sabato 1 agosto 2009

De gustibus: un relativismo musicale

Se le tocco Baglioni, mia sorella si offende e per un po' mi guarda male. Perciò ho imparato a non toccare l'argomento: ed evito con simile attenzione di parlare dei Pooh in sua presenza, perché a mia sorella voglio bene e non mi piace renderla triste. La stessa cosa mi succede fuori dalla mia famiglia: guai a chi tocca Vasco Rossi e Renato Zero, per esempio: i fans sono permalosissimi, peggio dei tifosi dell'Inter. Credo che il massimo dell'attaccamento, nella mia vita affettiva, io lo abbia dimostrato cantando per un pomeriggio intero le canzoni di Lucio Battisti con la donna che più ho amato nella mia vita (chissà se lei se lo ricorda ancora...).
Niente di male, ognuno si affeziona a quello che crede, ci mancherebbe. Però sempre più gente pensa che sia solo una questione di gusti: a me piace questo, a te piace quest'altro, tu vuoi sempre che si ascolti solo quello che ti piace a te, eccetera - e se qualcuno dice che Bach è il più grande musicista di tutti i tempi questa diventa solo un'opinione fra le tante, significa che "a te piace Bach; ma a me mi piace Vasco" e di conseguenza è dunque Vasco il più grande di tutti i tempi. Che è come dire che la Cappella Sistina equivale al mio garage; ma oggi anche la critica ha abdicato da tempo, e il concetto è passato. Provate a trovare Bach su un canale tv o radio, o su un articolo di giornale...
Nell'epoca dell'Auditel e dello spot imperante, la principale categoria critica, quella fondamentale, sono diventate le "due palle". Si ascoltano le prime tre note, si capisce al volo che non è la stessa cosa che siamo abituati ad ascoltare tutti i giorni, si decide che sono due palle, o che è una gran palla, e si interrompre istantaneamente l'ascolto. Non importa se il musicista (classico o contemporaneo) voleva fare un discorso un po' più articolato (solo un pochino), si taglia subito e si passa al caro vecchio "ma che ce frega ma che ce importa", magari in versione punk o disco.
Il bello è che la critica segue alla lettera questa impostazione. La critica ha abdicato da tempo, nessuno la legge più e nessun giornale o tv darebbe più spazio ad un critico vero: quella che trovate sui giornali e in tv non è più critica, è l'ufficio commerciale delle case discografiche. Pubblicità, insomma. Il che non significa che tutta la musica che ascoltiamo sia brutta, ma soltanto che non siamo più noi a sceglierla; ed è questa la cosa che mi rattrista. Ma la funzione della critica è far capire le cose difficili, per dire kedupalle come fa Verdone o per capire una canzone di Sanremo la critica non serve, ci arrivano tutti da soli.

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