sabato 1 agosto 2009

Tim Buckley, 1968

Le letture pubbliche di versi, in tv, ma anche in radio e a teatro, le metto tra le cose peggiori che possono capitarmi, e cerco sempre di evitarle con cura. La poesia è un fatto personale, o ti tocca oppure è meglio lasciar perdere. Non sempre è il momento giusto, e non sempre è l'autore giusto, e non sempre è il verso giusto di quel poeta, o il momento giusto di quel verso giusto di quel poeta giusto, per di più letto dalla voce giusta.
Tra gli attori, a me piaceva quasi solo Romolo Valli; e poi anche Benigni quando recita Dante, e pochi altri. Di solito, è un profluvio di facce, di gesti, di pose, di ammiccamenti, tutte cose sconvenienti. L'insieme peggiora, e definitivamente, quando sono i poeti (o presunti tali) a leggere in pubblico le loro poesie (o presunte tali) : o non sono capaci, o si danno un sacco di arie... Leggere poesie in pubblico è una cosa difficile, è come cantare un'aria d'opera: o si è davvero capaci, oppure è meglio lasciar perdere e non esibirsi. Come ben sanno gli appassionati, l'opera lirica è un'arte difficile, vietata ai dilettanti, agli stornellatori di piazza; e poi, a peggiorare il tutto, ecco i presentatori, soprattutto quelli televisivi: "Abbiamo questa sera ospite il Grande Poeta, che è un Grande Poeta, il Maggiore dei Poeti Viventi - e vi prego di Ascoltarlo con Attenzione, perché vi garantisco che è davvero un Grande Poeta!" . Ed ecco seguire il Poeta, che si toglie gli occhiali ed esegue; alla fine, naturalmente, applausi. In questo clima diventa persino comprensibile che un ministro, un Calderoli qualsiasi, salti su ed esibisca la sua grande e personale ignoranza dicendo: "Mario Luzi? mai sentito nominare" (forse Luzi è troppo poeta per andare in tv a leggere i suoi versi, però altri lo fanno, eccome...).
E poi comporre poesia non è mica facile: "Che cosa vuoi che dica, che ho i capelli più corti / o che per le mie navi son quasi chiusi i porti...", cantava Guccini, che forse non è un poeta ma di certo è uno che sa scrivere in versi, cosa che non capita a molti. Sarò forse un pericoloso estremista, (ormai comincio a pensarlo anch'io, e me ne sono quasi convinto), ma penso proprio che il più delle volte convenga starsene zitti. Non è mica indispensabile scrivere poesie, né tantomeno farle leggere agli altri: la poesia sa da sola cosa deve fare e arriva lo stesso dove deve arrivare, quando è il momento non conosce ostacoli. E alla fine del mio discorso, per non esagerare, e per quel poco che so e che mi riguarda direttamente, provo a chiudere prendendo in prestito le parole da uno dei miei massimi poeti del Novecento:
It's a happy time inside my mind / when melody does find a rhyme / and says to me I'm coming home to stay...
(Tim Buckley, Happy time,1968)
(29 gennaio 2005)

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