quasi tutti se la prendono con i cinesi, ma sbagliano: i cinesi fanno il loro interesse, come è ovvio, e lo fanno bene; ma i padroni di quei supermercati sono italiani, lombardi, veneti, brianzoli, comaschi, “dei nostri”. A queste persone, ai padroni dei supermarket e degli ipermarket, non importa nulla dell’economia del loro Paese: importa solo vendere-comprare-guadagnare, e se mi conviene comperare dai cinesi io compro dai cinesi. Non si accorgono (nessuno se ne accorge...) che in realtà così facendo chiudono le nostre imprese, chiudono o delocalizzano (cioè chiudono qui e assumono gente altrove), come si fa anche solo a pensare di uscire dalla crisi con dirigenti come questi, che non hanno fiducia nel loro Paese e nella gente che vi abita?
Conosco diverse persone che avevano un negozio, fino a tutti gli anni ’90: non erano ricchi, ma era comunque un’impresa personale, non erano sotto padrone, c’era spesso orgoglio e onestà, cartolerie e mercerie, macellai ed erboristerie, tante piccole attività spazzate via dall’apertura di un enorme centro commerciale o magari di una grossa catena, che aveva sfruttato la presenza in quel posto di un negozio già avviato per evitare di far fatica con l’avviamento di un negozio.
Conosco giovani di vent’anni a cui viene ripetuto, ogni giorno, “non sei nessuno, non vali niente e non conti niente”: ma non a parole, con i fatti. Stai qui tre mesi, ti faccio fare un lavoro da poco, poi ti mando via e assumo un altro: come si fa a parlare di crescita, di futuro, di uscita dalla recessione, se non si dà fiducia alle persone? Conosco gente che ha 35, 40, 50 anni: gli dicono che non c’è più la pensione come prima, che dovranno lavorare fino a settant’anni, ma per loro il lavoro non esiste più. Dopo i trent’anni, per le Manpower e le Metis e le Adecco (eccetera) non esisti più: ed era prevedibile che andasse così, prevedibilissimo, lo si diceva fin dal principio, ma se dici cose sensate chi vuoi che ti ascolti?
Alla fine, si sta creando un esercito di disoccupati e di disperati: difficile che stiano tutti quieti, qualcosa succederà, poi si manderà l’esercito (quello vero), si parlerà di criminali, come sta facendo il premier inglese Cameron in questi giorni, ma tutto questo era non solo prevedibile ma anche evitabile.
Come uscire da tutto questo, come ridare un futuro al Paese, all’Europa intera? Non sarà facile, ma per intanto bisognerebbe cominciare a fare una cosa: ridare dignità alle singole persone, ridare loro quello che avevamo giù ottenuto dal 1945 in qua, una vita decente, sostegno, assistenza quando si è in difficoltà, per esempio. Ma tutto questo non succederà, non può succedere. Con una classe dirigente come questa, ci toccherà assistere alla catastrofe, fino in fondo. Scordatevi dei luoghi comuni e del passato: bisogna pensare in termini adatti al nuovo millennio, e se nel futuro ci sarà ancora una Madre Teresa, non andrà ad assistere i poveri a Calcutta, ma in Piemonte, in Veneto, e in Lombardia.
(la foto qui sopra, che mostra quasi tutte le grandi menti che stanno combattendo la crisi, viene dal sito dell'Espresso, http://www.espressonline.it/ ; la lascio piccola perché potrebbero passare di qui delle persone impressionabili)
2 commenti:
il problema è che a fare i danni ci si mette relativamente poco, a ricostruire enormemente di più.
se poi a "ricostruire" solo coloro i quali hanno provocato i danni o coloro i quali non li hanno impediti, allora l'anti-politica di questa politica e di questi politicanti è necessaria.
sai bene che sono molto pessimista. quantomeno, con il fascismo fu sufficiente mettere da parte le macerie, seppellire i morti, e ripartire. Qui invece sarà dura, durissima.
("sufficiente" si fa per dire, sia chiaro...fu durissima, ma si poteva fare)
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