Alcune delle melodie più belle di Puccini sono nascoste in momenti che non t’aspetti, così nascoste e così velocemente enunciate rischiano di passare inosservate. Alcuni esempi: il coro nel saloon di fine atto, “La fanciulla del West”, abbinato a versi molto goffi; “dica quant’anni ha, caro signor Benoit” nella Bohème (una melodia dolcissima e toccante, per una caricatura, meno di un minuto), o magari “O mio babbino caro” dal Gianni Schicchi (con un tema così, altri ci avrebbero costruito un’opera intera, o un quartetto d’archi), quasi tutta “La Rondine”, quasi tutta la parte di Ping, Pang e Pong in "Turandot", ma gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Troppa grazia? Non si direbbe, tanto più che non è finita qui: bisogna parlare anche delle armonizzazioni finissime, come quel coro nel saloon, e delle orchestrazione mahleriane (il secondo atto della “Fanciulla del West”, la Turandot, la Bohème stessa: ma Mahler era più giovane di due anni rispetto a Puccini) che emergono con evidenza nelle esecuzioni in teatro, ma solo con le grandi orchestre e con i grandi direttori (tanto per fare un nome solo, ho avuto la fortuna di ascoltare Giuseppe Sinopoli, alla Scala, per Puccini).
Questi momenti vorresti che durassero di più e invece no, si passa ad altro. Evidentemente, Puccini poteva permetterselo. In un’epoca di ingegni stitici come quella in cui viviamo, in cui “grande artista” lo si dice a chiunque, uno come Giacomo Puccini sarebbe completamente fuori moda; i più, anche tra gli appassionati d’opera e tra i critici, si fermano alle arie più famose, “Nessun dorma”, “E lucevan le stelle”. E invece Puccini meriterebbe ben altra attenzione, ma appena ho finito di scriverlo me lo sono visto qui davanti, come in carne e ossa, a ridermi in faccia, da buon toscano d’altri tempi. Ha preso su il suo fucile in spalla e se ne è andato a divertirsi e far bisboccia, non so dove ma immagino con chi.
“Con tutti i danari che ho portato a casa, secondo te dovrei esser così bischero da star qui a perder tempo a guardare a codeste cose?”, mi ha detto: e se non sono proprio le parole esatte (sto scrivendo a memoria) era di sicuro qualche cosa di molto simile.
(l'immagine qui sopra viene da un programma del Teatro alla Scala, primi anni '90)
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